Nicla Niero
La Modificabilità Cognitiva

conseguenze per l'apprendimento

Tesi di Laurea
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CAPITOLO II

 

ORIGINI FILOSOFICO-EPISTEMOLOGICHE

 

2.1 INQUADRAMENTO STORICO

2.2 DUE SVOLTE CRUCIALI NEGLI ANNI 1950 E 1980

2.3 L’IMPRESA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE I.A.

2.4 IL COSTRUTTIVISMO

2.5 LA CONFERENZA DI WOODS HOLE

2.6 JEROME SEYMOUR BRUNER

2.7 LEV SEMENOVICH VYGOTSKIJ

2.8 REUVEN FEUERSTEIN

 

 

 

 

 

 

 

2.1 INQUADRAMENTO STORICO

La pedagogia nel corso dei secoli e nel mondo occidentale ha avuto per lo più il valore di un complesso di prescrizioni e di riflessioni desunte dall’esperienza e dal senso comune, da dottrine morali, politiche e religiose, che assumeva spesso forma letteraria piuttosto che scientifica o filosofica. Solo nella seconda metà del XIX secolo si è proposta come scienza e filosofia dell’educazione da un lato e come didattica sperimentale dall’altro.

La natura della pedagogia e le sue caratteristiche sono connesse a ciò che si intende per educazione e a ciò che si intende per sapere scientifico e filosofico e poiché l’educazione è sempre legata a varie forme di vita storicamente determinate, ogni concezione pedagogica, nel delineare i criteri della formazione umana e gli obiettivi dell’apprendimento riflette gli ideali politici e gli interessi economici del proprio tempo.

I concetti di socializzazione e di trasmissione culturali si rivelano così essenziali per la definizione di ogni progetto educativo.

Nel mondo classico la pedagogia si è sviluppata come corollario dell’etica e della politica all’interno di più vaste concezioni filosofiche.

In Platone e Aristotele il problema pedagogico emerge in connessione col problema politico dello stato e della vita morale. L’educazione è intesa come paideia cioè secondo criteri che regolano la formazione generale dell’uomo e che rinviano ad una vera e propria filosofia dell’educazione. 

La riflessione pedagogica medievale trova la sua più alta espressione in Agostino dove rimane confinata entro una problematica di tipo catechetico cioè fondata piuttosto su problematiche di tipo teologico, etico e gnoseologico che non schiettamente pedagogiche poiché il problema dell’insegnamento viene collegato alla trasmissione dei contenuti di fede incentrandosi sui contenuti piuttosto che sulla loro trasmissione.

Con Comenio 1592, nasce la pedagogia intesa come metodologia dell’educazione o didactica magna  e Pestalozzi che la ritiene un campo di riflessione autonoma e unificante. Per Pestalozzi le tematiche morali, religiose, psicologiche e politiche convergono intorno al ruolo del bambino in quanto soggetto del processo educativo, l’organizzazione della scuola come istituzione fondamentale della società moderna.

Rousseau costituisce l’espressione più compiuta delle istanze del rinnovamento educativo avanzate dall’illuminismo, ma il suo contributo è così originale da non poter essere ricondotto ad un normale processo di continuità storica del sapere pedagogico, egli pratica infatti la pedagogia come utopia, come esperimento mentale teso ad eliminare tutte le variabili che corrompono la natura umana e usa la riflessione pedagogica per criticare la società e la cultura.

Nel primo ottocento, nell’opera di F. Fröbel (1782-1852) e J.F. Herbart (1776-1841) la pedagogia nasce direttamente da una concezione metafisica della realtà che identifica Dio con la natura, ma per la prima volta viene affrontato esplicitamente il problema di una epistemologia pedagogica anche  se, tanto l’etica che assegna alla pedagogia i fini, quanto la psicologia da cui essa ricava i mezzi operativi, derivano direttamente i loro principi dal una riflessione  metafisica.

Gentile (1875-1944) esibisce un concetto schiettamente teoretico della pedagogia esplicitamente intesa come filosofia ma  i suoi presupposti idealistici e spiritualistici  rappresentano l’impossibilità di una positiva ricerca educativa.

La radice più coerente della pedagogia contemporanea è costituita da J. Dewey che si collega ad una psicologia funzionalistica e transazionale con assunti sociopolitici di tipo democratico.

Dewey dà l’avvio ad una metodologia basata sull’esperienza attiva gettando le basi della critica novecentesca all’educazione umanistica tradizionale.

Ma lo sviluppo scientifico della pedagogia  va fatto risalire all’epistemologia positivistica in coerenza con l’estensione del metodo scientifico ai fenomeni umani.

A questo riguardo nei primi lustri del XX secolo con l’opera di Maria Montessori e di E. Claparede la psicologia sperimentale diventa pedagogia sperimentale occupandosi dei problemi relativi al controllo delle procedure elaborate dalla didattica. La pedagogia diventa allora psicopedagogia.

Anche E. Durkeim si può ricondurre ad un’epistemologia positivistica e inquadra coerentemente la pedagogia come sintesi applicativa per l’educazione.

Un’importante svolta teorica del pensiero pedagogico contemporaneo è determinata dall’influenza del marxismo e della psicoanalisi.

2.2 DUE SVOLTE CRUCIALI NEGLI ANNI 1950 E 1980

Per una visione di sintesi bisogna rilevare le svolte più significative della pedagogia in ambito didattico negli ultimi cinquant’anni alla luce di questo inquadramento storico.

Negli anni cinquanta , attraverso orientamenti diversi, la nascita della scienza cognitiva con i suoi risvolti in ambito cibernetico-informatico, psico-neurologico e linguistico, lo sviluppo dell’orientamento tassonomico-curricolare e dell’Instructional Tecnology, prende le distanze da una tradizione educativa che era rimasta sul piano dell’innovazione, prevalentemente ispirata all’attivismo deweyano.

Gli anni ‘54-60 sono stati di incredibile fertilità scientifica. Nel 1954 Skinner pubblica The science of learning and the art of teaching in cui propone un parallelismo tra gli studi di laboratorio sulle modifiche del comportamento degli animali e le pratiche che avrebbero dovuto migliorare l’educazione, lavoro che dette il via ad una vasta fioritura di studi sull’istruzione programmata e sull’impiego di macchine nei processi di apprendimento. Nel ’56 in psicologia appare il libro di Bruner, Goodnow, Austin, Study of thinking, in linguistica Noam Chomsky pubblica Three Models of language, con Allen Newel ed Herbert Simon nasce una nuova disciplina, IA Intelligenza Artificiale, ed il calcolatore diventava così il modello di elezione della mente umana. Nel ’60 Bruner e Miller fondano ad Harward il Center for Cognitive Studies.

Si può prendere come data simbolica della svolta il 1959, anno della famosa Conferenza di Woods Hole coordinata da Bruner.

Gli orientamenti che emergono in quegli anni pur nella loro diversità concordano nell’esigenza di definire un approccio “scientifico-razionale” all’organizzazione didattica, alla sua ristrutturazione sequenziale, alla valutazione oggettiva degli apprendimenti, di mettere a punto una “teoria dell’istruzione”.

Alcuni criteri di quello che diverrà un approccio curricolare possono essere così sintetizzati. Definire operativamente l’obiettivo da conseguire; valutare le conoscenze in ingresso, scomporre analiticamente l’obiettivo  in sotto-obiettivi elementari; fornire feed-back orientativo durante il processo.

In questa tradizione si sono inserite anche le tecnologie. L’istruzione programmata, nelle sue due versioni principali (modello lineare skinneriano e ramificato di Crowder), ha rappresentato, per così dire il “braccio tecnologico” di una concezione della conoscenza e dell’apprendimento fortemente influenzata dai modelli scientisti propri del comportamentismo. Nel corso degli anni ’70 e fino ai primi anni ’80 la diffusione del personal computer si è coniugata con una tradizione prevalentemente  comportamentista e poi cognitivista del tipo Human Information Processing (H.I.P.): il computer è visto come una sorta di sostituto dell’insegnante, un tutor che presenta i problemi, decide della validità delle risposte del soggetto.

I successi che nel frattempo venivano conseguiti nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale e l’allestimento di motori inferenziali suscitavano notevoli aspettative in educazione rafforzando in sostanza un orientamento razionalistico, alla base del quale sono individuabili alcune idee di fondo: la conoscenza è rispecchiamento della realtà, è formalizzabile, può essere articolata in sotto-conoscenze, è implementabile in una macchina.

E’ nel corso degli anni ’80 che diventano sempre più forti i segni di insoddisfazione verso questo quadro teorico. Quella particolare solidarietà tra il modello della conoscenza (conoscenza come acquisizione-elaborazione di informazioni), modello didattico di apprendimento, sequenziale-curricolare, modello tecnologico, computer istruttore, incomincia a vacillare. 

Per vari versanti si avverte più intensamente la necessità di uscire da una tradizione oggettivistica e razionalistica, comportamentistica o anche cognitivista H.I.P., che ha fatto da supporto a quel paradigma e che non appare più capace di fornire una risposta alle istanze emergenti.

L’idea che la conoscenza scientifica rappresenti un mondo, esterno oggettivo, misurabile, concezione che ha fatto da supporto a diversi approcci della ricerca, viene messa in discussione anche nell’ambito delle teorie dell’educazione; si fa più diffusa l’idea che il mondo sia una costruzione derivata dalla nostra esperienza o che comunque tra soggetto ed oggetto esistano forme di solidarietà più profonda; si pensi ad autori come Von Forester, Von Glasersfeld[17], Morin, Varela[18] .

I motivi che stanno alla base di ciò sono estremamente complessi. E’ un passaggio che va messo in rapporto con una più generale crisi del razionalismo le cui radici risalgono all’inizio del secolo con Nietzsche, Freud, Husserl, crisi che acquista nuovo risalto nel coacervo culturale degli ultimi venti anni, in rapporto ai vari orientamenti che lo costituiscono (postmoderno, ermeneutica, decostruzionismo, pragmatismo, etica della comunicazione).

Si tratta di un atteggiamento “che sembra trovare un terreno assai propizio nella delusione conseguente ai fallimenti di chi ha tentato di realizzare società o imprese secondo modelli ispirati troppo esclusivamente ad un metodo di pensiero di tipo scientifico  o tecnologico; oppure ha confidato in modo troppo ingenuo sulla possibilità di risolvere i problemi umani sulla base di approcci e metodologie di natura esclusivamente scientifica e tecnologica”[19].

Ci si accorge che la conoscenza alta, razionale e consapevole è piuttosto una sorta di irradiazione superficiale dell’altra e ben più robusta conoscenza che si annida nei ventricoli oscuri del corpo[20].

In particolare si intensificano adesso le critiche nei confronti dei metodi matematici e fisici nelle scienze sociali e diventa forte la spinta del superamento degli steccati arte-scienza, che filosofi come Feyerabend, Goodman o Rorty hanno, per diversa strada, sottolineato.

Le scienze umane sembrano aver ingaggiato una sorta di guerra di liberazione da un oppressore invadente e paralizzante: “il pensiero forte, una ragione che cerca e vuole offrire garanzie logiche ed empiriche alla verità delle proprie affermazioni”[21].

Di qui l’attenzione verso una razionalità diversa da quella matematico scientifica e tecnologica., che riscopre il valore della dialettica intesa nel senso di argomentazione interpersonale; un ruolo in tal senso ha avuto anche Bruner che lamenta negli ultimi anni il particolare carattere assunto dal cognitivismo nel cui sviluppo ha prevalso “l’elaborazione dell’informazione” rispetto alla “ricerca del significato” laddove gli intendimenti suoi, e degli altri autori della svolta cognitiva di fine anni ’50, erano piuttosto orientati a gettare un ponte tra ricerca scientifica ed ermeneutica, tra linguaggio scientifico e narratologia.[22]

A ciò si aggiunge una crescente insoddisfazione da parte di educatori e psicologi dell’educazione nei riguardi di un approccio rigidamente analitico-sequenziale[23] e verso gli approcci psicometrici, i “test oggettivi di profitto”: si pensi ad esempio alle critiche di Gardner verso i sistemi correnti di valutazione ed alla sua rivendicazione della molteplicità delle intelligenze[24].

Questi elementi si sono venuti raccogliendo in una sorta di cognitivismo di seconda generazione, che nel dibattito internazionale è designato ormai come “costruttivismo”. Ma a ciò concorrono anche gli elementi che provengono dalla particolare vicenda propria delle nuove tecnologie.

2.3 L’IMPRESA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE I.A.

Non va infatti sottovalutato il peso della delusione subentrata in un settore di punta della ricerca tecnologica, quello dell’Intelligenza Artificiale.

Da Platone, attraverso Cartesio a Liebnitz e via via fino al primo Wittgenstein, la conoscenza razionale è stata considerata la modalità superiore consentita agli esseri umani. Nel solco di questa tradizione l’I.A. ha cercato di realizzare uno dei sogni più ambiziosi cui l’uomo potesse aspirare, quello di “ricreare la mente”. Cioè di dar vita ad una macchina capace di mettere in atto comportamenti “intelligenti”, o comunque tali che osservatori esterni potessero distinguerla da comportamenti umani, secondo la classica prova di Turing, assumendo la conoscenza astratta come sinonimo della conoscenza stessa. L’impresa cui hanno contribuito scienziati come Turing, Newell, McCarthy, Simon, Minsky, portò inizialmente a risultati entusiasmanti: la capacità di mettere un computer in condizione di battere un campione di scacchi è indubbiamente un risultato che non può essere sbrigativamente sottovalutato. I problemi maggiori si sono presentati quando si è cominciato a confrontare i computer con la comprensione del linguaggio naturale. Si è scoperto ben presto che mettere un computer in condizioni di “comprendere” un testo, ad esempio di farne una sintesi attraverso una parafrasi adeguata, poneva problemi di enorme complessità (per la dimensione metaforica, pragmatica, per le assunzioni implicite che stanno al di là del testo ecc.): per quanto la ricerca a riguardo abbia avuto il merito di produrre un incessante armamentario teorico, (si pensi ad esempio i concetti di script, di frame ecc.), bisogna che le applicazioni scaturite sono rimaste sostanzialmente deludenti.

Negli ultimi anni appare sempre più evidente l’impasse in cui si è trovata la ricerca sull’intelligenza artificiale all’interno dei modelli razionalistici di taglio logico-deduttivo.

Tra gli studiosi che si sono occupati di intelligenza artificiale e che avvertono il bisogno di trovare una via radicalmente nuova, Winograd e Flores, rifacendosi all’ermeneutica di Heidegger e Gadamer, alla teoria degli atti linguistici di J. Austin e J. Searle, alla teoria biologica di Maturana e Varela, hanno sottolineato come la ricerca tecnologica debba riscoprire dimensioni proprie della fenomenologia, come l’esserci[25].

In questa nuova ottica la potenza delle tecnologie viene vista essenzialmente in ciò che esse fanno scoprire nelle relazioni tra gli esseri umani, nella creazione di un dominio consensuale e cooperativo cui esse possono dar luogo.

D’altro canto la rapida diffusione a partire dagli anni ’80, degli ipertesti che si vengono sempre più coniugando con le suggestioni già avanzate dalla semiologia e dal decostruzionismo[26], dà ulteriore sviluppo a questo passaggio.

Secondo autori come Barret[27], la conoscenza assume carattere di una costruzione testuale cooperativa ed il computer è un mezzo per supportare un ipercontesto di collaborazione e dialogo e favorisce tale scopo.

In linea generale ci si rende conto che la ricerca si è chiusa in un recinto pericoloso, ha dato vita ad una mente “disincarnata”, l’ha distaccata dal corpo; anche le macchine intelligenti non possono fare a meno dell’equivalente di un corpo; bisogna allora produrre nuove “tecnologie della mente-corpo”.

2.4 IL COSTRUTTIVISMO

Nel corso degli anni ’80, dunque, per vari cambiamenti sul piano culturale e filosofico, ma anche su quello della ricerca tecnologica, un tradizionale sodalizio epistemico, didattico, tecnologico, entra in crisi. Gradualmente un nuovo quadro teorico si fa luce. Il termine emergente con cui si intende contrassegnare la svolta rispetto ai tradizionali modelli della conoscenza è costruttuvismo. Tra costruttivismo, progettazione, modelli didattici, e impieghi delle tecnologie, si vengono gradualmente stabilendo nuove alleanze.

Il costruttivismo è attualmente un vessillo sotto la cui egida, sempre più nell’area statunitense, si vanno consapevolmente raccogliendo epistemologi, studiosi dell’area cognitiva, progettisti educativi, tecnologi.

All’interno del costruttivismo si possono individuare molteplici varianti e matrici, ad es. più interazionista, più sociale o culturale, o tra costruttivismo sociale, radicale, informatico, socioculturale.

Esso scaturisce dal crollo di un modello epistemico razionale, lineare, dell’idea che la conoscenza possa essere esaustivamente “rappresentata” in particolare avvalendosi di modelli logico-gerarchico e proposizionali.

Nasce soprattutto come esigenza di abbandonare un cognitivismo H.I.P. che non ha mai rinunciato ad alcune componenti meccaniciste proprie del comportamentismo. Al cuore del costruttivismo riemerge l’antisostanzialismo di una tradizione specialmente pragmatica Rorthy, che si arricchisce di un più sofisticato armamentario intellettuale proveniente dall’ermeneutica e dal decostruttivismo.

I concetti principali che caratterizzano l’attuale costruttivismo possono essere ridotti sostanzialmente a tre: la conoscenza è  prodotto di una costruzione attiva del soggetto, ha carattere “situato”, ancorato nel contesto concreto, si svolge attraverso particolari forme di collaborazione e di negoziazione sociale.

In primo piano viene posta la costruzione del significato, sottolineando il carattere attivo, polisemico, non predeterminabile di tale attività.

I denigratori hanno buon gioco nel mostrare che il costruttivismo ha connotato la propria identità costruendosi un bersaglio negativo, contrapponendosi cioè ad un oggettivismo, dai connotati esagerati a bella posta a scopo polemico e che gli “ingredienti” del costruttivismo, sia sul piano teorico che didattico sono tutt’altro che nuovi: esso infatti recupera un mix di ingredienti, alcuni dei quali risalgono agli inizi del secolo ed hanno seguito la progressiva crisi del positivismo e del neopositivismo: la conoscenza come costruzione attiva del soggetto, è un concetto presente in gran parte nella ricerca del XX secolo.

Dall’esigenza di una costruzione sociale dell’apprendimento scientifico, la psicologia cognitiva rimpiazza la visione della psicologia del comportamento, centrale alla quale era la struttura stimolo-risposta: lo studente è attivamente coinvolto nella costruzione della conoscenza in modo significativo. La conoscenza non si trasmette, ma viene costruita.

Dewey, Piaget, Vygotskij possono essere considerati costruttivisti, secondo Von Glaserfeld[28], ad esempio,  Giovanbattista Vico è il primo costruttivista.

Nel trattato De Antiquissima Italorum sapientia di Vico e nella teoria della cognizione di Piaget, viene proposta infatti una costruzione radicale della conoscenza.

Ciò deriva dalla convinzione dell’impossibilità dell’individuo di conoscere la realtà oggettiva; la conoscenza viene vista come qualcosa che l’individuo costruisce nel tentativo di ordinare le proprie esperienze[29].

Il costruttivismo è caratterizzato da un’esigenza di rifiuto d’una figura d’insegnante come fornitore di informazioni, di rifiuto del distacco della scuola dalla vita, del carattere inerte della conoscenza, al fondo c’è una carica oppositiva al modello corrente che richiama l’opposizione alla scuola emersa all’inizio del secolo o la critica degli anni sessanta al sistema scolastico, pur senza la componente ideologico-sociale che caratterizza quegli anni.

In esso vi è l’esigenza di uscire da un apprendimento formale, astratto decontestualizzato, a favore di un apprendimento basato su compiti autentici, situato che rimanda inequivocabilmente all’opera di Dewey. 

Il costruttivismo può essere sintetizzato nella frase: “La conoscenza è costruita dalla mente di colui che impara.”[30]

La costruzione della conoscenza avviene mediante l’osservazione ragionata di eventi, interpretata e mediata attraverso concetti che già possediamo.

Secondo D. Ausubel, “Il fattore singolarmente più importante che influenza l’apprendimento è ciò che lo studente già conosce. Accerta questo e insegna in accordo.”[31]

La costruzione della conoscenza  può essere vista come un processo dinamico aperto alla competizione intellettuale; un insieme di progressive transizioni tra modelli aventi un differente grado di capacità esplicativa, che incoraggiano la ristrutturazione concettuale attraverso conflitti cognitivi[32].

Il costruttivismo non è soltanto una teoria della conoscenza, ma propone una propria concezione della verità e della relazione tra conoscenza e realtà.

Il costruttivismo è quindi una miscela di elementi che hanno una lontana origine, quindi ritorniamo al crogiolo di esperienze che fu la conferenza di Woods Hole del 1959.

2.5 LA CONFERENZA DI WOODS HOLE

Nell’estate del 1959 Bruner, attualmente professore di psicologia alla New York University, fu incaricato dalla National Academy of Sciences di Washinton di presiedere la commissione di riforma dei programmi di insegnamento delle scienze nella scuola americana. La commissione era composta da una trentina di esperti di diversa estrazione scientifica: biologi come Bentley Glass e Ralph Gerard, matematici coma Carl Allendoefer e Edward Begle, fisici come Zacharias e Finlay, alcuni psicologi di chiara fama come lo psicometrista Lee Cronbach, la cognitivista Barber Inhelder, stretta collaboratrice di Piaget, l’unica europea presente, George Miller, lo stesso Bruner e molti pedagogisti fra i quali John Fischer della Columbia University ed Henry Chauncey direttore dell’Educational Testing Service, qualche storico del calibro di John Blum e un letterato classico.

Nel settembre del 1959 la commissione si riunì a Woods Hole, sul Capo Cod sede estiva dell’Academy, e lavorò per circa tre mesi con ricerche, dibattiti e riflessioni alla revisione dei programmi di istruzione della scuola americana. Alla fine dei lavori fu redatta una relazione dallo stesso Bruner che fu pubblicata nel 1961 con il titolo di The process of Education[33], e la sua influenza si diffuse in più paesi: Unione Sovietica, Giappone, Grecia, Turchia, Israele, Egitto.

 

2.6 JEROME SEYMOUR BRUNER

L’idea di uomo, che sorge dalle pagine stese da Bruner, nella relazione di chiusura della conferenza, nel maggio 1960, è quella di una predisposizione ad apprendere e organizzare delle conoscenze: si parla quindi di strumentalismo evolutivo.

Bruner in virtù delle particolari caratteristiche strumentali dell’idea enunciata, giustifica la centralità radicale dell’educazione nei destini di configurazione di ciascun singolo uomo.[34]

La concezione antropologica del Bruner è profondamente debitrice della tradizione evoluzionistica e del pragmatismo americano il cui fondatore è stato Charles Sanders Peirce (1839 - 1914), e suo esponente di spicco è stato John Dewey (1859 - 1952).

Alle radici del pensiero di Bruner vi è l’idea genericamente enunciabile come la sopravvivenza del più forte, nel senso di “più adatto”, ma dev’essere negato il carattere premiale che ha equivocato l’evoluzionismo Darwiniano. L’ambiente seleziona tra tutti gli individui quelli più adatti, ed i loro caratteri ereditari tendono a fissarsi, dando così luogo all’evoluzione biologica, la natura quindi, avanza proprio grazie a quegli individui che meglio si adattano all’ambiente.

La direzione del messaggio del pragmatismo americano è verso l’educazione progressiva, ed è la radice dell’attivismo pedagogico, termine coniato da Pierre H. Bovet (1878 - 1965), riferentesi ad una pedagogia che si qualificava mediante strumenti concettuali di fondo quali quelli di continuità e di interazione.

Le chiavi concettuali sono quelle di homo sapiens e di homo faber di cui si connota la specie uomo. 

L’uomo rispetto a tutti gli esseri viventi è l’unica specie capace di evoluzione culturale. La predisposizione ad apprendere è fattore genetico - evolutivo e non è più possibile sostenere un atteggiamento dualistico nei confronti del problema mente-cervello-corpo. L’unicità della mente umana, la separazione tra mente e cervello, tra materia e spirito, il cosiddetto salto dialettico del cervello umano ha rappresentato un terreno di convergenze sorprendenti tra spiritualisti e marxisti, tra fautori dello spettro nella macchina ed i sostenitori della macchina come prodotto essenzialmente storico, come puro frutto di tensioni dialettiche. Secondo Bruner l’intelligenza è prodotta principalmente dalla capacità di ampliamento delle facoltà di intervento sul circostante attraverso la tecnologia, ed infatti fu a seguito del bipedismo e dell’uso di arnesi che potè svilupparsi la corteccia cerebrale[35]. La morfologia umana venne trasformata dallo schema di vita basato su arnesi.

Anche se tale tesi in senso strettamente funzionalista, impoverisce di significato le potenzialità dell’intelligenza, interpretando l’intelligenza come lo strumento per adattare l’uomo alle necessità sempre mutabili della vita, di cui è evidente la pericolosità etico - sociale, Bruner afferma che l’istruzione, anziché adattarsi alle prospettive esistenti e ai modelli consueti che esse presentano, deve rendersi introduttiva a nuove prospettive. A loro volta altri studiosi, riprendendo la richiesta di Whitehead, e scongiurando che la scuola non spenga la carica immaginosa ed avventurosa dell’intelligenza, insistono affinchè il momento della creatività, sia considerato obiettivo fondamentale dello sviluppo intellettuale[36].

L’iniziale formazione universitaria di stampo behaviorista di Bruner è stata destinata a modificarsi negli anni in seguito alla psicologia della Gestalt, dal movimento del New look prima, e l’incontro con le teorie del Piaget e di Vygotskij in seguito.

Bruner profondamente influenzato da Vygotskij espone la prima teoria sui sistemi di rappresentazione delle conoscenze e le prime concezioni pedagogiche, basate sul concetto che ogni conoscenza può essere assimilata a qualsiasi età, purchè impartita in forma adeguata[37].

 

2.7 LEV SEMENOVICH VYGOTSKIJ

Vygotskij opera nei primi decenni del novecento in Unione Sovietica, ma a stretto contatto con le correnti più importanti della ricerca europea e americana, fa proprie le idee della filosofia marxista ed in particolare il concetto di mediazione educativa espresso da Engels, ed elabora, a partire da questa la su teoria storico - culturale dello sviluppo psichico. Egli muore nel 1934, a trentotto anni e le sue opere hanno una larga diffusione in Europa e negli Stati Uniti solo negli anni sessanta a causa dell’ostilità del regime sovietico.

In Vygotskij rieccheggia l’eco del dictum di Francesco Bacone: “Nec manus, nisi intellectus, sibi permissus, multum valent: instrumentis et auxilibus res perfecitur”. (Né la mano né l’intelletto da soli bastano: sono resi perfetti dagli strumenti e dagli aiuti che impiegano).[38]  

Per Vygotskij, come l’attività dell’uomo, se mediata dagli artefatti, assume una forma sociale organizzata, anche le funzioni psichiche nel corso dello sviluppo, diventano superiori attraverso la funzione mediatrice degli “strumenti di produzione intellettuale”, passando da un piano biologico ad un piano culturale e permettendo il controllo del comportamento.

Egli indaga profondamente tra le due funzioni indipendenti ma interconnesse di pensiero e linguaggio, attraverso il significato della parola sia i legami tra apprendimento e sviluppo, introducendo il concetto di zona di “sviluppo prossimale”[39].

La definizione data da Vygotskij a tale concetto è: “E’ la distanza tra il livello di sviluppo attuale come lo si può determinare attraverso il modo in cui il bambino risolve i problemi da solo e il livello di sviluppo potenziale come lo si può determinare attraverso il modo in cui il bambino risolve i problemi assistito da un adulto o collaborando con altri bambini più avanti” (1978).

In altre parole, lo sviluppo attuale indica ciò che un individuo domina già da solo, il tipo ed il livello di funzionamento cognitivo che è capace di attivare in modo autonomo per risolvere un problema. La zona prossimale indica ciò che può costituire la prossima tappa del suo sviluppo attuale, se è iniziata una interazione sociale con un adulto, o dei suoi pari.

La distinzione tra sviluppo attuale e zona prossimale permette a Vygotskij di precisare il senso dello sviluppo: dal sociale, mediazione, verso l’individuale, sviluppo attuale. Infatti il mediatore deve collocare il suo intervento nella zona prossimale di sviluppo per  permettere all’individuo di superare le sue competenze attuali grazie ad un’ azione congiunta con il mediatore o con altri individui.

Il mediatore deve anche permettere l’interiorizzazione delle procedure acquisite nell’interazione sociale, perché l’individuo possa attivarle in modo autonomo, cioè integrarle nello sviluppo attuale.

Gli apprendimenti, mediati prima di essere autonomi, potranno trascinare lo sviluppo verso l’alto, permettendo uno “sviluppo a spirale”[40] con l’espressione utilizzata da Doise e Mugny.[41]

Vygotskij afferma quindi la tesi dell’interazione sociale, procede verso la propria individualizzazione e per studiare  i nessi tra pensiero e linguaggio utilizza l’unità più semplice che mantiene  la proprietà  dell’insieme cioè la parola.

Piaget diversamente aveva definito: lo sviluppo cognitivo una forma specifica dell’adattamento dell’individuo alla realtà, e la crescita mentale come un processo nel quale l’individuo attraversando diversi stadi di sviluppo, costruisce diverse forme di conoscenza, che egli chiama strutture o schemi e che descrive in termini logico - matematici.

La tesi fondamentale piagetiana parte da un assunto kantiano enunciato in “Nova delucidatio[42] , afferma che la natura della conoscenza è spiegabile a partire dalla sua genesi, ha natura esperienziale, e quindi lo sviluppo per Piaget è successione cronologica e avviene per stadi.

Tali strutture emergono come prodotto del funzionamento di meccanismi invarianti ed universali di organizzazione e assimilazione - accomodamento e sulla base di principi interni, altrettanto generali, come l’equilibrazione maggiorante. La concezione stadiale[43] di Piaget, prevede grandi periodi di sviluppo: sensomotorio, preoperatorio, operatorio concreto, operatorio formale. L’aspetto più criticato di Piaget è il concetto di dècalage, cioè come non sia possibile che lo sviluppo sistematico in un ambito della conoscenza sia   generalizzabile sempre agli altri ambiti.

Se Vygotskij considera la conoscenza come storica e situata, la direzione dello sviluppo come di un passaggio dall’esterno all’interno, cioè da una dimensione sociale ad una dimensione interiore, Piaget al contrario sostiene che la conoscenza, derivando da costruzioni successive ed elaborazioni di nuove strutture, è universale[44], acontestuale, logico - formale, e che il pensiero passa dall’autismo alla logica diventando in tal modo, sociale.

Se Vygotskij ritiene necessarie la collaborazione e l’interazione tra il bambino e l’adulto competente, al fine di far emergere quelle capacità che da solo il discente non dimostra, Piaget sottolineando il carattere individuale dell’apprendimento, ritiene necessario fornire all’individuo in crescita, un contesto ricco di stimoli dove poter esercitare i suoi schemi.

Vygotskij, Piaget, Bruner, sono profondamente legati tra loro in quanto caratterizzano il percorso del viaggio della mente verso la conoscenza.

Bruner in particolare ipotizza la continuità tra la comunicazione prelinguistica e prime manifestazioni linguistiche, la narrazione viene indicata come modalità di accesso al significato e di accesso alle transazioni. Bruner ritiene che lo sviluppo dei processi mentali consista in cambiamenti nel modo di rappresentare  ed interpretare il mondo e che esista un rapporto circolare tra mente e cultura in quanto la prima crea la seconda e nello stesso tempo è modellata da essa.

Alla base della teoria della modificabilità cognitiva strutturale di Ruven Feuerstein oggetto della presente trattazione, della distinzione che Feuerstein fa tra il comportamento manifesto dell’individuo e la “zona di sviluppo prossimale”, teorizzando potenzialità che sono ancora inespresse ma che possono essere attivate, è riconoscibile il pensiero di Vygotskij, Bruner e Piaget.

2.8 REUVEN FEUERSTEIN

Ruven Feuerstein è nato a Botosan in Romania nel 1921 da genitori ebrei molto sensibili alla cultura e all’educazione. Dimostrò sin da bambino le sue doti: a tre anni era già in grado di leggere due lingue e a otto insegnava l’ebraico ai bambini della comunità di cui faceva parte. Quando nel 1944 la Romania fu occupata Feuerstein, che in quel periodo insegnava a Bucarest in una scuola per i figli dei deportati, fu internato in un campo di concentramento.

Riuscito in maniera fortunosa a fuggire, e ritornato a Bucarest, intraprese una lunga carriera di studi universitari, che si concluse con il dottorato in psicologia presso la Sorbona nel 1970.

Accostatosi agli studi di psicologia sotto la suggestione della scuola viennese, approfondì in seguito lo studio dei processi cognitivi sotto la guida di Jean Piaget, quando fu costretto a trasferirsi in Svizzera per curare la tubercolosi che aveva contratto lavorando con i bambini reduci di Auschwitz.

Feuerstein si avvicinò allo psicologo ginevrino attratto dall’importanza che Piaget attribuiva ai fattori cognitivi dello sviluppo dell’individuo, in contrasto con la scuola junghiana che privilegiava lo studio dell’inconscio.

Partito alla fine della guerra mondiale alla volta del futuro stato di Israele, cominciò ad occuparsi, all’interno dell’ dell’organizzazione Aliyah per la Gioventù, dell’educazione dei giovani che vi affluivano da ogni parte del mondo, adolescenti sopravvissuti alle persecuzioni razziali. Si trattava per la maggior parte di orfani, appartenenti a varie etnie, provenienti da numerosi paesi europei e africani, i quali a causa delle terribili esperienze vissute, presentavano carenze cognitive molto simili a quelle dei soggetti affetti da incapacità mentali.

Tra il 1950 e il 1954 egli esaminò e avviò all’istruzione migliaia di adolescenti provenienti da Asia, Europa, Africa, assistiti dall’Organizzazione nei campi di raccolta. A contatto con bambini adolescenti di cui tutto si poteva pensare tranne che avessero avuto condizioni di vita, e quindi occasioni di apprendimento, paragonabili a quelle dei bambini normali, prese corpo la prima formulazione della teoria della Modificabilità cognitiva strutturale.

Fu proprio a partire dallo studio sugli adolescenti che Feuerstein e i suoi collaboratori misero a punto un sistema di valutazione del potenziale di apprendimento e un programma di intervento cognitivo, diventato noto come metodo Feuerstein.

Quale forza, si chiese Feuerstein, permetteva a bambini ed adolescenti segnati da esperienze così tragiche da dimenticare il dramma, da credere di nuovo nella giustizia, di provare una forte motivazione all’apprendimento? Come potevano quei bambini tornare ad una vita di giochi, di gioia per lo studio? Solo un’intrinseca capacità  di modificazione rende possibili questi incredibili cambiamenti. Di fronte a quei ragazzi in cui era possibile cogliere la modificabilità umana in atto, egli maturò la convinzione che l’uomo è in grado di auto-modificarsi in modo più significativo di quanto comunemente si creda.

A partire dai primi studi sugli adolescenti provenienti dai paesi del Nord Africa, che risalgono agli anni cinquanta, Feuerstein e i suoi collaboratori elaborarono un sistema di valutazione del potenziale di apprendimento  denominato Learning Potential Assesment Device, LPAD, e un programma di intervento cognitivo Instrumental Enrichment Program, PEI, alternando continuamente riflessione teorica, osservazione clinica ed attività pratica per l’applicazione degli strumenti e per la formazione dei docenti, consulenti e supervisori. Oggi egli lavora in collaborazione con università e centri di ricerca in tutto il mondo per l’applicazione dei suoi programmi in ambiti diversi: dalla scuola ai servizi sociosanitari, soprattutto nei settori dell’industria, del commercio e della formazione professionale.  

L’attività iniziata all’interno dell’organizzazione Aliyah per la gioventù e poi presso l’HWCRI è culminata nel 1992 con l’apertura dell’ICELP (International Center for the Enhancement of Learning Potential) un centro di ricerca, formazione e terapia che si riconosce la finalità di aiutare bambini, adolescenti e giovani adulti a raggiungere il più elevato livello di funzionamento cognitivo possibile.

Il 29 ottobre 1999 ha ricevuto presso l’Università degli studi di Torino la laurea ad honorem.

Oggi Feuerstein insegna psicologia dell’educazione all’Università di Bar Ilan di Tel Aviv e presso il George Peabody College della Vanderbilt University a Nashville nel Tennesee.   

 

 


[17] Von Glasersfeld S., Linguaggio e comunicazione nel costruttivismo radicale, Clup, Milano 1989.

[18] Varela F.  Il corpo come macchina ontologica in M. Ceruti, L. Preta, 1990.

[19] Pellerey M. La razionalità umana: dimensioni e condizioni di sviluppo in B. Vertecchi (a cura di), Formazione e curricolo, Firenze, La nuova Italia, 1994.

[20] Longo G.O. Dal Golem a Godel e ritorno, in Sissa - ISAS, Macchine e automi, Laboratorio interdisciplinare dell’immaginario scientifico, Napoli, Cuen, 1995.

[21] Ibidem nota 19 Pellerey

[22] J. S. Bruner, La mente a più dimensioni, Bari, Laterza, 1988.

J. S. Bruner, Acts of meaning, Harvard University Press, Harward, (trad. it. La ricerca del significato, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.

[23]Gardner, Intelligenze multiple, Milano, Anabasi, 1993.

[24] Gardner H. Educare al comprendere, Stereotipi infantili ed apprendimento scolastico, Milano,  Feltrinelli, 1993.

 

 

 

[25] T. Winograd - F. Flores ,  Understanding Computers and Cognition, a new Foundation for Design, Norwood, N.J, Ablex (trad. it. Calcolatori e conoscenza, Milano, Mondadori, 1987).

[26] G. P. Landow. Ipertesto, Il futuro della scrittura, Milano, Baskerville, 1993.

J. D. Bolter, Lo spazio dello scrivere, Milano, Vita e pensiero, 1994.

[27]E. Barret The Society of Text, Hipertext, Hipermedia, and the social Construction of Information, Cambridge MA, The MIT Press, , 1989.

[28] E. von Glasersfeld, Costruction of knowledge, and teaching, New York Syntese, 1989

[29] E. von Glasersfeld, An Introduction to Radical Constructivism, in P. Wazlawick, (ed.), The Invented Reality How Do We Know Whot We Belive We Know? Contribution to Constructivism, New York, W. W. Norton & Co. Inc., 1984. 

[30] G.M. Bodner, Constructivism: A theory of Knowledge, J. Chem. Educ., 1986.

[31] D.P. Ausubel-J.D. Novak - H. Hanesian, Educational psycology: A Cognitive View, New York, Rinehart and Winston, 1978 come riportato in J. D. Novak -D.B. Gowin, Learning how to learn, New York, Cambridge University Press, 1955.

[32] K. Smith - D. W. Johson - R.T. Johson, Can conflit Be Constructive? Controversy Versus Concurrence Seeking in Learning groups, Journal of Educational Psycology, 1981.

[33] J. S. Bruner, Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture. Roma, Armando, 1964. Titolo originale dell’opera, The process of education, Harvard University Press, Cambridge, 1961.

[34] J. S. Bruner, La sfida pedagogica americana, Roma Armando, 1969

 

[35] Ibid. nota 34.

[36] W. Kennet Richmond, La rivoluzione dell’insegnamento, Roma, Armando, 1967, pag.85.

[37] O. Liverta Sempio, Vygotskij, Piaget, Bruner. Concezioni dello sviluppo, Milano, Raffaello Cortina, 1998.

[38] F. Bacon, Discorso in elogio della conoscenza, 1592.

[39] L. S. Vygotskij Pensiero e Linguaggio, Firenze, Giunti Barbèra, 1966.

[40] Lo sviluppo a spirale consiste nella valutazione del funzionamento cognitivo considerando:

a) lo sviluppo attuale dell’individuo, ciò che già padroneggia, cioè il minimo di ciò che può essergli richiesto, il punto di partenza di un’attività educativa, non il massimo di ciò che è capace di fare.

b)   ogni intervento pedagogico che viene a collocarsi nella zona di sviluppo prossimale dei discenti. Questo punto è cruciale nelle utenze in difficoltà. L’ipotesi di una fissità dell’intelligenza o di una determinazione precoce dei limiti di ognuno si alimenta, sul terreno della formazione, con fallimenti scolastici e cattive performance. Il fallimento scolastico o nella formazione professionale ha spesso per origine una incomprensione contestuale che, per il formatore diventa, se dura nel tempo un indice di incapacità generale.

[41] Doise W. - Mugny G. Individual and Collective conflicts of centration in cognitive development, European Journal of Social Psichology, 1979 9, pp 10.5109.

[42] I. Kant, Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova delucidatio, in Geasmmelte Ausgabe, tr. It. Scritti precritici, Bari, Laterza, 1982.

[43] J. Piaget La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, Firenze, Giunti, Barbera, 1968.

 

[44] J. Piaget La formazione del simbolo nel bambino, Firenze, La Nuova Italia, 1972.

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