JOE R. LANSDALE, Tramonto e polvere
Einaudi, 2005, 373 p.
(Stile libero. Big)

Biografia autore

Intervista all'autore

Approfondimenti....

 

Il romanzo

Siamo in Texas, negli anni della Grande Depressione. Sunset Jones uccide il marito, manesco tutore dell’ordine, e ne prende il posto. E si trova ben presto invischiata nel caso di un antico delitto che affonda le sue radici in una macabra storia di sesso e razzismo, di avidità e corruzione, di ragazze-madri e figli mai nati. Una vicenda nascosta nelle viscere del piccolo villaggio, che offre alla giovane donna la possibilità di scoprire in se stessa una forza morale di cui fino a quel momento era inconsapevole.

La voce di Lansdale dipinge un mondo che sembra uscire da una leggenda orale, di quelle che passano di generazione in generazione, e dove, lontani, arrivano gli echi del Ku Klux Klan, delle leggi razziali, della nuova ricchezza in arrivo dai pozzi petroliferi.


Le prime righe 

La fine della primavera era stata repentina e silenziosa, senza le grandi piogge o i rumorosi temporali che accompagnano a volte il cambio della stagione. Era stata come una morte rapida e improvvisa. Mai una morte improvvisa fu tanto compianta.

Il pomeriggio che piovvero rane, pesci grossi e pesci piccoli, Sunset scoprì che non ci voleva nulla a buscarne tante come Jack Tre Dita Ma a differenza di Jack, che la sua ripassata l’ave­va presa in pieno sole, a lei era capitato in casa propria, nella coda di un ciclone, con le finestre che minacciavano di scop­piare e su un pavimento di legno freddo come il marmo.

Se ne stava sulla schiena, con la sola parte superiore del vestito. Quella inferiore era volata via quando Pete, mentre la menava ben bene, le era montato sopra, e l’abito, ormai logoro come la politica, si era lacerato lasciandola coperta solamente dalla vita alle spalle.

Le era passato per la mente che di vestiti, adesso, gliene re­stavano due, e vedere questo andarsene in malora un po’ le dispiaceva: era sì stinto, ma aveva un disegno a fiori che non era poi tanto male, e dei colori che si amalgamavano bene con le macchie.

Un pensiero fuggente, comunque. A impegnarle il cervello era soprattutto il modo di riuscire a farlo smettere. Cercava di tenerlo lontano con le mani, ma lui gliele respingeva, ed erano proprio le sue stesse braccia e mani, sbattendole sul volto, a fare all’incirca lo stesso danno dei cazzotti del marito.

La inchiodò a terra, le allargò le gambe e prese a strapparle quel poco che le era rimasto addosso.

Dopo averle fatto saltare anche la parte superiore del vestito, le abbrancò un lato del reggiseno, denudandola. - To’, ecco la tetta, - disse. Ormai farfugliava, e il fiato sembrava grondargli alcol.

      Poi le afferrò le mutande, e le strappò pure quelle. Infine si slacciò il cinturone con la pistola e lo gettò li accanto. Mentre armeggiava attorno alla patta dei calzoni, con l’obiettivo di far entrare il mulo nella stalla, Sunset allungò una mano e riuscì a sfilare la .38 dalla fondina. Lui nemmeno se ne accorse. Lei gliela puntò alla tempia e gli fece saltare le cervella.

Il rumore dello sparo fu pari a Gabriele che la faceva volare dritta in cielo, ma in cielo c’era finito Pete. Perlomeno si era messo in viaggio. In seguito, Sunset amò pensare che gli fosse toccato un bel posticino all’inferno, proprio accanto al forno.

Ma in quel momento il botto la fece strillare. Una sola volta, un grido secco e acuto come se la pallottola se la fosse beccata lei, o come quando nasci e ti rifilano subito una pacca sul culo.

Pete si afflosciò, non solo con l’attrezzo che aveva proget­tato di usare, ma tutto quanto. Non disse una parola. Né Ahi, né Cazzo, né Non ci posso credere. Espressioni che di solito usava a volontà, quando veniva colto di sorpresa o messo con le spalle al muro.

Si limitò a buttar giù il piombo rovente, mollare una sco­reggia che non aveva nulla da invidiare allo sparo, tirare le cuoia e uscire di scena in groppa al nero cavallo della Morte.

E poiché non pareva abbastanza averci rimesso il vestito, la biancheria intima e la dignità, in quell’istante le finestre sul la­to est della casa iniziarono a scuotersi come le catene di Marley, per poi esplodere. La porta si frantumò come non fosse mai stata altro che un insieme di pezzi di legno poggiati uno accanto all’altro, e il vento fece volar via il tetto.

Sunset giaceva sulla schiena, i brandelli del vestito quasi le­gati al corpo, le vecchie scarpe piatte ai piedi, un pezzo di ve­tro di una finestra conficcato nella spalla, Pete che la schiacciava a terra da autentico peso morto. Aveva ancora la pistola in mano. Il foro d’entrata era piccolo, e nell’uscire non aveva fatto la voragine che ci si sarebbe attesi. Doveva essere proprio tosto, quel proiettile, che gli era rimbalzato nel cranio e l’ave­va ridotto in pappa. Dalla ferita e dal naso di Pete usciva del sangue, che le sgocciolava addosso.

Si tolse di lì sotto e lo guardò. Nessun dubbio. Non ne avrebbe cavato le gambe, lui.

- Bella sorpresa, eh? - disse Sunset.

Rimase a fissare Pete per un po’, poi attaccò a urlare come un’invasata. Ma neanche a trovarsi nella stanza accanto nessuno avrebbe sentito niente. L’urlo era forte, ma la tempesta ancora più forte. La casa prese a tremare, scricchiolare, stridere, sibilare.

E tutto quanto, esclusi il pavimento, due orrori di sedie, un fornello da cucina, Sunset e il cadavere, tutto quanto fini ri­succhiato e scaraventato in tromba giù per le campagne.

Sunset continuò a strillare, schiacciata contro il pavimento, mentre l’uragano si scatenava furioso.

 


Hanno scritto del romanzo.....

Matteo Orfini, Left Wing


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