REX STOUT , Festa di Natale
Interlinea, 2003, 123 p.
(Nativitas ; 37)

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Approfondimenti....


 Il romanzo

Durante una festa di Natale, nel corso della quale Archie Goodwin, fedele assistente  di Nero Wolfe, dovrebbe dare l'annuncio del suo imminente matrimonio, viene ucciso con il veleno il proprietario della ditta presso cui si svolge il ricevimentoi. Tutti gli indizi lasciano presupporre che l'autore del delitto sia  il misterioso Babbo Natale presente alla festa in qualità di barman, fuggito dalla scena del crimine senza lasciare nessuna traccia di sé, tranne il vestito usato ed un paio di guanti bianchi. Una serie di colpi di scena, descritti magistralmente dall'autore, conducono il lettore all'identificazione del colpevole; il tutto ovviamente orchestrato dall'abile regia dell'investigatore che, anche in questa situazione, risolve il caso senza muoversi dalla sua casa di arenaria di New York.

L'opera, scritta nel 1958 con il titolo Christmas party, venne pubblicata in Italia nel 1975 da Mondadori nella raccolta "Autunno Giallo".


Le prime righe

 «Mi dispiace, signore», dissi, cercando di sembrare dispiaciuto, «ma le ho detto due giorni fa, lunedì, che avrei avuto un appuntamento venerdì pomeriggio, e lei ha detto che andava bene. Pertanto la accompagnerò a Long Island sabato o domenica».

Nero Wolfe scrollò il capo. «Non se ne parla. Mr. Thompson attraccherà con la sua nave venerdì mattina e si tratterrà da Mr. Hewitt solo fino al mezzogiorno di sabato, quando ripartirà per New Orleans. Come lei sa, è il miglior ibridatore d’Inghilterra e io sono grato a Mr. Hewitt di avermi dato la possibilità di passare qualche ora con lui. Da quel che mi ricordo, ci vuole circa un’ora e mezzo ad arrivare, quindi partiremo alle dodici e trenta».

Decisi di contare fino a dieci e mi girai sulla sedia rivolto verso la mia scrivania, in modo da poterlo fare in privato. Come accade sempre quando non siamo impegnati a risolvere casi importanti, ci stavamo dando reciprocamente ai nervi da una settimana e riconosco che ero un po’ suscettibile, ma dare tutto per scontato in quel modo da parte sua era troppo. Quando ebbi finito di contare, volsi il capo verso di lui, che se ne stava appollaiato sul suo trono dietro la scrivania, e, dannazione, vidi che era nuovamente sprofondato nel suo libro ed era pacifico che ormai considerava la faccenda si­stemata. Era decisamente troppo. Mi girai ancora sulla sedia per guardarlo in faccia.

 «Mi dispiace davvero», dissi, senza cercare di sembrare dispiaciuto, «ma non posso rinunciare a quell’appuntamento venerdì pomeriggio. Si tratta di una festa di Natale nell’ufficio di Kurt Bottweill, se lo ricorda?, abbiamo lavorato per lui qualche mese fa, al caso degli arazzi rubati. Forse non si ricorderà di quella sua dipendente, Margot Dickey, ma io sì. L’ho rivista, qualche volta, e le ho promesso che sarei andato alla festa. Qui da noi non abbiamo mai dato feste per Natale. Quanto ad accompa­gnarla a Long Island, la sua convinzione che un’auto sia una trappola mortale a meno che non sia io a guidarla è bislacca. Può prendere un taxi, o noleggiare una macchina con autista da Baxter, o farsi portare da Saul Panzer».

Wolfe aveva abbassato il libro. «Spero di otte­nere alcune utili informazioni da Mr. Thompson e lei prenderà appunti».

«Non potrò farlo visto che non ci sarò. Il segretario di Hewitt conosce bene la terminologia delle orchidee quanto me. E anche lei».

Ammetto che queste ultime tre parole fossero un po’ forti, ma lui non avrebbe dovuto rimettersi a leggere. Strinse le labbra. «Archie, quante volte in passato le ho chiesto di portarmi da qualche parte?»

«Se intende “chiedere”, forse diciotto o venti volte».

«Non troppe, mi pare. Se anche è un’aberra­zione l’idea che io mi possa fidare solo di lei al vo­lante di una macchina, io la penso così. Partiremo per andare da Mr. Hewitt venerdì alle dodici e trenta».

Eccoci là. Feci un respiro, ma non mi fu neces­sario contare di nuovo fino a dieci. Se dovevo dar­gli una lezione, e certamente ne aveva bisogno, per mia fortuna ero in possesso di un documento che faceva al caso mio. Dal taschino interno della giac­ca estrassi un foglio ripiegato.

«Non avevo intenzione», gli dissi, «di tirarla fuori prima di domani, o magari anche più tardi, ma immagino che sia ora di farlo. Pazienza».

Mi alzai dalla sedia, spiegai il foglio e glielo porsi. Lui ripose il libro per afferrano, gli diede una scorsa, mi lanciò un’occhiata, guardò di nuovo il foglio e lo lasciò cadere sulla scrivania.

«Pfui. Che fandonie sono queste?» sbuffò.

«Non sono fandonie. Come vede, è una licenza di matrimonio per Archie Goodwin e Margot Dickey. Mi è costata due dollari. Potrei fare lo svenevole al riguardo, ma non lo farò. Dirò soltanto che se final­mente ho abboccato all’amo, c’è voluta un’esperta. Intende dare la notizia alla festa di Natale in ufficio, e naturalmente ci devo essere. Quando si annuncia che si è preso un pesce all’amo è augurabile avere il pesce in carne ed ossa. In verità, preferirei accompagnare lei a Long Island, ma non è possibile».

L’effetto fu quello che avevo sperato. Mi scrutò attraverso le palpebre socchiuse giusto il tempo di contare fino a undici, quindi riprese in mano il documento e lo osservò. Lo allontanò da sé verso il bordo della scrivania come se pullulasse di germi e tornò a puntare gli occhi su di me.

«Lei è sconvolto» affermò distintamente con voce pacata. «Si segga».

Feci un cenno col capo. «Immagino che si tratti di una forma di pazzia», convenni rimanendo in piedi, «ma che cosa ci posso fare se l’ho contratta? Come quello che mi leggeva Margot l’altra sera... un poeta, credo fosse greco... “Amore, invitto in tuo potere, eppur tu trionfi...”»

«Taccia e si segga!»

«Sì signore». Non feci una piega. «Ma non vogliamo correre. Non abbiamo fissato la data e c’è un sacco di tempo per pensare ai necessari cam­biamenti. potrebbe non volermi più qui, ma questo spetta a lei deciderlo. Per quel che mi riguarda, mi piacerebbe rimanere. La nostra lunga collabo­razione ha avuto i suoi momenti deboli, ma non sopporterei di porvi termine. La paga è buona, so­prattutto se otterrò un aumento il primo dell’anno, cioè fra una decina di giorni. Mi sono abituato a considerare questa vecchia casa di arenaria come casa mia, benché sia lei il proprietario e benché ci siano due assi che scricchiolano nel pavimento della mia stanza. Apprezzo il fatto di lavorare per il più grande investigatore privato del mondo libero, per quanto eccentrico possa essere. Apprezzo il fatto di poter salire nella serra quando ne ho voglia e ammirare migliaia di orchidee, soprattutto le odontoglossum. Apprezzo...»

«Si segga!»

«Sono troppo agitato per sedermi. Apprezzo la cucina di Fritz. Mi piace il tavolo da biliardo nel seminterrato. Mi piace la Trentacinquesima Ovest. Mi piace il vetro a specchio nella porta d’ingresso. Mi piace il tappetino sul quale sto adesso. Mi piace il suo colore preferito, il giallo. Ho detto a Margot tutte queste cose, ed altre ancora, compreso il fatto che lei è allergico alle donne. Ne abbiamo discusso e crediamo che valga la pena di provare, diciamo per un mese, quando torneremo dalla luna di miele. La mia stanza potrebbe diventare la nostra stanza e dell’altro locale sullo stesso piano Potremmo fare il nostro soggiorno. Ci sono armadi in abbondanza. Potremmo mangiare con lei, come ho sempre fatto io, oppure potremmo mangiare di sopra, come preferisce. Se la prova riuscisse, le spese per i mobili nuovi e per la tinteggiatura sarebbero a carico nostro. Margot manterrà il suo impiego da Kurt Bottweil, pertanto non sarà in casa durante il giorno e dal momento che Bottweill è un arredatore potremo acquistare tutto all’ingrosso. Naturalmente facciamo delle proposte perché lei le prenda in considerazione. La casa è sua».

Mi ripresi la licenza di matrimonio, la ripiegai e me la misi in tasca.

Le sue palpebre si erano mantenute socchiuse e le labbra serrate. «Non riesco a crederci» ringhiò.


Hanno scritto del romanzo.....

Alessandro Zaccuri (Avvenire - Sabato 29 novembre 2003)


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