ANTONIO ZAMBERLETTI, I duri non piangono
Todaro editore, 2005, 286 p.
(Impronte)

Biografia autore

Intervista all'autore

Approfondimenti....

 

Il romanzo

Seconda avventura per Vincenzo Torres, il convincente protagonista de I morti non pagano. Ex-membro dei reparti speciali della polizia, ferito in servizio, Torres è costretto a sbarcare il lunario occupandosi di casi di scarso rilievo, sino a che si trova di fronte ad una serie di accadimenti apparentemente casuali: un poliziotto morto in un incidente sospetto, una prostituta slava uccisa in un luogo e con modalità apparentemente inspiegabili, la strana storia di un delinquente di piccolissima tacca che viene sorpreso con una quantità di stupefacenti eccessiva per le sue modeste possibilità si trasformano in elementi che disveleranno al detective un’unica e torbida trama. che Torres saprà dipanare con decisione e lucida caparbietà, affrontando la realtà dell'hinterland milanese fatta di immigrazione clandestina, di reduci dalle nuove e vecchie guerre balcaniche, di poliziotti corrotti, di strozzini, di bulli di periferia e prostitute.


Le prime righe 

La fine della primavera era stata repentina e silenziosa, senza le grandi piogge o i rumorosi temporali che accompagnano a volte il cambio della stagione. Era stata come una morte rapida e improvvisa. Mai una morte improvvisa fu tanto compianta.

Il caldo torrido arrivò verso la metà di giugno. Di giorno l’afa colorava il cielo di grigio, e di notte scivolava sull’asfalto e sul ce­mento, lenta e umida come l’alito di un drago.

Quel giorno, il primo dell’estate, un venerdì, dovetti ascoltare la storia di Roberto Freddi, un poliziotto della Narcotici nato in VaI d’Ossola, in un posto affacciato sulle sponde del lago di Mergozzo, e morto quattro anni prima.

Era mezzogiorno, i vetri della finestra alle mie spalle scottavano, ma nel cielo color della calce il sole era solamente una macchia in­distinta e sbiadita.

Il primo luglio di quattro anni prima, verso le tre del pomeriggio, Roberto Freddi aveva preso a noleggio un gommone al porto di Luino, sul Lago Maggiore, era andato al largo e si era immerso, da solo. Era una giornata tersa e soleggiata, rinfrescata da un tempo­rale che nelle prime ore del mattino aveva addormentato l’afa e ri­pulito il cielo.

Freddi era un sub esperto. Faceva immersioni da quasi dieci anni. Quell’ultima volta era sceso nelle acque piatte e appena tiepide del lago e non era più risalito.

Nel punto dove s’era immerso, gli uomini della Guardia di Finanza avevano trovato solamente la boa che segnalava la presenza di un sub, un pallone rosso come un fiotto di sangue, che risaltava in ma­niera sinistra sull’azzurro compatto dell’acqua.

Freddi era stato sospeso dal servizio da una settimana, per una faccenda di cocaina sequestrata a uno spacciatore e mai consegnata, bensì rivenduta a un altro tizio della stessa risma.

Il    giorno dopo la scomparsa gli avevano perquisito la casa, visto che il cadavere non era ancora stato ripescato e un poliziotto inda­gato che di colpo sparisce qualche dubbio lo lascia. I colleghi ave­vano trovato diverse bustine di coca di ottima qualità, e questo era stato il suo epitaffio.

Il suo cadavere era tornato a galla tre giorni più tardi, gonfio come un gommone, molto più a Sud, quasi all’imbocco del Ticino.

Il  padre del poliziotto annegato si chiamava Andrea, era sulla settantina, aveva i capelli radi e grigi, pettinati da una parte, e gli occhi sottili come lamette da barba. Portava una camicia gialla a maniche corte dalla quale spuntavano le braccia magre, dai gomiti appuntiti. Sedeva con le spalle dritte, tirate all’indietro. Quando non parlava gli tremava il labbro inferiore. A un certo punto notai che anche la mano sinistra gli tremava. Lui la fermò, serrandola con quell’altra e disse: - Ho un po’ di Parkinson. Capita, a chi invecchia.

- Mi spiace.

- Comunque le ho detto tutto. Ho finito.

Mi lisciai i baffi e sospirai. - Non vedo come possa aiutarla, signor Freddi.

- Mio figlio era innocente. Non aveva nulla a che fare con quella roba che gli hanno trovato in casa. Lo vado dicendo da quattro anni e nessuno mi ascolta.

- Quindi?

- Quindi ho letto di lei sui giornali. La faccenda dei diamanti russi.

- E passato parecchio tempo da allora...

- Non ero sicuro di volerla assumere. Anche per via dei soldi.

- Non è una questione di soldi - gli dissi. - Lei mi sta chiedendo di indagare su un fatto avvenuto.., quasi quattro anni fa. Su un’inchiesta chiusa ufficialmente dalla magistratura.

- Sono disposto a vendere la casa, se occorre.

- Si tenga la casa. Non posso aiutarla. Tutto qui. Mi spiace.

- La facevo un duro, Torres, a dar retta ai giornali.

- Sono stato solo molto fortunato - replicai. - Non è questione d’essere duri o meno.

- Non è che le dà fastidio indagare su un poliziotto accusato di aver rubato della droga? - mi disse il vecchio stringendo la mascella.

Scossi la testa. - Non è così. Glielo assicuro.

- Lo sa quanti anni aveva mio figlio?

- No. Non lo conoscevo.

- Gli mancavano cinque giorni a compierne ventisei - disse Freddi, quindi si alzò, tenendo sempre le spalle dritte. Aveva la pelle del viso rugosa come un foglio di carta stropicciato e la fronte alta e liscia con sopracciglia color cenere. Non disse più nulla. Uscì dall’ufficio calcando per bene i piedi sul pavimento, quasi temesse di scivolare.

Rimasi seduto dietro la finestra. Quell'uomo mi aveva fatto compassione, ma non potevo aiutarlo. Indagare su qualcosa successo a distanza di così tanto tempo è molto difficile. I testimoni diventano inattendibili, certi fatti importanti perdono consistenza, fatti secondari possono essere ingigantiti a dismisura ingannando chi indaga. Non avevo conosciuto suo figlio, ma ne avevo sentito parlare come di uno non molto sveglio. Subito mi vergognai di quel pensiero: mai parlare o pensare male dei morti.


Hanno scritto del romanzo.....

Carlo Oliva su Giallo & Co

 


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