REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli Sezione Lavoro riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Sigg. Magistrati

         Dott. Giulio Cesare Diani       Presidente

         Dott. Filippo de Caprariis       Consigliere Rel.

         Dott. Fausto Castaldo             Consigliere

Ha pronunciato in grado di appello in funzione di Giudice del Lavoro all’udienza dell’11 dicembre 2000 la seguente 

SENTENZA

Nelle cause civili riunite iscritte ai numeri 109 e 1139dell’anno 2000 del Ruolo Previdenza

TRA

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante “pro tempore” rapp.tato e difeso dall’avv.to Michele Lemetre, presso cui elett.te domicilia in Napoli, alla Via Guantai Nuovi n.25

       Appellante

E

xxxxx, rappresentato e difeso dagli avv.ti Silvio Serino e Guido Travasi, presso i quali elett.te domicilia in Napoli alla Via Dei Fiorentini n.61.

Appellato

NONCHE’ TRA

Xxxxx, rapp.to e difeso dagli avv.ti Silvio Serino e Guido Tavassi, presso i quali elett.te domicilia in Napoli, alla Via Dei Fiorentini n.61.

Appellante

E

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante ”pro tempore”.

Appellato

Svolgimento del Processo

Con ricorso depositato in data 13/1/2000 l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, proponeva appello avverso la sentenza emessa dal Pretore di Napoli il 31/3/1999, con cui il detto giudice aveva parzialmente accolto la domanda avanzata nei confronti dell’Ente da Xxxxx – domanda diretta ad ottenere il beneficiario della rivalutazione ai fini pensionistici dell’anzianità contributiva, ai sensi della legge n. 257/92 e successive modificazioni -, riconoscendo il detto beneficio per il periodo di accertata esposizione all’amianto.

Deduceva in primo luogo l’Istituto appellante che la sentenza impugnata andava totalmente riformata per l’evidente inammissibilità ed improponibilità della domanda attrice. Invero – affermava l’Istituto -, la decisione di primo grado aveva interpretato come domanda amministrativa intesa ad ottenere l’applicazione dei benefici sull’amianto, quella datata il 15 settembre 1997, la quale invece era diretta al conseguimento della pensione d’anzianità. Pertanto, la domanda amministrativa, finalizzata alla richiesta all’INPS ed all’ottenimento dei benefici di cui alla legge n. 257/92, doveva ritenersi inesistente; donde l’inammissibilità ed improponibilità della pretesa di controparte.

Quanto poi alla pensione d’anzianità (proseguiva l’Ente), doveva registrarsi l’omissione da parte del Pretore, che su di essa non si era pronunciato. Ma l’unica statuizione corretta che avrebbe dovuto adottare l’allora giudicante, era la declaratoria dell’inesistenza delle condizioni di legge, utili per la concedibilità della ricordata prestazione previdenzale. In ogni caso, poi sosteneva ancora l’appellante – elemento decisivo e giustificatore del rifiuto della detta pensione, appariva essere la circostanza, evidenziata dall’Ufficio Gestione Pensioni, secondo cui la controparte prestava attività lavorativa al momento della richiesta del beneficio in oggetto.

Aggiungeva altresì l’Istituto – dopo aver precisato che i benefici in parole non dovevano comportare un puro e semplice incremento del conto assicurativo individuale, ma erano piuttosto finalizzati alla concessione di una prestazione – che nella specie non era stata fornita in prova della effettiva esposizione all’amianto. A tal proposito, l’Ente negava valore probatorio a quei certificati che dichiarano la presenza del lavoratore nell’azienda, o la presenza del rischio amianto nell’opificio; così come tale valore andava rifiutato anche a quella diversa documentazione che tendeva a sostituire il certificato emesso a seguito dell’esame della Contare regionale (ciò per contemperare le esigenze dei lavoratori esposti all’amianto per oltre dieci anni della loro vita lavorativa con la necessità di ancorare a parametri valutativi oggettivi la nozione di “esposizione all’amianto”). Ribadendo dunque da un lato che sul lavoratore gravava l’onere di dimostrare un’esposizione all’amianto per oltre 10 anni della propria vita lavorativa nonché un’esposizione tale – per dimensioni e frequenza – da rendere attuale e concreta l’attivazione dell’assicurazione obbligatoria ex art. 153 del DPR n. 1124/1965, e dall’altro che nella specie una simile prova non ricorreva, l’Istituto concludeva per l’accoglimento dell’appello e la riforma della sentenza di primo grado.

Si costituiva in giudizio l’appellato, chiedendo il rigetto dell’impugnazione, la conferma della decisione gravata nella parte in cui non era stata impugnata dallo stesso appellato nonché la riunione tra i due separati giudizi di gravame.

Infatti, con distinto ricorso depositato in data 27/3/2000 anche Xxxxx aveva proposto appello avverso la medesima sentenza del Pretore di Napoli, nella parte in cui – accogliendo parzialmente la domanda attrice – aveva limitato la rivalutazione contributiva al solo periodo di esposizione – all’amianto attestato dall’Inail. Assumendo che l’espressione “intero periodo lavorativo” contenuta nel comma 8 dell’art. 13 della legge n. 257/92 non poteva non significare un riferimento all’intero periodo lavorativo intercorrente dall’iniziale esposizione fino al collocamento a  riposo ed altresì che una simile interpretazione appariva sostenuta da chiari argomenti tratti da evidenti differenze lessicali tra i commi 7 ed 8 della norma in oggetto, l’Esposito chiedeva la parziale riforma della statuizione pretorile e l’integrale accoglimento della propria domanda.

L’Istituto previdenziale non si costituiva in questo giudizio, nonostante la rituale notifica dell’atto introduttivo.

Infine, all’odierna udienza di discussione, dopo aver proceduto alla riunione dei procedimenti trattandosi di appelli avverso la stessa sentenza, la Corte decideva come da separato dispositivo, di cui si dava pubblica lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello proposto dall’Istituto previdenziale è certamente infondato e va pertanto respinto.

Innanzitutto, senz’altro priva di pregio si palesa la prima eccezione di parte appellante, secondo cui la domanda attrice sarebbe inammissibile ed improponibile poiché la domanda amministrativa diretta ad ottenere l’applicazione dei benefici della legge n. 257/92 sarebbe di fatto inesistente in quanto la domanda amministrativa del 15 settembre 1997 avrebbe ad oggetto – a differenza di ciò che ritenne il Pretore – la richiesta della pensione di anzianità. Ebbene, la dedotta interpretazione dell’istanza amministrativa in oggetto appare incontestabilmente contraddetta della semplice lettura della domanda amministrativa che l’Ente previdenziale ricevette in data 15/9/1997 (come emerge dal timbro dell’Istituto ad essa apposto). Infatti, se è vero che l’oggetto, per così dire immediato e diretto dell’istanza era la pensione di anzianità – il lavoratore sbarrava all’uopo, la relativa casella – è altrettanto vero che accanto alla detta casella il suddetto aggiungeva, scritto a mano il riferimento al “beneficio legge 257/92 e successive”. Tale riferimento non poteva allora – e non può adesso – avere altro significato se non quello di conseguire il trattamento pensionistico richiesto mediante l’applicazione del richiamato beneficio della legge del 1992; il quale per conseguenza non rimaneva fuori dell’ambito operativo dell’istanza ma assumeva, anzi, il ruolo di passaggio necessario e fondamentale per il raggiungimento della finalità cui era preordinata la domanda amministrativa (il riconoscimento della pensione d’anzianità). Se poi si riflette che lo scopo di quel beneficio – per il tramite della rivalutazione, mediante moltiplicazione per un coefficiente determinato, della raggiunta contribuzione – era consentire un anticipato perseguimento del trattamento pensionistico d’anzianità, non può ulteriormente dubitarsi che la domanda del 1997 veniva a costituire quel precedente amministrativo necessariamente prodromico – in quanto ne assicurava la procedibilità, e questa qualificazione probabilmente sottende l’eccezione ora in esame – alla futura (ma eventuale) tutele in sede giurisdizionale di quella posizione giuridica di cui l’Esposito vantava, e vanta, la titolarità.

Poiché dunque la domanda attrice era sicuramente procedibile, l’eccezione in parola va disattesa.

Così come dev’essere ugualmente respinta l’ulteriore eccezione dell’appellante (questa strettamente rivolta la menzionato trattamento pensionistico) d’inesistenza dei requisiti di legge per la concedibilità del medesimo; attesa la perdurante condizione lavorativa dell’appellato, il quale infatti ancora prestava attività di lavoro al momento della richiesta della pensione d’anzianità.

A tal proposito osserva la Corte che quanto dedotto dall’appellante Istituto appare irresistibilmente superato da ciò che ebbe ad affermare il Giudice della legittimità costituzionale (cfr. la sentenza della Corte Costituzionale del 10/12-1-2000 che a fronte di una consimile eccezione, ne sostenne l’inaccoglibilità asserendo che il giudizio (nel cui ambito era stata sollevata la questione d’incostituzionalità dell’art. 13 comma 8 della legge 

n. 257/1992) – così come ora il presente procedimento – aveva ad oggetto una domanda d’accertamento del beneficio previdenziale (si ribadisce previdenziale), il cui eventuale riconoscimento incide ora sulla posizione pensionistica (futura) del soggetto interessato. Trattandosi quindi di un beneficio previdenziale che si proietta su una futura prestazione pensionistica, del tutto irrilevante e soprattutto, non giuridicamente preclusiva appare essere la condizione di permanenza in un rapporto di lavoro che ancora sussisteva all’atto della presentazione della domanda amministrativa da parte dell’Esposito disciplinato dalla disposizione in parola. Del resto va ricordato che l’INPS, nella memoria di costituzione in primo grado, definiva condizione di esigibilità la cessazione dell’attività lavorativa che la legge richiedeva sussistesse per riconoscere la pensione d’anzianità. E la condizione d’esigibilità non incide sul riconoscimento del diritto; ma sulla sua attuazione.

Premessa dunque la valutazione delle eccezioni preliminari che precedono e procedendo all’esame dei merito dell’impugnazione, questa Corte non può che ribadire il giudizio innanzi espresso dall’infondatezza del gravame. In proposito, va osservato che nella sostanza l’appellante lamenta l’accoglimento della domanda di controparte, pur in presenza della mancata prova – da parte dell’interessato – di un’esposizione all’amianto prolungatasi per oltre dieci anni ed in misura tale da determinare l’insorgere dell’obbligo dell’assicurazione ai sensi del DPR n.1124/1965.

Orbene, leggendo la norma invocata nel pregresso grado dall’Esposito (8° comma dell’art.13 della legge 27/3/1992 n. 257; come modificato dal D.L. 5/6/1993 n.169, a sua volta convertito nella legge 271 del 4 agosto 1993), ritiene quest’organo giudicante di poter solo in parte condividere l’assunto dell’Ente previdenziale in ordine ai requisiti indispensabili per l’applicazione del beneficio previdenziale giudizialmente preteso. La norma in parola così testualmente recita: “Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5”. Ed allora, la lettura della riportata disposizione legislativa sicuramente individua due elementi che devono necessariamente sussistere e coesistere perché possa essere riconosciuto il beneficio della rivalutazione della raggiunta contribuzione: e cioè, da un lato, l’adibizione del prestatore di lavoro ad una qualsiasi lavorazione che esponga il suddetto all’inalazione di fibre di amianto, e dall’altro un’esposizione che si prolunghi però per più di 10 anni. Non fu al contrario previsto e voluto dal legislatore – tanto è vero che la chiara formulazione letterale della norma non vi accenna minimamente – che l’esposizione medesima si attestasse su una soglia prefissata minima, di pericolosità tale da rendere attuale ed attuabile l’obbligo dell’assicurazione disciplinata dall’Inail in forza del DPR del 1965 n. 1124. Ed invero, il raggiungimento di una simile soglia non era affatto necessario, posto che l’inalazione prolungata donde la fissazione di un tetto, chiaramente minimo di durata del contratto) di fibre e polveri di amianto espone comunque il lavoratore – che espleta normalmente un tal tipo di lavorazioni – ad un rischio di contrarre malattie professionali che definire concreto è eufemistico. Ed allora, se così vanno identificati i due requisiti per l’applicazione del chiesto benefici, non v’è dubbio che nella specie la prova della loro contestuale sussistenza ricorre pienamente in realtà, l’adibizione dell’appellato a quelle lavorazioni prese in considerazione sia dalla legge n. 257/92 che dal Testo Unico sull’assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali, emerge non solo e non tanto dalla nota in data 13 dicembre 1996 dell’Ansaldo Trasporti s.p.a. – datrice di lavoro dell’Esposito – in cui viene ricostruito e descritto lo sviluppo della carriera professionale del dipendente dalla posizione di aiuto montatore trasformatore (cui venne addetto il 16/3/1972) a quella di analista tempi e metodi – risalente al successivo 6 gennaio 1992 -, quanto piuttosto dall’attestato dell’Istituto assicuratore datato 17 febbraio 1996 che, riprendendo la detta nota specifica i periodi temporali in cui l’interessato fu assegnato a reparti e mansioni finalizzate a lavorazioni che ponevano a contatto con l’amianto, le sue polveri, le sue fibre. Dall’attestato INAIL si ricava dunque, che l’Esposito lavorò dal 16/3/1972 al 30 settembre dello stesso anno al reparto montaggio trasformatori come aiuto montatore trasformatore dall’1/10/1972 al 30/4/1976 al reparto avvolgeria trasformatori con avvolgitore dall’1/5/1976 al 31 dicembre 1982 al reparto montaggio veicoli come preparatore e distributore utensili. Dal riportato contenuto dell’atto esaminato si rileva, in altri termini, sia l’espletamento di lavorazioni che, comportando il contatto con l’amianto ed il suo materiale di risulta derivato dal trattamento chimico-industriale, espongono all’inalazione di fibre e polveri (con il susseguente rischio di malattia professionale); sia la durata – probabilmente minima ai fini che qui interessano, di tale esposizione, risultando dalla nota dell’Ansaldo che ancora dall’1/4/1988 l’Esposito prestò la propria attività lavorativa, sempre come preparatore e distributore di utensili, nel reparto programmazione e produzione; dall’1/3/1989 rivestì la qualifica di tecnico di produzione, rimanendo nello stesso reparto ed infine dall’1/61992 passò al reparto analisi del lavoro come analista tempi e metodi – che si protrasse per oltre dieci anni, dal 16 marzo 1972 al 31 dicembre 1982, così integrandosi entrambi i presupposti normativi per l’applicazione dell’art. 13 comma 8 della legge n. 257/92. Sulla valenza probatoria piena di quell’attestato non è lecito dubitare provenendo esso dall’Ente deputato per legge all’instaurazione di rapporti assicurativi obbligatori in tema di malattie professionali nonché all’effettuazione dei relativi accertamenti e controlli. D’altronde, qualsiasi contestazione che potesse ritenersi implicitamente avanzata nel presente grado nei confronti dell’efficacia probatoria dell’atto in parola, non potrebbe che cedere di fronte, invece, all’espressa accettazione del contenuto dell’atto medesimo – ed altresì degli accertamenti che con il medesimo l’INAIL attestava essere stati compiuti – che l’Istituto previdenziale aveva dichiarato nel costituirsi in giudizio nel precedente grado (alla fine della penultima pagina della memoria di costituzione, l’Inps affermava: “ Quanto poi all’istanza volta all’accertamento del diritto al beneficio di cui all’art. 13 co.8 legge 257/92 allo stato non può che condividersi l’accertamento operato dall’INAIL”; accettazione che nel presente grado non sembra essere stata superata concretamente dall’Ente previdenziale che, infatti, non allegava né apportava contributi in senso contrario (sempre ammettendosi, ovviamente, che così operando, non s’incorresse nelle decadenze per tardività poste dal codice di rito per le controversie di lavoro). Non potendo così dubitarsi della ricorrenza della prova piena – correttamente ritenuta dall’Istituto indispensabile ai fini dell’accoglimento della pretesa attrice – della sussistenza dei requisiti di legge e non essendo state sollevate dal detto Ente altre censure all’impugnata sentenza, ne segue che l’appello dell’INPS va respinto e la  statuizione pretoriale senz’altro confermata nei limiti non colpiti dall’impugnazione promossa dall’Esposito.

Venendo ora a quest’ultimo gravame, esso è fondato e meritevole di accoglimento. Contesta nella sostanza l’Esposito il limite temporale che il primo giudice, sulla scia dell’attestato INAIL del 17 febbraio 1996 che dava la prova dell’arco temporale di effettiva esposizione all’amianto, apponeva alla rivalutazione dell’anzianità contributiva raggiunta; circoscrivendo per conseguenza il beneficio solo alle settimane di esposizione accertate ed attestate dall’Inail (dal 16/3/1972 al 31/12/1982) e non estendendolo anche a quelle ulteriori da tela ultima data a quella di presentazione della domanda di pensione d’anzianità (15 settembre 1997). A sostegno di tale contestazione e della conseguente richiesta di parziale riforma della decisione di primo grado per ottenere l’integrale accoglimento della domanda, il lavoratore addiceva la necessità d’interpretare -  affinché venisse rispettata la lettera e lo spirito della disposizione in parola – la locuzione “intero periodo lavorativo soggetto all’”assicurazione obbligatoria…” nel senso di reputare il suddetto arco temporale coincidente con tutto il periodo intercorrente dalla data iniziale di esposizione all’amianto a quella finale del rapporto di lavoro; in altre parole fino al collocamento a riposo del lavoratore, data che nella specie l’interessato faceva coincidere con quella in cui presentava la sua istanza di pensionamento. 

La tesi definitiva in questa sede propugnata dall’Esposito deve certamente reputarsi degna di pregio.Militano innanzitutto a suo favore – come correttamente ebbe a rilevare lo stesso Esposito nel suo atto d’appello – argomenti tratti dalla lettera del comma 8 dell’art. 13 legge n. 257/92 nonché dal confronto tra quel comma e la formulazione letterale del precedente comma settimo. Invero, già l’espressione in precedenza riportata come punto centrale della norma della cui integrale applicazione si sta attualmente controvertendo (- intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti da esposizione all’“amianto”) reca preziose indicazioni sull’estensione temporale del concetto di intero periodo lavorativo.

Non va infatti trascurato di sottolineare che nell’applicazione della disposizione in parola, il concetto di cui innanzi non può essere letto e definito alla luce dei due connotati forniti dalla stessa norma: la soggezione del lasso temporale considerato all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali e l’esposizione all’amianto quale fonte patogenica di queste ultime. La richiesta di queste due caratteristiche da parte del legislatore del 1992 non è stata naturalmente casuale, ma rispondeva ad uno scopo ben preciso: segnalare agli operatori del diritto ed ai destinatari della norma in questione – lavoratori esposti all’amianto per oltre dieci anni, datori di lavoro ed ente previdenziale – che l’azione combinata di quei due segnalati elementi stava a significare che l’operatività del beneficio della rivalutazione dell’anzianità contributiva – quale forma di compensazione e garanzia previdenziale in rapporto ad un futuro in cui quella stessa anzianità non avrebbe potuto essere maggiorata, attesa la progressiva ma inarrestabile dismissione del ciclo produttivo delle lavorazioni che interessavano l’amianto ed i suoi derivati – si andava ad innestare su uno schema di rapporto assicurativo obbligatorio in niente diverso da quello che concerneva tutele altre malattie professionali. Si vuole con ciò affermare che, ai sensi della normativa di cui al DPR n. 1124/65, il presupposto perché scatti e diventi operativa l’assicurazione obbligatoria avente ad oggetto le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto non differisce da quello che il legislatore del 1965 identificò per tutte, indistintamente, le patologie che trovano la loro genesi nell’espletamento di un’attività lavorativa: cioè l’instaurazione del rapporto di lavoro accompagnata dalla denuncia della lavorazione e dal versamento del premio. Sotto tale profilo, è bene precisare che da tale schema si discosta solo l’asbestosi, la cui copertura assicurativa è condizionata al versamento di un premio supplementare (art. 153 del DPR citato). Ma questa disciplina è, appunto, eccezionale e patogenica a quella della collocazione in quiescenza. E che questa fosse la volontà di legge è manifestamente dimostrato dall’uso del termine “intero” riferito al periodo lavorativo suscettibile di rivalutazione quanto all’anzianità contributiva raggiunta. Ma l’utilizzazione di quello stesso termine rappresenta anche la fondamentale differenza letterale tra l’ottavo comma dell’art.13 e la formulazione del precedente comma 7, nonché la conferma che per il beneficio di cui al comma ottavo il periodo da prendere in considerazione è quello che copre l’intera vita professionale del lavoratore – indipendentemente, cioè, dalla durata dell’effettiva esposizione all’amianto. Infatti, il settimo comma della esaminata disposizione legislativa così prevede: “ Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche per i lavoratori che abbiano contratto malattie professionali a causa dell’esposizione all’amianto documentate dall’INAIL, il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa a periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione all’amianto è moltiplicato per il cefficiente di 1,5”. Raffrontando ora la locuzione “periodo di provata esposizione all’amianto” con l’espressione  “intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria…”, non può non ritenersi di piena evidenza l’intima diversità che differenzia i due istituti tratteggiati nei due commi analizzati. Con il concetto di ”periodo di provata esposizione all’amianto” proprio perché la prova non può che scaturire da apposita documentazione dell’Istituto assicuratore – il legislatore del 1992 intendeva chiaramente riferirsi a quell’arco temporale normalmente più ristretto e circoscritto durante il quale si compiva la concreta esposizione a materiali contenenti amianto; laddove, per contrasto, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, altro non può essere se non quel lasso di tempo – ovviamente più ampio, altrimenti non troverebbe giustificazione logica la diversa formulazione letterale dei due commi – scandito dal termine iniziale in cui cominciò la lavorazione morbigena e quello finale della collocazione in stato di quiescenza. In definitiva, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria INAIL non s’identifica con quello di provata esposizione all’amianto; ma rispetto a questo si prolunga - prescindendo dalla condizione di cui sopra – fino alla cessazione del rapporto di lavoro, senza che tuttavia venga meno il presupposto assicurativo, visto che l’obbligo di assicurazione contro la broncopneumopatie prodotte dall’assorbimento di polveri e fibre (quindi anche di amianto) non cessa certamente con il venir meno dell’effettiva esposizione, poiché il rischio dell’insorgere di una di tali patologie perdura ben più a lungo del tempo di reale esposizione alla fonte patogenetica. Questa conclusione per giunta trova una conferma di carattere testuale nella stessa normativa regolatrice dell’assicurazione obbligatoria, giacché l’art.13 DPR n.1124/1965 stabilisce che le prestazioni per le malattie professionali sono dovute anche quando l’assicurato abbia cessato di prestare la sua opera nelle lavorazioni per le quali è ammesso il diritto alle prestazioni medesime. Se pertanto il periodo rivalutabile ai sensi dell’ottavo comma dell’art.13 è quello, nella sua interezza, soggetto all’assicurazione obbligatoria per le malattie professionali e se, d’altronde, quest’ultimo copre -  come si è visto – pressocché completamente l’arco della vita lavorativa del dipendente a partire dall’inizio dell’esposizione alla fonte potenziale della malattia professionale, allora va ribadita la conclusione che vede l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria….coincidere con l’arco temporale che va dall’inizio dell’esposizione all’amianto alla collocazione in quiescenza.

Per conseguenza, l’appello formulato dall’Esposito va accolto e la sentenza impugnata va parzialmente riformata nel senso del riconoscimento in favore dell’Esposito medesimo del diritto alla rivalutazione, ai fini pensionistici ex art. 13 comma 8 della legge n. 257/92 e successive modifiche, dell’intero periodo compreso tra la data di assunzione alle dipendenze dell’Ansaldo Trasporti (16/3/1972 – come si evince dal ricorso introduttivo – data peraltro coincidente con quella di prima assegnazione ad un reparto che lavorava a contatto con l’amianto – si confronti l’attestato INAIL del febbraio 1997 -) e quella della domanda di pensionamento. Per l’effetto va anche dichiarato il diritto del lavoratore alla pensione di anzianità ed a godere del relativo trattamento secondo l’anzianità contributiva in tal modo maturata.

La decisione di primo grado va, a causa del rigetto dell’appello INPS, confermata nelle sue restanti statuizioni.

La piena soccombenza dell’Istituto previdenziale ne comporta la condanna al pagamenti delle spese del presente grado, liquidate come in dispositivo ed attribuite al procuratore anticipatario.

P.G.M.

La Corte definitivamente decidendo sull’appello proposto con ricorso depositato in data 13/1/2000 dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale in persona del legale rappresentante, avverso la sentenza del Pretore di Napoli del 31/3/1999, nei confronti di Xxxxx con ricorso depositato in data 27/3/2000, avverso la medesima sentenza, nei riguardi dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale in persona del legale rappresentatane, così provvede:

a)           respinge l’appello proposto dall’INPS;

b)          accoglie il gravame avanzato dall’Esposito ed in parziale riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto del suddetto Esposito alla rivalutazione, ai fini pensionistici, ex art. 13 comma 8 della legge n.257/92 e successive modifiche, dell’intero periodo lavorativo compreso tra la data di assunzione alle dipendenze dell’Ansaldo Trasporti s.p.a. e quella della domanda di pensionamento;

c)          per l’effetto, dichiara il diritto dell’appellante alla pensione di anzianità ed a godere del relativo trattamento previdenziale secondo l’anzianità contributiva così maturata;

d)           conferma del resto;

e)           condanna l’INPS al rimborso delle spese del grado, liquidate in complessive £. 2.200.000 di cui £. 1.500.000 per onorari – oltre IVA e CPA ed attribuite ai procuratori anticipatari.

Così deciso in Napoli l’11/12/2000, nella Camera di Consiglio della Sezione Lavoro della Corte d’Appello.