Il "nostro" Cairo

di Clelia Cerqua Sarnelli

L'argomento per me e per quanti, come me, sono nati e vissuti per molti anni al Cairo (tra il 1930 e il 1960), a cavallo cioè della seconda guerra mondiale con tutte le implicazioni relative, risveglia infiniti, dolci ricordi di un'epoca lontana nel tempo ma vicinissima nelle memoria indelebile, epoca da noi intensamente vissuta in quella terra ospitale dove abbiamo avuto la fortuna di nascere e che è diventata per molti una seconda patria.

Questa mia di stasera non vuol essere una relazione "scientifica" rifacendosi soprattutto a ricordi ed essendo, se me lo consentite, 'dettata dal cuore'.

Va detto prioritariamente che su questo periodo relativamente all'attività svolta dagli Italiani, non esiste ancora un'opera importante come quella del Balboni, in tre grossi volumi, dal titolo "Gl'Italiani nella civiltà egiziana del secolo XIX", stampata ad Alessandria nel 1906.

Va tuttavia ricordato il volume di Angelo Sammarco "Gli Italiani in Egitto" pubblicato nel 1937, che riassume la storia del contributo portato dai nostri concittadini al risveglio dell'Egitto moderno, abbracciando un periodo che va dalla fine del XVIII secolo all'inizio del XX.

Inoltre, nel 1993, si è svolto a Napoli, all'Istituto di Studi Filosofici, organizzato dal prof. Roman Rainero, un Seminario di Studi sul tema "L'Italia e l'Egitto dall'avvento del Fascismo a Nasser", ma gli Atti di tale convegno, non ancora pubblicati, non sono comunque centrati sull'opera dei nostri connazionali.

Letteratura a parte, che cosa abbiamo fatto 'nel Paese' e 'per il Paese?'. Ci siamo comportati da 'colonizzatori' nel senso più negativo del termine o piuttosto non ci siamo forse distinti per un impegno serio e qualificato ad ampio raggio, secondo le qualifiche e le professionalità di ciascuno?

Sarà forse un caso che, ancor oggi, al Cairo tra gli Occidentali più benvoluti primeggino sempre gli Italiani? Che la nostra lingua, pur non essendo mai stata lingua 'obbligatoria' come l'inglese o lingua 'diplomatica' come il francese, rimane pur sempre per il mondo egiziano 'lingua da conoscere' e quindi 'da imparare' e ciò - lo dico con l'esperienza che mi è propria dell'Istituto Universitario Orientale - ha facilitato e continua a facilitare enormemente i rapporti culturali tra i nostri due Paesi oggi più che mai.

Insomma , tra la comunità italiana del Cairo e gli abitanti della città, si è vissuta una lunga e dolce 'stagione d'amore' che è sopravvissuta persino agli anni di guerra quando - essendo il Paese ancora sotto protettorato inglese - il rapporto è diventato clandestino ma, come fuoco sotto la cenere, è ricomparso in tutta la sua forza a guerra finita, tanto che, anche negli eventi rivoluzionari degli anni '50 - ci sono stati attentati ed incendi perfino all'Ambasciata britannica ed Americana ma 'mai' a quella italiana. E ciò non certo per le politiche dei nostri governi ma piuttosto per l'esemplarità dei nostri concittadini italiani, nel lavoro e nella vita quotidiana con cui hanno saputo coniugare l'italianità irrinunciabile alla cortesia e all'amore naturale dovuto a un Paese ospite.

E così la Società Dante Alighieri, che avrebbe potuto degenerare in proselitismo politico, ha avuto sempre un carattere di intercultura italo-egiziana; l'Ospedale Italiano su cui tornerò tra un momento, in quanto il più vicino alla mia esperienza di vita, si è posto sempre al servizio della salute pubblica che non ha e non può avere colori di pelle o differenze di nazionalità; le Scuole delle Francescane e dei Salesiani sono state sempre aperte e disponibili anche ad allievi egiziani laddove le famiglie erano interessate.

E così pure le nostre Scuole di Stato, da quelle elementari, funzionanti l'una presso il grande edificio di Bulacco, ancora esistente nella sua antica struttura, opera dell'architetto Tullio Parvis, l'altra in una grande, bella villa in Via Hawayaty, davanti al Lycée Français. Era questa una scuola dove si seguiva il metodo Montessori ed io ho avuto la gran fortuna di frequentarla. Ogni volta che vado al Cairo sono spinta a fare una passeggiata in quella strada e, fermandomi ad osservare l'edificio di quella che era stata la mia scuola attraverso le cancellate di ferro, mi assale uno struggente ricordo di quegli anni, dei miei maestri, dei compagni, del personale non docente, in gran parte egiziano, e del portiere: Sulayman, un uomo alto e grosso, sempre sorridente...

Questo per le istituzioni. Ma che dire invece dei singoli, che, 'costruendo' esperienze di lavoro in loco hanno legato per sempre l'onore del nostro Paese all'Egitto?

Voglio nominarne solo alcuni ma valgano per tutti. Penso agli artigiani e ai commercianti: mi tornano in mente i nomi dello straordinario ebanista Salvatore Martel: o dei librai Mengozzi ai quali ultimi dobbiamo - grazie alla diffusione del libro italiano - una grossa facilitazione culturale "aggiuntiva" rispetto ai libri scolastici di cui abbiamo usufruito per generazioni. L'appuntamento alla Libreria Mengozzi era un passaggio obbligato del nostro crescere da Italiani e grande era la nostra felicità quando ci capitava, come mi è capitato personalmente, di scoprire qualche grande Italiano nostro predecessore in terra d'Africa che - nella mia generazione - non faceva parte ancora dell'establishment delle Letterature mondiali: penso a Giuseppe Ungaretti.

Ancora, il variegato mondo dei grandi imprenditori: Dentamaro, Cartareggia, Bracale, Garozzo, residenti al Cairo ma il cui nome è collegato ad imponenti opere in tutto l'Egitto; per citarne una sola, il barrage dell'Alto Nilo.

Penso ancora al mondo della cultura, alcuni esponenti della quale, dalla culla cairota si sono 'diffusi' nel nostro Paese e anche all'estero: ricordo con molto affetto i fratelli Giorgio e Lodo Orvieto, Marisetta Milani e, a ma più caro di tutti, Umberto Rizzitano (il mio primo Professore di arabo), che ha illuminato (nawwar) la Facoltà di Lettere dell'Università di Palermo e che, purtroppo, ci ha lasciato prematuramente creando un enorme vuoto nel mondo degli arabisti. Con Rizzitano abbiamo lavorato instancabilmente per anni e anni per divulgare la nostra lingua e la nostra cultura nelle Università e negli Istituti superiori del Cairo: l'Istituto di Musica araba (femminile e maschile), quello di Belle Arti, l'Istituto Magistrale, la Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Ayn Shams, che aveva come sede l'edificio della Scuola XXVIII Ottobre di Choubrah, e infine la Facoltà di Lettere dell'Università del Cairo a Ghizah.

Per arrivare a questa si percorre un vialone fiancheggiato da due parchi: nell'uno si trova il bellissimo giardino zoologico, al quale sono collegati i ricordi di molti di noi, prima quali bambini e poi come genitori con i nostri figli (ricordate l'ippopotamo Sayyed Eshta e l'elefante Abu Khartum o Abu Zaltuma su cui issato a volte un palanchino che ci permetteva di far un giro nel giardino. E il laghetto con l'annesso caffé?).

Nell'altro parco, quello dell'Orman, ricco di piante secolari e rarissime, pieno di fiori multicolori (oggi divenuto parco di ricerche per la Facoltà di Agraria), era meta agognata per i bambini che vi potevano correre e giocare tra il verde.

Mi piaceva molto sentire l'odore dei prati quando i giardinieri li innaffiavano. E anche oggi, a volte, mi sembra improvvisamente di risentire quell'odore intenso e penetrante ...

Ma ritorno al lavoro dei docenti di Lingua e Letteratura italiana per ricordare la Scuola di Lingue (Madrasat al-Alsun) sorta nel 1954 per interessamento del Dottor Murad Kamel, sul modello di quella voluta da Al-Tahtawi nell' 800. E qui mi furono colleghi Giorgio Orvieto e Marisetta Milani Valerio e più tardi Laura Prinzivalli, la moglie del Dottor Landone, il Dr. Martignano Rincaglia e altri. Lavoravamo con indicibile entusiasmo, sostenuti anche dal meraviglioso rapporto con gli studenti. E il risultato è stato altrettanto meraviglioso.

Oggi la Scuola è diventata una delle Facoltà dell'Università di Ayn Shams all'Abbassiah e i nostri primi studenti sono diventati a loro volta docenti. La Facoltà ha un Dipartimento di italiano con un corpo accademico di una trentina di docenti di varie fasce, tutti egiziani e ogni anno vi si iscrivono più di cento studenti.

Uno dei nostri ex alunni, Salama Muhammad Sulayman, oggi professore ordinario di Lingua e Letteratura italiana, ha appena ricevuto il Premio speciale per la traduzione attribuito dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali - sezione per l'Editoria - per aver tradotto dall'italiano in arabo (o meglio dal napoletano) quasi tutto il teatro di Edoardo De Filippo. Potete immaginare che ho accolto la notizia con la gioia che avrei provato se il vincitore fosse stato mio figlio.

Desidero passare ora a ricordare anche tanti professionisti, avvocati quali Fusaro,  Fucile, Malatesta, Lusena e ultimo l'avv.to Spallanzani, ma per me carissimo perché accolse nel suo studio il mio fidanzato di allora, destinato a condividere un grande tratto della mia vita.

Ricordo ingegneri e architetti quali Gennaro Scognamiglio, Falorni, Mian, Piattoli, Arrigotti. Questi ultimi due hanno prestato la loro opera presso il grande stabilimento industriale Sornaga di El-Wedi, località non molto distante dal Cairo.

Pubblico e privato ... come vedete si confondono nel gioco di una memoria che, come quella di tutti i non più giovanissimi, tende però a focalizzare nel presente il passato.

Anni e anni di vita sepolti nella polvere di un deserto percorso da un altro italiano, Paolo Caccia Dominioni, che si è assunto il compito di eternare il sacrificio dei giovani fanti italiani ad el-Alamein , costruendo uno dei più emozionanti cimiteri di guerra. E la figura dell'amico Paolo che cercava tra i residui bellici, nelle sabbie di zone in gran parte minate, le mostrine dei militi affinché non fossero più ignoti, mi tornava in mente insistente quando pensavo a questo intervento: la memoria come forza storica per vincere l'oblio e quindi la morte; la memoria come nostra capacità di far sopravvivere gli uomini passati e il loro lavoro e farli diventare esempio del presente e testimonianza per il futuro. Nel mio cuore tutti gli Italiani del Cairo hanno il loro spazio, vivi o defunti che siano. Vi prego di prendere queste mie parole come atto di amore.

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