L'ospedale Umberto I° del Cairo

di Clelia Cerqua Sarnelli

Sento il dovere di presentare alcune pagine sul nostro Ospedale del Cairo che, per un certo periodo, ha rappresentato un punto di riferimento per noi tutti. Di grande aiuto nella raccolta del materiale - che ora esporrò - mi è stato il dott. Francesco Vescia, per lunghi anni radiologo di fama nonché direttore amministrativo dell'Ospedale italiano del Cairo. Egli, definitivamente rientrato in Italia, vive oggi a Roma ed è stato per me una vera miniera di notizie che mi sarebbe stato assolutamente impossibile reperire altrove. A lui va oggi il mio grazie più caloroso.

Mi tocca sottolineare che questa mia relazione verterà soprattutto sui medici del Cairo, non essendomi stato possibile trovare altrettanto materiale per i medici di Alessandria.

Iniziando la mia trattazione, mi appare doveroso accennare all'emigrazione italiana in Egitto che, come noto, risale agli inizi del secolo scorso e può essere attribuita a motivi politici ed economici.

Senza voler tuttavia andare troppo indietro nel tempo, basterà ricordare il dato che, già all'inizio del nostro ventesimo secolo, la collettività italiana in Egitto sfiorava il numero di 40.000 persone ugualmente suddivise tra Alessandria e il Cairo ed era molto fiorente per la presenza attiva di nostri connazionali nei più vasti settori della vita del Paese, dove la loro opera fu sempre molto apprezzata e dove essi godettero di una larga e cordiale accoglienza.

Dato il numero sempre crescente degli Italiani che si stabilivano al Cairo, la fondazione di un ospedale divenne una richiesta vivamente sentita.

A farsene carico, fino alla realizzazione, fu la locale Società di Beneficenza, istituita al Cairo nel 1868, che se ne assunse interamente l'onere.

La suddetta Società, elevata ad Ente Morale con Regio Decreto del 6 aprile 1899 come si può vedere dallo Statuto (vedi Statuto della Società Italiana di Beneficenza del Cairo, Cairo, Tipografia della Società orientale di Pubblicità, 1922) aveva i seguenti scopi:

Quanto alle risorse finanziarie della Società per l'attuazione dei suoi scopi, esse provenivano da:

Il 14 dicembre 1900, i membri della Giunta amministrativa della suddetta Società, riunitisi in Consiglio nella sede del Consolato, sotto la presidenza dell'allora console Odoardo Toscani, deliberarono di fondare un Ospedale dedicandolo al compianto Re Umberto I° di Savoia.

Come primo atto concreto, impegnando parte del lascito del generoso donatore Giacomo Rizzo, si procedette all'acquisto di un primo terreno di mq.15.033,33 nel quartiere di al-Abbassiya che, a quei tempi era al limitare del deserto.

Acquistato il suolo, lo stesso console Toscani si fece promotore di un appello alla Comunità italiana e questa generosa iniziativa ottenne una risposta entusiasta non solo dagli italiani ma perfino da molti stranieri che offrirono il loro contributo per l'edificando ospedale. (Un elenco delle oblazioni in danaro raccolte dal Consolato e un altro dei doni in materiali, prestazioni d'opere, forniture, ecc ... è riportato in: L.A.Balboni, "Gli italiani nella Civiltà Egizia nel secolo XIXX, vol. III, Alessandria 1906, pp. 254-258.)

Nel gennaio 1901, venne bandito un concorso per un progetto e, tra i diversi lavori presentati, fu prescelto quello dell'architetto Luigi Tosi.

I lavori di costruzione furono affidati all'impresa Sarozzo che dette inizio ai lavori nell'estate 1902, portandoli a termine dopo circa un anno.

All'arredamento dei locali si interessò il signor Camillo Beato, consigliere della Società di Beneficenza. (Quale titolare di una nota ditta di marmi, il Beato offrì, come contributo personale, la fornitura della gradinata in marmo e in pietra dell'ingresso dell'Ospedale oltre molti altri marmi per usi vari).

Il servizio interno dell'ospedale venne invece affidato alle Pie Madri della Nigrizia di Verona che inviarono delle suore, fulgido esempio di abnegazione e di fede, mentre per il servizio medico, in seguito a concorso speciale e su designazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università di Roma, vennero nominati il prof. Empedocle Gaglio, quale chirurgo titolare e il dr. Romano Tonin, quale medico titolare (vedi Balboni, "Gli Italiani nella Civiltà Egiziana), op. cit. pp. 251-254).

In tal modo, dopo due soli anni dall'inizio dei lavori, il 20 dicembre 1903, l'Ospedale fu aperto al pubblico con un complesso misto (medicina e chirurgia) di soli 50 letti e un corpo medico composto di 5 medici coadiuvati da 7 suore infermiere.

Nel 1910, al primitivo fabbricato che costituisce tuttora la facciata dell'Ospedale, si aggiunse un padiglione di chirurgia che confermò ed accrebbe la stima di cui l'Ospedale godeva. Nel 1925 fu eretta una deliziosa cappella, opera dell'architetto Patricolo. (Già ispettore capo del Comitato di conservazione dei monumenti dell'arte araba per 18 anni, noto per aver ristrutturato moltissimi monumenti arabi e copti. Ved. Angelo Sammarco, "Gli italiani in Egitto", Alessandria 1937,00.170-171.)

Nel 1952 fu costruito un padiglione di chirurgia asettica al quale fu dato il nome di Ettore Pezzi, il generoso avvocato del Cairo che ne rese possibile l'istituzione grazie alla cospicua somma da lui devoluta a tale scopo. (Figlio del noto artista G.L. Pezzi che, giunto in Alessandria d'Egitto nel 1843, riuscì a farsi un gran nome per l'importanza dei lavori eseguiti nel campo della decorazione e dell'arte arabesca; Ettore Pezzi, dopo essersi laureato in legge a Torino, ritornò in Egitto e si stabilì al Cairo dove divenne uno dei migliori avvocati del tempo. Fu anche segretario della Società Italiana di Beneficenza e morì nel 1932 lasciando tutti i suoi beni all'Ospedale Italiano. Vedi Balboni, "Gli Italiani nella Civiltà egiziana", op. cit., pp.61-62.)

Nel 1936 fu costruito un padiglione di geriatria; nel 1947 uno per le malattie infettive e, successivamente, un padiglione di ostetricia e ginecologia.

Nel 1952 il vecchio padiglione di chirurgia, trascorsi ben 40 anni dalla costruzione, si dimostrava ormai del tutto insufficiente per le nuove esigenze dei moderni servizi ospedalieri: si pensò dapprima di demolirlo per costruirne uno nuovo, ma il consulente tecnico dell'Ospedale, architetto Gennaro Scognamiglio, con un progetto veramente ammirevole e ispirandosi ai più recenti dettami del'architettura sanitaria, riuscì a trasformare del tutto l'edificio, dando anche una diversa distribuzione alle camere e ai servizi. E così, al posto della vecchia sala operatoria, ne sorse una ampia, luminosa con annesse sale di medicazione dotate di im-pianti moderni. I fondi per tale spesa furono erogati dal Governo italiano che li aveva ricavati dalla vendita dello Stadio Littorio del Cairo.

Al Padiglione, così rinnovato, fu dato il nome di Empedocle Gaglio, propugnatore e primo chirurgo dell'ospedale.

Il complesso operatorio fu invece dedicato alla memoria di Renato Prunas, già ambasciatore d'Italia al Cairo dove era morto il 25-12-1951, in riconoscimento dell'opera da lui tenacemente e affettuosamente svolta a favore dell'Istituzione.

L'ospedale fu inoltre dotato di un reparto di otorinolaringoiatria, oculistica e stomatologia, di un istituto di radiodiagnostica e radioterapia, di laboratori di biochimica e di microbiologia, di esami istopatologici, di fisiopatologia del circolo e del respiro, nonché di una Farmacia centrale in grado di provvedere ai bisogni più urgenti dei vari reparti.

Negli anni '70, tutto il complesso ospedaliero, dalla capacità di 400 letti, con i numerosi padiglioni divisi tra loro da viali alberati ed aiuole rigogliose, faceva vivo contrasto con la zona desertica retrostante e sembrava simboleggiare l'operosità e l'impegno della nostra gente.

Scopo dell'Ospedale, al momento della fondazione, secondo lo statuto, era principalmente quello di assistere e curare i malati e gli anziani indigenti della collettività, ma ben presto vi furono accolti anche malati a pagamento.

L'afflusso di questi ultimi (italiani e stranieri di ogni nazionalità, molti dei quali provenienti appositamente da Paesi del vicino Oriente (un inciso: nel 1956, il fratello dell'emiro dello Yemen fu ricoverato all'Ospedale Italiano del Cairo, come risulta da un articolo di Alberto Barone pubblicato su "Il Mattino" di Napoli, in data: 29-4-1956, dal titolo "L'Ospedale Italiano Umberto I°, centro di bontà nel mondo arabo". Il Barone scriveva che, trovandosi al Cairo, si era recato in visita all'Ospedale e si era meravigliato di trovare fra i tanti degenti il fratello dell'emiro dello Yemen") contribuì a far sviluppare sempre più l'Ospedale che grazie al valore e all'impegno costante dei suoi medici, divenne uno dei primi della città (Ricorderò, tra gli altri, i seguenti ospedali: l'Anglo-American, il Victoria, l'ospedale francese, quello greco e quello israelita) e tra i più ricercati fra gli egiziani e gli stranieri.

I medici dell'Ospedale italiano si sono infatti sempre distinti non solo per perizia professionale ma anche per doti morali, per umanità e filantropia nonché per profonda lealtà verso il paese ospitante. Instancabili e pazienti collaboratrici dei sanitari furono sempre le suore della Nigrizia, che dalle sette originarie, negli anni, raggiunsero il numero di 45, sempre presenti nei diversi settori dell'ospedale ove svolgevano le più varie funzioni: nelle sale operatorie come aiuto infermiere; nel reparto di ginecologia ove si interessavano, con gran cura, dei numerosi neonati; in quello di gerontologia dove venivano letteralmente assalite dai mille problemi giornalieri delle persone anziane ricoverate, quasi un centinaio tra uomini e donne; nella Farmacia dell'Ospedale.

Non meno impegnativo il lavoro svolto da quelle addette alle vaste cucine, sia per la quantità che per la varietà dei pasti da preparare per i degenti.

Le suore della Nigrizia, fra le quali mi limito qui a ricordare Suor Maurizia, Suor Arcadia, Suor Giuseppa, Suor Laureana, Suor Ginevra, Suor Teresa e la Madre Superiora Celestina e la Marianilla, grazie alla loro dedizione, alla dolcezza e alla profonda comprensione umana, hanno contribuito al nome e al prestigio di cui l'Ospedale ha sempre goduto.

Tanta fu la stima che seppero guadagnarsi, che alcuni ospedali egiziani chiesero ed ottennero dalla Casa madre di Verona la collaborazione di alcune di loro.

Insieme alle suore, voglio qui ricordare il numeroso personale, italiano, egiziano che straniero che, prestando la sua opera quotidiana, ha permesso a tutti i livelli di impegno socio-sanitario, all'Ospedale italiano di rispondere alle molteplici esigenze di una svariatissima clientela.

A questo punto vanno menzionate alcune delle importanti personalità recatesi in visita al nostro Ospedale, a cominciare dal lontano 1933 quando il re d'Italia Vittorio Emanuele III°, nel corso di una visita ufficiale in Egitto, andò all'Ospedale e, in quella occasione, pose la prima pietra per un nuovo padiglione.

Vi si recarono successivamente, tra gli altri personaggi che hanno comunque fatto la storia del nostro Paese o dell'Egitto nel secondo dopoguerra, Randolfo Pacciardi, ministro della Difesa nel 1953; il presidente della Repubblica d'Egitto e presidente del Consiglio, generale Muhammad Naghib, il 12 marzo 1954;il prof. Achille Mario Dogliotti, direttore della Clinica Chirurgica e Preside della Facoltà di Medicina dell'Università di Torino (costui, nel 1955,nel corso dalla sua visita in Egitto, tenne anche diverse conferenze presso la facoltà di Medicina dell'Università del Cairo, visitò numerosi pazienti ed effettuò anche quattro interventi sul cuore); Amintore Fanfani che, come Presidente del Consiglio dei Ministri, nel 1959, lasciò all'Ospedale un assegno del governo italiano di venti milioni di lire; Giulio Andreotti nel l984 come Ministro degli Affari Esteri.

Tutti i suddetti sono sempre rimasti favorevolmente sorpresi dal come un così grande Ospedale potesse reggersi con un bilancio piuttosto esiguo.

Infatti, l'Amministrazione doveva provvedere alle necessità di continuo ammodernamento degli impianti e delle attrezzature, pagare un centinaio di persone tra infermieri, inservienti e impiegati e soprattutto assistere e curare, come dianzi accennato, un centinaio di vecchi indigenti della colonia italiana, qui ricoverati.

Eppure l'Ospedale fu sempre citato ad esempio di ordine e di cura in tutto il suo vasto complesso: il mio ricordo va ai tanti padiglioni con i servizi annessi sempre perfettamente tenuti; alle cucine di una pulizia e di un lindore straordinario; ai viali alberati e alle aiuole fiorite, opera del lavoro di solerti giardinieri e della sorveglianza delle suore; ma va soprattutto al delizioso giardinetto dove al tramonto proprio le suore si riunivano a lavorare a maglia o a ricamare, operose anche nelle lunghe serate estive.

Ma più viva di ogni altra cosa mi balza nel ricordo la tenacia che più di una volta diveniva abnegazione dei medici italiani che hanno fatto sì che l'Ospedale proiettasse sempre la luce tradizionale della scienza medica italiana.

Mi perdonino tutti gli amici medici del passato, ma mi limiterò qui a presentare solo la figura del fondatore, il prof. Empedocle Gaqlio, da tutti considerato come guida e maestro. Una scelta così selettiva mi ha costretta a sacrificare anche la stessa figura di mio padre, Saverio Cerqua, che pure all'Egitto e all'Ospedale Italiano ha dedicato la massima parte della sua intera esistenza e un amore sconfinato. Ma la figura di Empedocle Gaglio è paradigmatica per la testimonianza di una passione civile e sociale che ha poi investito tutti i suoi successori.

Nato a Girgenti il 2-11-1868, egli si laureò a Palermo, conseguì la libera docenza e, dopo alcuni anni, vinse la cattedra di chirurgia dell'Ateneo palermitano.

Non un avventuriero in cerca di fortuna altrove, quindi, ma un professore esimio che, nel 1901, recatosi in Egitto, decise di dedicare tutta la sua esistenza al progetto di fondazione dell'Ospedale.

In occasione della visita dell'ambasciatore Renato Prunas, il 13-12-1950, il prof Gino Grossi, primario medico, nel suo discorso definì il prof. Gaglio "L'artefice amato e stimato di questo Ospedale, a noi tutti carissimo - quando era tra noi - con il suo esempio e la sua saggezza, e venerato dopo la sua scomparsa perché a noi tutti inseqnò la via del dovere e della scienza" (Vedi Oriente, settimanale degli Italiani d'Egitto, anno II, n.53, Cairo 1950, pp1, 6-7).

Nel 1953, in occasione dei cinquantesimo anniversario dell'Ospedale Italiano, fu inaugurato un busto in bronzo del prof. GagIio, opera dello scultore Recigno. Alla cerimonia erano presenti l'ambasciatore d'Italia al Cairo, dott. Pasquale JannelIi, tutto il corpo medico, numerosi dottori italiani e stranieri e una folla di connazionali e di egiziani venuti ad onorare il ricordo di una eminente figura di chirurgo: tanto aveva meritato il prof. Gaglio nella sua lunga opera sanitaria in Egitto e il suo ricordo è tuttora vivo tra storia e leggenda.

 

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