NOI  BAMBINI  DEL '57

di Bianca Esposito

    Non si è parlato mai di noi, bambini del '57, siamo stati un episodio trascurato in una storia dimenticata. Troppo piccoli per far sentire la nostra sofferenza, troppo deboli per poterci organizzare, noi abbiamo seguito i "grandi " in silenzio.

    Bambini del '57, ormai cinquantenni come me, siamo stati coraggiosi, dei piccoli sconosciuti eroi nella nostra piccola odissea, che  certamente ci ha reso migliori.

    A noi è toccato compiere a ritroso il percorso dei nostri bisnonni e con noi si è chiusa un'epoca. Siamo gli ultimi ad avere sul passaporto: luogo di nascita: Alessandria d'Egitto. Nazionalità: italiana. Non abbiamo avuto il tempo di fare nulla che siamo stati trapiantati, ancora troppo fragili. Che cosa è rimasto in noi di quel periodo? Forse molto più di quanto non possa sembrarci a prima vista.

    Avrei voluto trovarvi (amici di AIDE, n.d.r.) negli anni in cui continuavo a chiedermi: perché io italiana in Italia mi sento un pesce fuor d'acqua? cosa c'è di sbagliato in me?

    Forse insieme avremmo trovato le risposte.

    Questa è la mia storia che è probabilmente molto simile a tante delle vostre, ma a me ci sono voluti anni per avere il coraggio di parlarne .

    Fino alla metà del '56, ho moltissimi ricordi di Alessandria, ma sono slegati, frammentati, si riferiscono in gran parte a episodi e persone della mia infanzia. E poi ricordo cose come le giornate al mare, un grande cortile della mia scuola, una statua a cavallo in una piazza, una stazione degli autobus, un cinema dove la domenica mattina papà mi portava a vedere i cartoni animati, e sorteggiavano dei pupazzi che io non ho mai vinto. Ricordo la mia casa, la Corniche, e le “bouganville” nel giardino di mia nonna, le collane di gelsomini, il grido dei muezzin, il sapore delle gauafe con lo zucchero, i cafè con le radio a tutto volume e gli egiziani col tarbush. Le passeggiate in carrozza col vento in faccia, cullata dal trotto del cavallo. Mi piaceva la kunafa e la halawa, e quelle ciambelle con i semini di sesamo. So ancora tante parole in arabo, ma anche queste, tutte scollegate tra loro.

    Poi da un certo punto tutto diventa lucido, preciso come le sequenze di un film.

    I ricordi erano la sola cosa che mi ero portata via, eppure  li ho rinnegati e sepolti per lungo tempo forse per paura. Ho impiegato anni per riprendere la mia identità che avevo barattato pur di riuscire ad integrarmi, e solo allora quando ho capito veramente chi ero, solo allora tutti i ricordi sono improvvisamente riapparsi, nitidi frammenti di un bellissimo mosaico.

    Mi chiamo Bianca Esposito. Sono nata il 3 novembre 1949 in Alessandria d'Egitto. La mia famiglia era lì dal 1870, proveniente per parte paterna da Miglierina e Amato (Calabria), per parte materna da Cordenons (Friuli) e Linz (Austria).

    Abitavo a Campo Cesare, vicino alla Corniche e andavo a scuola alla Besançon, ero una bambina tranquilla, serena nel suo piccolo mondo. Era un mondo fatto di genitori, nonni, zii, parenti, cugini, amici, giochi e giocattoli, un mondo allegro, vivace e colorato, in cui le punizioni a scuola, perché troppo chiacchierona, erano il massimo delle preoccupazioni.

    Poi improvvisamente, a metà del '56 tutto si stravolge, va in frantumi, inizia l'incubo che avrebbe segnato la nostra infanzia: la paura, il rumore delle bombe, il coprifuoco, quel  lugubre "taffel  nur", l'improvviso odio che ci circondava, il non capire bene perché tutto ciò stesse accadendo, mentre man mano gli amici partivano ed ognuno rientrava nel proprio paese. E da questo momento i miei ricordi coincidono con quelli di altri bambini italiani che in quel 1957 salivano su una nave bianca che li portava in Patria.

    Il 23 febbraio '57 mi imbarcavo sull'Esperia, e mentre la nave usciva dal porto chiesi a mia madre se saremmo ritornati in Alessandria. "No, mai più" rispose. Quelle parole mi sembrarono spaventose, e ancora continuavo a non capire perché la guerra, perché dovevamo tutti andar via, perché le nostre cose non erano più nostre….

    Lasciavo Alessandria per sempre… . E' vero… non ci sono più ritornata…

    Poi i tre giorni sull'Esperia mi sembrarono una vacanza inaspettata, gare di scivolate sul ponte, urlare nei boccaporti, eravamo una banda di bambini scatenati. Allora pensai  che quello non era che era l'inizio di una splendida avventura. Non sapevo invece che la mia infanzia finiva lì tra il vento e il mare del Mediterraneo.

    Mi ritrovai scaraventata in un mondo sconosciuto e ostile, al quale non ero preparata. Difficoltà d'ogni genere, privazioni e tante, tante umiliazioni. Un anno tremendo, in cui comunque bambina di 8 anni, scoprii una grinta e una determinazione che io stessa non pensavo di avere.

    Ma ancora non ero accettata, perché ancora avevo uno strano accento, perché conoscevo le lingue e ciò era strano per una bambina piccola, perché dire Alessandria d'Egitto suscitava diffidenza, perché ero "diversa".

    Allora io ho rimosso tutto. Volevo essere uguale agli altri, non avevo la forza per affermare la mia identità. Per un anno, quel primo anno in Italia avevo tenuto testa alle difficoltà e a modo mio avevo lottato, ma ne ero uscita distrutta.

    L'Egitto smise di esistere per me, e con esso cancellai tutta la mia infanzia. Se dovevo dare le mie generalità inventavo un luogo di nascita qualsiasi, secondo l'ispirazione del momento. Quando a casa, a volte qualcuno parlava del passato, io non volevo sentire. E così anno dopo anno, da bambina a ragazzina, avevo cercato in tutto e per tutto di essere come "gli altri".

    Ripulito il mio accento, nulla più era riconducibile ad Alessandria. Studiavo, ero brava a scuola.

    Eppure…. C'era qualcosa di misterioso ed inspiegabile, amici, amiche, ormai anche qualche ragazzo, qualche corteggiatore, eppure .… tutti mi trovavano "diversa" e ciò suscitava in essi uno stupore che affascinava e sconcertava allo stesso tempo. C'era qualcosa di incomprensibile che sfuggiva loro e nello stesso modo io trovavo loro lontani da me. Stesse scuole, stesse vacanze, stessi divertimenti eppure mancava qualcosa ed era come se ci fosse sempre tra me e gli altri un sottilissimo cristallo.

    Incominciai a pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato in me. Avevo quasi 18 anni, ero in Italia da 10, mi preparavo all'esame di maturità. Fu con l'inizio dell'università che incominciai ad accettare di nuovo Alessandria come luogo di nascita, era già qualcosa! ma non davo ulteriori spiegazioni, tutto il resto rimaneva celato per paura che la parola "profuga" saltasse fuori risvegliando antichi fantasmi.

    Nuovi amici, nuovi ambienti, eppure la lastra di cristallo rimaneva. Continuavo ad essere considerata diversa, con qualcosa di misterioso. Intanto il buco nero che io stessa avevo creato nella mia vita minacciava di inghiottirmi. Mi ci volle ancora qualche anno per riuscire ad accettare tutta la mia storia , in quel momento, accettandola, l'ho rivista come dal di fuori e così mi sono resa conto di quanto sia una bella storia, una bella infanzia. Le esperienze che avevo vissuto quelle belle e quelle brutte, l'ambiente in cui avevo trascorso i miei primi anni mi avevano resa diversa dagli altri. Non meglio né peggio, solo diversa. Non c'era nulla di vergognoso da nascondere.

    Era difficile che qualcuno mi avrebbe davvero capita, ma io avevo ritrovato la mia identità e non avrei cercato di essere la persona che non ero. Riconoscevo ed accettavo il fatto di essere effettivamente "diversa" per certi aspetti, perché mi sentivo ricca dentro, di una ricchezza che nessuna guerra ti può portare via. Perché sentivo di discendere da emigranti lavoratori e coraggiosi, come solo gli emigranti italiani sanno esserlo. E' stato un cammino lungo, faticoso e doloroso ma ce l'ho fatta.

    Ora sono soddisfatta e fiera di ciò che ho raggiunto, delle cose che ho realizzato e piena di entusiasmo per ciò che ancora riuscirò a realizzare.

    Mi sento perfettamente a mio agio ovunque all'estero, eppure ogni volta che l'aereo atterra e vedo le divise dei nostri poliziotti e le prime scritte in italiano, immancabilmente provo un tuffo al cuore: è il mio paese.

    Sono fiera di essere italiana, ma non avrei voluto nascere in altro luogo che in Egitto.

    Quando qualcuno ancora trova qualcosa di strano in me e persino un che di indefinibile nello sguardo, ora so: è il mare di Alessandria rimasto riflesso nei miei occhi !

Torino, giugno 2003

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