Ricordo dell’ultimo viaggio di Ada Pisani Pribilois nel folklore egiziano

(racconta il figlio Jean Pierre Pribilois)

Mia madre ed io amiamo molto l’Egitto e, ora che ne siamo lontani, con un dolce velo di nostalgia apprezziamo in modo particolare le belle cose e i doni che il paese offriva ed offre tuttora a noi ex Iskandarani. Viviamo lontani fisicamente e culturalmente da quel paese - noi abitiamo a Roma - ma stranamente quando pensiamo ad Alessandria o al Cairo entriamo quasi in un mondo di fiaba lontana ma incancellabile.

Mia madre è deceduta il 19 Novembre 2006, e due mesi prima, il 16 Settembre di quell’anno, andammo al Cairo per alcuni giorni. Si comportava come se volesse salutare e dare l’Addio Finale al Suo paese natio, assaporare per l’ultima volta quel caos, clacson, odori, rumori, mosche, zanzare, profumi, musica, incenso, confusione, sorrisi, cortesia, calore umano che solo l’Egitto ti offre come benvenuto.

Per chi è nato lì, queste caratteristiche non stupiscono poiché fanno parte del proprio DNA e anche se si è assenti da quel paese per lunghissimi anni, quando ci si rituffa non ci si sente affatto alieno ma assoluta parte integrante!

Andammo al Hotel Windsor, naturalmente non ci aspettavamo e non pretendevamo trovare un Holiday Inn, Sofitel o Hilton, però ricordando alcuni episodi ne traemmo una nuova esperienza e beneficio, rinfrescando qualcuno dei megabyte della memoria del nostro cervello.

L’ascensore in quattro giorni ne funzionò solo due, al Chef del ristorante malgrado si provasse a parlargli in arabo, francese, inglese, quando si ordinava il pranzo o la cena con una certa fretta: “Argouk shoya bessoraa”,

rispondeva: “ala eni di, u ala eni di, ya Madam mat hafish fe hamsa da hay kun kulu gahes”,

dopo un po’: “zammanu ghai”!

Dopo circa 30 minuti portavano il pane, dopo altri dieci minuti l’acqua, infine quando dalla disperazione il nostro stomaco iniziava a miagolare, arrivava a tavola il primo e dopo altrettanto lungo intervallo, il secondo: tiepidi ambedue naturalmente!

Malgrado l’aspetto appetitoso scoprivamo che un po’ di cottura in più non sarebbe guastata, ma il sapore era molto buono e ci accontentavamo con grande gioia!

In camera rientravamo un po’ stanchi dai lunghi giri ed esplorazioni, ma ci accorgemmo un giorno di non essere soli, qualche piccola visita da due bei “sursar” (bei scarafaggi grossi e marroni con i baffi lunghi e zampe ad artiglio che se percepiscono il pericolo, dapprima fuggono correndo e poi magari svolazzano nella camera con il rischio di atterrare sui vestiti. In silenzio e con grande velocità, quasi da stadio, mia madre, malgrado suoi 74 anni, si nascose in bagno, io presi dalla valigia, la mia bella pantofola taglia 47, arma intelligente e micidiale, mi avvicinai e paffffff uno … Olé! Dopo un po’ paffffff due … e nuovamente Olé! Ovviamente ogni sera prima di spegnere le luci facemmo un’ispezione accurata in cerca di eventuali profughi “sarasir”!

Naturalmente il Cairo non è Eskandareya con il suo bel venticello e la sua musicalità delle onde di mare, il Cairo, malgrado il clima secco e torrido che tutti noi conosciamo, per chi viene dall’Europa dà beneficio come un colpo di frusta. Decidemmo di prendere un tassì e andare a visitare il Teatro dell’Opera e la Chiesa di Santa Teresa di Shubra che era in fase di ristrutturazione; tutto andò bene fino all’uscita della chiesa quando, improvvisamente, ci trovammo bloccati in mezzo al traffico. Era circa l’una, ora di pranzo, e il sole era cocente, eravamo su uno dei ponti di Shubra circondati da centinaia di auto con motori assordanti, quasi come uno sciame di api impazzite. D’un tratto il motore del nostro tassì, una vecchia Fiat Misr, iniziò a perdere colpi mentre il fumo usciva da tutte le parti, pensammo ad un incendio e beh … no era “fortunatamente” l’acqua del radiatore che si era consumata e il motore si era fuso!

Rimanemmo bloccati per quasi un’ora poiché le auto erano cosi vicine che non potevamo nemmeno aprire le portiere ed uscire a meno di non usare il finestrino, cosa improponibile per mia madre. Incominciammo, quindi, ad invocare Santa Teresa, Santa Maria Ausiliatrice, Don Bosco, e tutti i santi che ci vennero in mente per farci uscire da quella sauna di 45C°. Le nostre preghiere furono finalmente esaudite, il nodo si sbloccò ma il taxi ovviamente rimase fermo con il motore kaputt, muerto, proprio nulla da fare.

Il tassista ne chiamò un altro e cosi uscimmo con abiti madidi di sudore, e forse qualche chilo in meno, ma almeno salvi e grati per aver vissuto un’altra esperienza curiosa di folklore locale.

Ultimo giorno, partenza dall’aeroporto del Cairo: mi svegliai alle cinque del mattino in modo ad usare il bagno per primo in modo veloce visto che mia mamma impiegava più tempo, aprii il rubinetto e non uscì nemmeno una goccia d’acqua … né dal rubinetto per quella calda, né da quello per la fredda. Dalla reception mi dissero: “Lazem testanna nosse sàa, mafish maya”.

Dopo mezz’ora aprii nuovamente il rubinetto, l’acqua era marrone, tipo nescafé, ed era solo fredda, allora richiamai la reception: “El mahbass mayet sohna maksur fee maya barda”, finalmente risposi: “Muchakerin”!

Dopo alcuni moccoli in tutte le lingue, decisi di far una bella doccia con l’acqua fredda e, quella mattina, uscii dal bagno bello pimpante ma violaceo, ero poi preoccupato per mia madre, ma per fortuna, quando si sveglio alle 7, l’acqua calda era nuovamente funzionante!

Giunti all’aeroporto verso le 9 in zona check-in, ci trovammo davanti ad una marea umana: ogni sportello aveva una fila di almeno 80 persone, finalmente dopo 40 minuti di attesa passammo al terminal per salire sul bus che ci conduceva ai piedi dell’aereo della Egyptair.

Mia madre prima di salire si chinò e diede un ultimo bacio al suolo, alla bella terra d’Egitto, firmando cosi il suo passaggio colà; dando anche il significato di un ricordo unico all’ultimo viaggio che ho fatto con Lei. Il suo saluto dalla vita terrena a quella del cielo.

La vita è anche fatta di ricordi, se questi non esistono l’uomo è vuoto, l’Egitto ha abbracciato mia Mamma e ha risvegliato in Lei quella suprema forza di dirmi, l’ultima volta che abbiamo parlato due settimane prima che entrasse in coma clinico, “Jean Pierre, promettimi di portare le mie ceneri ad Alessandria”.

L’amore per Alessandria, sigillo e balsamo per ogni Skandarani, ci rende unici e accomuna tutti con un bagaglio culturale di alto rilievo ed ampio raggio, conoscendo varie lingue, in un certo senso abbiamo acquisito tutti qualcosa in più rispetto agli altri, in un certo senso il Signore ci ha fatto capire che Alessandria è stato un Suo dono che, a mio parere, concede un sola volta!

Evviva El Eskandareya!

Poesia "Il mio oggi" di Jean Pierre Pribilois.

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