La famiglia Altobello  

e le Carrozze Reali 

Intorno al 1854 l’armatore Nicola Altobello sbarca ad Alessandria d’Egitto proveniente dalle Puglie.

Nel 1869 sotto il regno di Ismail Pascià viene inaugurato il Canale di Suez e, nel frattempo, Nicola Altobello si è trasferito al Cairo, ove impianta un’officina di carrozze insieme ai figli Benedetto, nato nel 1864, e Nunzio. Nunzio, più tardi rinuncia a quella attività e si trasferisce in Alessandria, mentre Benedetto, prima del 1888, continua la costruzione di carrozze sulle orme del padre.

E’ chiamato a Palazzo Reale da Tewfick, figlio di Ismail, che gli commissiona le prime carrozze, poi vengono i cocchi reali. La collaborazione col Palazzo continua con i vari Kedive sino all’avvento di Fuad (1917), primo Re d’Egitto dopo la caduta della sovranità ottomana. Intanto l’officina e il nome di Altobello si afferma anche tra l’entourage del Palazzo. I vari Pascià e i Bey, incominciano anch’essi a commissionare carrozze a Benedetto. Le automobili  faranno la loro prima comparsa solo nel 1929.

L’officina si trasforma per adattarsi all’avvento delle prime automobili e si afferma nel settore della carrozzeria, verniciatura e tappezzeria.

Nel 1888 nasce Francesca Altobello, figlia di Benedetto e di Saveria, e, più tardi, sposa Filippo Ippati, anche lui discendente da una famiglia originaria delle Puglie: ebanista, intarsiatore e scultore del legno. Dalla loro unione nascono quattro figli: Nicola, Giovanni, Ermenegildo ed Emma, mia madre. Con gli anni, i nipoti man mano sostituiscono il nonno nella conduzione dell’officina. Nonno Benedetto Altobello muore nel 1937.

La collaborazione col Palazzo Reale continua sino all’abdicazione di Faruk, ultimo re d’Egitto (1952) e di lì a poco la famiglia incomincia a lasciare l’Egitto, con forte rammarico. C’è chi trasferisce in Uruguay, chi in Francia e chi in Italia.

Qualche aneddoto di famiglia: Benedetto Altobello era pagato in talleri d’oro che portava in un sacchetto legato alla cintura sotto il panciotto e andava a passeggio con un bastone che nascondeva uno spadino lungo 70 cm…

L’appartamento che affittò, per necessità d’ubicazione, distava 200 metri dal Palazzo Reale oltre ad essere anche vicino all’officina. Non so se tutti i figli di Filippo Ippati nacquero in quell’appartamento, ma so per certo che noi cugini dei figli di Filippo e pronipoti di Benedetto Altobello nascemmo tutti lì.

Sino all’epoca di Fuad, i dignitari dei paesi Arabi del Magreb, che a dorso di  dromedari intraprendevano i pellegrinaggi per la Mecca, si fermavano al Cairo per rendere omaggio al Re e ne ho testimonianza fotografica perché passavano sotto le nostre finestre.

Filippo Ippati partecipò alla gara per la realizzazione di un monumento che la comunità italiana in Egitto, piuttosto numerosa sia al Cairo che in Alessandria, Port-Said, Suez ed Ismailia, aveva deciso di donare al Governo Egiziano (in particolare Ismail Pachà) e che doveva essere collocato in piena vista sulla Corniche d’Alessandria. A casa si racconta che nonno Filippo abbia vinto il concorso con un plastico scolpito in legno e corredato dai disegni per la realizzazione di questo monumento.

Giovanni Ippati, mio zio, andava di frequente a Palazzo, seguendo il nonno Benedetto, e lì conobbe e in seguito frequentò Faruk sino al suo esilio. I due si assomigliavano tanto che a Giovanni fu proibito di portare il tarbouche quando andava a palazzo per non sconcertare le guardie. Comunque, a Palazzo, tutta la famiglia era conosciuta come Altobello.

A seguito dello scoppio della seconda guerra Mondiale, essendo l’Egitto di fatto un protettorato Inglese, tutti gli italiani dai 20 ai 60 anni furono prima arrestati e poi internati nei campi di concentramento sparsi nel deserto; a Fayed, mio padre vi rimase circa cinque anni. Questo non capitò invece ai miei zii Ippati nipoti di Benedetto che, sotto la diretta protezione di Faruk, poiché conosciuti come Altobello fornitori ufficiali di Casa Reale, continuarono a lavorare per il Palazzo.

Io, oramai cresciuto, andavo spesso nella vecchia officina del bisnonno e lì tra vecchi cerchioni di ruote e di carrozze, la forgia e vecchi attrezzi, sotto un telone scoprii una macchina del tutto simile ad una decappottabile con i colori del Palazzo, tutta rossa con i parafanghi neri, con il funzionamento a batteria. Sulle portiere spiccava lo stemma della famiglia Reale Egiziana, lo stesso che mio zio Ermenegildo riproduceva sulle macchine di Palazzo. Quella macchina, mi fu detto, era stata regalata a Faruk dai Savoia ai quali sia Fuad che Faruk erano legati da profonda amicizia. Prova ne è che quando scoppiò la guerra, Faruk offrì agli italiani residenti la possibilità di avere un doppio passaporto, un Italiano e uno Egiziano. Ma pochi ne approfittarono. A quei tempi ed in quei momenti il legame con la madre Patria era molto forte.

Scritto in Roma il 22marzo 2003 da Ruggero Manzella

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