Comm VINCENZO GAETA (Bey)

La vita di Vincenzo Gaeta è stata scritta dai figli Bernardo, Pina e Renato

    Il Capostipite della famiglia, Vincenzo Gaeta, nato nel lontano millenovecento a Caltanissetta, arrivò al Cairo in Egitto, nel 1907 all’età di sette anni, insieme con lo zio Luciano Berté.

    Lo zio Luciano, uomo molto intraprendente, si diede subito da fare, giusto il tempo di guardarsi intorno ed aprì una bottega di fabbro nel centro di Bulacco - quartiere popolare del Cairo - ove, dopo pochi mesi di attività, aveva già una forza lavorativa di dieci operai. Il giovane Vincenzo, qualche anno più tardi e sotto l’occhio vigile ed esperto dello zio, iniziò il suo apprendistato nell’arte della lavorazione del ferro battuto sia industriale che artistico, che in loco si usava chiamare “Fer Forgé“, derivandolo dal francese, e che negli anni novecento andava molto di moda.

    Nel 1923 Vincenzo si sposò con Cecilia De Domenico anche lei siciliana DOC, messinese di nascita, donna di grande carattere che dedicò tutta la sua vita alla famiglia e soprattutto alla educazione e istruzione degli otto figli: tre maschi e cinque femmine; due maschi seguirono il padre nell’azienda, il terzo, il più piccolo, fu inviato a studiare in Belgio come ingegnere tessile poiché il padre aveva notato che in Egitto c’era un avvenire in quel campo, e, vista la buona qualità del cotone locale, avrebbe voluto diversificare la sua attività. Il figlio si é laureato, ma purtroppo non poté più rientrare in Egitto ed il sogno del padre non si attuò. Le femmine presero ognuna la propria strada con i rispettivi mariti tranne una (Clelia) che non si sposò ed abbracciò l'attività sportiva dalla quale ricevette grandissime soddisfazioni.

    Dopo anni di studio e di duro lavoro davanti alla forgia per modellare il ferro, il giovane Vicenzo dimostrava sempre più di avere le qualità e le doti naturali di tecnico artista del ferro battuto, tant’è che le sue creazioni le disegnava personalmente, ma soprattutto, di grande ed avveduto manager.

    Nell’anno 1932 lo zio Luciano passò a migliore vita mentre l’azienda era ben avviata ed aveva circa cento operai alle proprie dipendenze; Vincenzo era ormai adulto e preparato per prenderne le redini come proprietario unico e direttore generale della ditta, conosciuta anche in Europa con il nome di “Berté e Gaeta“ in memoria dello zio Luciano.

    Da allora emersero le brillanti attitudini manageriali di Vincenzo che capì che se voleva continuare a favorire l’ascesa dell’azienda, doveva avere una buona spalla, e ciò perché la rapida espansione produttiva necessitava di un adeguato supporto commerciale. Divenivano necessari frequenti viaggi di lavoro, e chiese, quindi, al cugino Vincenzo Berté di intervenire nell’azienda come socio e direttore commerciale.

    L’azienda, cominciò a partecipare a tutte le esposizioni internazionali specializzate nel settore nelle quali fu premiata svariate volte. Il premio più ambito che la lanciò definitivamente a primeggiare nel settore è stata la medaglia d’oro alla fiera internazionale di Bari del 1936, ed in quell’anno fu anche nominata fornitrice ufficiale di tutti i palazzi reali d’Egitto: “Fournisseur officiel de sa Majesté le Roi Farouk”.

    Il crescente volume di lavoro fu tale che l’officina di Bulacco cominciò a diventare stretta e, pertanto, nello stesso anno acquistarono un terreno di cinquemila metri quadri, sempre al Cairo ma in località Ghamra, ed in un tempo da primato, circa tre mesi, furono costruiti i capannoni e furono installati i più moderni macchinari dell’epoca. Va notato che la costruzione del nuovo stabilimento fu eseguita dalle stesse maestranze della ditta, e ciò senza fermare la produzione, tutto dopo l’orario di lavoro e nei giorni festivi senza pretendere una lira tanto le maestranze erano affezionati all’azienda. Furono tutti, comunque, lautamente compensati da Vincenzo.

    Lo stabilimento acquisiva sempre maggiore importanza e cominciavano ad affluire le grandi commesse dai paesi del medio oriente tra i quali Iraq, Libia e Arabia Saudita, tanto che il numero dei dipendenti arrivò nel 1938 a trecento unità tra impiegati, tecnici ed operai specializzati.

    Nell’anno 1939, in occasione della nascita dell’ottavo figlio, ricevette dal Papa Pio XII l’onorificenza di “Benemerito della Santa Sede” per famiglia numerosa.

    All’inizio del 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale, Vincenzo rimase nuovamente solo alla testa dell’ azienda poiché il socio Vincenzo Bertè fu internato come lo furono tutti gli i Italiani in quel periodo, egli ne fu inizialmente esonerato.

    Lo stabilimento venne però requisito dalle autorità inglesi, per utilizzarlo per la costruzione di materiale bellico, e qui Vincenzo si rifiutò di collaborare nella produzione di ordigni che sarebbero serviti anche contro l’Italia, la sua patria che dovette lasciare in tenera età; fu, conseguentemente, internato anche lui. Fortunatamente intervenne il Re Farouk che lo mise sotto la propria protezione, e dopo tre giorni poté ritornare nuovamente libero mentre l’azienda veniva dissequestrata affidandogli esclusivamente lavori per i palazzi reali.

    Durante il periodo bellico l’azienda continuò a prosperare e nel 1945 Vincenzo venne affiancato dal figlio maggiore Bernardo che nel frattempo aveva terminato gli studi presso l’istituto Salesiano Don Bosco di Rod El Farag al Cairo, e dimostrò di essere un vero figlio d’arte. Nel 1952 Il secondo figlio maschio Luciano, che nel frattempo aveva terminato gli studi tecnici alla Dante Alighieri sempre al Cairo, entrò anche lui a fare parte dell’azienda paterna.

    Nel 1946 fu nominato Bey del regno d’Egitto dall’allora re Farouk per tutte le opere eseguite nei palazzi Reali.

    Un cenno particolare è dovuto ad uno dei grandi collaboratori ed artefici del successo dell’azienda, il genero Renato Sofia, marito della primogenita Natalina, che si occupava della conduzione dei lavori nei vari cantieri e che usava chiamare il suocero con l’appellativo di “Maestro“.

    Nel 1948 gli fu conferita dal governo italiano la nomina a “Cavaliere del lavoro” per le opere eseguite in Egitto ed all’estero.

    Nel 1950 ricevette dal governo Italiano il titolo di “Commendatore della Repubblica” per la beneficenza che elargiva agli Ospedali, le Chiese e le Scuole italiane.

    Qualche anno dopo, e precisamente nel 1957, sotto il regime di Nasser, tutte le aziende appartenenti a stranieri tra le quali la sua,  vennero sequestrate o nazionalizzate, e non fu mai più restituita. Vincenzo rimase come direttore tecnico dipendente con la speranza di salvare il salvabile, mentre il cugino socio Vincenzo Berté lasciò definitivamente l’Egitto e rientrò in Italia.

    Fu in quel periodo che la grande famiglia si smembrò: tutti i figli lasciarono l’Egitto con le proprie famiglie per l’Italia, il Belgio, il Brasile e il Canada.

    Sempre nello stesso periodo il regime di Nasser subì l’embargo da parte dell’Occidente e, di conseguenza, con l’autarchia divenne necessario mettere ordine in tutti i settori dell’industria e così furono chiamate a collaborare tutte le forze ancora residenti nel paese. Vincenzo venne nominato consulente alla facoltà di ingegneria meccanica dell’Università del Cairo per la normalizzazione dei profilati metallici usati nella costruzione dei serramenti industriali ed anche lì diede prova delle sue innate capacità nel campo della tecnica ricevendo i complimenti dalle massime autorità universitarie e governative Egiziane.

    Nel 1958 ricevette dal governo Italiano l’onorificenza della “Stella d’Italia”.

    Nell’anno 1967, constatata l’impossibilità di una qualsiasi forma di restituzione dell’azienda, Vincenzo e la moglie rientrarono definitivamente in patria, dove da qualche anno risiedevano due figlie femmine, e dopo due anni si spense a Roma all’età di sessantanove anni.

    Il suo unico errore è stato di avere creduto in quell’Egitto che gli aveva dato tante soddisfazioni. Nel 1954 gli avevano consigliato di tirare i remi in barca e fare i bagagli, ma egli si rifiutò asserendo che l’Egitto non avrebbe mai toccato gli italiani verso i quali nutriva affetto e con i quali aveva un debito di riconoscenza.

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