(storia della vita in Egitto raccontata da Emilio Morelli Conte di Popolo dei Marchesi di Ticineto)

    Emilio Morelli dei Conti di Popolo dei Marchesi di Ticineto, nato a Napoli di una Famiglia originaria di Casale Monferrato, si trasferì in Egitto nel 1907. Dopo aver aperto i primi cinematografi in Egitto, morì in Alessandria nel 1912. Sposato ad Angela d’Aloïsio, ebbe quattro figli: Edigardo, Mario, Goffredo e Emilia (detta Mimì). La sua tomba è nella Cattedrale Santa Caterina.

    Negli anni ’38 Edigardo si trasferì a Torino dove morì nel 1979. Non ebbe figli.

    Goffredo viveva tra l’Egitto e l’Italia. Fu internato durante la guerra del quaranta come tutti gli uomini Italiani. Morì in Italia nel 1993. Ebbe una figlia Diana che vive vicino Parigi.

Anni venti. Goffredo, Mario e Mimì quando abitavano in via Kasr el Nil sopra l’attuale Groppi

    Mimì si sposò con Habib Shoukheir visse al Cairo fino alla morte nel 1988. Ai bei tempi frequentava la famiglia Reale di Farouk, l’Aga Khan, la famiglia Goulbekyan. Non ebbe figli. Qualche anno fa una scrittrice francese raccontò di aver visto mia zia nella chiesa di San Giuseppe che si trova vicino alla sua casa.

    Mario (mio Padre) nacque a Pontassieve nel 1901. Iniziò a lavorare nel 1916 in una filatura di cotone in Alessandria come aiuto contabile. Nel 1929, in occasione del sorvolo del dirigibile sul Cairo, aveva costruito un modellino dello Zeppelin per una vetrina dei grandi magazzini “Chicurel”. Nel 1938, dopo la morte della moglie di tifo nero, tornò in Italia con quattro figli (Fernanda, Antonietta, Gilberto e Giuseppe). Si imbarcò sul piroscafo “Ausonia”. Dopo la guerra, nel 1947, tornò al Cairo dove vivevano sua madre e sua sorella.

A Firenze nel 1939. Mario e i figli (da sinistra) Antonietta, Mario, Giuseppe, Fernanda e Gilberto

In Alessandria nel 1947 con la seconda moglie e tre figli (Giuseppe, Gilberto, Emilio)

    Dal 1949, lavorò per la Stamperia “Dar el Maâref ” come specialista “Offset” e illustratore di libri scolastici. Nel 1952 creò la prima rivista per bambini del Medio Oriente in lingua araba “Megalled Sindibad”. 

Copertina e due pagine di un libro di lettura utilizzato nelle scuole dell’Educazione

    Dal 1953 fino al 1960 creò e disegnò il personaggio “Zouzou” come pure altri personaggi. Aveva illustrato le storie delle “Alf leila u leila” (mille e una notte) per un altro editore.

Inserto nella rivista “Megalled Sindibad"

Schizzo originale della prima avventura di “Zouzou”

    Dopo la rivoluzione e fino alla presidenza di “Mohamad Neguib”, mio padre poteva firmare le illustrazioni, successivamente gli fu vietato di firmare perché straniero. Non gli fu neppure più possibile firmare i certificati attribuiti ai “Hadj” di ritorno dal pellegrinaggio alla “Mecca”. 

Certificato attribuito alle persone che hanno effettuato il pellegrinaggio alla Mecca

    Aveva illustrato il romanzo “Marcantonio e Cleopatra” che fu stampato negli anni ‘57/59. Nel 1960, gli fu chiesto di prendere la nazionalità Egiziana per poter continuare il soggiorno nel Paese. Egli rifiutò e fu, di conseguenza, costretto a rimpatriare in Italia, a Firenze.

    Aveva cinquantotto anni e non trovò alcun impiego. Eppure faceva degli sforzi, aveva provato a lavorare alla reception in un albergo, ma, pareva più cliente che impiegato, fu licenziato. Tentò la pubblicità, non fu accettato poiché troppo anziano. Per tre anni tentò tutto il possibile senza successo. Nel 1963 fu colpito da emiplegia, che lo inchiodò a letto fino alla morte nel 1969.

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Emilio e le sorelle Silvia e Maria Fatima

    Dei sette figli, io sono l’unico nato in Italia, a Firenze il 2 Ottobre 1942. Nel 1943, a sei mesi, subii la poliomielite alla gamba sinistra. Nel 1945 ho vissuto per tre anni nel campo Profughi di Cinecittà (abusivamente chiamata campo di concentramento), mentre le mie sorelle Silvia e Maria Fatima hanno frequentato la scuola Maria Ausiliatrice. Sia Silvia, sia  Maria Fatima sono sposate e vivono a Firenze.

Piazza Ramses quando la zia Lina venne a trovarci

    Nel 1948 frequentai un anno la scuola Francese “Collège de la Salles” del Daher. In quella scuola iniziai ad imparare il francese e l’arabo ma fui traumatizzato vedendo come gli insegnanti picchiavano gli alunni.

    Nel 1949 fui iscritto per un anno in una scuola greca, dove seguivo le lezioni di greco in prima elementare, il francese in terza e in quarta per l’arabo.

Fatima, Silvia ed io davanti alla Chiesa Maria Fatima a Heliopolis

    Nel 1950 mi iscrissero all’Istituto Salesiano Don Bosco ove mi fecero iniziare da capo la prima elementare. Vi rimasi fino al 1959. In prima elementare la maestra era Assunta Luisi e il direttore Don Francesco Trancassini; in seconda, ebbi la Maestra Maria Piva e il direttore era Don L. Ottone. In terza e quarta elementare: Don Bonetto. Fu allora che ricevetti l’unico premio di tutta la mia vita scolare dal direttore D.L. Ottone. In quinta elementare ebbi il professore Chioffredo Conte. In prima media Don Lovato e il direttore era Don G. Morazzani, mentre in seconda media, quando fui bocciato, Don Villa che fu l’unica persona che aveva visto in me un artista. In seconda ed in terza Commerciale ebbi nuovamente Don Villa. Gli altri professori di cui ricordo il nome sono: professor Panzini (inglese), professor Nasr (arabo), Don Gaeta (catechismo), Don Giraudi (musica), professor Grimaldi (ginnastica), Don Odello (lupetti, scout), professor Battaglia (matematica). Nelle Medie, mi ricordo di un professore di matematica, era giovane e lo facemmo disperare finché tornò in Italia poiché non ne poteva più.

Quel giorno del 1950 andammo a Bulacco per ascoltare il comizio dell’On. Amintore Fanfani. Molti allievi si trovano anche sulle foto degli Scout del sito AIDE (per esempio, Pozzi è il Lupetto nella prima foto sotto il calendario davanti all’aereo)

    Ricordo quando Don Gaeta ci portava al secondo piano nel corridoio che andava al coro della Cappella ove c’era una vetrata colorata. Don Gaeta, che era corpulento, si sedeva contro luce, vedevo i peli grigi che si stagliavano attraverso i colori della vetrata, giallo, vede, rosso e blu, e mi impressionavano.

    Sognavo cullato da quella voce tranquilla che ci parlava di catechismo. Egli aveva un modo particolare di pronunciare la parola “pane”. Diceva con un suono nasale “paiene”.

    D’estate andavo in Colonia; spesso andai alla “Colonie de vacances Sainte Thèrese de l’Enfant Gesu” a “Sidi Bishr”.

    Una volta, con la scuola, andammo all’Isituto Salesiano di Alessandria. Ci portarono a San Marco dove ricordo aver visitato il museo di Scienza Naturale. In chiesa, ricordo due allievi che disegnavano una cappella tipo “Ortodosso”. Quell’anno il responsabile era Don Carboni.

    Una storia triste che avvenne in Alessandria: due bambini perirono annegati. Mi sembra si chiamassero, uno Gori e l’altro Mikrovich (non sono sicuro dei nomi) che era figlio di una vedova e suo fratello era mio compagno di classe. Quel giorno successe anche un altro evento pericoloso, dopo pranzo, andai con Don Bonetto ed altri ragazzi un pò più in là. Volevamo nuotare al largo, ma uno del gruppo si fermò chiedendo aiuto, ma i ragazzi pensarono che scherzasse; mi girai per guardare ed aveva l’acqua alla vita, continuai, quindi, con il gruppo; poco dopo mi girai nuovamente e vidi che l’acqua gli arrivava al petto. Dissi agli altri che tornavo indietro per vedere cosa succedesse. Ma quando arrivai, il compagno beveva ed era in difficoltà. Gli dissi di calmarsi altrimenti gli avrei dato un cazzotto. Passai dietro di lui e lo presi per il costume da bagno e lo tirai su trascinandolo a riva ove gli detti una botta allo stomaco per farlo vomitare. Mi disse che si sentiva tirar giù nella sabbia.

    Quando tornammo con gli altri ragazzi della colonia, vedemmo Don Carboni in ginocchio vicino ai due ragazzi che implorava la gente intorno per chiamare i soccorsi. Nessuno fiatò né si mosse. I più grandi cercavano il gruppo che era con Don Bonetto e mi cercavano in particolare perché mi avevano visto giocare con le due vittime. Pensavano che mi fosse capitato qualcosa di grave. Don Carboni si ammalò dal dispiacere.

    Due volte andammo, con la scuola, a Porto Said, l’estate prima della guerra del Canale di Suez e l’estate successiva. Vidi gli orrori dei bombardamenti. Ci accompagnavano Don Gatti, Don Bonetto ed altri. Tornando a casa, la seconda volta, si ebbe una grande spavento. Si viaggiava lungo il Nilo, che d’estate era in piena limacciosa. Una gomma scoppiò e l’autovettura sbandò verso il Nilo. Sradicò un albero e intorno si vedeva solo sabbia. Il Prete che ci accompagnava si mise a pregare. Presi il ragazzo che stava vicino a me e lo scaraventai fuori dal finestrino. La vettura si fermò a un metro dell’argine. Nessun ferito, solo paura. Tornammo a casa un po' più tardi del previsto.

    Molti allievi si ricorderanno dei Saggi Ginnici che avvenivano alla fine dell’anno scolare quando il Professore Grimaldi, vestito di nero, faceva fare il saluto alla bandiera col braccio teso al modo fascista. Quella volta ero nel cortile, quando dall’altoparlante una voce si mise a cantare in Francese “Caravanier”, era accompagnata da un violino, una tromba e un tamburo. Corsi al secondo piano (dove erano le camerate del collegio) e vidi in un angolo un microfono e  un altoparlante. Erano tre ragazzi ed una ragazzina in divisa della scuola Maria Ausiliatrice, bruna, dalla pelle scura. I ragazzi imitavano gli strumenti con la bocca.

    Seppi, dopo, che quella ragazza era diventata la famosa “Dalida”. Ero compagno di classe di suo cugino Giuseppe e vicino di casa dei suoi nonni.

La cantante Dalida è la seconda da destra dell’ultima fila in alto, mia sorella Silvia è la seconda da destra in basso

    Alla fine del 1959, Mario Mancuso, mi propose di lavorare all’Officina “Boba”sostituendolo, poiché partiva nell’America Latina. Io accettai ma fu un vero disastro. I fratelli Boba ci trattavano come bestie. Nell’officina, un giorno, vidi arrivare un tedesco con il viso arcigno su una Jeep e con un casco di guerra. Seppi che era un nazista nascosto nelle miniere di “Helwan". Un giorno telefonai in officina dicendo che non sarei più tornato a lavorare. Mi chiesero di trovare qualcuno per sostituirmi. Risposi “Non lo auguro nemmeno al mio peggiore nemico di venire a lavorare da voi”. Non vidi più nessuno. Lavorai per qualche mese nell’impresa “Rossi” che faceva delle serigrafie. Mio padre aveva fatto dei disegni per lui.

Alle piramidi - Dimitri (ultimo in piedi a destra) con Francesco Anastasi, la Mamma, la Nonna e le sorelle nel Marzo 1964

 

Il rientro

    Il 16 Aprile 1960 ci imbarcammo sul piroscafo “Esperia” per far ritorno in Patria, ma quel giorno subimmo un’umiliazione terribile. Avevamo già passato la dogana e ci trovavamo davanti alla scaletta del piroscafo, quando un doganiere volle nuovamente frugare le tasche della pelliccia che mia madre indossava. Mise la mano in una tasca e, trovatovi un foro, andò oltre fino al fondo della fodera rinvenendo una monetina di un “pence” d’oro che mia madre aveva perso. L'ordine fu di sbarcare tutti i bagagli e di frugarli ancora più meticolosamente: riaprirono ogni baule, strapparono i materassi. Misero addirittura le dita nelle “halawa” che avevamo acquistato per la famiglia. Io avevo una bella collezione di francobolli che dovetti lasciare all’Avvocato Gino Faraone di Alessandria, amico di mio padre. Non soddisfatti, frugarono intimamente ognuno di noi e sequestrarono i pochi oggetti d’oro che mia madre aveva potuto racimolare.

    Nel Piroscafo c’erano diversi Italiani. Tra cui la famiglia Panerai. Una signora, di una certa età, trascorse buona parte del tempo di viaggio cercando di consolarci. Io scoprii il film francese “Hiroshima mon Amour”. Il viaggio durò 7 giorni: ci fermammo ad Atene, a Siracusa, a Napoli, a Marsiglia e si sbarcò a Genova dove scoprii che la signora era la madre dell’akela che avevo quando ero lupetto scout.

    All’arrivo in Italia, ci dovemmo sbrigare da soli, non si beneficiò d’alcun soccorso dalla parte dello Stato Italiano, né dalla famiglia. A Firenze si abitò in una stanza per cinque persone durante un anno e mezzo. Io lavorai in Fondiaria dal primo Agosto del 1960 fino al 13 Luglio 1966, il 14 Luglio 1966 decisi di venire ad stabilirmi in Francia poiché avevo conosciuto una ragazza francese che divenne mia moglie il 3 Dicembre 1966. Abbiamo avuto due figli. Il maggiore è “regista” per la televisione. Il secondo è Medico di famiglia.

    I nostri figli hanno in tutto 7 bambini. Mia moglie Monique ed io siamo i nonni più fieri e felici del mondo, perché tutti i nipotini sono belli e intelligenti come il nonno. (non dico mica quale dei due nonni).

Gli anni successivi

    Mia moglie ed io, siamo tornati in Egitto per la prima volta nel 1988. Quando si scese dall’aereo, io ero felicissimo e in fretta andai allo sportello di una banca e chiesi il cambio di un poco di soldi ed ero fiero di parlare nuovamente in arabo. Quando passammo dalla Polizia doganale, l’ufficiale prese il mio passaporto, mi guardò e mi chiese come mai parlavo arabo. Gli risposi perché era una delle mie lingue. L’avevo imparata a casa mia cioè al Cairo. Ci intrattenne per circa un’ora e poi ci lasciò andare via.

    Siamo tornati in Egitto con mia sorella Silvia nel 1998. Vi abbiamo incontrato Diana Sakakini, che era la figlia del padrone di casa. Siamo tuttora in contatto epistolare con lei.

    Nell’agosto del 2007, il mio compagno di scuola e amico per la pelle, Dimitri Pavanis mi scovò via internet. In settembre siamo andati a Cipro, dove abita, e abbiamo trascorso quattro settimane a rammentarci la vita passata.

A Cipro quaranta sette anni e mezzo dopo

    Quanti ricordi! I compagni di scuola: Giorgio Ferrante, Luciano Mattioli, Antonio Asfour, Radimir, Fuli Ahmed Fuli, Giulio Cimato, Giorgio Ciccivelli, Adriano d’Andrea, Fekri, i fratelli Ferhard, Carlo Lista, Poniatowsky(?), Luciano Morabito, Vitttorio Settembre, Bensaia, Mario Perricone (che era mio vicino di casa), Alex Saturof, Mutafi, Roger Gilet, Cohen, Antonio Arena, Mario Mancini, Lionello. Ci ricordammo anche dei maltrattamenti sadici di alcuni insegnati. Ma anche le belle giornate che passammo ad esplorare i dintorni delle Piramidi.

    Una volta eravamo in quattro. Come ogni Domenica, dopo la messa a scuola, avevamo affittato delle biciclette accanto al circolo San Marco di Shubra, e andammo, come spesso, alle Piramidi. Circolavamo negli scavi accanto alla piramide di Cheope. Entrai in una capanna di terra seguito da un amico col quale avevamo deciso di fare uno scherzo agli altri due. C’erano due pareti con un finestrino per parte. Andai a destra, poi cambiai decisione e svoltai per andare a sinistra. Il mio amico continuò a destra e sparì in un fosso buio. Spaventati non sapevamo cosa fare per tirarlo fuori, il fosso era profondo qualche metro. Pensammo di legare le cravatte e le cinture per farne una corda; ma non bastava. Uno di noi scese e lo aiutò spingendolo su. Lui uscì arrampicandosi alle pareti. Mamma che paura!

    Ed ora la scoperta dell’associazione AIDE. Che emozione.

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