Sebastiano Pianciamore

Lettera scritta ad un rappresentante politico italiano

    Ho letto sul Cittadino Canadese della sua lodevole iniziativa di chiedere al Parlamento delle scuse e dei fondi a favore della comunità italiana in Canada, che ha subito dei pregiudizi durante il conflitto della seconda guerra mondiale.

    Sono il figlio di una delle migliaia di famiglie italiane che sono nate e vissute in Egitto per diverse generazioni quando il Paese era sotto il protettorato inglese e le truppe britanniche occupavano il Cairo e la zona del Canale di Suez.

    Al Cairo vivevano diverse comunità, francese, belga, tedesca, irlandese, inglese, svizzera, greca e molte altre, ed ognuna aveva le proprie scuole ed i propri centri ricreativi.

    Gli Italiani avevano le Scuole di Stato italiano con professori che venivano da l'Italia, e l'Istituto Salesiano, anch’esso con professori italiani. Le scuole si trovavano principalmente in Alessandria e al Cairo. Questo per sottolineare la diversità che aveva l'Egitto al tempo del Re Faruk. E tutti vivevamo bene, mai sentito parlare né di mafia né di criminalità.

    Le cose cambiarono quando scoppio il conflitto nel 1940. Le truppe del generale tedesco Rommel erano vicino ad Alessandria. In una settimana migliaia di uomini tedeschi e italiani furono arrestati e mandati nei campi di concentramento. I beni e i conti bancari sequestrati. Le famiglie sono rimaste senza il padre e senza risorse e sono state poste sotto la protezione della Croce Rossa Svizzera che fornivano gli aiuti necessari, ricavati, poi, dal valore dei beni sequestrati agli stessi italiani.

Ricordo quando vennero ad arrestare mio padre, erano le una di notte, mia madre piangeva, perquisirono la casa e sequestrarono la radio! Erano tempi molto duri. Il giorno che ci diedero il permesso di visitare mio padre nei campi di concentramento, nel deserto, vicino al canale di Suez, ci alzammo alle quattro del mattino per andare in un punto di incontro dove soldati inglesi ci aspettavano con dei camion militari. Dopo tre ore di viaggio molto scomodo, ci portarono in pieno deserto in una località di nome El-Fayed, (questa città esiste ancora vicino ai vecchi campi di concentramento) con reticolati di filo spinato e soldati con il mitra. Siamo rimasti un’ora in fila sotto il sole a quaranta gradi. Mio padre era al campo 20 (erano 20 i campi di concentramento con mille uomini per campo, una tenda per quattro persone) A un certo momento aprirono le porte del campo e, tutti in fila, passammo tra due file di guardie che, con un bastone, verificavano quel che mia madre aveva preparato per pranzare tutti insieme, immaginate in che stato avevano ridotto quel che si era preparato con tanta cura!

    Abbracci e pianti, poi entrammo sotto le tende. Dopo aver pranzato, anche con le altre famiglie, ci raccontammo delle difficoltà che incontravano nella vita di ogni giorno, sia nei campi sia noi nelle città. La fine della giornata di questo raro permesso di visita, era il momento più duro, lacrime e la tristezza del ritorno. Chissà quando lo rivedrò la prossima volta , mi dicevo. E questa vita e' durata per qualche anno.

    Ecco Onorevole, questo è un piccolo passaggio di quel che hanno subito migliaia di famiglie italiane in Egitto, senza nessuna scusa e nessuna compensazione. Grazie Iddio siamo sopravvissuti e abbiamo ricostruito le nostre vite senza alcun aiuto pubblico, siamo orgogliosi di avercela fatta da soli, e camminiamo con la fronte alta.

    Ora sono in pensione, ero programmatore a Bombardier Aeronautique a Montreal, ho smesso di lavorare in questa società a settanta anni. Ora sono arrivato a settantasette e trascorro il tempo libero con la mia famiglia. Spero di farcela ancora per un po’.

    Grazie di avermi ascoltato.

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