Don Lino Russo

Ricordi della mia vita.

Avevo 26 anni ed ero salesiano dal 35. Avendo la licenza normale insegnavo nella nostra scuola Luigi Negrelli di Ismailia. Il 13 giugno del ‘40 scoppia la guerra mondiale: nel primo pomeriggio viene la polizia e porta via don Trancassini e il prof. Bandino già capitano nella prima guerra. Rimaniamo in tre: un vecchio sacerdote, Don Arcioni già cappellano militare, io, Lino Russo, e un compagno della mia stessa età, Don Suriano, ancora vivente. Veniamo a sapere che Don Trancassini e il prof. Bandino sono stati trasportati al Cairo, nella scuola italiana di Bulacco, diventata centro di smistamento degli italiani internati. Sarebbero stati trasferiti dopo pochi giorni nel grande campo di internamento di El Fayed tra Ismailia e Suez. Laggiù sotto le tende sarebbero vissuti per quasi cinque anni oltre 5.000 fratelli italiani, assistiti spiritualmente da Don Odello, Don Trancassini, Don Bailone e un padre francescano. Potete immaginare come fosse dura la vita dei poveri internati. Il caldo, le mosche, i grilli e poi i topi che rosicchiavano tutto. Dopo qualche tempo, attraverso il consolato svizzero che curava gli interessi degli italiani, si è potuto inviare ogni mese un pacco viveri ai propri congiunti. Furono anche permesse le visite dei familiari. Fu, anche per me, una gran gioia rivedere dopo quasi un anno mio fratello che era stato preso in Alessandria. A casa erano rimasti: il babbo, la mamma e la nuora col figlioletto. Gli internati, da bravi italiani, non stettero con le mani in mano. Pensarono anzitutto ai giovani che non avevano completato gli studi. Con l’aiuto di alcuni professori, tra i quali Don Trancassini per l’italiano e il latino e Don Odello per la storia e la filosofia, si iniziarono le lezioni che portarono buon frutto. Infatti, terminato l’internamento, molti giovani superarono felicemente l’esame di licenza liceale. Si stabilirono turni per la "corvè": pulizia del campo, cucina, lavature varie ecc. Pensarono anche a organizzare una filodrammatica ed alcune orchestre ricche di diversi strumenti (famosa quella del Mo. Rosati). Ma la solitudine, la mancanza di notizie, il prolungarsi della prigionia - altro che 15 giorni! - l’allontanamento dalla famiglia acuirono il bisogno di aiuto spirituale. Costruirono una cappellina per celebrare degnamente la Santa Messa ed esporvi il quadro della Madonna. Tutti desideravano di avere notizie sull’andamento della guerra. Dai soldati che custodivano i campi (inglesi, australiani, indiani) si poteva arguire che le cose andavano male per gli italiani e i tedeschi. Ma la genialità italiana non si smentì: fu costruita, non si sa come, una radio ricevente e ogni mattina Don Odello, che aveva il permesso di girare per i campi per il servizio religioso, portava i bollettini che passava sottomano ai capi campo. Però dopo qualche tempo gli inglesi se ne accorsero e incominciarono le ispezioni. Gli internati erano inquadrati sotto il sole, mentre i militari mettevano sottosopra le tende, bucavano la sabbia con la baionetta alla ricerca del corpo del delitto. Ma invano, non trovarono nulla fino alla chiusura del campo. Un fatto doloroso: non so se per un tentativo di fuga o perché fu scoperta una galleria che portava fuori dei reticolati, ci fu una sparatoria in cui un internato fu colpito a morte, ma poté ricevere l’assoluzione da Don Odello che strisciando gli andò vicino prima che spirasse. Altri internati restarono feriti. Ci furono restrizioni, controlli più severi rendendo la vita degli internati ancor più penosa. Quanto ho scritto l’ho saputo da Don Odello e da mio fratello.

Ora torno a me. Dopo l’arresto ad Ismailia di Don Trancassini e del prof. Bandino e dopo vana attesa di disposizioni superiori, chiudemmo la scuola e ce n’andammo al Cairo al nostro istituto. Tutti erano stati internati (El Fayed, Embabe, Bulacco), restavano Don Morazzani che era maltese, un prete olandese Don Van Alphen, Don Pivano, anziano, e un laico siriano. Tutta la gioventù italiana di età scolastica era per le strade. Don Morazzani interessò le autorità svizzere perché ottenessero dal governo l’autorizzazione ad aprire la nostra scuola. Fu finalmente accordata. Si aprirono tutte le classi dalla prima elementare fino al liceo. Gli allievi erano oltre 800. Io fui incaricato della terza elementare: avevo 120 allievi. Benché non mi fosse facile tenere una classe così numerosa, tuttavia ero contento. Però la cosa non durò molto. Dopo quasi due mesi mi arrestarono e mi condussero a Ghizeh dove in un seminario francescano avevano rinchiuso i religiosi italiani: francescani, comboniani, salesiani e fratelli maristi di Mansura. Eravamo circa 25. Il vitto lo portavano dalla mudirieh di Ghizeh e non ci era confacente. Si ottenne che ci concedessero l’equivalente in denaro e avremmo pensato noi a fare la spesa e a cucinare. La proposta fu accettata e ci passarono 10 piastre a testa giornaliere. Si stabilirono i turni di cucina e l’incaricato ogni mattina andava al mercato per far la spesa accompagnato da un soldato. Il vitto divenne subito buono, di nostro gusto e sufficiente.

Don Lino Russo con Guido Di Dio nel 2004

Io ero in pena perché alla fine dell’anno scolastico sarei dovuto partire per la Palestina per compiere il corso teologico nel nostro Istituto di Betlemme. Tutto era sospeso a causa della guerra. Non mi rassegnai. Erano internati due professori del seminario francescano e li pregai di farmi scuola di teologia dogmatica, di sacra scrittura e di diritto canonico. Accettarono, e così divenni studente occupando bene il tempo. Subii gli esami sulle materie del primo anno e nel 42 ricevetti, dall’allora delegato apostolico Mon. Gustavo Testa, gli ordini minori. Per interessamento di Don Morazzani, gli inglesi mi liberarono e mi confinarono nell’Istituto del Cairo dove ripresi la mia vita di insegnante. Mi detti da fare per continuare gli studi teologici e ci riuscii. Così nel ‘44 fui consacrato sacerdote.

Un ricordo di carattere sportivo. Nel 55 ero stato trasferito ad Alessandria. Misi su, con l’aiuto di un buon allenatore, la squadra di basket e la iscrissi nei tornei che si svolgevano in città con le squadre delle varie scuole. Vittorie e sconfitte si susseguirono fino ad un’esaltante vittoria. Tutti gli ex allievi alessandrini ricordano il prestigioso Collège des Frères di St. Marc. L’alterigia degli studenti e dei dirigenti era ben nota. Ebbene, la nostra squadra, una sera del maggio 57, in una furibonda partita sconfisse clamorosamente la squadra del St. Marc. Immaginate le urla, gli abbracci, il giubilo. Uno dei migliori giocatori era il compianto Dodo. Ormai gli studenti del Don Bosco potevano fissare gli occhi in quelli degli avversari francesi.

È un bel ricordo della mia attività alessandrina. Poi mi inviarono in Palestina dove il mio lavoro è stato bello ma completamente diverso.

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