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 GUERRE DIMENTICATE: JUGOSLAVIA

1990-2001

[modifica] Destabilizzazione del Paese (1987-1989)

Nell'estate del 1987 scoppiò lo scandalo finanziario e politico dell'Agrokomerc, la più grande azienda bosniaca.

Sulla scena politica serba si era messo nel frattempo in luce Slobodan Milošević, divenuto presidente della Repubblica Socialista di Serbia nel novembre del 1987.

I rapporti fra le varie repubbliche erano abbastanza sereni, nonostante la montante insofferenza slovena (un Paese storicamente e tradizionalmente legato alla Mitteleuropa, che considerava la sua vera "patria" culturale) per le strutture federali; all'interno della Jugoslavia era invece evidente il malessere tra i Serbi e gli Albanesi del Kosovo. La provincia serba era a schiacciante maggioranza albanese e chiedeva, come già in passato, maggiore autonomia politica, anche attraverso la costituzione della settima repubblica jugoslava, il Kosovo indipendente dalla Serbia.

Nel 1986 venne pubblicato il Memorandum dell'Accademia Serba delle Scienze (noto anche come Memorandum SANU), un documento di intellettuali serbi che denunciavano una generale campagna anti-serba, esterna e interna alla repubblica, e forniva le basi ad un rinato nazionalismo serbo basato sulla riedizione della teoria della "Grande Serbia", già presente (e concausa scatenante della prima guerra mondiale) nella prima metà del Novecento. Milošević non esitò a cavalcare questa ondata nazionalista, adottando la teoria secondo la quale "la Serbia è là dove c'è un serbo".[senza fonte] Nell'ottobre 1988 costrinse alle dimissioni il governo provinciale della Vojvodina, a lui avverso; riformò la costituzione serba, eliminando l'autonomia costituzionalmente garantita al Kosovo (28 marzo 1989); guidò infine enormi manifestazioni popolari (Belgrado, 18 novembre 1988 e in Kosovo, 28 giugno 1989).

In Croazia nel maggio del 1989 si formò l'Unione Democratica Croata (Hrvatska Demokratska Zajednica o HDZ), partito anti-comunista di centro-destra che a tratti riprendeva le idee scioviniste degli ustascia di Ante Pavelić, guidato dal controverso[3] ex generale di Tito Franjo Tuđman.

In Slovenia scoppiò il caso di quattro giornalisti (tra i quali il più noto era Janez Janša) accusati di aver tentato di pubblicare segreti militari nella popolare rivista d'opposizione Mladina. I quattro giornalisti scoprirono dei documenti su un ipotetico intervento militare federale in Slovenia, in caso di un'evoluzione democratica e sovranista del paese. Il processo ai quattro imputati, che si tenne in lingua serbo-croata e non in sloveno, violando il principio del plurilinguismo, scatenò proteste popolari e dette avvio alla cosiddetta "Primavera slovena".

Nel frattempo anche nel piccolo Montenegro la vecchia dirigenza titoista venne spazzata via (1989) quando alla presidenza della Repubblica venne eletto il giovane filo-serbo Momir Bulatović.

[modifica] Fine della Jugoslavia (1990)

Gruppi etnici[4]
(dati censimento 1991)
[senza fonte]

Bandiera della Serbia Serbi

36%

Bandiera della Croazia Croati

20%

Bandiera dell'Albania Albanesi

15%

Bandiera della Bosnia-Erzegovina Bosniaci musulmani

10%

Bandiera della Slovenia Sloveni

8%

Bandiera della Macedonia Macedoni

6%

Bandiera della Jugoslavia "Jugoslavi"

3%

Bandiera del Montenegro Montenegrini

2%

Bandiera dell'Ungheria Ungheresi

2%

In un clima sempre più teso, destava seria preoccupazione anche la situazione economica, con una Federazione ormai troppo scissa tra nord e sud[5]. Il dinaro jugoslavo subì diverse svalutazioni e il potere d'acquisto diminuì progressivamente. Il governo federale fu affidato ad un tecnico (19 febbraio 1989), l'economista croato Ante Marković, che propose una solida e strutturale riforma economica e preparò la domanda di adesione del paese alla Comunità Economica Europea.

Il piano economico sembrava funzionare, nonostante le inevitabili conseguenze sociali (aumento della disoccupazione e della povertà, diminuzione dei sussidi statali), ma venne travolto dalle turbolenze etniche e dalla disgregazione complessiva della Federazione.

Il 20 gennaio 1990 venne convocato il quattordicesimo e ultimo congresso (convocato straordinariamente) della Lega dei Comunisti Jugoslavi, con uno scontro frontale tra delegati serbi e sloveni, in particolare riguardo alla situazione in Kosovo, alla politica economica e alle riforme istituzionali (creazione di una nuova federazione o confederazione, la "terza Jugoslavia"). Per la prima volta nella storia, Sloveni e Croati decisero di ritirare i loro delegati dal congresso. Ormai era chiaro che il Paese viaggiava a due velocità, non più armonizzabili.

LA PRIMA FASE DEL CONFLITTO

27 GIUGNO-8 LUGLIO 1991,la ritirata dalla Slovenia dell'JNA,gli accordi di Brioni

Data l'indisponibilità serba a rivedere radicalmente l'assetto dello stato, la sera del 25 giugno 1991 fu convocato in seduta plenaria il Parlamento Sloveno (Skupščina) per discutere e votare l'indipendenza; tutti erano favorevoli, tranne il comandante delle truppe jugoslave, che era pure membro effettivo dell'assemblea, il quale fece un discorso minaccioso. Nel corso della seduta, poco prima della votazione definitiva, il Presidente del Parlamento diede lettura di un telegramma appena pervenuto dal Sabor di Zagabria, il Parlamento Croato, nel quale si comunicava che la Croazia era indipendente. Ad avvenuta votazione, nella piazza centrale di Lubiana il presidente Milan Kučan proclamò davanti al popolo l'indipendenza slovena. La conclusione del discorso di Kučan lasciava intendere un'immediata risposta delle truppe federali: Nocoj so dovoljene sanje, jutri je nov dan ("stasera i sogni sono permessi, domani è un nuovo giorno").[senza fonte] Il 26 giugno il giornale sloveno Delo di Lubiana pubblicava un titolo a nove colonne, traducibile in: "Dopo più di mille anni di dominazione austriaca e più di settanta anni di convivenza con la Jugoslavia, la Slovenia è indipendente".[senza fonte]

Un M-84 MBT della JNA durante le prime operazioni in Slovenia

La risposta dell'Armata Popolare Jugoslava (JNA) avvenne il 27 giugno 1991, quando con 2000 reclute l'esercito intervenne in Slovenia per riprendere il controllo delle frontiere, sebbene fosse prevista la possibilità di secessione degli stati federati. Iniziò così la prima guerra in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.

Janez Janša, divenuto ministro sloveno della difesa, cercò di costituire un esercito nazionale, soprattutto mediante le milizie territoriali della Repubblica, istituite da Tito in chiave anti-sovietica. Gli Sloveni presero il controllo delle basi militari federali nel Paese e delle frontiere con Italia ed Austria.

La guerra (chiamata "guerra dei dieci giorni") si concluse rapidamente, essendo la nazione etnicamente compatta e sostenuta politicamente dal Vaticano di Giovanni Paolo II[6] dall'Austria e soprattutto dalla Germania, che si impegnò subito a riconoscerne l'indipendenza e spinse perché anche l'intera CEE facesse lo stesso.

Nel frattempo il governo federale di Belgrado stava prendendo accordi con lo Stato italiano per far evacuare le truppe jugoslave via Trieste. Infatti a Belgrado si asseriva che non esisteva un altro modo per far rientrare le truppe in patria. Il Presidente della Repubblica Italiana, Francesco Cossiga, appena ebbe sentore di ciò, immediatamente si recò a Trieste e dalla Prefettura informò i Triestini delle intenzioni jugoslave. Alcuni Triestini, ostili a causa dei 40 giorni di occupazione jugoslava nel 1945, si ribellarono occupando il Comune di Trieste.[senza fonte] Fu chiesto al Governo Sloveno il motivo per il quale non lasciasse evacuare le truppe jugoslave; la risposta del ministro Janša fu immediata, asserendo che nessuno proibiva loro l'evacuazione dalla Slovenia, però, imbarcandosi a Capodistria, tutti i militari sarebbero dovuti uscire dalla Slovenia completamente disarmati. Soltanto agli ufficiali era concesso di portare con sé la pistola di ordinanza. Così infatti avvenne e la crisi triestina rientrò.

L'8 luglio vennero firmati gli Accordi di Brioni, siglati da Kučan, Tuđman, divenuto presidente croato, Marković, premier federale, dal serbo Borisav Jović, presidente di turno della presidenza collegiale jugoslava e dai ministri degli esteri della troika europea Hans van den Broek (Paesi Bassi), Jacques Poos (Lussemburgo) e João de Deus Pinheiro (Portogallo). Gli accordi prevedevano l'immediata cessazione di ogni ostilità dell'esercito jugoslavo in Slovenia e il congelamento per tre mesi della dichiarazione di indipendenza. La piccola repubblica diventava così indipendente da Belgrado.

LA RITIRATA AGGRESSIVA

25 GIUGNO 1991-4 GENNAIO 1992,il fronte croato,l'assedio di Vukovar

 

 

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