RIMIELINIZZAZIONE: QUALE STRATEGIA?

Angelo R. Massaro

 

E' noto che gran parte dei disturbi che i pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) accusano sono dovuti alla "demielinizzazione", vale a dire alla perdita, in aree limitate del cervello o del midollo spinale, della mielina, quella sostanza che avvolge le fibre nervose consentendo il loro perfetto funzionamento nella trasmissione degli impulsi. Se si vuole paragonare il nostro sistema nervoso centrale (facendo un paragone molto grossolano) ad un televisore o ad un computer, è come se un fattore nocivo estraneo avesse in alcuni settori "consumato" il materiale isolante che rende possibile il corretto funzionamento di tali apparecchi. E' evidente che, se si vuole rimettere in funzione il tutto, tale rivestimento isolante dovrà essere ripristinato.

Prima di addentrarci nell'esporre se questa riparazione possa avvenire nel malato di SM, e come questo possa avvenire, sarà bene delineare brevemente quali sono le caratteristiche della "demielinizzazione" dovuta a SM nel sistema nervoso centrale dell'uomo.

Variabilità numerica e qualitativa delle lesioni nella SM

Un attacco (detto anche "esacerbazione" o "poussée") della malattia può variare in maniera notevole sia in termini di numero delle lesioni che di estensione delle stesse, nell'ambito della sostanza bianca1 delle persone colpite. E' evidente che quanto maggiore sarà il numero delle lesioni, o quanto più esse saranno estese, tanto più sarà probabile che i sintomi assumano carattere di gravità. Questa regola tuttavia non è assoluta, in quanto nel determinare la gravità dei sintomi concorre in maniera significativa anche la loro localizzazione in punti più o meno importanti dal punto di vista funzionale. Questo significa che una piccola lesione localizzata, ad esempio, sul nervo ottico, darà un sintomo molto evidente ed allarmante, mentre una grossa lesione localizzata in sede frontale potrebbe addirittura passare inosservata.

Molto variabile è anche la gravità delle lesioni in termini qualitativi. Non tutte le lesioni presentano lo stesso grado di gravità: si può andare da lesioni evidenziabili alla risonanza magnetica nucleare (RMN), positive anche dopo somministrazione endovenosa di gadolinio, le quali però si fermano al solo primo stadio – quello dell'infiammazione – senza dare luogo a demielinizzazione, a lesioni ampiamente demielinizzate nelle quali vi è una netta riduzione anche delle cellule che producono la mielina, gli oligodendrociti. Pure nelle aree che hanno subito demielinizzazione – dette placche di demielinizzazione – il quadro è di solito molto variabile da paziente a paziente e da un attacco ad un altro: la mielina può essere danneggiata in maniera non grave e non totale, e così pure gli oligodendociti di cui si è già detto, oppure sia l'una che gli altri possono aver subito una aggressione talmente grave da portare ad una loro totale scomparsa. Le fibre nervose di solito vengono preservate e rimangono integre, ma non sempre: vi sono casi nei quali anche esse vengono parzialmente colpite, e casi molto gravi nei quali la loro distruzione è particolarmente marcata. E' evidente quindi che questa estrema variabilità del quadro patologico può dare luogo ad esiti molto diversi, anche dopo avere fatto una terapia appropriata.

Evoluzione della placca acuta

Molta variabilità vi è pure nella evoluzione della placca acuta, nonostante l'uso appropriato di farmaci corticosteroidei. Si passa da una ripresa quasi miracolosa, con ritorno alla normalità, dopo solo pochi giorni di trattamento (sono questi i casi nei quali non vi è stata demielinizzazione, ma solo infiammazione ed edema), a casi nei quali il trattamento non dà successo se non dopo parecchie settimane (sono questi i casi nei quali è necessaria la rimielinizzazione, che è un fenomeno biologico più lento rispetto alla pura riduzione dell'edema infiammatorio). Vi sono, ahimè, rari casi nei quali la guarigione del sintomo non avviene o avviene in maniera molto ridotta (sono questi i casi nei quali gli oligodendrociti sono stati in gran parte distrutti e, con essi, buona parte delle fibre nervose).

Vi è un altro fattore molto importante che interferisce nel cammino verso la guarigione. Questo fattore è rappresentato dagli astrociti: sono cellule presenti, come gli oligodendrociti, nel sistema nervoso centrale, nel quale svolgono funzioni di essenziale importanza. Tra queste vi è pure la capacità di formare una cicatrice in luoghi del cervello che sono stati sottoposti alle lesioni più svariate (quindi non solo nella SM). In una placca acuta di demielinizzazazione, essi, seguendo il compito per il quale sono stati programmati dalla natura, tendono a formare quella che viene chiamata "cicatrice gliale" o "cicatrice astrocitaria"2. Questo evento, anche se finalizzato a scopi riparativi, è molto negativo in relazione alla rimielinizzazione, in quanto esso avviene in competizione con quest'ultima: quanto più cicatrice viene a formarsi tanto meno rimielinizzazione può avere luogo. Ancora peggio, una volta instauratasi una cicatrice gliale, non vi è, al momento, mezzo per farla regredire, ed essa stessa, poiché impedisce quella interazione biologica mielina-fibra nervosa (il termine tecnico è "assone") che è essenziale per la conservazione dell'assone in buona salute, porta lentamente alla perdita di assoni nell'ambito della placca che è stata colpita. Entrambi questi fenomeni – cicatrizzazione e perdita assonale – vengono, alla luce delle conoscenze attuali, considerati fenomeni irreversibili.

Impostazione del problema

Da quanto molto brevemente è stato detto, appare evidente che si ha a che fare con due tipi di "placche" ben differenti tra di loro: la placca acuta e la placca cronica, a loro volta differenziabili in un certo numero di quadri intermedi. Di quelli relativi alla placca acuta abbiamo già in parte accennato. Per quanto riguarda la placca cronica –vale a dire la placca che è residuata dall'evoluzione nel tempo della placca acuta –, se si escludono le placche che hanno presentato completa guarigione3, e che pertanto non sono più evidenziabili neppure alla RMN, si viene a creare un certo numero di quadri che spaziano tra due estremi. Il primo è quello della placca con ottima rimielinizzazione, ma che presenta un certo grado di sclerosi astrocitaria. L'altro estremo è quello della placca con poca o nulla rimielinizzazione e un grado marcato di sclerosi astrocitaria e di perdita assonale. Tra questi due estremi è possibile collocare ogni tipo di situazione intermedia, che, naturalmente, darà giustificazione del grado più o meno soddisfacente o insoddisfacente della ripresa morfologica e funzionale dopo l'attacco.

Vi è però un altro fenomeno patologico che viene ad interferire nello stato di "normalità" della placca cronica: esso è l'alterazione localizzata della barriera emato-encefalica (BEE). A causa di fenomeni biopatologici, che sarebbe troppo tecnico e complesso riferire, questa "barriera", che separa in maniera raffinata e selettiva il sangue circolante dal cervello, viene lesa durante l'attacco acuto – è questa lesione che provoca l'edema a cui si in precedenza accennato – e in taluni casi, pur venendo riparata in buona parte, non giunge mai ad un ripristino completo4. Questa riparazione precaria comporta una modica e cronica trasudazione di fattori provenienti dal sangue nell'ambito della placca cronica. Alcuni di questi fattori sono tossici per la mielina e per gli oligodendrociti e si oppongono quindi alla rimielinizzazione.

La rimielinizzazione

Per un lungo periodo, quasi come obbedendo ad un dogma, importanti autorità nel campo della neurologia e della neuropatologia hanno affermato che "non vi è rimielinizzazione". Di questo dogma si trova ancora traccia in molti testi e, anche recentemente, nei lavori di noti scienziati su riviste di alto livello.

Fortunatamente, la rimielinizzazione è invece l'evento più frequente nell'ambito della placca acuta, indipendentemente dal fatto che essa avvenga in maniera completa o parziale. Di ciò hanno portato evidenze inconfutabili John Prineas e Hans Lassman; è esperienza quotidiana di qualsiasi clinico che abbia sufficiente dimestichezza con l'evoluzione della malattia. Nei casi in cui questo non avviene, ciò accade perché l'attacco, come già si è detto, è stato talmente grave da portare non solo alla distruzione della mielina, degli oligodendrociti e degli assoni, ma anche delle cellule progenitrici5 degli oligodendrociti, che sono comunemente presenti nel cervello normale.

Vi è in giro pertanto una notevole confusione tra placca acuta e placca cronica. Nella placca cronica, che, da acuta che fu, ha avuto una evoluzione prevalente in "sclerosi cicatriziale", sono effettivamente presenti diversi fattori che si oppongono alla rimielinizzazione. Vi si è già accennato, trovo utile ricapitolarli sinteticamente: 1. Perdita degli oligodendrociti e delle cellule progenitrici degli oligodendrociti. 2. Perdita degli assoni. 3. Notevole presenza di sclerosi astrocitaria. 4. Minima alterazione cronica della BEE. Contro questi fattori avversi è davvero difficile trovare delle strategie di lotta che abbiano successo.

Strategie di lotta

La prima e più importante strategia di lotta è impedire di dover arrivare a cimentarsi con una o più placche sclerotizzate. Gli interventi terapeutici cronici preventivi oggi disponibili hanno significativamente ridotto la frequenza delle esacerbazioni, e la loro gravità, in molti malati con la forma remittente-recidivante della malattia6. In quei casi nei quali le esacerbazioni sono presenti, o perché ai primi episodi, o perché il trattamento preventivo non è stato efficace, un accurato uso dei corticosteroidi porta ad un più rapido e più completo miglioramento dei sintomi dovuti all'attacco. Questo dato clinico corrisponde all'azione che i corticosteroidi hanno a livello della placca: riduzione dell'infiammazione e dell'edema con riparazione della BEE, promozione dei fattori favorenti la rimielinizzazione, inibizione dei fattori favorenti la sclerosi astrocitaria. Per intenderci, è come se in una gara ciclistica avessimo uno strumento in grado di frenare le bici di alcuni e di dare una spinta a quelle degli altri al fine di far vincere i corridori che ci sono graditi (in questo caso gli oligodendrociti e le loro cellule progenitrici). Ecco quindi un primo intervento terapeutico, tempestivo, capace di influenzare il campo nel quale la lotta per la rimielinizzazione ha luogo: questo intervento è ben più semplice ed efficace di qualunque altro dovesse essere posto in atto dopo la sconfitta, parziale o totale che essa sia. Per circa due decenni le mie personali ricerche sono state focalizzate proprio sullo studio di questi aspetti dei corticosteroidi e di alcune proteine di specifica e notevole rilevanza nel SNC.

In un gran numero di casi queste strategie sono vincenti e non è necessario fare alcunchè d'altro.

Vi sono però anche dei casi nei quali il quadro non è così roseo, o per la gravità intrinseca dell'attacco a cui sono stati soggetti, o per il fatto che si tratta di episodi avvenuti nel passato quando le conoscenze e i mezzi terapeutici erano meno raffinati. In questi casi il problema è arduo a causa dei quattro fattori inibenti di cui si è già detto.

Si sta tentando con l'impianto cellule, indipendentemente che si tratti di oligodendrociti, di cellule di Schwann (sono gli "oligodendrociti" del sistema nervoso periferico), di cellule progenitrici degli oligodendrociti, o di cellule staminali. Il punto al momento insuperabile, a mio parere, è che qualsiasi impianto in un'area non rimielinizzata o insoddisfacentemente rimielinizzata (quindi una placca cronica) deve comunque cimentarsi con l'ambiente non favorevole del quale si è precedentemente parlato. Pertanto è improbabile che una strategia limitata semplicemente all'impianto di nuove cellule, con la finalità di "ripopolare" un'area parzialmente o totalmente depleta di cellule idonee alla rimielinizzazione, possa avere successo se, contemporaneamente, non si pongono in atto provvedimenti atti a rendere l'area di impianto non ostile alla rimielinizzazione. Questo è l'oggetto degli studi attualmente in corso: trovare dei fattori – probabilmente dei fattori proteici nell'ambito delle neurotrofine o dei fattori di adesione neuronale – che siano in grado di modulare in maniera raffinata gli avvenimenti che hanno luogo nell'ambito della placca. Ove questa fine regolazione –pilotata– dell'ambiente della placca cronica dovesse diventare possibile, allora anche gli impianti –o trapianti– di cellule avrebbero un avvenire più roseo. E' evidente che queste finalità sono fortemente ambiziose, ma non irraggiungibili, ammesso che si abbiano a disposizione il tempo, gli strumenti ed i finanziamenti necessari.

 

NOTE

  1. La sostanza bianca cerebrale prende questo nome proprio dal colore biancastro della mielina che avvolge la enorme quantità di fibre nervose in essa contenuta. Si differenzia, sempre per il colore, dalla "sostanza grigia", che appartiene alla parte esterna del cervello, detta corteccia, che è formata in buona parte dai neuroni: le cellule "nobili" da cui queste fibre hanno origine.
  2. Quando il neurologo francese Charcot, a fine ottocento, descrisse la sclerosi multipla la chiamò, in francese, sclérose en plaques (sclerosi a placche). Il termine sclerosi si riferisce proprio all'aspetto "indurito" che le aree patologiche cicatrizzate presentavano all'osservazione autoptica (in greco, scleròs = duro). Il secondo termine, a placche, si riferisce invece all'aspetto circoscritto che le aree colpite presentano.
  3. Il fenomeno della scomparsa di alcune aree già presenti alla RMN, pur non frequentissimo, viene osservato in un certo numero di casi. Esso è un chiaro indice della capacità riparatrice posseduta dalla natura. Alcune aree che restano visibili alla RMN, pur non presentando una completa "guarigione", raggiungono un grado tale di "riparazione" – rimielinizzazione inclusa – da essere perfettamente compatibili con un ritorno alla normalità della funzione lesa. E' ovvio che il termine "guarigione" qui viene usato in relazione alla singola placca e non alla malattia.
  4. Questo fenomeno, già noto da tempo, ha ricevuto dalla RMN ampia e definitiva conferma.
  5. Le cellule progenitrici degli oligodendrociti sono sparse un po' dovunque nella sostanza bianca. Esse possono migrare nelle aree demielinizzate e ivi dare origine a oligodendrociti con capacità rimielinizzante. Sfortunatamente tali cellule progenitrici possono originare anche gli astrociti, cellule che non hanno potere rimielinizzante.
  6. L'evoluzione della SM è nettamente cambiata in meglio da quando farmaci come l'interferone (o altri) sono stati introdotti nei protocolli di cura. E' evidente che meno sono le ricadute e meno gravi, tanto meno vi sarà bisogno di rimielinizzazione e meno rischio vi sarà che si formino delle placche con ampia componente distruttiva.