Ricostruire, indagare e riconoscere per andare in un domani onorevole



I grandi servizi de "Il Vascello


Un viaggio particolare, vero sogno per gli specialisti di immersione

Quando Mafia è un paradiso naturalistico

dal nostro inviato

Antonio Pegoiani



MAFIA fa parte dell'omonimo arcipelago , si trova nell'oceano indiano a sud est di Dar ees Salaam, (capitale della Tanzania) dalla quale dista circa 140 miglia marine; l'isola è raggiungibile dalla capitale con piccoli aerei da turismo in 35 mm. di volo oppure via mare in 12/14 ore di navigazione. Mafia è situata vicino al delta del fiume Rufijgi si estende per 70 km. di lunghezza per 15 km. di larghezza. Come si può immaginare sull'isola non esistono “metropoli”, e non vi sono nemmeno molte possibilità commerciali o ricreative anche se come già detto sull'isola vi è un aeroporto e vi sono anche alcuni insediamenti turistici che sono stati realizzati in maniera tale da non contaminare il patrimonio naturalistico di cui l'arcipelago dispone . lo stesso WWF ha inserito MAFIA in un programma di monitoraggio per il controllo e la salvaguardia di alcune specie di tartarughe molto rare ed in via di estinzione.



In questa meravigliosa isola non vi sono siti di particolare interesse archeologico , ma nella baia di CHOLE (un tempo porto dell'isola) vi si possono trovare resti di antichi insediamenti arabi risalenti al XII secolo; Ma... è dal punto di vista naturalistico che l'isola dà il meglio di se stessa, non bisogna dimenticare che tutto l'arcipelago è un parco naturale. Dalla costa guardando verso il mare si possono vedere piccole isole di sabbia finissima che “appaiono e scompaiono” e circondano l'isola da Tutia a Ras Mkumbi , tutto questo è dovuto alle escursioni di marea che in determinati periodi possono raggiungere anche i 5 mt. di altezza.
Se si ha la fortuna di poter raggiungere questi isolotti prima del calar del sole, magari a bordo di una mashua, tipica imbarcazione costruita con rami di mangrovie che con pochissimi soldi i “locali” mettono a disposizione, si può assistere a dei meravigliosi tramonti che sicuramente ricorderemo con un pizzico di nostalgia nelle nostre lunghe serate invernali.
La costa orientale dell'isola (verso il mare aperto) delimitata a nord dal faro di Ras MKumbi fino a sud ad arrivare Chole è interessantissima per effettuare immersioni. Noi siamo stati ospiti a bordo della KAIROS una nave da ricerca francese che effettua crociere subacquee esplorative nelle varie isole ed arcipelaghi della Tanzania (dall'estremo nord con l'isola di Tonga fino all'estremo sud con l'isola di Songo Songo). Naturalmente sulla nave (36 mt. di lunghezza x 7mt di larghezza) sono disponibili equipaggiamenti subacquei d'avanguardia che vanno dagli autorespiratori a circuito chiuso (sei) a scooter subacquei (12) per effettuare percorsi in immersione più lunghi e più veloci. Sulla Kairos vi è anche un U.L.M. (gommone simile ad un motoaliante che può decollare ed atterrare in acqua) con il quale dall'alto si possono ammirare e fotografare i meravigliosi paesaggi che queste particolari zone del mondo ci offrono.

Le immersioni


Ras Mkumbi

circa un miglio al largo del faro, molta vita sottomarina, tartarughe, squali grigi, carangidi,m ma anche molta corrente che sicuramente non ci ha facilitato il compito a livello fotografico.
Ras Kilcapani

posto ricchissimo di pesci di ogni specie , oltre alle “solite” tartarughe di specie e dimensioni varie, squalo toro di circa 2,5 mt, ci è apparso all'improvviso a circa 6/7 mt verso il largo, dopo la “comprensibile"sorpresa con l'obbiettivo della macchina fotografica si è cercato di “immortalarlo” ma con la stessa rapidità con la quale ci si è presentato si è anche allontanato,sicuramente una delle più belle immersioni della zona, per contro però la visibilità era scarsa.
Kinasi Pass

La pass si trova a circa metà dell'isola, per poter effettuare l'immersione abbiamo dovuto tener conto della marea (nel nostro caso favorevole in entrata) in immersione si ha la possibilità di vedere trigoni, cernie, carangidi"bocca gialla” le “solite” tartarughe e per gli amanti delle piccole cose platelminti (vermi piatti di circa 2 /3 cm ma coloratissimi).

Jibondo
proprio davanti all'omonimo isolotto, acqua limpidissima, poca corrente ma pochissimo pesce, siamo stati comunque ampiamente ricompensati dalla bellezza del posto, vista dal mare la baia di Jibondo (che è ridossata dall'isola di Tuia) è bellissima, lingue di sabbia bianchissima e veramente incontaminate circondano tutta l'isola, su queste spiagge vanno a depositare le uova le tartarughe.

Reef di Tuia
in questa zona siamo stati"fortunati”, le immersioni ( 4) tutte con acqua limpida, squali pinna grigia in tana, murene maculate , cernie, hanno fatto da corollario alle nostre ultime immersioni lungo la costa orientale dell’isola di Mafia. Durante tutte le immersioni abbiamo constatato che gli insediamenti delle colonie di coralli non sono molto grosse e nello stesso tempo i coralli molli (Alcionari)non sono alti (max 25/30 cm) Questo può essere dovuto la fatto che siamo verso il mare aperto e l’oceano indiano come ben si sa difficilmente è tranquillo, quindi è possibile che il moto ondoso sempre molto sostenuto e le forti correnti che spesso e volentieri si formano nella zona non favoriscano lo sviluppo di insediamenti di colonie di corallo.

Le immersioni sono state effettuate a quote che variavano dai -1 5mt ai -3 8mt in assoluta sicurezza e sempre con il gommone appoggio che seguiva ogni nostro spostamento. Unica condizione per poter effettuare le immersioni a bordo della Kairos è possedere brevetti avanzati ed essere comunque subacquei esperti.

Con chi andare: Agenzia Viaggi Profondo Blu Via Matteotti,18 20028 San Vittore Olona (Mi) Tel. 0331 /421057 Fax.0331 /421855 e-mail: info@ profondoblu.net

Il genocidio dei guardiani delle Ande

Loschi intrecci politici - finanziari e globalizzazione indiscriminata cancellano le minoranze, testimoni viventi di una preziosa identità colombiana e mondiale



di Mailer Mattié



In passato la cultura del popolo Kankuamo fu sul punto di scomparire. Attualmente, Kuankamo continua ad essere in pericolo esigendo, da parte dei gruppi armati, il rispetto della sua neutralità rispetto alla guerra che insanguina la Colombia. E con loro sono in grave pericolo 84 popoli indigeni la cui popolazione ammonta a un milione di persone, ossia il 2% degli abitanti della Colombia. Nella Sierra Nevada di Santa Marta, sulla cordigliera delle Ande, vivono quattro di questi popoli: i Wiwa o Azario, gli Ika o Arhuaco, i Kaggaba o Kogui e i Kankuamo, in totale circa 50 milioni di persone. Il popolo Kankuamo è costituito da 1162 famiglie, approssimativamente 7500 persone organizzate in 12 comunità.(1)
Gli Arhuaco vivono nella parte superiore della Sierra, più in basso vivono i Kogui, nella zona centrale i Wiwa e nella zona inferiore i Kankuamo. Il territorio Kankuamo ha la particolarità di essere posizionato proprio all’incrocio tra i Dipartamenti di Cesar, Magdalena e la Guajira. Secondo la visione del mondo condivisa dai quattro popoli, la Sierra è il cuore del mondo per cui i rapporti tra le sue comunità devono essere armonici ed equilibrati, come se si trattasse dei quattro piedi di un grande tavolo. Mantenere l’armonia con il mondo circostante e tra di loro è considerato un mandato divino. Devono prendersi cura della Sierra. Se una delle gambe del tavolo scomparisse, lo squilibrio creatosi porterebbe un grande disordine per l’umanità intera.
Senza dubbio, fin dall’epoca della colonizzazione spagnola questi popoli sono riusciti a sopravvivere a moltissime minacce di estinzione: religiose, economiche e politiche. La stessa cultura del popolo Kankuamo fu sul punto di scomparire del tutto nel XX secolo. Nonostante tutto, negli anni ottanta gli anziani lanciarono un appello per la ricostruzione culturale, dando inizio a un processo difficile e complesso di rivitalizzazione dell’identità indigena. Così, nel 1993 riuscirono a celebrare il loro Primo Congresso in cui stabilirono di lottare per il consolidamento delle loro istituzioni tradizionali e per la permanenza nel territorio. (2)
Gli anziani recuperarono i riti e i racconti; le donne, le antiche tecniche di tessitura e i giovani rivalutarono gli abiti e la musica tradizionale. Anche i luoghi sacri furono recuperati e si stabilì la loro autorità.(3) Tuttavia il processo di legalizzazione della loro area di riserva durò anni. Grazie alla pressione internazionale, alla fine lo Stato approvò la legalizzazione nel 2003. Naturalmente, il popolo Kankuamo è un simbolo di resistenza per tutti i popoli indigeni dell’America. La loro lotta continua in condizioni sempre più avverse. Di fatto, il fattore che minaccia maggiormente la loro esistenza è l’invasione del territorio da parte di elementi armati che tengono vivo il conflitto politico colombiano.
La violenza entra in scena In effetti, negli ultimi anni, il conflitto armato in Colombia è diventato una grave minaccia per i popoli indigeni. I loro territori sono luoghi strategici dal punto di vista militare ed economico, per cui diversi gruppi armati se ne disputano il controllo. (4) In realtà, il 35% della popolazione indigena sopravvive sopportando omicidi, limitazioni nell’approvvigionamento di alimenti e medicine e mancanza di libertà di movimento e di'assistenza umanitaria. (5)



Si verifica, quindi, una violazione permanente dei loro diritti, garantiti dalla Costituzione e dalle leggi internazionali.
Indubbiamente, la regione della Sierra Nevada di Santa Maria ha rappresentato uno scenario particolare di questa situazione. I popoli che vi abitano sono coinvolti nella lotta armata, essendo il popolo Kankuamo il principale obiettivo dei gruppi armati. Negli anni ottanta vi comparvero i gruppi guerriglieri FARC e ELN. Poco dopo, alcuni latifondisti della zona formarono gruppi di autodifesa. Alla fine degli anni novanta, i paramilitari delle Autodifese Unite della Colombia (AUC) riuscirono a ottenere una presenza significativa soprattutto nel territorio Kankuamo, esercitando il controllo sui movimenti umani e sull’ingresso degli alimenti. (6)Dal 2003 questo controllo è totale. Sicuramente, la lotta tra i diversi gruppi armati sta diventando una costante e, contemporaneamente, dichiarano guerra alle comunità indigene.
In effetti, la presenza indigena risulta scomoda per gli interessi militari, economici e politici della guerra in Colombia. Resistono senza tregua per salvaguardare la loro cultura e i loro territori. Ovviamente, ci sono state serie conseguenze. La presenza dei gruppi armati ha destabilizzato completamente la vita degli abitanti della Sierra a un punto tale che una linea immaginaria, chiamata la “linea nera” divide la regione abitata dai Kankuamo sotto il controllo paramilitare dalla parte alta dove la guerriglia è ancora in atto. Attraversare quella linea significa correre il rischio di essere ucciso. Di conseguenza, gli Arhuaco, i Koguis e i Wiza non sono liberi di muoversi verso l’area inferiore della Sierra, altrimenti sarebbero sospettati di collaborazione con la guerriglia. A loro volta i Kankuamo non possono uscire dal loro territorio perché corrono il rischio di essere accusati dalle AUC di informare e armare i guerriglieri.(7)

Omicidi e trasferimenti La maggior parte dei popoli indigeni colombiani non arriva alla cifra di venti mila persone, gli altri hanno una popolazione che va da mille a duecento abitanti. (8)La violenza armata li coinvolge un po’ tutti, soprattutto quelli che vivono nelle regioni di Cauca, Putumayo, Urabá, Chocó e Sierra Nevada di Santa Maria. Ad esempio, tra settembre del 2000 e marzo del 2001 solo nel Dipartimento di Cauca sono stati uccisi 120 indigeni. (9)
A partire dagli anni novanta, anche il popolo Kankuamo è stato permanentemente vittima di questa violenza. In base ai dati forniti dalla Organizzazione Nazionale Indigena della Colombia (ONIC), (10) tra il 1993 e il 2003 sono stati uccisi 166 indigeni. L’escalation di omicidi è stata continua, il che indica il livello di permissività, impunità e indifferenza delle autorità. Quindi, mentre nel 1993 furono assassinate 3 persone, nel 2003 gli omicidi furono 55. Il 66% di questi omicidi è attribuito alle AUC, il 20% ai gruppi guerriglieri, il 2% alla forza pubblica e il resto a sconosciuti.
Nel 2004 la violenza non si è placata ma è stata anzi diretta soprattutto verso i leader e i dirigenti Kankuamo. Il 3 agosto fu assassinato Freddy Arias mentre usciva dalla Casa Indigena della città di Valledupar. Coordinatore dei Diritti Umani della Organizzazione Indigena Kankuamo (OIK), era figlio di Salomón Arias, medico tradizionale e leader del processo di rivitalizzazione culturale, assassinato dai paramilitari nel 2001. Era inoltre fratello di Jaime Arias, Cabildo Mayor (consiglio di comunità) dei Kankuamo. In luglio Freddy Arias aveva partecipato alla Seconda Tavola Nazionale per la Pace e per i Diritti Umani Indigeni, dove aveva denunciato, di fronte al rappresentante dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), i crimini commessi contro il suo popolo. E’ necessario segnalare che in quell’occasione la Tavola difese la posizione di rifiutare come processo di pace le conversazioni tenute tra il governo e le AUC. Due mesi dopo, il 3 ottobre, fu assassinato un altro leader Kankuamo, Víctor Hugo Arias. Era stato sequestrato dal Rifugio di Atánquez, apparentemente da un gruppo armato non identificato.




I membri del popolo Kankuamo vengono assassinati perché difendono il loro territorio e la loro cultura. Nello stesso modo vengono accusati di complicità con la guerriglia perché denunciano permanentemente l’impunità con la quale i paramilitari agiscono nella regione. E per finire vengono accusati per il semplice fatto che due su tre Kankuamo portano il cognome Arias. (11) Si tratta di una vendetta contro i parenti di Tito Arias, appartenente a un gruppo delle FARC che uccise il figlio di un famoso latifondista della zona.
D’altra parte, il terrore e le minacce a cui sono sottoposte, hanno spinto molte famiglie Kankuamo a trasferirsi. Ad esempio nel maggio del 2000 si verificò lo spostamento massiccio di 300 famiglie, in tutto 1500 persone. Due anni dopo, altre 60 famiglie abbandonarono il territorio. (12) Fuggivano dai massacri e dagli omicidi selettivi condotti dai paramilitari e dal reclutamento forzato dei giovani da parte della guerriglia. Fuggivano inoltre dal blocco degli alimenti e delle medicine e dal controllo a cui erano sottoposti per entrare e uscire dalla zona. Oggi giorno è una delle comunità col maggior numero di persone trasferitesi in Colombia, approssimativamente il 25% della popolazione totale. Il 62% sono giovani e bambini, il 52% sono donne. Si dirigono verso Valledupar, Bogotá o zone al confine con il Venezuela, vittime dell’abbandono da parte delle autorità e dello sfruttamento lavorativo e sessuale.(13)
Quindi, il dramma che affligge il popolo Kankuamo, produce uno squilibrio nell’intero tessuto sociale. Diminuendo il controllo di questa comunità sul proprio territorio, si vuole distruggere il progetto di ricostruzione culturale. In generale, si deteriorano le loro condizioni di vita, la loro identità e la loro dignità umana.(14) L’abbandono del territorio implica la perdita dei referenti materiali, spirituali e sociali. Si limitano al massimo la loro autonomia e la loro libertà nel decidere le proprie forme di esistenza. Coloro che fuggono vengono indicati come codardi e quelli che rimangono sono considerati complici dei gruppi armati. Alla crisi di identità si affianca la coscienza di essere di fronte alla propria estinzione, a un etnocidio.
Difesa e protezione La risposta dello Stato di fronte alla crisi vissuta dai popoli indigeni colombiani è, senza dubbio, assolutamente insufficiente. Poco più di una decina di funzionari pubblici ascoltano le richieste di un milione di indigeni, dieci milioni di afrocolombiani, trentamila raizales (etnia colombiana) e tremila gitani del popolo Rumí, in condizioni esigue. Sono sicuramente oggetto di emarginazione e di disonore. I diversi interessi dei gruppi armati, dal canto loro, limitano l’azione della giustizia e dello Stato di Diritto, il che si traduce nell’impunità del crimine. Ad esempio, nessuno degli omicidi commessi nei confronti del popolo Kankuamo è stato legalmente condannato .
Comunque, la gravità della situazione e l’azione delle organizzazioni indigene colombiane sono riuscite ad attirare l’attenzione internazionale. Il 24 settembre del 2003, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) promulgò delle misure cautelari a favore del popolo Kankuamo. Quasi un anno prima, nell’ottobre del 2002, l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite di Bogotá aveva condannato pubblicamente il trasferimento forzato di questa comunità.(15) Tuttavia, quelle misure cautelari non furono mai adottate dal governo. Di conseguenza, il 5 luglio del 2004 la Corte Interamericana per i Diritti Umani decise di sollecitare il governo nazionale ad applicare le misure provvisorie per proteggere la vita e l’integrità di tutti i membri del popolo Kankuamo. Sollecitò inoltre lo Stato a indagare sugli omicidi, a identificare i responsabili e a infliggere loro le corrispondenti sanzioni. Allo stesso modo, il governo di Alvaro Uribe è obbligato a informare ogni due mesi la Corte Interamericana sulle misure adottate, un proveddimento considerato grave nel sistema internazionale dei diritti umani.(16)
Nel frattempo, il popolo Kuankamo continua a stare sul piede di guerra esigendo, da parte dei gruppi armati, il rispetto della sua neutralità rispetto alla guerra. Rifiutano quindi di arruolare i propri giovani nell’Esercito o nella rete di informatori creata dal governo. Esigono inoltre che non vengano effettuati bombardamenti o altre attività di guerra nel loro territorio. Infine chiedono che i gruppi armati abbandonino il luogo e che vengano rispettati i diritti umanitari della popolazione disarmata.
D’altra parte richiedono che vengano garantite le condizioni per il ritorno delle persone trasferite, quali la libera circolazione e l’approvvigionamento di alimenti e medicine. Chiedono agli organismi internazionali di creare una Commissione di Monitoraggio Permanente della situazione. (17) Allo stesso tempo lanciano un appello alle autorità indigene, agli organismi internazionali per i diritti umani, alle ONG, alla Chiesa, ai mezzi di comunicazione, ecc. affinché appoggino una commissione umanitaria che abbia lo scopo di presentarsi nei territori per sostenere i popoli della Sierra Nevada di Santa Maria.
Se il governo non si assumerà la difesa dell’integrità e della vita dei Kankuamo, sarà da loro ritenuto responsabile dei crimini commessi, al pari dei gruppi armati. Credono che l’unico modo per evitare l’estinzione sia garantire i loro diritti e porre fine all’impunità che impera in Colombia. Il popolo Kankuamo conferma il proseguimento del proprio progetto di resistenza e rivitalizzazione, nonostante tutti gli ostacoli.

Note:
1 Organización Nacional Indígena de Colombia (ONIC). Comité Ejecutivo. Aniquilamiento del pueblo Kankuamo. Colombia, Septiembre de 2003 [Organizzazione Nazionale Indigena della Colombia (ONIC). Comitato Esecutivo. Annientamento del popolo Kankuamo. Colombia, settembre 2003].
2 ONIC. “El desplazamiento indígena en Colombia. Caracterización general” en: Aportes Indígenas. Colombia, Enero de 2004 [ONIC. Il trasferimento indigeno in Colombia. Caratteri generali in :Contributi indigeni. Colombia, gennaio 2004].
3 Florende Thomas: “El proceso Kankuamo sigue vivo. La muerte en la Sierra Nevada” en: eltiempo.com. Colombia, Septiembre de 2004 [ Florende Thomas: “Il processo Kankuamo è ancora vivo. La morte nella Sierra Nevada in: eltiempo.com. Colombia, settembre2004].
4 La Sierra Nevada di Santa Maria, per esempio, è una zona scoscesa, l’ideale per lo sviluppo strategico del conflitto armato. Inoltre garantisce un facile accesso al mare il che facilita il traffico di armi e di droga. Nello stesso tempo, è idrograficamente vitale per l’economia della regione.
5 ONIC. Impactos de la violencia en Colombia. Bogotá, Junio de 2004 [ONIC. Impatti della violenza in Colombia. Bogotá, giugno 2004].
6 ONIC. Comité Ejecutivo; Art. cit. [ONIC. Comitato Esecutivo; Art. cit.] 7 Centro Internacional por los Derechos Humanos y el Desarrollo Democrático. La situación de los pueblos indígenas de Colombia: ¿Estamos en presencia de un etnocidio?. Colombia, Enero de 2003 [Centro Internazionale per i Diritti Umani e per lo Sviluppo Democratico. La situazione dei popoli indigeni in Colombia: siamo in presenza di un etnocidio? Colombia, gennaio 2003].
8 ONIC. Impactos de la violencia en Colombia. Bogotá, julio de 2004.[ONIC. Impatti della violenza in Colombia. Bogotá, luglio 2004].
9 Centro Internacional por los Derechos Humanos y el Desarrollo Democrático; Art.cit. [Centro Internazionale per i Diritti Umani e per lo Sviluppo Democratico; Art. cit.] 10 ONIC. Comité Ejecutivo; Art. cit. [ONIC. Comitato Esecutivo; Art. cit.] 11 Centro Internacional por los Derechos Humanos y el Desarrollo Democrático; Art. cit.[Centro Internazionale per i Diritti Umani e per lo Sviluppo Democratico; Art. cit.] 12 ONIC. Comité Ejecutivo; Art. cit. [ONIC. Comitato Esecutivo; Art. cit.] 13 ONIC. Aportes Indígenas; Art. cit. [ONIC. Contributi Indigeni; Art. cit.] 14 L’Area di riserva dei Kankuamo ha un’estensione di 24.600 ettari.
15 Centro Internacional por los Derechos Humanos y el Desarrollo Democrático; Art. cit. [Centro Internazionale per i Diritti Umani e lo Sviluppo Democratico; Art. cit.] 16 “Informe sobre el exterminio de los indígenas de la Sierra Nevada de Santa Marta” en: Semana.com. Colombia, agosto de 2004 [“Rapporto sullo sterminio degli indigeni della Sierra Nevada di Santa Maria” in: Semana.com.Colombia, agosto 2004.] 17 ONIC. Comité Ejecutivo; Art. cit [ONIC. Comitato Esecutivo; Art. cit.]

Fonte: http://www.selvas.org/dossPC10.html Versione italiana di Loredana Stefanelli, revisione Daniela Cabrera- di Traduttori per la Pace




Pagina aggiornata alle ore 19:28:23 di Giovedì, 1 dicembre 2005