Eventi di cui si parla in modo eretico in casa e nel mondo

Le intercettazioni telefoniche

I politici e Fiorani: «Sono l’onorevole, a sua disposizione»


Paolo Biondani e Mario Gerevini su “Corriere.it” danno un quadro delle intecettazioni telefoniche dei colloqui di Gianpiero Fiorani con i politici. Ecco alcuni brani del servizio sul sito telematico del Corriere della Sera. In primo piano alcuni esponenti di AN e della Lega.

«Dottor Fiorani sono l’onorevole Ascierto e sono a disposizione». C’è bisogno di un’interrogazione parlamentare? Oplà. C’è da fare una durissima dichiarazione contro la Consob, rea di ostacolare la marcia impetuosa della Popolare Lodi verso l’Antonveneta? Ecco un altro deputato disposto a dettare alle agenzie la sua indignazione. C’è da appoggiare la Lodi all’assemblea Antonveneta? Uno dei più importanti imprenditori veneti si mette a disposizione anche per fare «da segnalibro». Siamo in luglio e quando il telefonino di Gianpiero Fiorani non squilla per Emilio Gnutti o Giovanni Consorte, quando si esce, ma non troppo, dalle ormai note conversazioni e vicende su scalate e concerti, ecco che emerge il mondo delle intercettazioni «a latere». Sono inedite e hanno il valore aggiunto di completare il quadro, per esempio con un’interessante conversazione tra Fiorani e il presidente dell’Abi Maurizio Sella. Perfino una suora chiama Fiorani sul telefonino. Va ricordato che allora nulla si sapeva dei traffici illeciti di Fiorani.

Interrogazione a gettone - Alcuni personaggi politici, non ancora noti come sponsor della scalata Antonveneta, spuntano tra i sostenitori del banchiere di Lodi e della sua causa. Il 28 giugno l’allora amministratore delegato della Bpi chiede alla segretaria di chiamargli l’onorevole Armani. Si tratta di Pietro Armani, esponente di Alleanza Nazionale e presidente della Commissione ambiente della Camera. Fiorani, è scritto nei brogliacci riassuntivi delle telefonate, racconta «del fatto che la Consob e Cardia (presidente Consob, ndr) non hanno dato certezze sull’Opas e sono pronti a un ricorso al Tar». Armani dà ragione al banchiere e dice di essere «pronto a fare una dichiarazione contro la Consob ... che si schiererebbe con l’Abn Amro». Ci saranno successivamente altre telefonate con Armani e anche incontri a quattr’occhi. Il parlamentare di An è un membro, coerente, del cosiddetto partito dei «fazisti», cioè dei sostenitori del governatore (ormai ex). A fine luglio, quando viene stoppata la scalata di Bpi con il sequestro delle azioni Antonveneta e scoppia il caso delle intercettazioni (l’ormai celebre «Tonino ti bacerei in fronte »), Armani attacca le Procure che hanno aperto le inchieste penali.

«Se mi chiama sono pronto» - Vicino a Fazio, ma con posizioni più equilibrate, era considerato anche Riccardo Pedrizzi, stessa parrocchia di Armani (An), presidente della Commissione finanze del Senato. Il figlio Giuseppe, noto avvocato, è un apprezzatissimo consigliere di amministrazione della Bipielle Investimenti, quotata in Borsa, e di altre importanti società del gruppo Lodi. Nonché amministratore della holding di Paolo Berlusconi, che ha come banca di riferimento proprio la Lodi. Restiamo in An e trascriviamo dai brogliacci un sms dell’onorevole Filippo Ascierto: «Dottor Fiorani sono l’on Ascierto. Il mio amico Paolo Sinigaglia mi ha parlato delle difficoltà di Antonveneta se mi chiama io sono pronto con un gruppo di parlamentari per un’interrogazione. Comunque sono a disposizione ».
Alberto Brambilla della Lega è un altro degli interlocutori di Fiorani. L’ex numero uno della Lodi lo cerca spesso ma non vi sono telefonate trascritte o in sintesi. Brambilla, sottosegretario al Welfare, è tuttora (doveva uscire mesi fa) nel consiglio di Euronord Holding, cioè l’ex Credieuronord, disastrata banca della Lega acquistata dalla Lodi (ma il contratto potrebbe essere invalidato). Il 15 luglio, dieci giorni prima di un’assemblea Antonveneta, l’imprenditore veneto Paolo Sinigaglia, socio e grande cliente della Bpi, scrive questo messaggio a Fiorani: «Carissimo in rif ass25 se necessita mia pres posso assicurarla modificando mia partenza ti vorrei comunque ribadire mia disponibilità a fare unicamente da segnalibro comprendendo tue necessità».
Due settimane prima, l’1 luglio, il segretario di Fiorani gli passa al telefono Maurizio Sella, presidente dell’Associazione bancaria (Abi). «Discutono sul fatto—riassume il finanziere di turno all’intercettazione — che gli olandesi fanno critiche quando le cose vanno male e viceversa e questo è un comportamento poco normale.
Discutono sul fatto che fanno male perché ciò non porta a nulla. Maurizio (Sella, ndr) dice che forse è il loro consulente che li consiglia male. Maurizio detta il portatile di Giuseppe Gallo a Fiorani e dice che lo ha chiamato e gli ha detto che ha inviato a Fiorani in maniera riservatissima e personale presso Bpi il documento che lo stesso Gallo ha redatto per arrivare a un’intesa. Maurizio dice che gli ha dato il numero in modo che possano parlarsi direttamente e capirsi. Gallo ha detto a Maurizio che se è possibile vuole arrivare a martedì (data di un incontro) con un accordo fatto. Gallo — annota la Gdf — dovrebbe essere un sindacalista». GiuseppeGallo è il segretario nazionale della Fiba-Cisl, il sindacato dei bancari. Sella ha annunciato mercoledì scorso che Bpi sarà sospesa dall’Abi e che l’associazione si costituirà parte civile.

Livolsi e il caso Cit - Il 22 luglio c’è un curioso teatrino. Alle 16.16 la segretaria dice a Fiorani che ha in linea «la segretaria di Sinigaglia per dei problemi con Letta», Fiorani risponde ma dall’altra parte l’interlocutore è «Aldo per il problema Cit» (il gruppo turistico sull’orlo del collasso). Aldo è Livolsi, il banchiere che tenta di salvare il gruppo, con sponda a Palazzo Chigi dove della faccenda si occupa Gianni Letta. Massimi livelli, quindi. Eppure «Fiorani dice che la loro banca non può deliberare una cosa del genere ... è una proposta irricevibile ....». Chiusa la telefonata, Fiorani chiama la segretaria e «dice che la telefonata precedente era Livolsi, lo hanno preso in giro ... e se dovesse richiamare Livolsi o il dottor Letta dire che non è raggiungibile fino a lunedì».


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Un articolo di Massimo Fini

Il successo del pesce lesso



Quello di Gianfranco Fini, presidente di An e ora anche ministro degli Esteri, è un mistero. Doloroso.
Soprattutto per la Destra. Per quanto ci si sforzi e si aguzzi l’ingegno non si riescono a trovare le ragioni della sua fortuna politica. Ha l’appeal di un pesce lesso o di una lucertola, animale a sangue freddo. Non ha la rude affettività di Bossi, ma neanche l’aria da simpatica canaglia di Berlusconi, al massimo sta al livello di Follini. Forse l’unico dei “big” cui potrebbe essere apparigliato, per l’atteggiamento scostante e superbioso, è Massimo D’Alema. Ma il presidente dei Ds, che esce dalla Normale di Pisa, è un uomo di cultura, Fini, no. “Anzi, la cultura la disprezza” mi ha detto una volta Gennaro Malgieri, direttore del Secolo d’Italia poi, di fatto, costretto alle dimissioni, uno dei pochi uomini di spessore di An, intellettuali che Fini ha diligentemente e sistematicamente eliminato o emarginato, dallo stesso Malgieri a Fisichella e Menniti. Non ha nemmeno capito che dagli avversari bisogna prendere, per poi trasformare a modo proprio, quello che hanno di positivo, e che se la cultura comunista ha dominato per mezzo secolo in Italia (con conseguenti e succose ricadute politiche) è perché il Pci nella cultura aveva investito.
Per sapere che gode di pochissima considerazione anche fra i suoi “colonnelli“ non era necessario aspettare le “quattro chiacchiere al bar” carpite dallo stagista del Tempo.

Essendo l’unico intellettuale italiano, insieme a Giampiero Mughini, che negli anni ’80 frequentava le convention del Msi (non perché condividessi, naturalmente, ma per testimoniare il diritto all’esistenza politica di tre o quattro milioni di elettori, esclusi dalla truffa dell’“arco costituzionale”) ho conosciuto abbastanza bene quasi tutti coloro che oggi sono ai vertici di An e che allora erano dei ragazzi (Gasparri, Alemanno, Malgieri e molti altri) e dalle loro bocche non ho mai sentito uscire una sola parola di apprezzamento per Gianfranco Fini.

I giovani di An poi, che ogni tanto mi invitano nei loro circoli perché consonano con alcune delle mie idee, lo detestano. Perché, pur di rifarsi una verginità, ha buttato a mare l’intero patrimonio ideale del fascismo (anche, per fare un esempio, alcuni concetti, come quello di autarchia, che oggi, in tempi di globalizzazione selvaggia, potrebbero tornare buoni, sia pur non più a livello nazionale ma europeo) e, scimmiottando lessicamente Bush, ha definito il regime mussoliniano “il Male Assoluto”, azzardo cui non erano arrivati nemmeno i comunisti.
Pur di rimanere nel salotto buono della politica è disposto a vendere il padre putativo, Almirante. E infatti in questi anni non ha fatto politica, si è limitato ad appecoronarsi a Berlusconi, in un modo così servile e sciocco che come cognome più del suo gli si adatterebbe meglio quello della moglie, che fa Di Sotto. Da Berlusconi ha mutato l’americanismo “senza se e senza ma”.

Ora, quando nel 1985 partecipai a Taormina a una convention dell’Msi cui erano presenti migliaia di giovani di quel partito, fra cui i “colonnelli” di oggi, e dissi “Non ho mai capito perché voi missini siete atlantisti” ricevetti la più lunga “standing ovation” della mia carriera.
Ma, soprattutto, Fini ha appoggiato senza riserve la devastante campagna di Berlusconi contro la magistratura italiana (e tutte le infami leggi “ad personam”), dimenticando che è stato proprio grazie alle inchieste di Mani Pulite se l’Msi, poi An, e lui stesso, sono potuti tornare all’onor nel mondo politico dopo quarant’anni di emarginazione. Ma non è un problema di riconoscenza. Il fatto è che il concetto di Destra può essere declinato in mille modi, ma su una cosa le Destre di tutto il mondo sono concordi: nella difesa di “law and order”.

Solo in Italia abbiamo una Destra indecente che spara a zero sulla magistratura, e soprattutto su quella più efficiente, per cui oggi non c’è islamico integralista che, preso con le mani nel sacco, non gridi al “complotto” e all“accanimento giudiziario”. Questi sono i risultati.
Anche Umberto Bossi ha appoggiato Berlusconi, non in tutto peraltro, ma perlomeno si è fatto dare una contropartita: la devolution. Il leader di An lo ha fatto invece “a gratis”.
Forse Gianfranco Fini è stato indotto a questo atteggiamento così poco autonomo e sottomesso, che ha privato il suo partito di ogni identità, perché è consapevole – e questo sarebbe già un segno di intelligenza – della propria mediocrità, che però è all’origine della sua straordinaria suscettibilità e del suo dispotismo.
Ha azzerato i vertici del partito, lo ha commissariato e quasi distrutto per “quattro chiacchiere al bar” che ledevano la sua personcina (se gli uomini di An non sono liberi di dire le proprie fregnacce almeno al bar dove lo saranno mai?).
Gianni Alemanno ha commentato: “Basta con l’idea di un capo che pensa per tutti”. Il problema è che Fini non pensa per tutti, pensa, da sempre, solo a se stesso. Io lo chiamo “il Fini sbagliato”.

( da “Elogi e stroncature - Giudizio Universale)

Fa discutere in questi giorni un "Manifesto" di Massimo Fini al quale si può aderire semplicemente scrivendo "aderisco" - e ovviamente firmando - all'indirizzo segreteria@massimofini.it



Esattamente come la madre irachena


Poesia di Natale di Nesrin Melek * - Axis of Logic


Hai perso tuo figlio e non celebrerai più il Natale vicino a lui quest’anno, esattamente come la madre irachena

Volevi vederlo crescere, sposarsi ed avere figli, esattamente come la madre irachena.

Volevi dirgli quanto l'amavi, quanto ti appagava prenderti cura di lui, esattamente come la madre irachena

Volevi terminare i racconti che avevi incominciato a narrargli, esattamente come la madre irachena

Volevi che badasse a te, quando fossi anziana, esattamente come la madre irachena

Ricordavi il tempo in cui era bimbo, lo abbracciavi stretto al petto e lui riposava insieme al tuo cuore, esattamente come la madre irachena

Volevi che ti appoggiasse la testa sulla spalla, per stringerlo con forza e non lasciarlo partire, esattamente come la madre irachena

Guardi le sue foto e vorresti che non fosse mai successo, esattamente come la madre irachena

Vorresti averlo potuto impedire, esattamente come la madre irachena

Guardi la sua sedia vuota vicino al tavolo in sala da pranzo e desideri ascoltare la sua voce mentre elogia le tue pietanze, esattamente come la madre irachena

Ti spingi fino alla sua stanza, è vuota, ma senti la sua presenza, esattamente come la madre irachena

Aspetti che suoni il campanello per correre ad aprirgli la porta, che ti circondi con le sue braccia e ti cinga stretta stretta, esattamente come la madre irachena

Piangi in solitudine domandando a te stessa perché a lui, perché a te, esattamente come la madre irachena

Vuoi alzare la voce e gridar loro che la smettano di ammazzare, esattamente come la madre irachena che perse suo figlio

Alzati in piedi, alza la voce e protestando urla "Smettete di ammazzare", esattamente come piacerebbe fare alla madre irachena

Ma lei ha paura che, se lo fa, le spari il figlio di una madre statunitense.

* Nesrin Melek è una donna irachena che vive attualmente in Canada e collabora regolarmente con Axis of Logic.
Traduzione dallo spagnolo di Adelina Bottero

Documenti storici per i lettori de "Il Vascello"


Il testo originale in inglese (e in PDF) della incriminazione di Lewis Libby (braccio destro del vice presidente Cheney, è accusato di spergiuro, fu un architetto dell'invasione dell'Iraq): fa tremare Bush. Cliccare qui
Offriamo molti strumenti per capire la vicenda Calipari che raccontiamo per esteso (con la ripresa dei documenti ufficiali e del finto sdegno italiano) Intanto gli inglesi se ne vanno in giro a provocare attentati?. Per leggere il tutto, con un contributo di Maurizio Blondet, cliccare qui
Si vada a vedere la foto pubblicata da "Il Vascello subito dopo la strage di Fallujah. E' un documento terribile che però va presentato per dovere di informazione, così come furono documentati gli orrori dei campi nazisti. Non pubblichiamo la foto qui perchè chi non vuole avvicinarsi all'immagine, sia opportunamente avvertito. La foto peraltro è in linea da 8 MESI. Solo nei giorni scorsi la conferma di RaiNews.


L'articolo della grande firma


I «cattolici» ed altri furbetti nella vicenda Fazio e C.

di Maurizio Blondet
(fonte: effedieffe.com)

«Se qualcuno pensa di spaventarmi per costringermi ad andarmene, si sbaglia: solo io deciderò quando è il momento». E così ha fatto, ricavando improvvisamente grande elogi. Come fosse un benefattore del risparmio italiano. Desolazione: è questo il sentimento davanti alla vicenda Fiorani. La prima cosa che mi viene a mente, è che lui e Fazio hanno l'etichetta di «cattolici». E difatti sono un tipo di cattolici che ho ben imparato a conoscere lavorando 18 anni ad «Avvenire». C'è stato un lungo momento in cui il cardinale Ruini manovrò per un «governo Fazio» che avrebbe dovuto sbattere fuori Berlusconi, ma intercettarne i voti. Il progetto, come tutti quelli del cardinale, fallì per inconcludenza: ma indicava bene a che tipo di «cattolici» va la preferenza della Chiesa italica. Non sa che farsene di chi è bravo nel suo mestiere e le dice la verità (ammetto di parlare per caso personale), e lo licenzia in tronco con inusitata spietatezza; per i furbetti del quartierino, solo moine, favori e coperture. Perché quei furbetti li ha allevati la Chiesa, nei suoi organi. Fazio è un baciapile (non è dell'Opus Dei, che è cosa ben diversa). Fiorani era uno dell'Azione Cattolica, è stato giornalista ad «Avvenire».
 Ha detto di recente che come banchiere poteva meritarsi «mille anni di purgatorio»: tipico di quel genere di cattolico, per cui rubare, e rubare ai poveri, è un peccato solo veniale. Poco scrupolo nelle responsabilità pubbliche e nessun senso civico, ecco l'identikit del «cattolico» di questo tipo: Fazio, che resta al suo posto, proclama un suo «diritto al disonore» (1) e un machiavellismo di terza classe. E l'occhio puntato ai soldi, tanti, tanti soldi da sprecare. Il vero Vangelo di cui sono seguaci. I banchieri rubano in tre modi. Il primo è quello «istituzionale»; per cui non pagano il dovuto ai depositanti, mentre prestano il denaro che creano dal nulla ad alto interesse. Il secondo, tipicamente italiano, è che i banchieri danno prestiti e fidi non a bravi, ingegnosi imprenditori, ma ad «amici» decotti, per sostenerli quando ormai sono fuori mercato. Fiorani, per giunta, rubava nel terzo modo: prelevava dai conti correnti degli ignari clienti, a cui accollava di nascosto le perdite delle sue operazioni. Quest'ultimo mi pare tipicamente «cattolico», com'è cattolico un sagrestano che rubacchia dalle cassette delle elemosine.
 E noi, risparmiatori e contribuenti, pagheremo anche questa colossale malversazione. Dopo Cirio, dopo Parmalat, anche l'esplosione della ex Banca Popolare di Lodi: non sono più casi isolati, è evidente: si tratta di un sistema radicalmente corrotto da cima a fondo, concepito e organizzato in modo sistemico per derubare gli ignari. Bisognerebbe ripensare il sistema, non solo mettere in galera questo o quello. Il sistema è marcio perché accaparra troppi soldi. Soldi fatti senza fatica, senza controllo e senza corrispettivo. Con azioni e manovrine facili all'interno di settori protetti (banche) e semi-pubblici (COOP) in cordiale combutta con i «ricchi di Stato», che sono ricchi senza fatica e senza responsabilità. Già l'ultimo fattorino di Bankitalia guadagna più di un medio dirigente privato, figurarsi il governatore. E nessuno nel privato guadagna quanto Gaetano Gifuni, segretario del Quirinale: o se guadagna tanto, lo fa perché rischia, e se non produce risultati può perdere il posto. Loro no .  Coperti dal mantello pubblico, che intendono non come un servizio ai cittadini, ma come l'ombrello che li ripara da ogni competizione reale, lo strumento da sfruttare per il loro potere personale e di casta, o di consorteria.
  In un certo senso, è la democrazia nel capitalismo terminale a non essere altro che corruzione. Intendo una democrazia che confida da decenni non sulla partecipazione del popolo (il vero sovrano, che dimentica di esserlo) ma sulla sua passiva inerzia, ignoranza e rassegnazione (2). Una democrazia banalizzata in forme - mattarellum, proporzionale, - ormai priva non si dice di ideali, ma di ideologia, di un progetto complessivo per il Paese. Una tale democrazia non può più contare su un'opposizione che svolga un occhiuto controllo del governo; opposizione e maggioranza diventano un comitato d'affari collusivo, dove cordialmente ci si accorda per rubare tutti insieme agli indifesi.  In questo processo, viene il momento in cui chi sostiene ancora un'ideologia viene rifiutato, perché un'ideologia «impegna» a dire dei sì e dei no, discrimina ciò che si deve e che non si deve fare. Loro si son liberati da ogni ideologia per avere mano libera, par poter fare di tutto. Pensate alla Compagnia delle Opere, in cordiali rapporti d'affari con le COOP per intercettare fondi pubblici; o a Fini e ai suoi valzer disperati per mostrare che, lui, non ha più ideologia, ed è quindi disponibile a tutto. O a Mastella, fondatore di un partito il cui scopo dichiarato è il sottogoverno e il clientelismo.
Una nuova Tangentopoli, che si profila in queste ore, non ripulirà il sistema. La magistratura con le sue manette non è la cura del male, ne è parte. Va ricordato che i giudici hanno cominciato a perseguire Fiorani e i furbetti del quartierino non come banchieri-ladri, ma solo dal momento in cui hanno cercato di scalare i poteri forti residuali ed esausti nelle loro fortezze, i giornali-maggiordomi della Casa, le banche mal privatizzate che servono a sostenere capitalisti senza capitali del salotto buono.
Allo stesso modo, la magistratura ha perseguito Berlusconi solo «dopo» che è entrato in politica, perché il suo seguito popolare minacciava le consorterie consolidate (la precauzione si è rivelata poi inutile: Berlusconi non ha minacciato nessun potere reale).  La consorteria che la magistratura protegge coi suoi attacchi non è migliore di quella che persegue. Solo, le sue malefatte non vengono messe alla luce. Per solidarietà massonica. In oltre quello che avviene è, come ha potuto dire Cossiga, «una resa dei conti tra DS e Margherita», ora che sono vicini al potere; tra banchieri e COOP «rossi» garantiti da D'Alema (ecco come può permettersi il suo yacht da regata), e i «bianchi».
Cossiga evita di concludere che la magistratura, lungi dal muoversi per sete ancorché moralistica di «giustizia», sta agendo per una parte contro l'altra: ma solo perché, dice, è ancora in vigore il codice Rocco.
 Bisognerebbe ripensare il sistema. Senza cedere al moralismo, analizzarlo a fondo per riformarlo poi con la decisione e la durezza necessaria. Ma come fare? Manca disperatamente in Italia il livello intellettuale necessario per un vasto, doloroso, sincero dibattito pubblico sulla questione. Questo forse è il problema fondamentale. L'insufficienza morale dei «cattolici» del quartierino, del «cattolico» Fazio e di quelli non ancora scoperti deriva, in fondo,da una più grave insufficienza: quella culturale.
I furbetti vengono da province dove l'intelletto non è mai stato promosso, e restano provinciali nel midollo, Fazio il ciociaro, Fiorani il lodigiano. Ma i «lumbard» non sono meglio. Ora, la Lega trema perché ha puntato troppo su Fiorani. Temo di sapere perché: Fiorani deve aver affascinato Bossi con quella storia fumosa del «grande gruppo del Nord», e Bossi deve averci creduto, senza nemmeno sapere come guardarci dentro.
Si è fidato di uno che parla con inflessioni dialettali «lumbard», tutto qui.
 Insufficienza intellettuale, incompetenza, provincialismo, mancato studio dei meccanismi economici e monetari, senza cui nel resto del mondo non ci si può affacciare alla politica. Ma che fare? Questa insufficienza non è da oggi. Da almeno due secoli l'Italia pretende di avanzare nella storia - o almeno nella cronaca - senza usare la risorsa dell'intelletto.  L'Italia se ne accorge in rari momenti, come l'8 settembre, quando la sua cosiddetta classe dirigente se la squagliò, abbandonandola alla rabbia di un alleato che Badoglio aveva dichiarato (con un disco registrato: lui s'era messo già al sicuro) il nuovo nemico. Sono i momenti tragicomici della nostra storia: quando l'Italia affonda in una tragedia greca con una classe dirigente da commedia dell'arte, da commedia all'italiana. Questo è un altro di quei momenti. L'Italia Titanic affonda, non guadagna più le ricchezze con cui alimentare i suoi Balanzone e Mortadella, i suoi Arlecchini e Pulcinella di Stato; e quelli, mancando il grasso, succhiano l'osso. Come Pulcinella, rubano dalle cassette delle elemosine, da Arlecchini, succhiano dai conti correnti dei morti. Per questo le tragedie italiane non sono mai, nemmeno, serie.
 Le persone serie hanno solo da perdere. L'8 settembre, centinaia di migliaia di italiani seri scelsero la «parte sbagliata» per alta dignità. Ne ho conosciuti personalmente, i più non erano veramente fascisti. Alcuni, antifascisti, e dopo entrarono nel PCI. Ma da militari, vollero con la loro scelta cancellare il disonore degli Arlecchini Savoia e del Mortadella Badoglio. I piloti della Regia Aviazione, ad esempio, passarono tutti - tutti fino all'ultimo - alla Repubblica Sociale, per un solo scopo disperato: difendere le nostre città dai bombardamenti, difenderle fino alla morte. I tedeschi gli affidarono gli ultimi modelli di Messerschmitt: con cui fecero prodigi, infilandosi tra i tappeti di fortezze volanti, tra gli angoli ciechi delle mitragliatrici di cui erano irte, ed abbattendone più che potevano, sopra Milano, sopra Torino. I più fortunati furono quelli che morirono, e non videro il seguito.
Anni fa, parlai con un sopravvissuto di questi piloti. Onorificenza: medaglia d'oro, unica medaglia d'oro vivente dell'Aviazione. Grado con cui lo mandarono in pensione: caporale. Mai nessun avanzamento, perché aveva «aderito a Salò». Lui non si lamentava, aveva fatto il suo dovere, non credeva di avere diritto al disonore. Il fatto è che, poiché non c'era più pericolo, erano tornati al potere i Pulcinella e i Gianduia, gli Arlecchini e i Mortadella: che pensarono bene di punire, anzitutto, le persone serie. Per dare una lezione. Con persone serie in circolazione, e Dio non voglia a posti di comando, come si fa a rubare? Su questi italiani di cui abbiamo bisogno - un bisogno disperato - vige, 60 anni dopo, la damnatio memoriae. Non possiamo nemmeno onorarli: chiamerebbero anche noi «fascisti». Anzi già lo fanno. Questa è la nostra tragedia. La nostra spietata, ridicola tragicommedia all'italiana.
 
Note
1) Del «diritto al disonore», diritto alla non-dignità come piaga occulta di una nazione, parla Dostojevsky, riferendolo alla Russia, nel romanzo «I Demoni». Basterà sostituire «Russia» con «Italia» nel seguente suo testo: «Per quanto vedo, l'intera essenza dell'idea rivoluzionaria russa si fonda sulla negazione dell'onore (dignità)per un russo, il senso d'onore è solo un impaccio superfluo, ed è stato sempre d'impaccio lungo tutta la sua storia. L'aperto 'diritto al disonore' lo attrarrà più che ogni altra cosa [verso la rivoluzione]».
2) Sta succedendo la stessa cosa nella culla della democrazia, gli Stati Uniti. La presente Amministrazione, mentre scatena la guerra messianica, e si proclama super-cristiana, arraffa, deruba, malversa in proporzioni colossali e mai viste prima.



La pagina è aggiornata alle ore 18:04:07 di Mar, 3 gen 2006