MAURIZIO MERLI: BIOGRAFIA

Provenienza: allegato alla VHS "Da Corleone a Brooklyn"; collana CALIBRO 9 edizioni NOCTURNO.

Andandosi a rileggere gli articoli con cui la stampa nazionale piangeva Maurizio Merli, l'indomani della sua prematura scomparsa, avvenuta il 10 marzo 1989, il meno che si possa provare è disagio. Fuor di dubbio che il branco dei "coccodrilIi" e lo spazio loro riservato testimoniassero della vastissima popolarità di Maurizio, il quale aveva terminato i suoi
giomi stroncato da un infarto a soli 49 anni durante una partita a tennis; tuttavia - ed ecco il disagio - nemmeno un rigo di quanto si scriveva in memoria dell' attore rendeva ragione dei veri motivi della sua notorietà e del genuino favore di cui aveva goduto per quasi un decennio presso le platee del nostro Paese.
I vari de profundis concordavano, infatti, nel ricordare la formazione teatrale di Maurizio, diplomatosi presso l'Accadernia di arte drammatica, e i successivi primi passi nel mondo dello spettacolo, di cui sono tappe significative - a dire dei necrologi ufficiali -un'apparizione ne Il gattopardo di Luchino Visconti, l'esperienza nella rivista I trionfi come ballerino-cantante insieme a Carlo Dapporto, e quindi tutta una sporade di altri lavori (in teatro, radio, cinema e televisione) che come culmine avrebbero avuto il Garibaldi televisivo (1974) di Franco Rossi, uno sceneggiato in grado di assicurare a Merli quel successo di pubblico e quella celebrità che - sempre parola dei giornali -: 'l'attore aveva inutilmente inseguito da undici anni sui palcoscenici e sui set". E fin qui tutto bene.
Sul proseguio, invece, della carriera artistica di Maurizio, le alternative oscillavano tra la reticenza o le allusioni cariche di malcelato disprezzo: :"Uscito dall'anonimato", scriveva per esempio un articolista della Nazione, "Maurizio Merli si tagliò la barba e girò come protagonista una serie di film polizieschi, pellicole di scarso valore... realizzate da registi di scarso prestigio ( ... ) Ma la parte usurata di un intrepido e deciso commissario romano ( ... ) aggiunse poco o niente alla carriera'.
Cè da scommettere che chi trinciava un giudizio di così rara superficialità -non tanto sul valore dei "polizieschi" (la nouvelle vague della critica cinematografica era ancora di la da venire) ma a proposito del fatto che questi film avessero aggiunto poco o nulla alla carriera dell'attore - e quanti lo leggevano, avessero ancora ben vivida nella memoria l'immagine di quei granitici commissari Betti, Tanzi, Olmi, Murri... interpretati da Maurizio in tanti "poliziottari" assai più di quanto ricordassero, per esempio, il Merli-Ricciardetto dell'Orlando furioso, nell' adattamento allestitone da Luca Roncom. Tuttavia, sulle glorie del commissario Merli si preferì glissare...
Se non tutto, certamente moltissimo in termini di fama e di successo, Maurizio lo dovette invece proprio al filone poliziesco, dove furoreggi6 a partire dal 1975 e in cui si impose prestissimo non solo come "un" protagonista ma come "il" protagonista par excellence. La sovrapposizione tra attore e personaggio portato sullo schermo fu, nel suo caso, profonda e tale da sfiorare toni leggendari. E' noto l'aneddoto, che lo stesso Merli riferiva, di quando, fermato da una pattuglia della stradale, venne subito congedato dall'agente che lo riconobbe e salutandolo militarmente gli disse: "Oh, scusi, commissario Quel che sarebbe presto diventato il suo alter ego, Maurizio lo incontrò la prima volta, quasi per caso, nel fortunato Roma violenta (più di due miliardi di allora d'incasso), allorchè venne assunto in forza al cast dietro consiglio del regista Marino Girolami per sostituire Richard Harrison, la cui candidatura al ruolo era invece caldeggiata dal produttore Edmondo Amati. L'interprete che serviva doveva essere biondo, atletico e con i baffi - Maurizio allora non Ii portava e se li fece crescere apposta ; doveva, cioè, apparire iconograficamente il piu vicino possibile a Franco Nero, eroe del miliardario apripista del filone La polizia incrimina la legge assolve, che lo stesso Amati aveva prodotto due anni prima.
Alla fine fu Maurizio a spuntarla e al suo personaggio seppe dare subito pregnanza e vita autonoma, tratteggiando un carattere di poliziotto duro e violento, certo, ribelle ai codici e alle regole che lo impastoiavano nella lotta contro il crimine - come la tradizione del genere imponeva ma psicologicamente assai meno monolitico rispetto alla maggior parte degli "sbirri bastardi" del periodo.
Grilletto e sganassoni facili si appaiano al dubbio, alla riflessione e persino, all'angoscia in questo commissario Betti che nella stessa stagione 75/76 riappare trionfalmente quale protagonista di un secondo film di Girolami, Italia a mano armata - sarà l'unica volta in cui Merli, a fine storia, viene ucciso - e nell' ottimo Napoli violenta, diretto da Umberto Lenzi, un regista in grado di utilizzare al meglio le qualita recitative e atletiche di Maurizio, che già a pochi mesi da Roma violenta aveva cambiato identità a Betti, dando un'accelerata in violenza al personaggio e trasformandolo nel battagliero commissario Leonardo Tanzi, ai ferri corti con il "Gobbo" Tomas Milian, macellaio sadico e sanguinario, nel film Roma a mano armata - la saga di Tanzi conobbe anche un secondo capitolo, sempre lenziano e sempre con Milian supercattivo ll cinico, l'infame e il violento (1977). All'immediato, enorme successo che lo investì, non sempre corrispose la saggia amministrazione dello ,stesso da parte di Merli, il quale talvolta scordava il peso determinante che per la riuscita di un film avevano, insieme al suo, il nome di un Umberto Lenzi o di uno Stelvio Massi dietro la macchina da presa: "Tornando a Roma da Napoli - ricorda proprio Lenzi - dove avevamo presenziato con le nostre mogli alla prima nazionale di Napoli violenta, Maurizio volle portarci a vedere Paura in città, un poliziesco che aveva da poco girato. A Napoli, nonostante si fosse in pieno agosto, il cinema era stato preso d'assalto dalla gente, che rovesciò persino il bancone dei bighetti e spacc6 le vetrate... tanto che si dovette richiedere l'intervento della polizia. e, a vedere Paura in città, a Roma, eravamo solo quattro in sala... Ecco, se dovessi trovare un difetto di Maurizio, che peraltro amavo e stimavo moltissimo, direi che a un certo punto ebbe troppa fiducia nei suoi soli mezzi, pensando che il suo sguardo bastasse da solo a riempire i cinema".
Ma qualche passo falso (nemmeno la variante western di Mannaja entusiasma o l'intrigo sentimental-spionistico de i gabbiani volano basso; così come non pag6 il Merli "cattivo" di Sono stato un agente C.I.A.) non incrina una carriera che prosegue a spron battente e infila, dal 1977 al 1980, alcune delle migliori interpretazioni di Merli accanto a Napoli violenta e a Da Corleone aBrooklyn: Poliziotto sprint, Un poliziotto scomodo e Poliziotto solitudine e rabbia sono tre titoli da antologizzare tra i sei polizieschi che Maurizio gira per la regia di Stelvio Massi, in quanto prove duttili e sensibili dell'attore, che in Poliziotto sprint abbandonava baffi e grado per diventare il semplice agente, "driver" di volanti, Marco Palma, nel secondo, di nuovo commissario a muso duro contro il crimine, freddava per sbaglio un innocente - caso unico nel genere -, mentre in Poliziotto solitudine e rabbia, ormai al declino degli anni di piombo, nell'adatta atmosfera di una Berlino livida e invernale, si congedava in grande stile dal personaggio che aveva fatto la sua (e più spesso l'altrui) fortuna. Si era nel 1980 e l'anno precedente Merli aveva percorso quella sorta di struggente, bellissimo e inconsapevole viaggio iniziatico a ritroso (dell'eroe del filone simbolo di esso) verso le proprie remote origini d'Oltreoceano che è Da Corleone a Brooklyn, guidato ancora una volta, per l'ultima, dal fido Umberto Lenzi. Terminarono cosi, a New York e a Berlino le imprese del commissario Merli, al quale le parole rivolte dal boss Mario Merola nell' epilogo del film non possono fare a meno di suonare come un sinistro vaticinio: "Ma sei sicuro che ci arriveremo in Italia ... ?. Maurizio, in effetti, la via del nostro cinema non riusci più a ritrovarla nel nuovo decennio e se si eccettuano lo sceneggiato televisivo Notturno (1984) dove quella di Merli fu una presenza significativa ma spersa tra molte, un lungometraggio francese, mai distribuito, con Ava Gardner e un film di Alberto Bevilacqua, Tango blu, in cui Maurizio credeva molto ma che si rivelò un flop, gli anni Ottanta decretarono in sorte al commissario Merli unicamente "solitudine e rabbia".

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