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Vsevolod Garšin (1855 - 1888)

Il fiore rosso (Krasnyj cvetok), scritto nel 1883, è il deliro angoscioso di un demente che vuole estirpare, dal giardino del manicomio dov'è rinchiuso, tre fiori purpurei. Simbolo di tutto ciò che di malefico esiste nell'universo, da strappare a tutti i costi, per imbeversene e salvare l'umanità a prezzo della propria vita, il fiore "ha assorbito il sangue sparso degli occhi innocenti (perciò è così rosso), tutte le lacrime, tutto il fiele del genere umano". Essere misterioso e terribile, esso è l'opposto di Dio, l'Arimane fattosi umile e innocuo. Non basta stradicarlo e sterminarlo, bisogna impedirgli, nella estrema agonia, di spandere per il mondo il suo fiato venefico. Ma l'eroe, con la sua fissazione di estirpare il male del mondo distruggendo il fiore rosso, finisce con l'uccidere se stesso.Quando svelle l'ultima pianticella, raggiunto il suo letto il folle ha un collasso e muore; nella mano stringe il fiorellino rosso.
Il racconto, autobiografico, fu molto apprezzato dai russi che vi videro una profonda, calda sensibilità nella lotta con il male sociale, una ricerca affannosa del vero, una elevata coscienza connaturata a quasi tutti gli scrittori russi del suo tempo.
Garšin morì suicida a 33 anni.

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