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Il sessantotto
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Tra il 1967, il 1968 e parte del 1969 si sviluppò in Italia, come in altri Paesi, quel movimento di protesta giovanile, diffuso fra gli studenti, che prese il nome di contestazione. Tutto era cominciato dalla protesta contro il potere dei professori nelle università, ma ben presto la protesta si era estesa al «sistema», cioè allo Stato che l'università rappresentava.

I sessantottini, come si chiameranno più tardi i giovani che parteciparono alle contestazioni di quegli anni, rifiutavano tutte le istituzioni borghesi, ritenute autoritarie ed ingiuste: la scuola, i partiti politici, la famiglia, la Chiesa. Ritenevano che potesse divenire reale la società che loro immaginavano: una società di liberi e di uguali, con una democrazia diretta, basata sul potere delle assemblee. «Via i padroni, via i burocrati, via i colonnelli, il potere è di chi sa inventare» era uno slogan di quel periodo.

II movimento studentesco italiano portò avanti la sua lotta mirando soprattutto alla didattica e all'organizzazione dell'università, che veniva paragonata ad una fabbrica con i suoi padroni-professori. Scrivevano gli studenti in quei giorni: «II sistema dei voti e degli esami è fondato sul principio di premiare il più brillante e il più svelto e di penalizzare il meno appariscente e il più lento. L'indice di produttività richiesto dalla scuola allo studente diventa sempre più il grado di accettazione delle norme scolastiche stesse, esattamente come nella fabbrica, dove è più "bravo" l'operaio che ha interiorizzato più degli altri l'interesse del padrone».

Sembrava insopportabile il modo con cui venivano fatti gli esami «più simili a veri e propri interrogatori che ad una libera discussione su argomenti che dovevano essere approfonditi insieme. In molte facoltà gli esami sono la principale causa del basso livello culturale degli studenti, specie quando non possono frequentare per mancanza di borse di studio o di aule. Si è giunti all'assurdo di 600 esaminati in tre giorni da un solo professore».

Le proposte alternative1 erano i gruppi di studio, o seminari, diretti dagli studenti, in cui si studiava, si discuteva, si parlava di politica e di problemi personali. I professori venivano chiamati come esperti, anche perché alla fine si dovevano fare degli esami, sia pure di gruppo e con voto uguale per tutti. Si riteneva che il lavoro di gruppo fosse il modo migliore per «crescere» insieme, ma l'analisi, la ricerca e la documentazione sui contenuti ne rimanevano sacrificati.

In tutta Italia, ma specialmente a Roma, Milano, Torino, Venezia, Pisa, Firenze, si ebbero occupazioni delle facoltà uni-versitarie, con interventi della polizia e scontri con gli studenti, cortei per le vie delle città, con tanta partecipazione, slogan e scritte che si rifacevano alle lotte di Che Guevara e di Ho Chi Min.

Di fronte a tutto ciò il mondo politico e parlamentare non seppe dare ai giovani nessuna risposta seria. Fu così favorita la contestazione stessa e l'affermazione dei leaders sessantottini. Verso la fine del '68 il movimento studentesco cominciò ad indirizzare le sue proteste e le sue richieste al campo politico e sociale e cercò di collegarsi con la classe operaia e le femministe. Ma nel '69 esso stava già perdendo la sua vivacità e la forza delle sue illusioni. La calma sarebbe tornata presto.