TROVATO L'AEREO DELL'EROE CHE DIFESE PARMA

Il velivolo e i resti del pilota individuati con il sonar. "Poteva buttarsi con il paracadute, ma il suo caccia sarebbe finito sulle case" TROVATO L'AEREO DELL'EROE CHE DIFESE PARMA Affrontò cento bombardieri: colpito, andò a schiantarsi lontano. "Lo cercavamo da mezzo secolo"

PARMA - Dal Diario di guerra del comando aereo tedesco in Emilia, pagina del 25 maggio 1944: "Ore 13.30: presso San Prospero, 7 chilometri a sud di Parma, precipitato un Macchi 205. Macchina al 100 per cento irrecuperabile. Pilota probabilmente carbonizzato. Lancio con paracadute non osservato". Il luogo non è molto cambiato da allora: campi di grano e margherite, qualche cascina isolata, campane lontane; una gran pace. E in questo stesso luogo, 56 anni e 4 mesi dopo, conficcato a sette metri sotto il prati che l'ha tenuto nascosto finora, ieri è stato ritrovato l'aereo di cui parlava il rapporto tedesco.
Il motore, parti di fusoliera crivellate di proiettili, i monconi dei cannoncini, i nastri semicarichi delle mitragliatrici, prima scovati da un sofisticato "metal detector", poi rubati alla terra da una scavatrice. Tutto odorava ancora di benzina.
E dentro l'abitacolo di guida, che era incastonato in un blocco di terriccio bruno; le cartine della rotta perfettamente leggibili, frammenti di parabrezza, il sedile corazzato; attaccato al quale, come da regolamento, c'era quel paracadute mai usato. Poi qualcos'altro è emerso, dalla terra, che ha fatto ammutolire la piccola folla intorno: un portafoglio, un pettinino nella sua custodia, un fazzoletto, uno stivale, il collo di pelliccia di un giubbotto; i frammenti di una sciarpa, di una tuta militare, di una cuffia di pelle; e i pochi resti di un corpo giovane. Il pilota VITTORIO SATTA; 24 anni, tenente della prima squadriglia "Asso di bastoni", primo gruppo caccia dell'aeronautica della Repubblica sociale italiana. L'uomo che nessuno, qui, ha dimenticato.

Perchè nella tarda mattinata del 25 maggio '44, in centinaia, da terra, avevano prima guardato il Macchi levarsi insieme con una decina di caccia italiani e tedeschi, contro 100 bombardieri angloamericani piombati su Parma; poi, già colpito dalle mitragliatrici nemiche, lo avevano visto manovrare per allontanarsi dalle case della città, e infine puntare quasi in picchiata su una zona deserta: San Prospero, dove a primavera i prati sono morbidi, acquitrinosi:"Perciò quell'aereo sprofondò tanto - racconta un contadino della vicina cascina Bianchi - io allora avevo sei anni e mezzo, ma lo ricordo come fosse ora perchè vidi tutto da pochi metri; lui che viene giù ancora inseguìto e mitragliato dall'aereo americano, i rami di quell'albero là che saltano per aria sbriciolati, il botto nel prato; e un secondo prima, la testa del pilota che si reclina sui comandi".

I rapporti dell'epoca fissano l'ora di inizio del combattimento alle 12.50. E parlano di 100 bombardieri "Liberator" scortati da 40 caccia "Lightning", che arrivano sulla città a una quota di circa 6.500 metri. Li contrastano quei pochi caccia Macchi 205 italiani, e Stukas tedeschi. Il duello che segue è lungo e feroce, nonostante la disparità delle forze.
Ha un risultato: quello di ritardare il bombardamento della città e di limitarne le conseguenze. Verso le 13.15 ci sono solo tre apparecchi italiani che continuano a duellare. Ancora pochi minuti, e l'ultimo testimone della tragedia sarà il bambino della cascina Bianchi.
Il capo-formazione dei Macchi è Luigi Gorrini, che poco tempo dopo sarà decorato con la medaglia d'oro al valor militare. "Vittorio era proprio dietro di me - racconta oggi, ai bordi dello scavo, con gli occhi lucidi - gli avevo detto di non staccarsi dalla mia coda. Invece, io a un certo punto "svincolai" (cabrai, ndr) di lato perchè avevo visto sopra di noi i vapori di condensazione dei caccia nemici. Subito dopo mi voltai cercando Vittorio, e non lo vidi più. Era andato dritto, di nuovo verso di loro. Erano in troppi, lo beccarono. Ma lui era fatto così. Lui aveva qualcosa di speciale, dentro".

Del coraggio di quell'italiano raccontò anche l'avversario che lo aveva colpito, il tenente americano Jack D. Lewis del trentasettesimo "Fighter Squadron". Avrebbe potuto salvarsi con il paracadute, il pilota del Macchi, e invece scelse di non farlo. Fu per questo, che diventò un eroe per i parmigiani: quando si celebrarono i funerali - quasi "simbolici" poichè sotto i bombardamenti quotidiani era stato trovato solo qualche frammento del relitto - si raccolse una gran folla, con decine di corone di fiori. Anche se il caduto non era uno del posto - era di origine sarda, la sua famiglia viveva in Liguria - e anche se vestiva un'uniforme, quella della Rsi, non certo amata nell'Emilia-Romagna "rossa".
Dai vecchi ai giovani, la memoria si è tramandata per oltre mezzo secolo. Nei giorni scorsi, la "Gazzetta di Parma" ha dedicato ampio spazio alle ricerche dell'aereo. E ieri diverse persone si sono recate sul posto per assistere alle operazioni di scavo, condotte dalle mani esperte e delicate dei ricercatori del Gruppo "Agmen Quadratum". Contadini, giovani, gli ultimi anziani commilitoni di Satta: Gorrini, Vezzani, Ruzzin, due o tre altri. Sono stati loro, per decenni, a cercare caparbiamente il compagno. "Per amicizia, ma non solo", raccontano. "Perchè lui lo meritava davvero; era uno coraggioso, riservato, pieno di dignità, ma soprattutto un carattere profondo, con un senso tutto suo del destino. E questa, per una volta tanto, non è retorica. Questo era proprio l'uomo Vittorio. Basta leggere ciò che ha lasciato scritto..."

Dal buio del passato, come l'aereo sepolto, riemergono infatti diari e lettere del tenente pilota, conservati dal fratello Paolo, dal cugino Mario - Ieri c'erano anche loro, accanto allo scavo - e dagli amici più cari.
E a rileggerli oggi, dipingono una personalità davvero singolare. Uno che, mentre quasi ogni giorno si leva in volo per combattere, continua a tuffarsi nei libri come un matto, quasi sappia che il suo tempo è contato: "Ho ripreso Dante - si legge in un taccuino del 1944 - e l'ho rivisto quasi tutto; vari altri libri, di ogni genere. Necessità di sviluppare le più nobili qualità dell'animo e ricercare il bello. Individuarne l'essenza e perennemente desiderarlo come scopo di vita. Scopo lontano, direzione, non meta". Uno che pur non essendo un fanatico fascista - mai una parola di elogio del regime, nelle sue carte - dopo l'8 settembre '43 risale dalla sua base in Sicilia tutta la penisola, con il suo caccia, unendosi alla Rsi perchè considera l'armistizio un tradimento dell'alleato: ha deciso, scrive, "di arrivare fino all'ultimo sacrificio di me stesso pur di riabilitare agli occhi del mondo l'onore del nostro popolo. Quel poco che le mie forze potranno fare lo farò tutto". A 5 anni, raccontano i diari, Satta era rimasto orfano della madre, e questo aveva innestato nella sua vita una vena di malinconia che non lo avrebbe mai più abbandonato: "Tutta la sua giovinezza era trascorsa nella ricerca ansiosa di se stesso - scrisse di lui un cugino, Salvatore Piras, che un giorno sarebbe diventato uno dei più noti giuristi della Sardegna - una ricerca tormentosa della sua via, della sua sorte, che sentiva diversa da quella comune e piatta di tanti".

Ma c'era anche quel senso del destino che i compagni ricordano oggi; se dalla morte nasce la meditazione, scrive Satta commemorando un commilitone appena caduto, questa si risolve talvolta "in una serena calma, una calma assoluta, statica...allora la morte perde i suoi attributi di crudele falciatrice, di orrenda Parca, per esserci quasi amica, "sorella morte".
Così, quando ho saputo della morte del compagno, il mio animo non è stato travolto...mi sono invece sentito portare anch'io stesso in un mondo dove vagano gli spiriti nobili dei morti; e talvolta, per attrazione e per conquista, quelli dei vivi". Passano altri mesi di guerra. Poco tempo prima della fine, colpito in un duello, Satta si lancia con il paracadute e si salva, guadagnandosi un po' di ferite e anche la croce di ferro. In ospedale, insiste per tornare subito in volo. Maggio '44, ultime righe del diario: "Con la primavera la natura si è svegliata... i miei sensi attivi riprendono a respirare...Le sensazioni sono del tutto spirituali e mi riconducono alla grande madre, alla natura... anche se giungo allo spirito attraverso il peso delle mie spoglie, Dio stesso sembra immanente in questa ripresa di vita, in questo ardore che è tutto il mondo intero: un Dio infinito, fecondo, che vorrà perdonare le mie esuberanze". Poche ore dopo, la caduta fra i campi. Poi i 56 anni nel buio. Fino a ieri.

CORRIERE DELLA SERA Quotidiano del 1 ottobre 2000