Il “putsch” della birreria

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10 minuti prima dello scontro

Dopo aver scartato due piani precedentemente pianificati, ne improvvisò uno all’ultimo momento, non appena venne a sapere che Kahr, insieme al generale Lossow e al colonnello Seisser, avrebbe parlato in un raduno alla Bürgerbräukeller, una grande birreria nella periferia sudorientale di Monaco. Era una buona occasione per mettere le mani sull’intero triumvirato e di costringerlo, all’occorrenza anche con la forza, a fare la rivoluzione insieme ai nazisti. Hitler decise di agire immediatamente.

La sera dell’8 Novembre 1923, nella grande birreria, Kahr stava già parlando da circa mezz’ora dinanzi a circa tremila borghesi di Monaco. Hitler irruppe nella sala e sparò un colpo in aria con la sua rivoltella. Kahr, pallido e confuso, interruppe il suo discorso e la folla prestò attenzione a quel personaggio che intanto era andato a sistemarsi sul palco. Comunicò ai presenti che il governo bavarese e del Reich erano stati rovesciati e che l’esercito e la polizia stavano marciando in città sotto la bandiera della svastica. Tutto ciò era un bluff, ma certamente questa inscenata impressionò non poco i suoi spettatori. Intanto le truppe d’assalto, le SA, avevano assediato la sala all’interno e all’esterno. Con l’aiuto della sua rivoltella, invitò Kahr, Lossow e Seisser a seguirlo in una vicina stanza. Provò a convincerli minacciandoli con la forza ad appoggiarlo nella formazione del nuovo governo promettendogli posti chiave nelle alte sfere del potere, ma essi, coraggiosamente, rifiutarono. Intanto era stato mandato a chiamare Ludendorff, il quale dopo aver saputo le intenzioni di Hitler di sostituirsi a lui nel condurre la campagna controrivoluzionaria andò su tutte le furie. Nonostante tutto lo appoggiò, perché credeva nella causa portata avanti dal Führer. A quel punto, influenzati dalla decisione di quel grande eroe della prima guerra mondiale, i tre uomini accettarono di scendere a patti con Hitler. Tornati in sala esposero una breve allocuzione dove giurarono fedeltà ai compagni e al nuovo regime. La folla, dopo un’iniziale smarrimento per quel repentino mutamento dei fatti ma soprattutto dopo aver appreso che Kahr, Lossow e Seisser, i rappresentanti politici che essi sostenevano, si erano uniti a Hitler, cambiò immediatamente atteggiamento. Vi furono dei calorosissimi evviva, la folla saltava in un frenetico delirio sui tavoli e sulle sedie. Hitler era raggiante. Sentiva la vittoria ormai in pugno.

In seguito, tuttavia, commise un errore che risultò essere fatale. Subito dopo lo scioglimento della riunione Hitler si allontanò momentaneamente dalla birreria, lasciandola sotto il controllo di Ludendorff. Al suo ritorno, invece di trovare i suoi collaboratori alle prese con i nuovi impegni dettati dal nuovo regime, e dai loro nuovi incarichi politici, poté solo constatare che i tre uomini erano fuggiti. Il generale li aveva lasciati andare contando sulla loro parola.

Un’altro gravissimo contrattempo giunse dai distaccamenti delle truppe d’assalto, le quali avrebbero dovuto colpire la città in alcuni dei suoi punti vitali. Solo Ernst Röhm, a capo di uno dei distaccamenti, era riuscito a impadronirsi di uno di questi punti, il quartier generale del Ministero della Guerra, che tuttavia non aveva potuto conquistare del tutto come ad esempio l’ufficio telegrafico, dal quale partirono le informazioni che misero al corrente del putsch tutta Berlino. Il trionfo che a Hitler, all’inizio della serata, era sembrato così facile e vicino, s’allontanava sempre più col trascorrere del tempo. Venivano meno quelle basi che, come più volte Hitler aveva asserito, erano indispensabili per il successo di ogni rivoluzione politica: l’appoggio di istituzioni come l’esercito, la polizia, e il gruppo politico al potere. Neppure il nome di Ludendorff riusciva ad imporsi alle forze armate dello stato.

A quel punto Ludendorff propose un proprio piano che avrebbe senz’altro portato, secondo lui, al successo senza spargimenti di sangue. Era semplice: loro due, seguiti dai loro sostenitori, avrebbero marciato sulla città al fine di impadronirsene. L’esercito e la polizia, composti fondamentalmente da ex-combattenti, non avrebbero mai osato aprire il fuoco su di un generale che li aveva guidati in leggendarie imprese durante la guerra. Piuttosto che opporglisi, anzi, avrebbero preferito unirsi a lui e combattere ai suoi ordini. Il Führer era alquanto scettico, ma decise di provarci ugualmente.

La mattina del 9 Novembre, anniversario della proclamazione della Repubblica tedesca, Hitler e Ludendorff marciarono alla testa di una colonna di circa tremila uomini d’assalto tra i quali erano distribuite numerose armi. Poco dopo mezzogiorno i ribelli si avvicinarono al loro ultimo obiettivo: il Ministero della guerra, dove Röhm era ancora asserragliato insieme ai suoi uomini. Per arrivarvi la colonna passò per una stretta strada bloccata da un distaccamento di un centinaio di poliziotti armati di fucili. Uno degli uomini di Hitler intimò loro di tenere abbassate le armi perché era lì presente il generale Ludendorff. La pronuncia di questo nome non sortì alcun’effetto tra gli uomini della polizia.Poi ad un certo punto, la catastrofe. Qualcuno, aprì il fuoco; diversi uomini furono feriti e uccisi. Il futuro cancelliere fu il primo, subito dopo la sparatoria a rialzarsi e fuggire. Ludendorff fu arrestato sul posto. Il partito fu messo fuori legge. La carriera politica del suo dispotico capo pareva essersi conclusa tanto rapidamente quanto velocemente era cominciata.

Invece gli avvenimenti che seguirono dimostrarono che la sua carriera aveva ricevuto solamente una battuta d’arresto, e nemmeno tanto lunga.