Giosué Carducci

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Nato in Versilia, a Valdicastello, frazione di Pietrasanta (Lucca), il 27 luglio del 1835 da Michele, che esercitava la professione di medico, e Ildegonda Celli, figlia di un orafo fiorentino.

Trascorse nella cittadina lucchese soli i primissimi anni della sua infanzia, finche nel 1838 fu costretto a seguire il padre prima a Castagneto poi a Laiatico. Ma Michele con il ritorno del granduca di Toscana, Leopoldo II(1849), nella provincia, si sentiva isolato per le sue idee mazziniane e quindi si trasferì a Firenze. E Qui Giosuè compì i primi studi presso le scuole dei padri Scolopi di San Giovannino fino al 1852. Tra tutti gli insegnanti fu attratto particolarmente dal fisico Eugenio Barsanti e dal insegnante di retorica Geremia Barsotti che gli trasmise l'amore per Orazio e Fantoni. Ma già in precedenza egli aveva goduto dei benefici della biblioteca paterna nella fattispecie dei classici(Omero, Virgilio, Ovidio, oltre al poeta di Venosa) e Alfieri, Leopardi, Foscolo ma non disdegnando Giovanni Berchet, mostrava avversione per il Manzoni. Nello stesso anno nacque «l'Accademia dei Filomusi» di cui cofondatori furono Nencioni e Gargani.

É il caro padre Barsotti a consigliargli un concorso per un posto gratuito di convittore presso la Regia Scuola Normale di Pisa(1853)che poi vinse. Il tipo di insegnamento antiquato, lo colpisce in senso negativo ma nonostante ciò si laurea in filosofia e filologia con una tesi sul poema cavalleresco, nel 1855 a soli vent'anni! É dell'anno seguente, il primo incarico operativo, è professore di retorica presso una scuola di San Miniato al Tedesco(Pisa). Proprio in questo ambiente nacque il gruppo degli «Amici Pedanti» che vide tra le sue fila i già citati Nencioni e Gargani ma anche il Chiarini e che rivendicava la virtus e vis classica contro i sentimentalismi della seconda generazione romantica.

Sono anni travagliati e dolorosi quelli che seguono. Pubblicò presso il Ristori di San Miniato le Rime. Il 4 novembre del 1857 il fratello Dante si suicida, si dice, dopo un violento litigio col padre e il 15 agosto muore suo padre Michele per malattia improvvisa. La sua condotta si fa alquanto sospetta, tanto che deve cambiare ambiente e pur avendo vinto nel 1857 la cattedra di greco al Ginnasio di Arezzo, le sue idee repubblicano-giacobine e l'ateismo, dissuasero le autorità toscane a non assegnargliela. Allora visse dai proventi di lezioni private e dalle «cento lire toscane per tomo» che gli derivavano dalla direzione della collana «Diamante» presso l'editore Barbèra. Dopo tanto patire, un evento felice rasserena l'animo rinfrancandolo, infatti il 7 marzo del 1859 si sposa con la cugina Elvira Menicucci, il loro amore era sbocciato molti anni prima.

Adesso si apre una nuova stagione nella vita di Giosuè, è nominato professore di latino e greco nel liceo di Pistoia. Ma è nel 1860 che compie il salto di qualità ed è nominato dal Ministro della Pubblica Istruzione, Terenzio Mamiami, professore di eloquenza (poi letteratura italiana) all'Università di Bologna, aveva compiuto appena venticinque anni!!! Egli respira l'aria pura dello studio bolognese e legge oltre a Mazzini, scrittori e poeti come Hugo, Goethe, Von Platen, Shelly, Tierry, Bèrenger, Barbier, Quinet, Michelet, Teine, Blanc. Nel 1863 pubblica le Stanze, l'Orfeo, le Rime di Angelo Ambrogini (al secolo Poliziano) e due anni dopo pubblica l'inno A Satana che suscitò un vespaio di polemiche. L'inno forgiato dall'innato anticlericalismo carducciano, contrapponeva la cultura illumunistica, della rivoluzione, del progresso scientifico al Sillabo di Pio XI.

Il nuovo Ministro della Pubblica Istruzione Broglio (di ispirazione manzoniana) lo trasferisce d'ufficio, all'Università di Napoli, siamo nel 1868, ma egli non si piega al provvedimento che sa tanto di epurazione ideologica. Ha scagliato e continua a scagliare infatti, numerosi strali contro la mediocrità della classe politica italiana che non aveva saputo conseguire un unità completa e che aveva inibito ed emarginato, nella persona del re, Giuseppe Garibaldi.

Tuona in opere come Sicilia e rivoluzione, Dopo Aspromonte, Per il quinto anniversario della battaglia di Mentana. Ma la raccolta che incarna la denuncia, l'attacco è proprio Giambi ed Epodi(1867-69).Pubblica a Pistoia nel 1868 la raccolta Levia gravia e ripubblica un anno dopo l'Inno a Satana approfittando della concomitanza col Concilio Ecumenico.Le sue idee avverse alla politica governativa gli valsero la sospensione dell'attività e dello stipendio per tre mesi.Il '70 si apre e si conclude con avvenimenti funesti che lo colpiscono nell'intimo. Infatti gli muore la madre (3 febbraio) e il figlioletto Dante (9 novembre) di travaso celebrale. Da questo avvenimento luttuoso, nasce la struggente «elegia» Pianto antico. Ma chiusa questa infelice parentesi si apre per Giosuè una stagione di amori e di muse ispiratrici: l'affascinate Carolina Cristofori Piva è la Lina delle Primavere elleniche o la Lidia in altri passi, Adele Bergamini, Dafne Gargiolli è Lalage e la indimenticata Annie Vivanti.

Nel 1871 escono presso l'editore Barbèra di Firenze, le Poesie, raccolta che comprende Decennali, Levia graviae Juvenilia e due anni dopo è la volta di Nuove poesie(confluite nelle Rime nuove)presso il Galeati di Imola. Ma la sua attività si esplica anche in campo saggistico e filologico nell'opera Studi letterari e poi nel 1876 in Bozzetti critici e discorsi letterari. E dal 1875 si lega a Zanichelli per cui curerà molte edizioni delle sue opere. Nel 1877 ammira le vestigia dell'Urbe in compagnia di Lalage e nello stesso periodo presso lo Zanichelli esce la prima edizione delle Odi barbare, ma l'instancabile viaggiatore fa visita a Venezia e Trieste.Le sue posizioni radicali si ammorbidiscono e passa da un repubblicanesimo acceso alla monarchia.Tant'è vero che già nel 1878 colpito dal fascino della regina Margherita, moglie di Umberto I, le dedica l'ode Alla Regina d'Italia.

Nel 1880 escono presso lo Zanichelli, Juvenilia e quelli che seguono sono anni di intensa collaborazione anche con riviste letterarie come «Cronaca bizantina» di Sommaruga a Roma, presso cui usciranno «Confessioni e battaglie»,«Il Fanfulla della domenica», «La Domenica letteraria» e «La Domenica del Fracassa». Segue una edizione delle Nuove odi barbare presso lo Zanichelli(1882). L'ultimo anelito giacobino-repubblicano è rappresentato dalla raccolta di sonetti Ça ira, rievocazione della rivoluzione francese presso il Sommaruga(1883). Guai fisici lo debilitano infatti ha una paresi al braccio destro ma nonostante ciò, continua la sua fervente attività. Scrive un saggio in onore del Prati e sul Parini principiante, nel 1886 è nominato Accademico della Crusca. Nel 1887 tiene una prolusione su Dante all'università di Roma ed è sempre lui, un anno dopo, a celebrare l'ottocentenario dell'università di Bologna. Avvia presso lo Zanichelli la edizione completa delle sue opere(1889-1905)che lo impegna quasi fino alla morte. La sua attività culturale lo porta ad intervenire nel 1897 in senato, per la tutela e la pubblicazione degli scritti leopardiani. E siamo nel 1899 quando fa ristampare presso Zanichelli, Rime e ritmi e pubblica il commento, presso il Sansoni, alle Rime del Petrarca, che aveva composto con l'ausilio di Severino Ferrari. Contemporaneamente la paralisi gli preclude l'uso della mano destra.

Poesie(1859-1903)uscite presso lo Zanichelli, nel 1905, sono una raccolta scelta di opere. Ed è nel 1906 che riceve in Bologna, dall'ambasciatore di Svezia, il premio Nobel per la letteratura, morirà solo un anno dopo, nella notte fra il 15 e il 16 febbraio a Bologna, per broncopolmonite. Giace nella Certosa di Bologna.