La rubrica segreta delle spie

Per la prima volta uno storico ha potuto leggere l’agenda dei capi della polizia Bocchini e Senise dove erano custoditi i nomi degli informatori.


Negli anni trenta il capo della polizia fascista Arturo Bocchini annotò in una rubrica i nominativi dei suoi condifenti, con i nomi di copertura e i numeri in codice dei singoli spioni; quel registro, ereditato dopo la morte di Bocchini, nel novembre 1940, dal successore Carmine Senise, rivela altresì i complicati criteri d’inoltro della corrispondenza, a tutela delle “barbe finte”. Caduto il regime, il “registro delle spie” fu rinvenuto nella documentazione archivistica trasferita al Nord; il 31 ottobre 1945 il nuovo capo della polizia Luigi Ferrari lo consegnò al Commissariato per la punizione dei delitti fascisti, affinché se ne servisse per l’epurazione di quanti si erano compromessi con l’apparato repressivo del regime.
Custodito per decenni negli archivi del ministero dell’Interno come un imbarazzante reperto, il registro fu poi trasmesso all’Archivio centrale dello Stato, dove è rimasto a lungo fuori consultazione. Oggi quel documento finalmente desecretato, svela i suoi misteri. Si tratta di una grossa rubrica rilegata in pelle nera con angoli e dorso verdi, sul cui frontespizio è stampigliato il timbro “segreto”. In 230 pagine compaiono 372 nominativi di fiduciari diretti della Divisione polizia politica, con i recapiti ufficiali e clandestini di questo esercito di spie, impegnato nel decennio compreso tra la conquista dell’Abissinia e l’occupazione tedesca a raccogliere notizie e talvolta a ordire provocazioni per conto della polizia politica del Duce. 
A reggere il gioco spionistico erano alcuni funzionari del ministero dell’Interno, iscritti essi pure nel registro, sebbene con la precisazione “non è fiduciario”. Un ruolo di rilievo svolse Pietro Francolini (nome di copertura 1000 Senna), operativo presso il Regio consolato d’Italia a Parigi; da lui dipendevano alcuni elementi infiltratisi in Giustizia e libertà. Rosario Barranco (pseudonimo 2000 Varo) era distaccato presso il consolato generale d’Italia a Nizza, destinatario di plichi che smistava ai suoi confidenti: “Spedire lettere per corriere diplomatico, applicare i suggelli di ceralacca a tutta la corrispondenza; indirizzo privato da usare in casi urgenti ed eccezionali e solo per ordine del Sig. Capo divisione”. Terzo regista dello spionaggio oltralpe era Ettore Pettinati (Rodano 3000), aggregato al consolato di Marsiglia e quindi incaricato della Sezione speciale di polizia all’Ufficio Ps di Mentone; la Divisione polizia politica ricorse al corriere diplomatico anche per corrispondere con Pettinati.La rete segreta statunitense faceva invece capo a Umberto Paradossi (6000 Husdon), presso il consolato italiano a New York. 

Emerge dunque – dato preoccupante sul versante della storia delle istituzioni – il generalizzato utilizzo della rete diplomatica per foraggiare e gestire la rete spionistica all’estero. Nel plotone dei fiduciari spiccano i “fedelissimi”, reclutati in epoca liberale e rimasti negli organici durante il ventennio fascista, transitati indenni attraverso l’esperienza del governo Badoglio e quindi attivi sotto le insegne della RSI o addirittura tornati al vecchio lavoro in epoca democratica.

Soltanto la morte troncò la carriera dei più navigati “spioni di lungo corso” alcuni dei quali celavano dietro la facciata sovversiva un’inimmaginabile fedeltà alle istituzioni: è il caso dell’anarchico Bernardo Cremonini (6 Solone), attivo nell’emigrazione politica in Francia. Le politiche mutavano, i regimi cadevano, ma le più provette spie restavano al loro posto, fedeli al potere, chiunque lo detenesse.

I vertici della polizia coprivano di mille attenzioni i loro affiliati, come traspare dai criteri indicati per le spedizioni al ragionier Federico Crivelli (301 Osvaldo), longa manus spionistica nel Canton Ticino: “Indirizzare a Quirighetti Giulio, fermo posta Campione d’Italia – Assegni: tramite comm. Assirelli – Per eventuali comunicazioni inviare a Lugano a suo nome, via Trevano 2b, cartolina illustrata di saluto e ciò varrà a far sapere al fiduciario che a Campione vi è corrispondenza per lui –Se non si tratta di cose urgentissime, non spedire ogni giorno, ma raggruppare le lettere spedendo una volta la settimana – La cartolina illustrata d’avviso non scriverla sempre nello stesso modo mettendo sempre la stessa forma di saluti in un angoletto: variare per non dare sospetto al portalettere. Variare anche il tipo di cartoline. La corrispondenza deve essere spedita tramite il questore di Milano”.

Per gli studiosi del sistema repressivo fascista lo squallido campionato del registro rappresenta un’essenziale banca dati che, mediante trattazione incrociata ed elaborazione al computer, consente interessanti scoperte. Spicca ad esempio la straordinaria estensione del “gruppo Menapace”, probabilmente la più ramificata rete fiduciaria esistente negli anni Trenta, forte di una dozzina di elementi capitanati dal trentino Ermanno Menapace (98 Spandri), la cui opera fu sperimentata in Francia, in Belgio e nell’Africa italiana.

Il rapporto fiduciario s’interrompeva ogni due ordini di motivi: a) soggettivi, ovvero inaffidabilità o inefficacia del confidente; b) oggettivi, legati a ristrutturazioni della rete motivate da esigenze generali. La dimissioni si ebbero in rari casi. Anni di esistenza segreta sotto il segno della collaborazione volontario con la polizia ostacolavano il ritorno a una vita normale, con la rinunzia a lucrosi proventi e al senso d’onnipotenza insito nel rapporto privilegiato con la struttura repressiva del regime. Un’ondata di licenziamenti fu disposta tra l’autunno 1939 e la primavera 1940: l’occupazione nazista della Francia privò gli esuli politici del principale retroterra e sconsigliò il mantenimento di un costoso apparato di controllo.

Crollato il regime, una parte dei personaggi censiti nell’infamante catalogo scansò l’inserimento nell’”elenco nominativo dei confidenti dell’Ovra” pubblicato sul supplemento alla Gazzetta Ufficiale del 2 luglio 1946. Sospetti di omissioni compiacenti e di salvataggi per questo o quel personaggio aleggiarono da subito, e l’impossibilità di accedere al “documento principe” autorizzò ogni illazione. 

Oggi, dal raffronto tra i diversi elenchi, si scopre che a passarla liscia furono anzitutto i giornalisti alcuni dei quali – pure segnati nella rubrica dei confidenti – furono ignorati dalla Gazzetta Ufficiale. Emblematici i casi di Gian Carlo Govoni, Ubaldo Silvestri e Alberto Giannini. Govoni, (770 Pisa: riceveva i denari nell’abitazione romana di via Pisanelli), direttore dell’Agenzia International News Service, era corrispondente dei quotidiani Tribuna, Sera e Gazzetta del Popolo. Silvestri (796), già redattore della Giustizia e del Resto del Carlino, nonché collaboratore del Messaggero, nel dopoguerra fu segretario di redazione del Popolo. Giannini, fondatore nel 1924 del settimanale satirico antimussoliniano Il becco giallo, durante l’esilio in Francia aveva mutato orientamento politico e finì ignominiosamente sul libro paga di Bocchini insieme alla sua convivente; i compensi gli venivano pagati a Roma, in corso Trieste 171.

Il quadernone di Bocchini conferma inequivocabilmente lo status spionistico del romanziere Pitigrilli, designato coi nomi di copertura femminei di “Maria Rosa” e “Ivonne”. Egli riceveva alternativamente denaro e richieste di informazioni al recapito torinese di Corso Perschiera 28 e all’alloggio parigino dell’Hotel de Lutéce, 5 rue Chaplain. Scoperto dagli antifascisti nel 1939, lo scrittore fu di lì a poco scaricato dalla polizia segreta, come si desume dall’ultima impietosa annotazione apposta sul foglio a lui intestato: “Licenziato”. Il registro riflette una schiera di personaggi asserviti a un potere straordinariamente abile nell’utilizzo degli strumenti occulti di controllo dell’opinione pubblica. Accanto ai doppiogiochisti reclutati nelle file dei dissidenti ritroviamo un cospicuo numero di benpensanti, persone comuni immerse nella vita di quartiere o attive nelle professioni liberali, che – con sdoppiamento sconcertante – fornivano rapporti sul loro ambiente e sulle loro frequentazioni. Queste spie erano cittadini qualunque, persone – almeno apparentemente – “senza qualità”: eroi sconosciuti del loro tempo (l’era fascista), servitori segreti della dittatura, assistenti volontari vendutisi un tanto al mese alla polizia politica.

fonte: Corriere della Sera