Eventi - I fatti di Valmozzola del marzo 1944

Articolo della “Gazzetta di Parma” del 15 marzo 1944.Era una fredda e limpida domenica mattina di fine inverno quando più di una quarantina di ribelli, appartenenti a una delle formazioni che si erano andate costituendo nei tre mesi precedenti, assaltò un convoglio ferroviario alla stazione di Valmozzola, in quella che fu una delle prime clamorose azioni di guerra partigiana nel Parmense.

Su quel treno, il diretto n. 2340 proveniente da La Spezia con destinazione Parma, erano presenti varie componenti delle forze armate del duce: uomini della X Flottiglia Mas, carabinieri, militi della Guardia nazionale repubblicana. Come si evince da un rapporto della questura di Parma del 25 marzo 1944, indirizzato al ministero dell'Interno,“verso le ore 9,20 del 12 marzo, alla stazione di Valmozzola, circa una sessantina di Ribelli, al passaggio del treno 2340, immobilizzavano con minacce il capostazione e, saliti sul convoglio, con violenza liberavano tre ribelli arrestati che dai Carabinieri venivano tradotti a Parma”. L'improvvisa azione dei partigiani provocò la reazione dei militari fascisti: morirono due sottotenenti della X Mas, il suo vice capo squadra della Gnr, oltre “ad un individuo non identificato appartenente alla banda degli assalitori”.

Restarono feriti altri quattro militari, uno dei quali morì poche ore dopo. Lo sconosciuto, “il capo dei banditi”, era Mario Betti, uno dei personaggi più misteriosi e, per certi aspetti, affascinanti dei primi tempi della Resistenza. Dopo aver liberato i prigionieri, i partigiani ripiegarono verso la montagna, dividendosi in due gruppi. Uno di questi, comandati da “Tullio”, spezzino, da poche settimane aggregatosi alla formazione di Betti, prelevò sei militari catturati nel treno. Il 13 marzo, il prefetto di La Spezia, Franz Turchi, in un telegramma diretto al ministero dell'Interno, assicurò di avere inviato 300 uomini della X Mas in provincia di Parma e di Massa Carrara.

In una nota destinata anch'essa al ministero dell'Interno, datata 16 marzo 1944, il prefetto poneva in rilievo lo stato di pericolo rappresentato dal ripetersi, con frequenza e “apparente audacia”, di azioni terroristiche da parte dei ribelli. Il prefetto di La Spezia esprimeva il parere che fosse necessaria una azione “concentrica e repressiva” per evitare lo spostamento dei ribelli nelle varie province. Turchi riteneva pertanto opportuno che i Capi delle province di Genova, La Spezia, Apuania (attuale La Spezia) e Parma si riunissero a La Spezia per discutere insieme delle strategie di intervento.

L'assalto al treno provocò l'avvio di un massiccio rastrellamento in tutta la zona del Pontremolese da parte di truppe tedesche e della X Mas.

I partigiani catturati furono prima condotti presso il carcere di Pontremoli e successivamente a Valmozzola, ove vennero fucilati per rappresaglia contro l'azione dei ribelli di cinque giorni prima, con l'eccezione di Mario Galeazzi, l'ultimo arrivato nel gruppo, per il quale il comandante Ubaldo Cheirasco supplicò la grazia, facendo credere che lo stesso Galeazzi fosse stato costretto a entrare nei ranghi della resistenza pochi giorni prima. Erano giorni difficili per il giovane movimento partigiano.

I primi di marzo 1944, un'altra grande figura della resistenza del Parmense cadeva in un combattimento contro un reparto della X Mas, a Succisa di Pontremoli. Si trattava di Fermo Ognibene, medaglia d'oro al valor militare alla memoria, antifascista modenese, aderente al Partito comunista clandestino già dalla metà degli anni Trenta, quando ancora era minorenne. “Alberto”, questo era il suo nome di battaglia, nell'ottobre del 1943 venne inviato dal suo partito a Parma, con l'incarico di organizzare la resistenza armata. Tra novembre e dicembre del 1943, Ognibene diede forte impulso alla formazione dei primi nuclei ribelli che confluirono dopo il Natale nel gruppo di Mario Betti.

Tra Ognibene e Betti non vi fu però alcun contatto diretto, dato che, quando quest'ultimo giunse nella zona di Bardi, il modenese si era già trasferito nei comuni di Bedonia e Borgotaro ove fondò il distaccamento “Picelli”. Curiosamente però il nome di Ognibene venne collegato in modo erroneo all'attacco partigiano di Valmozzola, dal momento che un informatore della questura, in un rapporto del 5 aprile 1944, scrisse che “Ognibene partecipò al fatto di Valmozzola ed affreddò quel tenente della X Mas […]

Attualmente fa le sue scorribande in zona Bedonia e Borgotaro”. Ciò non poteva evidentemente corrispondere al vero, perché il 5 aprile Fermo era già deceduto da 20 giorni. Un aspetto misterioso è rimasto legato nel corso di tutti questi anni alla vicenda dell'assalto al treno di Valmozzola e in particolar modo alla figura del comandante Mario Betti. È apparso per certi versi incredibile che nessuno abbia stabilito chi in realtà egli fosse né da dove provenisse. Parimenti incredibile è che in tanti anni nessun familiare si sia fatto vivo per chiedere notizie di lui.

Di questo sconosciuto che diceva di chiamarsi Mario Betti e che affermava di essere tenente, si è scritto a proposito delle vicende di guerra partigiana, in cui egli svolse un ruolo di fugace protagonista tra il dicembre del '43 e il marzo del '44.

Nulla è mai stato possibile chiarire sulla sua vera storia, prima del suo approdo nelle nostre montagne, di sicuro proveniva da un'altra provincia, probabilmente da quella di Piacenza. Non è stata inoltre individuata alcuna persona che conoscesse veramente Mario Betti, prima della sua comparsa nella lotta armata, ove assunse in brevissimo tempo il ruolo di comando di uno dei primi gruppi partigiani del Parmense. Era difficile d'altronde comprendere come, pur in un periodo embrionale della Resistenza, dopo lo sbandamento dell'esercito italiano e del governo in una fase di notevole disorganizzazione, senza un saldo controllo politico e militare del Cln, una persona sconosciuta assurgesse a un ruolo di comando su decine di giovani delle nostre valli. Il cadavere di Betti rimase sul treno in quanto è probabile che, nella concitazione del momento, i suoi uomini non fossero riusciti a prelevarlo. Secondo testimonianze attendibili, quando i partigiani si stavano già ritirando, avendo egli notato la presenza di un altro militare nemico nascosto sul treno, ritornò sui suoi passi per affrontarlo direttamente.

In quel momento vi fu una forte deflagrazione causata dallo scoppio di una bomba a mano e il comandante partigiano si accasciò sul pavimento insieme a un ufficiale della Guardia nazionale repubblicana. Il treno riprese la marcia giungendo a Parma dove, dopo alcuni giorni, il corpo di Betti venne sepolto presso il cimitero della Villetta. Dal 1947 la salma riposa nel quadro 84, avello 18, riservato ai caduti partigiani, riportante la dicitura di “partigiano sconosciuto”. Lapide posta sul muro esterno della stazione di Valmozzola nell’immediato dopoguerra.Nei ricordi di chi lo ha conosciuto durante il periodo della lotta armata, nei giorni che vanno dalla fine di dicembre '43, quando Betti costituì il primo nucleo di ribelli a Pianelleto di Bardi, alle pendici del monte Barigazzo, è scolpita l'immagine di un uomo sui 40 anni, risoluto nel suo antifascismo viscerale, nonché quella di un buon organizzatore della lotta armata. Però Betti non parlò mai della sua vita privata né della sua famiglia o di altro che potesse costituire elemento utile per ricostruire la sua vicenda umana. Ricerche condotte nel corso di questi ultimi anni hanno portato a identificare il misterioso Mario Betti in Mario Devoti, nato a Carpaneto Piacentino nel 1902, dichiarato irreperibile nei registri anagrafici del dopoguerra. Non è stato possibile ricostruire nei dettagli le fasi della sua esistenza, condotta comunque in modo solitario ed errabondo svolgendo varie attività, tra le quali quella di avventizio in agricoltura e di commerciante ambulante di tessuti e stoviglie. Come tale egli d'altronde era ricordato a Bardi, ove si recava frequentemente al mercato del giovedì a vendere vasellame. Non si sa come Betti abbia potuto aderire alla resistenza armata, considerato che non sembra che egli avesse svolto attività politica negli anni precedenti. È comunque certo che Mario Betti visse in modo originale e con autentico slancio di passione, quei cento giorni circa di guerriglia partigiana, combattendo valorosamente contro la tirannide nazi-fascista.