La battaglia per l'atollo di Wake

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L'ammiraglio Kimmel, il comandante della Pacific Fleet a Pearl Harbor, aveva, predetto che allo scoppio della guerra una delle prime operazioni giapponesi sarebbe stata diretta contro Wake; e le prime truppe di presidio vi erano arrivate nell'agosto 1941. In novembre, mentre tutte le armi della difesa erano state sistemate nelle loro postazioni, vi erano meno di 400 marines per impiegarle. Oltre ad avere soltanto un terzo della guarnigione prevista, Wake risentiva di altre mancanze. Buona parte degli impianti per la direzione di tiro non era ancora arrivata. i radar destinati a Wake erano ancora a Pearl Harbor in attesa di imbarco e non vi erano mine, né filo spinato, né ricoveri per proteggere gli aerei.

Il 4 dicembre, tuttavia, dodici nuovi Grumman Wildcat del 211° gruppo dei marines (VMF211) levatisi in volo dalla Enterprise, atterrarono sull'isola. i nuovi arrivati fecero salire a 449 il totale dei marines presenti, tra forze di terra e aviazione. Il comando delle difese a terra era affidato al maggiore James P.S. Devereux, mentre il comandante del VMF211 era il maggiore Paul A. Putnam. Il comandante dell'atollo, che aveva sostituito nell'incarico Devereux il 28 novembre, era il capitano di fregata W.S. Cunningham.

Il 3 dicembre, il contrammiraglio giapponese Kajioka, la cui insegna era issata sul l'incrociatore Yubari, guidò una formazione di incrociatori, cacciatorpediniere, unità da trasporto e sommergibili a gettare le ancore al largo di RoiNamur, nella grande laguna di Kwajalein. Con l'appoggio della 24ª squadriglia di aerei terrestri Kajioka avrebbe dovuto impadronirsi di Wake. Dopo che le posizioni americane fossero state adeguatamente battute dai bombardieri, Kajioka sarebbe sbarcato per occupare l'isola.

Alle ore 6.50 dell'8 dicembre 1941 dalle Hawaii giunse una segnalazione: i giapponesi stavano attaccando Pearl Harbor e il campo d'aviazione Hickham. Pochi momenti dopo per i marines risuonò il segnale di allarme. Verso mezzogiorno Wake fu avvolta da violenti scrosci di pioggia. Mentre i Wildcat erano in volo di ricognizione a nord, 36 bombardieri giapponesi sopraggiunsero a bassa quota da sud. Il primo a vederli fu l'ufficiale comandante di una batteria contraerea che ordinò ai suoi uomini di aprire il fuoco.

Tutta la violenza dell'attacco si abbatté sulla pista di decollo degli aerei. Sette caccia americani furono incendiati o distrutti. Il fuoco distrusse le già esigue scorte di attrezzi, parti di ricambio e manuali di istruzioni del gruppo. L'impianto radio per il collegamento aria terra fu inutilizzato. Dei 55 ufficiali e uomini che si trovavano a terra al momento dell'attacco giapponese, il VMF211 registrò 23 morti (compresi 3 piloti) e 11 feriti. I giapponesi erano soddisfatti. Avevano distrutto due terzi dei caccia di Wake, avevano inflitto gravi danni agli impianti e se ne erano tornati incolumi alla base.
I bombardieri giapponesi tornarono il giorno dopo alle 11.45, ma questa volta i piloti non ebbero la possibilità di ridere troppo. Prima che gli aerei giapponesi potessero sganciare le loro bombe, i quattro caccia di Putnam in condizioni di volare piombarono sulla formazione nemica. Contrastati dalla contraerea, e dai caccia i giapponesi bombardarono nuovamente Wake, lasciando alle loro spalle fuoco e rovine, ma questa volta solo 14 bombardieri rientrarono alla base.

Anche se la contraerea ed i caccia continuavano a battersi con grande efficacia, altri tre bombardieri vennero abbattuti il terzo giorno, l'ammiraglio Kajioka si ritenne soddisfatto dei danni fino a quel momento arrecati alle difese di Wake. La ricognizione segnalava costruzioni rase al suolo, esplosioni, grandi incendi e innumerevoli crateri, tutto sembrava distrutto. Il 9 dicembre la formazione navale giapponese riprese il mare per occupare Wake.

Arrivate al largo dell'atollo prima dell'alba dell'11 dicembre, le forze da sbarco giapponesi cominciarono a trasferirsi sulle imbarcazioni. Allo spuntare del giorno la nave ammiraglia di Kajioka, altri due incrociatori e sei cacciatorpediniere diedero inizio al bombardamento. Avvicinandosi progressivamente, i giapponesi fecero piovere su Wake una grande quantità di proietti, senza ricevere alcuna risposta.

Alle ore 6.15, dopo un bombardamento durato 45 minuti, il maggiore Devereux decise che i giapponesi erano ormai entro il raggio di azione dei cannoni di Wake. Egli diede quindi l'ordine di aprire il fuoco. La prima a fare centro fu la batteria di Peacock Point. La nave ammiraglia di Kajioka fu colpita alla linea di galleggiamento da due proietti da 127 mm che perforarono lo scafo ed esplosero. Mentre le falle cominciavano ad eruttare vapore e fumo, un'altra salva raggiunse il bersaglio appena più a poppa della precedente. Rallentando, lo Yubari si allontanò, mentre un cacciatorpediniere creava una cortina fumogena per proteggerlo.

All'altra estremità di Wake la batteria da 127 mm dell'isola Wilkes stava seguendo i movimenti di tre cacciatorpediniere. Quando lo Ynbari venne colpito, queste unità si avvicinarono alla costa sparando. In prossimità della scogliera lo Hayate, che guidava la formazione, si dispose parallelamente alla costa. Da meno di 4.000 metri la fiancata dell'unità giapponese era un bersaglio allettante, il comandante della batteria aprì il fuoco: alla terza salva lo Hayate fu scosso da una violentissima esplosione. Non appena diradatisi il fumo, gli spruzzi di acqua sollevati dall'esplosione e i rottami, gli artiglieri americani poterono vedere che la nave era ormai fuori combattimento e stava rapidamente affondando (l'equipaggio riuscì però a portarla in secca). Fu quella la prima nave da guerra giapponese distrutta nel corso del conflitto.

La batteria aprì nuovamente il fuoco sulla seconda nave della colonna. Anch'essa fu colpita e, come lo Yubari, si ritirò protetta da una cortina fumogena. I serventi al pezzo riuscirono poi a colpire un altro incrociatore, una nave da trasporto ed altri due cacciatorpediniere. Poco dopo le ore 7 Kajioka fu costretto a ritirarsi.

I quattro caccia di Putnam, erano decollati all'alba per intercettare eventuali aerei di scorta delle unità navali attaccanti, ed e¿ano muniti anche di bombe per il caso che i caccia giapponesi non fossero intervenuti. Putnam guidò i suoi Wildcat in picchiata attraverso un intenso fuoco di sbarramento, e attaccò due incrociatori. Non appena sganciate le bombe, i piloti si precipitarono a Wake per rifornirsi. La seconda ondata colse frutti ancora maggiori. Il capitano Henry T. Elrod colpì il cacciatorpediniere Kisaragi, il cui carico in coperta era costituito da bombe di profondità. L'esplosione che ne seguì sembrò quasi strappare via le ali del caccia e il Kisaragi scomparve.

I cannoni e i pochi aerei di Wake avevano bloccato un attacco anfibio, affondato due navi da guerra danneggiandone altre sette, e ínflitto ai giapponesi la perdita di circa 700 uomini (quasi tutti morti). I marines avevano avuto soltanto 4 feriti ma avevano subito una perdita più grave: due dei preziosi Wildcat, colpiti, erano stati costretti ad atterraggi di fortuna.

Per i difensori di Wake i giorni che seguirono quell'attacco furono praticamente indistinguìbili l'uno dall'altro. Ogni giorno vi era almeno una pesante incursione aerea, ma i caccia contrastarono ogni attacco ed i cannoni non smisero mai di rispondere al fuoco nemico, anche se ormai erano rimasti efficienti solo una centrale di tiro e un telemetro di quota. Secondo lo stesso Putnam, i tecnici svolsero un'attività eccezionale ridotti con pochi attrezzi e nonostante la completa mancanza delle più comuni apparecchiature, riuscirono a portare a termine i più diversi tipi di riparazione e di sostituzione.

Ma le risorse di Wake stavano esaurendosi. Il 17 dicembre il comandante dell'atollo informò Pearl Harbor che più di metà dei mezzi di trasporto e delle attrezzature di riparazione era distrutta, la benzina in massima parte consumata, tutte le officine ed i magazzini scomparsi ed il morale dei civili alquanto basso.

Nel frattempo da Pearl Harbor era partita, al comando del contrammiraglio FJ. Fletcher, una formazione destinata a soccoriere la guarnigione di Wake; essa comprendeva la portaerei Saratoga recante a bordo un gran numero di aerei, ed un nuovo gruppo per Wake, 3 incrociatori muniti di cannoni da 203 mm e 9 cacciatorpediniere. Ma la navigazione della formazione era rallentata dall'unica nave appoggio disponibile, un vecchio residuato della prima guerra mondiale la cui velocità massina era di soli 12 nodi. Il 22 dicembre la formazione di soccorso era soltanto a 515 miglia da Wake ma poi, effettuando le operazioni di rifornimento, Fletcher navigò per quasi una intera giornata verso nord anziché verso ovest in direzione del suo obiettivo.

Dopo aver nuovamente ripreso la direzione di Wake, il 23 dicembre la formazione si trovava a 425 miglia dall'isola; quando ormai era troppo tardi per procedere oltre, Fletcher fu richiamato indietro. L'alto comando non sapeva che in quel momento a est di Wake si trovavano 4 incrociatori giapponesi completamente sprovvisti di ogni appoggio aereo, se soltanto la Saratoga avesse potuto lanciare i suoi aerei e se gli americani fossero stati a conoscenza di questo fatto, la storia di Wake sarebbe forse stata diversa.

Il 21 dicembre Kajioka salpò nuovamente da Roi. Questa volta egli aveva a propria disposizione altri incrociatori e cacciatorpediniere, nonché un battaglione di truppe da sbarco frettolosamente trasferito in quel settore da Saipan. Egli disponeva anche di due portaerei: la Soryu e la Hiryu. Gli uomini delle truppe da sbarco erano a bordo di due vecchi cacciatorpediniere che dovevano ad ogni costo raggiungere la costa di Wake. Ma a favore dei giapponesi giocava anche un altro importantissimo fattore: Kajioka sapeva che la guarnigione dell'isola non aveva più neppure un aereo, in quanto l'ultimo era stato abbattuto il 22 dicembre nel corso di una disperata battaglia con gli Zero ed i bombardieri in picchiata delle portaerei.

Il 23, subito dopo mezzanotte, nel bel mezzo di una violenta burrasca, i giapponesi si disposero in formazione al largo della costa meridionale di Wake. Alcuni mezzi da sbarco avrebbero fiancheggiato la rapida corsa dei cacciatorpediniere fino alle spiagge; a bordo di battelli pneumatici alcuni uomini si sarebbero spinti nella laguna per poi infiltrarsi tra le linee nemiche. Al segnale convenuto essi diressero verso la costa, ed i cacciatorpediniere si portarono in secca e le mitragliatrici aprirono il fuoco. Il solo cannone che potesse sparare sui cacciatorpeffiniere portati in secca sulla costa si trovava in prossimità della pista, i seventi riuscirono a piazzare 15 granate sul cacciatorpediniere più vicino. Mentre i soldati giapponesi cercavano di gettarsi in salvo, la nave esplose e la poppa andò distrutta. Ma in quella luce i di difensori poterono scorgere un gran numero di giapponesi sciamare a terra dall'altra nave e da alcune chiatte da sbarco schierate lungo la spiaggia.

Entro l'alba, almeno 1.000 giapponesi erano sbarcati; combattendo tra le sterpaglie ed i macigni dell'estremità meridionale dell'isola, essi riuscirono ad occupare il campo di aviazione, ma dovettero fermarsi davanti al perimetro difeso dai superstiti dei 211° gruppo che, dopo la perdita dell'ultimo aereo si erano organizzatì in un reparto di fanteria. A nord della pista, il maggiore Devereux difendeva un fronte alquanto precario che attraversava l'altra estremità dell'isola; ma non era dato di sapere quanto a lungo 40 fucilierí avrebbero potuto resistere contro centinaia di uomini.

Devereux si recò da Cunningham, per verificare se fosse almeno possibile sperare nell'arrivo di qualche aiuto. Poiché la risposta fu negativa, Devereux illustrò quanto disperata fosse la situazione; dopo di che Cunningham andò a mettersi in alta tenuta per la cerimonia della resa. Con una bandiera bianca, Devereux si diresse verso le linee giapponesi.

Non disponendo di radar, avendo solo metà degli uomini necessari per impiegare i suoi cannoni e sprovvista di fanteria di riserva, Wake non poteva che cadere una volta che i suoi caccia non fossero più stati in grado di contestare al nemico il controllo dell'aria. Il fatto che questa manciata di marines fosse riuscita a resistere per più di due settimane, affondando navi giapponesi. abbattendo 21 aerei e combattendo fino all'ultimo, ebbe se non altro l'effetto di infondere a tutti i soldati coraggio e decisione.