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Gli aerei nella Seconda Guerra Mondiale
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Gli aerei nella Seconda Guerra Mondiale

Quando nel 1939 scoppia la Seconda Guerra Mondiale, l’aeroplano è ormai una macchina tecnicamente evoluta e la potenza dei propulsori si aggira sui 1000 CV. Con la Seconda Guerra Mondiale l’aeronautica entra in una nuova era le cui fondamentali realizzazioni sono costituite dal trionfo del monoplano, dal raggiungimento di altissime velocità e dalla realizzazione della propulsione a reazione. Negli anni del conflitto, che vedono la costruzione di oltre 500.000 aerei, le massime velocità salgono da 550 a 750 Km./h per i veicoli da caccia e da 450 a 650 Km./h per i bombardieri. La propulsione a getto viene utilizzata anche per le prime telearmi germaniche: la V1, piccolo aereo senza pilota munito di un pulsoreattore, ed il razzo V2, primo missile moderno. Le più avanzate applicazioni della radiotecnica vengono sfruttate nell’aeroporto con il radar, cui gli Inglesi debbono la decisiva vittoria nella Battaglia d’Inghilterra (1940). L’aeroplano si manifesta arma decisiva in tutte le principali operazioni. Gli impressionanti sviluppi dell’aeronautica durante l’ultima guerra hanno più il carattere di affinamenti tecnologici ed applicativi che non quello di progresso nei principi fondamentali del volo e della propulsione: le basi dell’aerodinamica delle alte velocità sono infatti già state poste da parecchi anni, mentre i fondamenti teorici della propulsione a reazione risalgono addirittura, nella loro enunciazione su basi razionali, all’opera di Newton.

Parlando del nostro Paese, c'è da dire che il  10 giugno 1940, la Regia Aviazione Italiana disponeva complessivamente di 594 velivoli da caccia-assalto: 177 anziani biplani Fiat CR32 (serie Ter e Quater); 202 più moderni Fiat CR42; 89 caccia monoplani Fiat G50; 77 Macchi MC200; 7 idrovolanti biplani Ro44; 12 Breda Ba 65 e 30 bimotori Breda Ba 88. Di questi pochi aerei, gli unici ad essere in grado di svolgere con efficacia il ruolo di intercettatori risultavano essere i caccia della Fiat e Macchi.

Gran parte dei piloti della Regia Aeronautica che nel corso della guerra si distinsero nel ruolo di cacciatori, ebbero quindi modo di iniziare la loro difficile carriera essenzialmente ai comandi di quattro tipi di macchine : i biplani CR32 e CR42 e i monoplani MC200 e G50,  aerei che, a causa della loro bassa forza motrice e del loro limitato armamento di lancio, risultavano inferiori a quasi tutti gli altri caccia messi in campo nel medesimo periodo da Francia e Inghilterra.Nel giugno del 1940, la Francia, sebbene vicina al collasso militare, poteva fare conto su un buon numero di solidi intercettatori Morane-Saulnier MS406 e di più avanzati Dewoitine D520, mentre l'Inghilterra aveva nei robusti Hawker Hurricane MK I e negli agili e veloci Spitfire MK I i suoi punti di forza.

Se sotto il profilo della maneggevolezza e della solidità almeno i Fiat CR42, i Fiat G50 e soprattutto i Macchi MC200 potevano,se ben pilotati, tenere testa ai Morane francesi e agli Hurricane inglesi della RAF, dal punto di vista dell'armamento e della velocità, l'inferiorità degli aerei italiani appariva tale da costringere i piloti ad effettuare autentiche prodezze per cercare di annullare il pericoloso divario. Basti  pensare che gli Hurricane e gli Spitfire filavano a 505 e 570 chilometri l'ora (contro i 440 dei CR42 e i 500 dei MC200) e che erano armati con ben otto mitragliatrici alari Lewis da 7,7 millimetri, contro le uniche due Breda da 12,7 (i Morane che toccavano i 485 chilometri l'ora erano armati con un cannoncino da 20 millimetri e con due mitragliatrici alari da 6,5, mentre i Dewoitine, che raggiungevano 530 chilometri l'ora, erano dotati di un cannoncino da 20 millimetri e 4 mitragliatrici alari da 7,5 millimetri).

Tuttavia, fu soprattutto a causa della scarsa potenza dei motori di fabbricazione nazionale che la caccia italiana dovette affrontare un avversario quasi sempre superiore.In buona sostanza, dal giugno del 1940 al novembre del 1941, i cacciatori italiani dovettero affrontare impegni di combattimento che li videro, quasi regolarmente, in condizioni di netto svantaggio: inferiorità resa ancora più marcata da un’ impressionante differenza numerica.

Per dare un'idea della situazione in cui si vennero a trovare i piloti italiani delle varie specialità nel corso della prima parte del conflitto che portò il paese alla rovina (10 giugno '40 - 8 settembre '43), basti pensare che l'industria aeronautica nazionale riuscì a consegnare loro soltanto un totale di 11.508 velivoli (dal giugno '40 all'agosto '43), cioè meno di quanti ne produsse l'industria inglese nel 1940, cioè 15.000.

Senza contare che l'Inghilterra e tutti i Paesi del Commonwealth britannico poterono, nel corso del conflitto usufruire di non meno di 35.000 velivoli forniti dagli Usa: cifra compensativa delle poche centinaia di aerei ceduti dalla Germania all'Italia dal settembre '40 all'agosto '43.