Alla fine della Seconda Guerra Mondiale
alcuni sostenevano che le guerre facevano BENE!!



Sostenere che una guerra sia un bene, al di là di qualche boutade marinettiana, ci pare un tantino azzardato; tuttavia, per l'economia degli USA, la seconda guerra mondiale Ë stata davvero, come già avevamo anticipato quando ci siamo occupati della crisi del '29, decisamente un toccasana.

Quando i carri armati di Hitler invasero la Polonia, negli USA c'erano ancora dieci milioni di disoccupati, mentre, grazie all'enorme sforzo chiesto all'industria dalla produzione bellica, nel 1945 i disoccupati erano scesi a soli due milioni: Gore Vidal, intellettuale statunitense decisamente fuori dal coro, sostiene che ancora oggi l'industria americana si regga sulle guerre, senza le quali inizierebbe a boccheggiare; questo spiegherebbe il fatto che, quando non ci sono conflitti in giro, il Pentagono si inventi qualche crociata in difesa della pace mondiale e , di fatto, metta in piedi una nuova guerra dal nulla: gli esempi, anche recentissimi, non mancano.

Gli USA uscirono dalla guerra più forti, più competitivi e, soprattutto, indenni da un punto di vista infrastrutturale, rispetto ai competitori economici europei, prostrati dai sacrifici bellici, con gran parte degli impianti produttivi danneggiati ed una produzione industriale che raggiungeva a stento la metà di quella del 1939.

La vecchia Europa si dibatteva tra i gorghi di un debito pubblico cresciuto spaventosamente (più o meno del 300%) e di un'inflazione che aveva aumentato il costo della vita di due volte e mezza rispetto a prima della guerra (non in Italia, in cui l'aumento fu del 2000%!).

Questo diede agli Stati Uniti un vantaggio incolmabile, nonché una supremazia finanziaria assoluta su tutto il pianeta.
Nel 1945, tanto per capirci, gli USA detenevano il 75% dei capitali investiti nel mondo ed il 70% delle riserve auree della terra; dagli USA, inoltre, proveniva la maggior parte dei prodotti finiti che circolavano nel mondo: l'80% delle automobili e degli aeroplani, il 52% dell'acciaio, il 58% del petrolio.

Forti di questa situazione, gli USA, già nel 1944, durante gli accordi di Bretton Woods, riuscirono ad imporre il proprio punto di vista in tema di politica economica ai propri partners (44 paesi): questi accordi divennero operativi nel dicembre del 1945.
Le condizioni erano chiare: libera convertibilità monetaria, rinuncia al protezionismo a favore dello sviluppo di un libero mercato (a tutto vantaggio di chi aveva un'economia più forte, ovviamente) e centralità monetaria internazionale del dollaro, unica divisa convertibile in oro (gold exchange standard), che avrebbe soppiantato la sterlina: nasceva lo SMI (Sistema Monetario Internazionale), con rapporti di cambio fissi tra le valute (basati sul loro rapporto col dollaro), il cui organo decisionale divenne il FMI (Fondo Monetario Internazionale), che funzionava da giudice in questioni valutarie internazionali.
Di fatto, dopo Bretton Woods, il dollaro divenne la moneta ufficiale per le grandi transazioni internazionali, legando a doppio filo l'economia mondiale a quella statunitense: se il dollaro valeva poco, importare conveniva ed esportare no, se valeva molto, era l'esatto contrario: si diceva della banconota verde che era as good as gold, buona quanto l'oro.
Se, per quanto riguardava la questione valutaria, gli USA avevano risolto i propri problemi, rimaneva, però, la questione di con chi instaurare proficui scambi commerciali: in buona sostanza bisognava ricreare un mercato, senza il quale le automobili ed i frigoriferi dello zio Sam gli sarebbero restati sulla groppa: per questo motivo, gli americani organizzarono una conferenza con i 25 paesi economicamente più importanti del mondo (esclusi quelli del blocco comunista, che non aderirono neppure al FMI), in cui si desse il via libera agli scambi commerciali su scala planetaria.

Questa conferenza, che prese il nome di GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), si tenne a Ginevra, nel 1947 e sancì l'abbassamento dei dazi doganali, l'illimitatezza delle importazioni, l'abbandono del protezionismo e la pianificazione economica mondiale a scansione periodica: insomma, una conferenza che potremmo definire "su misura" per le esigenze degli USA.
Come si è già detto, la prima azione concreta degli USA per ricostruire quel mercato europeo, di cui essi avevano disperato bisogno, fu il Piano Marshall, sul quale non aggiungiamo nulla, rimandando il lettore all'inserto nel quale l'argomento è ampiamente trattato; indichiamo, viceversa, in questa sede, le strutture che controllavano ed organizzavano le forniture di aiuti all'Europa, vale a dire l'americana ECA (Economic Cooperation Administration), che presiedeva alla distribuzione all'Europa, e l'europea OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica), che, invece, divideva gli aiuti tra i vari paesi aderenti al piano.

Grazie a questa politica di ricostruzione, nel 1950 l'Europa era pronta a diventare un grande mercato per gli USA; ma stava cominciando anche a diventare qualcos'altro.