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Le origini dell'internamento nelle Case di correzione
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A partire dalla fine del XVI secolo si diffusero in Europa le Case di correzione, grandi opere di religione, di carità e di soccorso, ma anche di punizione e di ordine pubblico. Questo fenomeno ebbe finalità e presupposti diversi, di natura politica, economica, religiosa e morale.

L'internamento si può considerare innanzitutto l'espressione della nuova percezione sociale della povertà che iniziò ad affermarsi nel corso del XVI secolo. Dal movimento della Riforma si sviluppò infatti una nuova concezione della miseria, non più esaltata e santificata, ma condannata e punita, in quanto segno della maledizione divina. Di conseguenza, la carità e le opere di assistenza, pur rimanendo strumento e testimonianza di fede, persero il loro originario valore di salvezza. Nei paesi influenzati dalla Riforma i beni della Chiesa furono confiscati e gli Stati si sostituirono ad essa nelle funzioni di assistenza. Successivamente, dopo le prime resistenze, anche la Chiesa cattolica accettò l'idea della "povertà-punizione" e finì per approvare e giustificare l'internamento come strumento di repressione e di controllo: non si trattò più di esaltare la povertà portandole sollievo, ma di limitarla e condannarla, piegandola alla disciplina e alla sottomissione.

La rieducazione e la correzione degli indigenti e dei devianti si concretizzò per la prima volta in un particolare intreccio di concezioni religiose e di lavoro. Tuttavia, questi due elementi furono utilizzati nei vari Stati con modalità e funzioni diverse. Nei paesi di lingua tedesca, a causa del medesimo tessuto connettivo economico e religioso, l'esperienza dell'internamento e della rieducazione degli strati sociali più emarginati si fondò principalmente sul lavoro. Le religioni protestanti e soprattutto il calvinismo fornirono infatti, più che la religione cattolica, quelle particolari concezioni del mondo e della vita basate sull'etica del lavoro, che animeranno questi primi istituti di reclusione.

A partire dal XVI secolo l'Europa protestante cercò di adeguare le proprie istituzioni segreganti alle esigenze della nuova società industriale, utilizzando l'ideologia religiosa come semplice surrogato di una compiuta teoria della pena che ancora non esisteva. Considerando la povertà e l'ozio come fonti di disordine, si decise quindi di rinchiudere nelle Case di correzione i mendicanti, i vagabondi e i disoccupati che, nei periodi di recessione economica, aumentavano a dismisura. Con la fine della crisi la funzione repressiva dell'internamento si rafforzò. Non si trattò soltanto di mettere al chiuso le persone non occupate, ma anche di obbligarle al lavoro per servire alla prosperità comune. Nei periodi di ripresa e di alti salari l'internamento servì dunque per ottenere mano d'opera a buon mercato, nelle fasi di disoccupazione per riassorbire gli oziosi e per svolgere funzioni di protezione sociale. Il lavoro, rimedio alla povertà e ai peccati della pigrizia, assunse così significato e valore etico, come strumento di punizione e di purificazione dalle colpe morali.

Quindi, anche se l'istituzione delle Case di internamento coincise, in alcuni periodi e in determinati paesi, con l'avvento dei meccanismi di produzione di tipo capitalistico, il lavoro forzato assunse soprattutto una finalità etica, anziché puramente economica. Il lavoro fu concepito cioè come soluzione generale, come rimedio alla miseria in tutte le sue forme; questo infallibile potere, il lavoro lo possedeva "...non tanto per la sua potenza produttiva quanto per una certa forza di incanto morale. L'efficacia del lavoro è riconosciuta in quanto è fondata sulla trascendenza etica."

Dopo il peccato originale la fatica-punizione fu infatti concepita come strumento di penitenza e di riscatto. L'uomo è obbligato a lavorare, non perché il lavoro è richiesto da una legge di natura, ma per l'effetto di una maledizione; e non è la terra, ma Dio che deve ricompensare la fatica dell'uomo. Il tema che il lavoro non porta da solo i suoi frutti è costante sia nei cattolici, sia nei protestanti, e si tratta in entrambe le visioni di un lavoro obbligatorio.

Il povero e il vagabondo che non lavorando aspettano l'aiuto divino "tentano oltre misura la potenza di Dio", forzano un miracolo a cui l'uomo non ha più diritto dopo Adamo. A partire dal XVI secolo, l'ozio, la pigrizia, diventano i peccati e le colpe supreme che si cercano di cancellare obbligando al lavoro e costringendo ad una fatica inutile e improduttiva vagabondi ed indigenti.

Tuttavia, anche nelle Case di correzione dell'Europa protestante si conferì molta importanza alla sorveglianza dei costumi e all'educazione religiosa. L'origine della povertà e del vizio non fu attribuita soltanto alla scarsità delle derrate o alla disoccupazione, ma anche all'indebolimento dell'educazione religiosa e al rilassamento dei costumi. In queste fortezze morali ci si propose quindi, attraverso la religione, di liberare dal peccato gli individui e di garantire maggiore tranquillità sociale alla comunità.

Nella Casa di internamento di Amburgo la religione, insieme al lavoro, fu il principale elemento del programma pedagogico rivolto ai suoi giovani "ospiti". Il maestro di scuola istruiva i ragazzi nella religione, insegnava loro a leggere e a scrivere e si occupava della loro educazione morale. Anche in Inghilterra il trattamento rieducativo si fondò sugli stessi meccanismi disciplinari. Nella Casa di Plymouth lo schoolmaster presiedeva alle preghiere e istruiva gli internati intorno agli elementi della religione protestante, conformemente alla dottrina della Chiesa anglicana.

Nei paesi cattolici, fino al XVIII secolo, il lavoro non rappresentò quasi mai il fulcro della pena, in quanto elemento troppo materiale ed ateo. Il vagabondaggio e la delinquenza diventarono qui sinonimo di traviamento dell'anima, di colpa morale. Per la sua interpretazione e punizione il delitto richiedeva quindi un apparato sacrale, e necessitava per la sua espiazione, non tanto del lavoro forzato, ma di ministri di culto e di pratiche ascetiche.

Il cattolicesimo, infatti, rispetto alla religione protestante poteva confidare sulla spettacolarità dei suoi riti e sulla loro maggiore capacità di suggestione nei confronti degli internati. Le sue cerimonie riuscivano ad impressionare maggiormente i reclusi e a toccare nel profondo i loro cuori, permettendo quindi di sperare nella loro conversione e nel loro ravvedimento.

Nel mondo cattolico la rieducazione e il recupero del colpevole si attuarono e concretizzarono dunque con una più penetrante presenza della Chiesa e dei suoi riti all'interno delle istituzioni segreganti; si cercò infatti di istruire i reclusi, di consolarli e di procurare loro la salvezza.

Il fine principale per cui si è consentito a ritirare qui delle persone, lontano dal frastuono del gran mondo, e le si è fatte entrare in questa solitudine in qualità di pensionanti, era di salvarle dalla schiavitù del peccato, d'impedir loro di essere dannate in eterno e di fornir loro il modo di gioire di una perfetta contentezza in questa vita e nell'altra

Attraverso la solitudine e la vigilanza costante dei loro "angeli custodi", incarnati nella presenza quotidiana dei sorveglianti, si cercava di rimediare alle cattive inclinazioni degli internati dovute, secondo la concezione dell'epoca, alla diffusa mancanza di istruzione e di docilità verso le cose spirituali.

A partire dal XVI secolo si affermarono dunque due diverse concezioni relative alle istituzioni segreganti: quella fondata sulla fatica e il lavoro, propria dell'Europa protestante, e quella basata sullo studio e sulla preghiera, come parte integrante dell'afflizione dell'anima, tipica dell'Europa cattolica. Nonostante le dovute differenze, sia nei paesi cattolici che in quelli protestanti l'internamento assunse una indubbia funzione di rieducazione e, al contempo, di prevenzione generale. Attraverso la religione, la disciplina e la conseguente coercizione dei corpi si addestrarono gli individui, non per realizzare nei loro confronti una semplice sottomissione, ma per trasformarli ed adeguarli alle necessità e agli interessi della società. Utilizzando tecniche minuziose ed esercizi ripetitivi, il potere disciplinare, come afferma Foucault, "fabbrica" degli individui.

L'internamento rappresentò quindi, sotto forma di modello autoritario e disciplinare, il mito di una felicità sociale. Le Case di correzione permettevano di realizzare il sogno della edificazione di una città perfetta attraverso la disciplina e la religione. Soprattutto quest'ultima, se seguita ed osservata nelle sue minime prescrizioni, era considerata un efficace strumento in grado di assicurare stabilmente l'ordine sociale.

In questo periodo nasce un'arte del corpo umano e la disciplina, come il lavoro e la religione, non serve più ad accrescere semplicemente le abilità e le potenzialità dell'individuo, ma ad assicurare delle maggiorazioni di utilità in vista dei modi e degli scopi del potere.

Le Case di correzione rappresentarono quindi in termini ideali la concezione borghese della vita e della società; addestrando i poveri e gli emarginati ad accettare l'ordine e la disciplina, si cercò di trasformarli in docili strumenti dello sfruttamento.