Il Giappone dalla Crisi del 29 all'entrata in Guerra

Il Giappone

La crisi economica del ’29, che aveva messo in ginocchio l’economia di mezzo mondo, non aveva certo risparmiato il Giappone, che, proprio in quegli anni stava espandendosi commercialmente in Asia.
Naturalmente, le conseguenza della grande crisi pesarono moltissimo su di un Paese a forte vocazione industriale, ma del tutto dipendente dall’esterno per l’approvvigionamento di materie prime e, perciò, dai commerci esteri.
Vedendo crollare il mercato dell’esportazione dei propri prodotti lavorati, il Giappone si trovò nella necessità di riprendere a praticare quella politica imperialista, che già era stata sua ai tempi della guerra russo-giapponese del 1904, iniziando a conquistare territori sul continente asiatico. Questo, tra l’altro, nella logica del Mikado, avrebbe risolto sia i problemi legati a materie prime e ad esportazione, che quelli connessi con l’esplosione demografica.

Perciò, l’esercito giapponese passò all’offensiva proprio da dove si era fermato, cioè dalla Manciuria.
Dalla fine della guerra contro la Russia, i Giapponesi occupavano stabilmente la parte meridionale della Manciuria; non fu per loro difficile trovare un pretesto per finire l’opera e, infatti, nel settembre del 1931, le truppe del Sol Levante invasero i territori cinesi, proclamando, cinque mesi dopo, il libero stato del Manciukuò, che, in realtà, era solo un satellite nipponico.

Nel 1933, col pretesto della condanna da parte della Società delle Nazioni per il suo attacco in Manciuria, il Giappone uscì dalla SDN.
Fu, tuttavia, a partire dal 1936, anno fatale, che i Nipponici iniziarono a fare sul serio, dopo un colpo di stato militare, che trasformò il Mikado in una sorta di dittatura, salvo restando il ruolo semidivino dell’imperatore; tra il 1936 ed il 1941, il Giappone operò uno sforzo possente, dotandosi di forze armate addestratissime e di mezzi aeronavali di prim’ordine, che sarebbero dovuti servire alla conquista dei territori asiatici.

In Asia, però, c’erano già degli imperialisti che sfruttavano le materie prime: gli europei.
Dovendo pestare i calli all’Europa, il Giappone si trovò nella necessità di farsi anche qualche alleato in Occidente, e la sua scelta cadde sui paesi politicamente più affini ed economicamente con meno interessi in Estremo Oriente, ossia la Germania e, per conseguenza, l’Italia; ben presto, si giunse alla firma del "patto anticomintern", tra Giappone e Germania (novembre 1936).

Otto mesi dopo, nel luglio del 1937, il Giappone attaccò di sorpresa la Cina, senza nemmeno scomodarsi a dichiarare la guerra e, in breve, ne occupò le regioni più importanti.
In concomitanza con l’invasione giapponese, i nazionalisti ed i comunisti cinesi, che stavano combattendo una guerra civile tra loro, si misero d’accordo e formarono un "fronte nazionale", in chiave antinipponica, riservandosi di riprendere a scannarsi a guerra finita (come, infatti, accadde), ed iniziarono una guerriglia contro i Giapponesi che durò, senza soluzione di continuità, fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Occupata la Cina, di fronte al Giappone si aprivano le ricche colonie inglesi e olandesi, nonché l’intero oceano Pacifico, che era, però, nella sfera d’interessi degli Usa: si trattava di scegliere tra l’accontentarsi e l’affrontare una guerra.
Ma, come si sa, l’appetito vien mangiando…..

Ci ripetiamo per continuare il discorso........

La marea ad Oriente

L’1 settembre del 1939, alle prime luci dell’alba, le colonne motorizzate tedesche invadevano la Polonia, dietro il pretesto di restituire alla madrepatria l’unico sbocco polacco al mare, il cosiddetto "corridoio di Danzica", che divideva la Prussia occidentale da quella orientale.
In realtà, era solo il primo atto del più pauroso conflitto che la storia ricordi: la seconda guerra mondiale.

Questa volta, la reazione diplomatica di Francia ed Inghilterra non si fece attendere, ed entrambe, il 3 settembre, dichiararono guerra alla Germania; quarantotto ore dopo, USA e Giappone si proclamarono neutrali, mentre l’Italia coniò, per definire il proprio atteggiamento, il termine "non belligeranza".
In due settimane, in pratica, la guerra in Polonia era finita, anche se si sarebbero dovuti aspettare i primi di ottobre per la resa definitiva dell’esercito polacco: la Blitzkrieg concepita dall’OKW si era mostrata efficace oltre le più rosee previsioni.
Il 17 settembre, intanto, l’Armata Rossa aveva invaso la Polonia orientale, a scopo precauzionale; ossia per assicurarsi il rispetto tedesco delle clausole segrete del patto Ribbentrop-Molotov.
Iniziava per la Polonia un terribile quinquennio di occupazione nazista; fin dall’inizio, Tedeschi e Sovietici si diedero da fare per sterminare la classe dirigente polacca, gli ufficiali dell’esercito, gli intellettuali o anche solo chi sapeva leggere e scrivere.
Intanto si venivano radunando gli ebrei di Polonia, in vista della Endlösung der Judenfrage, la soluzione finale del problema ebraico: nemmeno un anno dopo, sarebbe stato aperto, proprio in Polonia, il campo di sterminio di Auschwitz.
Dopo il crollo della Polonia, però, il cannone ad Est non tacque a lungo: il 30 novembre del 1939, in un clima polare, l’Urss attaccò la Finlandia, con il pretesto di alcune concessioni territoriali di frontiera.
I Finnici si batterono bene (e si sarebbero battuti bene anche in seguito, da alleati dei Tedeschi, sul fronte di Karelia e a Leningrado) e solo tre mesi dopo, il 12 marzo 1940, si arresero e cedettero ai Sovietici i territori fonte di contesa, conservando, tuttavia, la propria indipendenza. Diversamente andò alle repubbliche baltiche, occupate dall’Armata Rossa nella primavera del 1940.
Mentre Francia ed Inghilterra, sul fronte occidentale, giocavano alle belle statuine, Hitler, il 9 aprile del ’40, attaccò di sorpresa la Danimarca (che ebbe, per tutta l’occupazione, uno status privilegiato) e la Norvegia (che faceva gola, per via delle sue miniere di ferro, anche agli Inglesi, che, però si mossero tardi), conquistandole in un paio di mesi.