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Il bandito Giuliano
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Assalti alle caserme dei carabinieri, agguati contro poliziotti, sequestri di persona per autofinanziare le imprese, rapporti con esponenti politici, addirittura trattative intavolate con chi avrebbe dovuto catturarlo.

È l’avventurosa parabola criminale di Salvatore Giuliano, personaggio metà bandito, metà terrorista, protagonista dal 1943, da quando cioè gli alleati sbarcarono in Sicilia, di una lunga guerriglia contro lo Stato, di misteriosi episodi come il massacro di Portella delle Ginestre. La banda Giuliano si distingue subito dopo gli altri raggruppamenti di fuorilegge che infestano nel primo dopoguerra la zona occidentale dell’isola. È proprio la scelta “politica” di “Turiddu” Giuliano a creare il distinguo: il separatismo come base ideologica per una lotta senza tregua che si conclude nella misteriosa notte del 5 luglio 1950 a Castelvetrano. Le autorità dichiarano che il celebre bandito è stato ucciso in un conflitto a fuoco dal capitano Perenze. In realtà Giuliano è stato freddato nel sonno dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta.

Il bandito Giuliano nasce ufficialmente il 2 settembre 1943. “Turiddu” sta trasportando grano su un mulo, un reato per quei tempi. Alcuni carabinieri lo fermano, lo perquisiscono, scoprono ciò che porta. Un carabiniere, Antonio Emanuele Mancino, lo prende per un braccio per accompagnarlo in caserma. Giuliano – si disse per paura – si divincola e spara contro il militare, ferendolo a morte. Poi scappa. Comincia così la sua lunga latitanza.

All’inizio della sua carriera la banda Giuliano non è altro che una delle tante formazioni di sbandati che prosperano nell’isola. Gente senza padrone, senza obiettivi se non quello di rapinare tutto ciò che capita sotto tiro. Per loro non c’è futuro: una dopo l’altra vengono tutte decimate. Con un’unica eccezione: la banda Giuliano. Perché? La risposta oggi, a distanza di più di cinquant’anni, è chiara: sull’organizzazione di “Turiddu” si accentrano l’attenzione (ed i finanziamenti) degli agrari, dei baroni, di forze politiche reazionarie, della mafia, uscita dal “limbo” nella quale si era consegnata nel ventennio fascista, per iniziare la sua azione di infiltrazione nella vita pubblica.

Giuliano e i suoi uomini cominciano così la loro attività contro lo Stato, nella quale sono, in alcuni casi, compagni d’avventura dei separatisti siciliani. Gli assalti alle caserme dei carabinieri sono 5, in soli dodici giorni, dal 26 dicembre 1945 al 7 gennaio 1946.

Il primo attacco avviene all’antivigilia della battaglia di San Mauro di Caltagirone tra esercito italiano e separatisti, che si conclude con la cattura di Concetto Gallo, capo dell’Elvis (Esercito Volontari Indipendenza Siciliana). Tre giorni dopo lo scontro di San Mauro la banda Giuliano va all’assalto della caserma dei carabinieri di Bellolampo, alle porte di Palermo. Giuliano è in divisa da colonnello e ha sul petto una stella, simile a quella degli sceriffi del Far West. Egli stesso distribuisce le armi ai suoi “soldati”. Alla fine, i carabinieri soccombono. Sui muri dell’edificio gli uomini di “Turiddu” dipingono, con la vernice nera, lo stemma separatista.

L’indomani altro assalto. Questa volta tocca alla casermetta di Grisì, a pochi chilometri da Partinico. Il 3 gennaio del 1946 altro attacco: l’obiettivo è il raggruppamento dei carabinieri di Pioppo. Due giorni dopo la banda Giuliano si sposta a Borgetto, prima di andare ad assalire la caserma di Montelepre. È uno scontro durissimo, che dura ore e ore. Alla fine la bandiera separatista sventola sull’edificio.

A tutto ciò fanno da corollario gli agguati ai convogli militari, compresa una rapina ad un treno. Salvatore Giuliano si trasforma così da bandito a terrorista manovrato da forze oscure. Giuliano muore il 5 luglio 1950 in uno scontro a fuoco nel comune di Castelvetrano.