LA SPEDIZIONE DEI MILLE
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Nella prima settimana di maggio del 1860 a Genova vi era un'insolita animazione dovuta ai vari giovani venuti per arruolarsi dalle diverse regioni, mentre le autorità governative sembravano non accorgersi di nulla.

Nella notte tra il 5 e il 6 maggio, mentre la maggior parte dei volontari era raccolta nei pressi dello scoglio di Quarto, alcuni di essi, sotto la guida di Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi, si impadronivano di due navi della società Rubattino, il "Piemonte" e il "Lombardo", che poche ore dopo salpavano per la Sicilia.

Era evidente che tutto ciò non poteva avvenire all'insaputa o contro la volontà del governo piemontese: correva la voce che il re avesse avuto rapporti segreti con Garibaldi alla vigilia della spedizione e che gli avesse promesso tutto il suo appoggio. Cavour si era mostrato dapprima contrario all'impresa, in quanto temeva che la liberazione della Sicilia da parte di Garibaldi contribuisse a diffondere in tutto il Paese progetti "rivoluzionari". In un secondo momento, però, egli si era adattato all'iniziativa; in tal modo , se la spedizione non fosse riuscita, il governo piemontese avrebbe potuto dichiarare di non esserne responsabile; se invece Garibaldi avesse vinto, Cavour avrebbe potuto intervenire militarmente ed allontanare i garibaldini con il pretesto di evitare all'Italia i pericoli di una soluzione rivoluzionaria. Il 6 maggio 1860, poco più di mille volontari di ogni età e di ogni ceto sociale, male equipaggiati, a ricchi di entusiasmo, si dirigevano verso la Sicilia. Tra essi, oltre ad alcuni giovani destinati a diventare famosi come Giuseppe Cesare Abba, Francesco Nullo, Benedetto Cairoli e Ippolito Nievo, c'erano anche numerosi stranieri.

Giunto il 7 maggio di fronte a Talamone sulla costa toscana, Garibaldi sbarcò alcuni volontari per far credere che l'impresa fosse diretta verso Roma. Dopo essersi fatto consegnare dal comandante del forte di Orbetello un certo numero di cannoni, fucilazioni e munizioni, riprese il mare e, sfuggendo alla flotta borbonica, che incrociava nel Tirreno, giunse a Marsala. Tre giorni da Salemi lanciava un proclama alla popolazione, dichiarando di assumere la dittatura in nome di Vittorio Emanuele.

La prima vittoria sui Borbonici ottenuta a Calatafimi fece divampare l'insurrezione in tutta l'isola.

Garibaldi marciò su Palermo e la conquistò. Tuttavia Garibaldi non aveva nessuna intenzione di tollerare movimenti di popolo tesi a sovvertire i diritti di proprietà: sarebbe stato come inimicarsi con la classe aristocratica. Ecco perché la sua azione repressiva contro i movimenti democratici fu ferma e decisa al punto che non esitò a stroncarli con la forza, come avvenne a Bronte ad opera di Nino Bixio in occasione dell'occupazione popolare delle terre della ducea di Nelson.Garibaldi ottenne anche una vittoria nei pressi di Milazzo.

Garibaldi si preparò a passare in Calabria con il segreto appoggio di Vittorio Emanuele: egli riuscì a superare lo stretto e ad impadronirsi di Reggio.Iniziò così una rapidissima marcia verso Napoli, mentre Francesco II si allontanava dalla città rifugiandosi nella fortezza di Gaeta. Cavour avvertì la necessità di intervenire per evitare la formazione di due Italie: una monarchica a Nord e una repubblicana a Sud.

Nell'Italia meridionale la situazione era sempre incerta, perché un esercito borbonico era ancora in piena efficienza lungo la vallata del fiume Volturno e teneva le due fortezze di Capua e di Gaeta. Garibaldi ingaggiò battaglia prima che arrivassero i Piemontesi, ma alla fine i borbonici sconfitti furono costretti a ripiegare. Poco tempo dopo giungevano nel Napoletano i primi reparti regi, presso Teano, Vittorio Emanuele II si incontrò con Garibaldi. Il generale cosegnò nelle mani del sovrano il regno conquistato e allontanare da sè i sospetti di slealtà nei confronti della monarchia. Garibaldi acconsentì ad entrare in Napoli insieme al re e a presentargli i risultati del plebiscito, in base al quale era approvata l'annessione del Regno delle Due Sicilie all'Italia di Vittorio Emanuele. Anche le fortezze di Gaeta e di Capua furono costrette ad arrendersi.

Dopo la spedizione

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele viene proclamato primo re d'Italia. (Convenzionalmente viene ancora usata la notazione "Vittorio Emanuele II", anche se, come fa notare Mack Smith, si tratta del primo re del nuovo stato).

"Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani". Questo è il motto che ispirò la politica successiva alla spedizione dei Mille. Mentre agli ufficiali dell'esercito del Regno delle due Sicilie entrarono nell'esercito del neonato Regno D'Italia con lo stesso grado che avevano in precedenza, per gli ufficiali di Garibaldi il grado fu riconosciuto in pochissimi casi (Rif. Bianciardi). Tra i pochi che mantennero il grado ci fu il generale Nino Bixio, che aveva avuto il compito di reprimere i disordini contadini.

In pratica ci furono molti delusi dalla cosiddetta "unità d'Italia": i primi furono i Borbone che si trovarono da un giorno all'altro ad aver perso un regno e quindi fecero di tutto per recuperarlo. I secondi furono i contadini ed i poveri meridionali in genere che, dopo aver inizialmente creduto che con Garibaldi le condizioni di vita sarebbero migliorate, si ritrovarono invece ad affrontare maggiori tasse e la coscrizione (servizio di leva) obbligatoria, quindi con una diminuzione delle braccia in grado di sostenere una famiglia.

Il risultato sfociò facilmente nel Brigantaggio, che fu ferocemente represso dall'esercito del nuovo Regno d'Italia nei dieci anni successivi all'unità.

Va forse notato che anche il clero rimase deluso, sia per la perdita di Umbria e Marche, sia per il frequente esproprio di beni ecclesiastici.