Napoleone Bonaparte


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La Giovinezza    La repubblica cispadana e la nascita del tricolore    La campagna d'Egitto    

La campagna archeologica d'Egitto    Il colpo di Stato: Primo Console il 9 novembre 1799

    Stampa e propaganda    La seconda campagna d'Italia     Napoleone si esprime al meglio in politica    

Il codice civile     I rapporti con la Santa Sede     Concordato del 1801

L'incoronazione     La religione come strumento di regno     Trafalgar e Austerliz

     Se avessero vinto gli Austro-Russi ?     Napoleone attacca Russia e Prussia

    I problemi con la Spagna    Crisi con la Santa Sede     

Il "grande flop" in Russia e l'ecatombe della ritirata     Il primo esilio per l'Elba

     La sua attività non si ferma: si prepara per i cento giorni

La definitiva sconfitta: Waterloo     Approfondimento: il linciaggio di Prina     Il triste esilio a S. Elena

vedi Battaglie Napoleoniche

La Giovinezza

Napoleone Buonaparte nasce il 15 agosto 1769 ad Ajaccio, in Corsica, secondo figlio dell'avvocato còrso Carlo Maria Buonaparte (Napoleone muterà il cognome in Bonaparte durante la campagna d'Italia) e di Letizia Ramolino, proveniva dalla piccola nobiltà locale che aveva seguito Pasquale Paoli nella sua lotta per l'autonomia dell'isola. Frequentò il collegio militare di Brienne, nella Champagne, per poi passare alla scuola militare di Parigi, dove ottenne il grado di sottotenente d'artiglieria (1785). Condivise gli ideali di libertà e di eguaglianza della Rivoluzione francese, al cui scoppio rientrò in Corsica, ricoprendo la carica di tenente colonnello della Guardia nazionale còrsa. Quando nel 1793 la Corsica dichiarò la propria indipendenza, Napoleone, considerato patriota francese e repubblicano, dovette rifugiarsi in Francia.

Poco dopo, ormai pienamente convinto dell'impossibilità dell'attuazione del progetto di liberazione della Corsica, gli si presentò la sua prima occasione di farsi strada tra i ranghi dell'esercito francese poiché la popolazione del sud della Francia era insorta contro la Convenzione e i rivoltosi, appoggiati dagli inglesi e dai monarchici si erano impossessati di Lione e Marsiglia. Qualche giorno dopo anche Tolone aprì le porte agli inglesi e Parigi decise dunque di inviare il generale Carteaux per liberare la città. Ma l'operazione non ebbe ottimi risultati a causa delle scarse qualità dell'alto ufficiale e proprio in quei giorni, Napoleone, che già apparteneva alla guarnigione di Nizza, si sentì offrire dal suo amico e compatriota Saliceti il comando dell'artiglieria a Tolone. Il suo progetto per liberare la città fu chiaro fin dall'inizio e il nuovo generale Dugommier, sostituto di Carteaux, non oppose alcun freno al giovane ufficiale corso. In breve tempo conquistò il forte di Eguillette e da lì con l'artiglieria seppe aprire la strada ai soldati francesi, che il giorno dopo, entrarono vittoriosi a Tolone. Grazie alla straordinarietà dell'impresa che nasceva dalle sue innate doti tattiche, Napoleone, a soli 24 anni, venne promosso generale di brigata. In seguito alla vittoria riportata a Tolone, per Napoleone si apriva una strada tutt'altro che facile in quanto sorsero nuovi problemi politici che lo portarono alla carcerazione nel 1794 a causa di un probabile progetto liberticida organizzato con il fratello del tiranno Robespierre. Napoleone venne cancellato dall'albo dei generali e, uscito dal carcere, visse un periodo di crisi fino al 1795. Ma fu ancora una volta la rivoluzione a offrirgli "la grande occasione" poiché, approfittando della morte di Robespierre i filomonarchici parigini si erano insediati nuovamente nella Convenzione pronti a rovesciarla e ciò portò nel 1795 allo scoppio della rivolta. Intervenne allora il generale Barras che, avendo notato le speciali doti militari di Napoleone dimostrate a Tolone, non esitò ad affidargli l'incarico. Bonaparte ordinò subito ai suoi soldati di sparare sui parigini davanti alla chiesa di S. Rocco dimostrando che in lui "la voce dell'ambizione era più forte di quella della coscienza". La Convenzione era salva e i monarchici avevano subito un duro colpo, ma il maggior beneficiario di tale vittoria fu di sicuro il giovane generale di brigata che si meritò prima la nomina di generale di divisione e, dieci giorni dopo, quella di capo dell'Armata dell'Interno.
La prima campagna d'Italia

Nello stesso anno sposò Giuseppina di Beauharnais, vedova di un aristocratico ghigliottinato durante la Rivoluzione. Ella era stata costretta a consegnare la spada del suo defunto marito a causa dell'ordine di disarmo della popolazione parigina emanato dal direttorio, ma il giovane Napoleone, con un gesto galante, gliela fece restituire. Da qui nacque l'amore tra i due che partirono per il consueto viaggio di nozze. Ma la luna di miele durò pochi giorni in quanto Napoleone ottenne la nomina a comandante dell'armata d'Italia con l'ordine di raggiungere subito il suo posto di comando. Arrivato a destinazione Napoleone trovò una certa aria di diffidenza da parte degli altri generali come, in particolare, Augereau che aveva promesso che "con lui avrebbe usato le maniere forti". Ma il giovane Bonaparte si impose subito impartendo ordini ben precisi e perentori ai quali nessuno osò replicare tant'è che al termine della prima riunione di vertice lo stesso Augereau disse: "Questo piccolo generale corso mi ha messo paura!". Egli era diventato già l'idolo dei soldati poiché era in grado di trasmettere quella carica morale indispensabile prima della battaglia. Nel frattempo in tutta l'Europa si stava attuando una politica di alleanza con la Francia vista l'enorme potenza della Grande Armèe e sia l'Inghilterra sia la Russia di Paolo I tentarono di avviare nuove trattative con il Direttorio.

Perciò il nemico numero uno da sconfiggere rimaneva soltanto l'Austria e Napoleone l'attaccò senza indugiare. L'austriaco Beaulieu, generale dell'esercito avversario, fu battuto in pochi giorni dall'esercito di Napoleone, che, con metà delle truppe rispetto a quello austriache, riuscì a conquistare Nizza e la Savoia, costringendo anche i piemontesi alla resa. Pur con un esercito mal equipaggiato, Napoleone seppe far leva sullo spirito rivoluzionario e patriottico dei soldati e portò a effetto un'azione fulminea contro gli austro-piemontesi, sconfiggendoli a Cairo Montenotte, Lodi, Arcole e Rivoli, e costringendo così il Piemonte all'armistizio di Cherasco (28 aprile 1796). In seguito conquistò Modena, Reggio, Bologna e Ferrara, che riunì nella Repubblica Cispadana (15 ottobre 1796), e prese Mantova, ultima fortezza austriaca (febbraio 1797). Gli stati italiani mostrarono tutta la loro debolezza di fronte all'arrivo dei francesi anche se poco prima di quella data vi era stato, sotto la spinta del regno di Sardegna di Vittorio Amedeo III, il tentativo di formazione della prima "lega Italiana" per far fronte alle super potenze europee, ma il progetto era fallito malamente per la titubanza di alcuni stati e soprattutto del re di Napoli che rimase terrorizzato alla vista delle prime navi francesi all'orizzonte.

Nel frattempo gli austriaci stavano subendo dure sconfitte non solo da sud, ma anche da nord dove i generali francesi Hoche e Moreau stavano tentando di impossessarsi della riva sinistra del Reno, obiettivo sempre ambito e desiderato da Napoleone. Egli allora tentò di anticipare i colleghi e nella primavera del 1797 puntò su Vienna, ma la precarietà della situazione nel Veneto, dove gli austriaci fomentavano sollevazioni antifrancesi, lo indusse all'armistizio di Leoben (aprile 1797), poi sfociato nel trattato di Campoformio (17 ottobre 1797).
L'accordo prevedeva che l'Austria entrasse in possesso dei territori della Repubblica di Venezia, mentre la Lombardia, gran parte dell'Emilia e della Romagna e i territori della Repubblica Cispadana furono uniti nella Repubblica Cisalpina.
Ancora una volta i patrioti italiani rimasero ampiamente delusi poiché i loro sogni e i loro sforzi per la nascita di un'Italia unita erano infranti e con essi il principio di libertà e sovranità popolare affermatosi durante la Rivoluzione Francese.

In seguito le truppe francesi invasero il Lazio e occuparono Roma, fondando la Repubblica Romana (15 febbraio 1798). Più tardi venne proclamata (il 23 gennaio 1799) dai giacobini napoletani la Repubblica Partenopea che durò soltanto pochi mesi. Il territorio fu presto riconquistato dal re Ferdinando di Borbone, aiutato dalla flotta inglese e dalle bande di contadini sanfedisti assoldate dal cardinale Fabrizio Ruffo. L'ultimo problema lo forniva Genova nella quale Napoleone tentò di favorire la crescita di un forte partito giacobino e, visto che il progetto fallì amaramente, al generale non rimase altro che imporre con la forza una costituzione che in realtà mascherava il protettorato francese.

Come si legge in alcuni documenti storici il progetto di Napoleone era molto profondo: "Voleva stringere nelle proprie vele il vento impetuoso del movimento nazionale italiano, aveva in animo di utilizzare gli entusiasmi dei patrioti per costruire il sistema delle repubbliche sorelle e satelliti". Tutto ciò avvenne ancora una volta, come durante il dominio dell'ancien regime, a discapito dei patrioti italiani poiché i popoli erano ancora merce di scambio tra i potenti della terra e l'obiettivo principale del Direttorio rimaneva sempre quello di espandere i territori francesi in quelle regioni nelle quali esisteva una forza politica in grado di trasformarle in "repubbliche sorelle".


La repubblica cispadana e la nascita del tricolore

Fu proclamata il 27 dicembre 1796 dai deputati delle città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, riuniti a Reggio Emilia per decisione di Napoleone. In quella circostanza fu adottato come bandiera il tricolore (verde, bianco e rosso). Nel congresso di Modena (21 gennaio 1797), a cui parteciparono anche deputati di Massa, Carrara e Imola, fu approvata la costituzione sul modello di quella francese del 1795, e deliberata la formazione del governo.


La campagna d'Egitto

Tuttavia Napoleone avvertiva una certa aria di diffidenza nelle autorità governative e propose allora una nuova impresa: la conquista dell'Egitto. Tale impresa aveva il pretesto di distruggere la potente armata inglese sia militarmente sia economicamente tagliando il passaggio obbligato verso la colonia indiana. Giunto in Egitto attaccò l'armata dei mamelucchi e la vinse in poche ore di combattimento; nel mentre, però, il comandante inglese Nelson distruggeva la flotta francese giunta in Egitto, rendendo così "prigioniero" Napoleone della sua stessa conquista. Egli allora seppe mantenere la calma anche se la situazione non era delle più rosee essendo intrappolato in Egitto e si dedicò all'organizzazione di tale stato, ma, quando venne a sapere dell'intenzione turca di portare un attacco proprio in Egitto, decise di compiere una missione militare in Siria che durò circa un anno, senza un esito definitivo. Al termine della battaglia le decimate truppe francesi furono in grado di tornare in Egitto e di vincere, sotto il comando di Napoleone, le armate Turche che si erano messe subito all'inseguimento dell'esercito Francese.


La campagna archeologica d'Egitto

Spetta alla spedizione di Bonaparte nel 1798 la gloria della riscoperta dell'Egitto. Le ripercussioni culturali di quest'avventura hanno assai più vasto successo che i suoi successi militari e lo stesso Bonaparte promosse fortemente tale spedizione, probabilmente per accrescere la sua fama. La fondazione di archeologi creata sarà di grande importanza sia per la scoperta dell'antico Egitto sia per lo sviluppo delle popolazioni arabe; il primo successo importante arriva dalla scoperta della "stele di Rosetta" da parte di un anonimo soldato. Tale stele riporta tre scritture: una in corsivo tardo antico, una in geroglifico e una in greco: è stato facile così decifrare finalmente il geroglifico.

Certamente Napoleone non si accontentava delle pure scoperte archeologiche, ma colse l'occasione per pubblicare diverse opere riguardanti la campagne d'Egitto tra le quali la più importante è "la descrizione dell'Egitto" che riporta anche numerose cartine e illustrazioni dell'impresa napoleonica; purtroppo per l'imperatore tale opera verrà pubblicata soltanto nel 1822, un anno dopo la sua morte.


Il colpo di Stato: Primo Console il 9 novembre 1799

L'avventura egiziana però fu presto interrotta. Lentamente i filomonarchici parigini prendevano sempre più piede in Francia e durante l'elezione del marzo-aprile 1797 conquistarono la maggioranza nel consiglio degli Anziani e nel Consiglio dei Cinquecento intenti a restaurare un regime di semi-monarchia. Inoltre a Parigi erano sorti problemi nuovi. I parigini, che con il sangue della rivoluzione avevano voluto fondare una nuova Francia, si trovano a combattere contro il comportamento corrotto e negativo tenuto dai capi del Direttorio: Sieyès, Ducos, Barras, Moulin e Gohier. Napoleone tornato in Francia, vedendo la possibilità di iniziare la sua scalata al potere, si alleò con Sieyès e Ducos, Barras si dimise e gli altri due capi del direttorio rimasero così in minoranza. Il suo progetto era chiaro ed inquietante. Infatti, egli fin dall'inizio aveva mostrato il desiderio di imporre il suo comando personale in Francia e addirittura, al contrario dei monarchici, non era propenso a sviluppare alcuna politica di pace.

I tre alleati decisero più tardi di comune accordo di trasferire la sede del direttorio fuori Parigi per evitare interventi di carattere popolare. Da questo momento in poi la strada per il colpo di stato era pronta. Il consiglio dei Cinquecento non vedeva di buon occhio Napoleone, dopo un tentativo di pestaggio nei suoi confronti e nonostante stessero votando per un procedimento giudiziario a suo carico, il giovane generale, con l'appoggio del fratello che aveva il compito di simulare un attentato nei sui confronti così da sollevare una rivolta militare, riuscì a scacciare i cinquecento rappresentanti francesi e a fondare una sorta di triunvirato con i suoi due sostenitori, anche se, poco dopo, si fece eleggere Primo Console in assoluto, velando la presenza di Ducos e Seyes. Venne modificata di proposito la costituzione repubblicana, detta dell'anno VIII, che assegnò il potere esecutivo ad un Consolato, mentre quello legislativo fu assicurato alla ricca borghesia attraverso un macchinoso sistema di organi rappresentativi; si tornò ad un apparato statale accentratore. La Repubblica, dopo aver rinnegato con il colpo di stato il principio del governo rappresentativo e democratico, entrava risolutamente, su piano internazionale, sulla via dell'imperialismo e calpestava "il diritto dei popoli di decidere di se stessi", che essa aveva solennemente affermato nel 1790.


Stampa e propaganda

Napoleone è tra i primi a capire l'importanza della stampa come strumento di governo e arma da guerra. La massima attenzione viene da lui dedicata ai giornali, probabilmente perché fin da giovanissimo è stato testimone dell'enorme efficacia della stampa in epoca rivoluzionaria. Fin dalle prime campagne, Bonaparte ha cura che escano giornali destinati alle sue truppe, ma anche ai nuovi paesi occupati e, persino, alle popolazioni arabe d'Egitto. Napoleone attua una fortissima censura nei confronti della stampa e nel 1800 fa chiudere più di cinquanta redazioni giornalistiche soltanto a Parigi, mentre sulle rimanenti esercita un forte controllo attento a non far diffondere alcuna idea rivolta contro la repubblica o contro i paesi alleati.

La "cultura" del giornale diventa per Napoleone un punto di forza della sua politica tant'è che rende obbligatoria la lettura del Moniteur, bollettino ufficiale dell'imperatore, nelle scuole superiori. In questo giornale sono contenute le parole dirette di Napoleone che spesso si celava dietro l'anonimato e i bollettini ufficiali di guerra nei quali si minimizzavano le sconfitte e si ingigantivano le vittorie.
Ma la politica di diffusione della cultura non riguarda solo i giornali, ma anche il teatro che subisce una drastica riduzione di spettacoli, a causa del loro negativo effetto sulla figura dell'imperatore o della Francia. Napoleone attua così una vera e propria campagna pubblicitaria favorendo ogni forma di manifestazione culturale in suo onore e censurando drasticamente le altre.


La seconda campagna d'Italia

Napoleone non abbandonò però la politica internazionale. Gli Austriaci costituivano ancora un forte pericolo soprattutto in Italia dove avevano ancora il controllo di buona parte della pianura padana. La seconda campagna d'Italia, durata soltanto due mesi, portò alla sconfitta austriaca e alla conquista definitiva del nord Italia da parte della Francia. I nemici attendevano l'esercito napoleonico al passo del Cenisio, ma il generale si rese subito protagonista di una storica impresa sorprendendo tutti nel passare attraverso il valico del San Bernardo. Nella discesa in Italia il potentissimo forte di Bard venne costretto alla resa, improvvisando per fanteria e cavalleria un piccolissimo passaggio attraverso un sentiero scavato nella roccia che aggirava le posizioni. Per l'artiglieria attese la notte e mosse i cannoni solo dopo aver ricoperto le loro ruote con la paglia per non creare rumori sospetti. L'attacco a sorpresa fu l'arma vincente.

Entrò poi a Milano ed in seguito si diresse verso Marengo dove ebbe luogo lo scontro decisivo con gli Austriaci. Fu uno scontro incerto e sanguinoso e alle ore tre del pomeriggio del 14 giugno del 1800 Napoleone sembrava aver perso, ma l'intervento immediato e risolutore del generale Desaix cambiò il volto della battaglia essendo arrivato direttamente da Parigi con forze fresche. Così il comandante Austrico, che era già partito per Alessandria a dare la notizia della vittoria austriaca, dovette tornare indietro ad assistere impotente alla disfatta. Il valoroso e decisivo Generale Desaix venne ferito a morte durante gli scontri e le sue ultime parole, rivolte al primo Console Napoleone, rimpiangevano il fatto di aver agito troppo poco per passare alla storia della Francia.

L'obbiettivo di Napoleone non era soltanto quello di distruggere l'Austria. Infatti, con l'appoggio del Direttorio l'esercito francese conquistò Roma, considerata da sempre un punto nevralgico se "si voleva rendere vassalla l'Italia". L'altro obiettivo fu poi la Svizzera che in poco tempo venne posta sotto il controllo dell'esercito francese e le sue istituzioni aristocratiche presenti nei cantoni vennero eliminate.


Napoleone si esprime al meglio in politica

Napoleone non è solo una "macchina da guerra" è anche un abile politico come ha dimostrato al rientro dalla seconda campagna d'Italia. Prima di partire aveva emanato una circolare con la quale dichiarava: "Il Governo non vuole più, non riconosce più i partiti: vede in Francia soltanto i francesi". In base a queste parole sviluppò le sue azioni successive e proprio nel periodo compreso tra l'elezione a console ed il 1804, data in cui venne promulgata la costituzione imperiale, egli riuscì ad esprimere il meglio di se stesso da un punto di vista politico. Sulla base della brutta esperienza di Luigi XIV, che aveva sempre davanti agli occhi, Napoleone seppe ascoltare i consigli degli uomini che avevano amministrato lo stato durante la rivoluzione che di certo, come ammetteva lo stesso Bonaparte, "ne sapevano più di lui". Con il consenso del consiglio di Stato, l'organo più attivo durante il nuovo regime, Napoleone promulgò il Codice civile che sanciva la scomparsa della aristocrazia feudale e garantiva la libertà personale, l'uguaglianza davanti alla legge, la laicità dello stato, la libertà di coscienza e la libertà di lavoro.

Tuttavia il governo di Napoleone risultava sempre più impopolare e non era più sostenuto né dagli aristocratici né dai giacobini, mentre la borghesia non vedeva di buon occhio il nuovo Direttorio poiché favoriva "scandalosi" guadagni ottenuti con la guerra e non assicurava una pace in grado di accrescere le sue possibilità di commercio. In seguito alle elezioni del 1798 nelle quali vinsero i giacobini, il governo fu ancora una volta costretto al colpo di stato annullando l'elezione di 98 deputati giacobini e testimoniando così che il Direttorio era soltanto una maschera dietro la quale si celava il regime autoritario di Napoleone.


Il codice civile

Esso è stato redatto dalla borghesia, vale a dire da una classe possedinte e ricca che analizzava tutti gli aspetti della vita, e ciò è evidente anche nel codice, sotto l'angolo visuale della proprietà come diritto assoluto, indiscutibile, inviolabile e sacro.
Proprietà privata: consacra l'abolizione del feudalesimo e l'affrancamento della terra esaltando la proprietà fondiaria.

Organizzazione della famiglia: ribadisce la secolarizzazione del matrimonio e del divorzio. Per quanto riguarda la figura della donna il codice compie un enorme passo indietro poiché la considera direttamente ed incondizionatamente subordinata al marito, non può percepire stipendio ed non ha alcun diritto di chiedere la separazione dei beni. Era scomparso il principio rivoluzionario di eguaglianza.


I rapporti con la Santa Sede

Napoleone avverte a questo punto che il piano riorganizzativo dello stato francese abbisognava non solo di armi e di abilità politica, ma anche di quell'elemento che Machiavelli chiamava "forte collante per le coscienze popolari": la religione. La rivoluzione aveva rotto i buoni rapporti con la Santa sede romana a causa di sospetti legami con la monarchia francese. Anche Bonaparte, durante la prima campagna d'Italia era stato molto duro con il Vaticano, sottraendogli numerosi territori, tra i quali Avignone, e permettendo che Papa Pio VI morisse in carcere come un prigioniero. Ma l'abile statista si accorse che i rapporti con il cattolicesimo andavano ristabiliti, altrimenti le coscienze umane sarebbero diventate un imbattibile nemico e avrebbero ostacolato le sue azioni. Inviò, allora, suo fratello Giuseppe come ambasciatore alla Santa sede per tentare di raggiungere un concordato. Le operazioni furono lunghe, ma, dopo due mesi, si giunse ad un accordo: il Concordato del 1801. In seguito il documento venne presentato alle Assemblee per l'approvazione e, nel 1802 per testimoniare la pace raggiunta tra Stato Francese e Chiesa Cattolica, Napoleone presenziò alla S. Messa nella cattedrale gotica di Notre Dame celebrata alla presenza di venti vescovi con la partecipazione del legato del Pontefice, Cardinale Caprara. L'importanza ed il motivo di tale azione da parte di Napoleone si può riassumere con le sue stesse parole: "Una società senza religione è come un vascello senza bussola."


Concordato del 1801

Questo patto fu l'Accordo concluso tra Napoleone Bonaparte, primo console, e papa Pio VII allo scopo di regolare i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica in Francia e di riportare la pace religiosa nel paese dopo la crisi seguita alla Rivoluzione. In base ad esso lo Stato riconosceva il cattolicesimo come la "religione della maggioranza dei francesi" e consentiva il ristabilimento dell'autorità pontificia in Francia. Lo Stato francese si riservava la facoltà di nominare i vescovi e di provvedere al mantenimento del clero, mentre il papa manteneva il potere di consacrare i vescovi e rinunciava alle proprietà della Chiesa confiscate durante la Rivoluzione.


L'incoronazione

Ormai la strada verso il potere era spianata. Lo sfarzo di cui Napoleone si circondava a corte era gradito dal popolo dopo anni di carestie e miserie. Il Senato lo nominò prima Console per dieci anni e, poco dopo, Console a vita. I suoi nemici a questo punto tentarono di giocarsi le ultime carte, ma il principale cospiratore, il duca di Condè, fallì il colpo di stato e a farci le spese fu un suo lontano parente, il duca di Enghien. La fucilazione del giovane duca aveva evidenziato i moti cospiratori alla spalle del Console, il quale acquistò così sempre più potere. Nel 1804 il senato, dopo una lunga riunione, decise di affidare il comando della repubblica Francese a Napoleone Bonaparte, imperatore ereditario, che venne riconosciuto tale anche dalla rinnovata Costituzione francese. Dopo il successo riscosso in patria ed al termine del suo giro in Europa, Napoleone "invitò" (costrinse) il papa a giungere a Parigi per essere incoronato ufficialmente imperatore dei francesi. Il piccolo Corso era fiero di superare l'esempio di Carlo Magno, il quale si era dovuto recare a Roma per ricevere l'incoronazione, mentre, in questo caso, fu il Papa ad andare a Parigi. I preparativi furono molto lunghi perché bisognava allestire "il più grande spettacolo della storia". Ci fu un attimo di suspance quando il Papa venne a sapere del matrimonio civile di Napoleone con Giuseppina, per cui i due dovettero ricevere la consacrazione religiosa in fretta e furia. Quando tutta la coreografia fu pronta il Papa diede inizio ad un'interminabile funzione religiosa che portò alle ore 19 del 2 dicembre del 1804 alla consacrazione del titolo Imperiale di Napoleone. Al termine della S. Messa napoleone si ritirò nelle sue stanze private e per alcune settimane dovette sottostare (atteggiamento che non gli era familiare) agli sfarzosi festeggiamenti organizzati da Giuseppina, la quale aveva perso letteralmente la testa per la nomina ad imperatrice.

Sostenuto dagli elementi più filomonarchici del suo apparato, riprese la politica centralizzatrice dell'Ancien Régime: rafforzò la burocrazia sia a livello nazionale sia a livello dipartimentale, individuando nella figura del prefetto, posto a capo del dipartimento, l'elemento fondamentale a garanzia dell'accentramento; semplificò il sistema giudiziario e riorganizzò il sistema scolastico con particolare attenzione alla scuola secondaria (fondamentale fu la nascita del liceo, che doveva formare la futura classe dirigente) e all'università.

 

 

 


La religione come strumento di regno

L'opera sociopolitica di Napoleone continua anche in campo religioso. Nel 1806 viene posto in circolo nella diocesi di Francia un "Catechismo comune" secondo il quale tra i doveri del buon cristiano doveva esserci anche l'amore di patria, il pagamento dei tributi, il servizio militare e l'obbedienza al trono di Francia. Napoleone deve essere servito e onorato come Dio e chi non attende a codesto servizio è destinato alla dannazione eterna. In omaggio del dittatore, addirittura venne inserito nell'almanacco la festa di S. Napoleone, nome assente negli Acta Sanctorum. Il qual disguido genera lo stupore dei fedeli, anche se venne prontamente smorzato dagli abili collaboratori dell'imperatore che ritrovarono tale nome in un ufficiale romano martirizzato all'epoca di Diocleziano, la cui immagine apparì ben presto su tutte le vetrate delle più importanti strutture. Il compleanno di Napoleone, 15 Agosto, oscurò la festa dell'Assunzione di Maria, mentre la festa pagana della presa della Bastiglia venne sostituita da San Napoleone.


Trafalgar e Austerliz

vedi battaglie Napoleoniche

Napoleone non perse di vista però i suoi obiettivi militare e proprio in questo periodo partorì l'idea dell'invasione dell'Inghilterra. Nonostante le numerose forze spiegate lungo il Canale della Manica, a causa del cattivo risultato dell'operazione navale dal generale Villeneuve chiuso a Cadice dall'astuto generale inglese Nelson, il progetto fallì ancor prima di cominciare perché la flotta inglese comandata da Nelson era troppo forte per consentire lo sbarco dei Francesi nel sud dell'Inghilterra. Napoleone non si perse d'animo e concentrò le sue forze contro la nuova coalizione anti-francese capeggiata dall'Austria. Il genio tattico dell'imperatore era basato soprattutto sulla velocità di spostamento delle truppe che ben presto si diressero verso il fronte austriaco proprio nel momento in cui giunse la notizia della sconfitta della flotta francese di Villeneuve a Trafalgar, poco lontano da Cadice nella quale perse la vita anche il valoroso generale inglese Nelson che aveva già causato grossi problemi a Napoleone.

Superato lo spavento momentaneo, l'imperatore seppe organizzare la campagna del 1805 che costituisce il suo capolavoro tattico. Avendo compreso che l'Italia settentrionale era per l'Austria un territorio di vitale importanza strategica, Napoleone vi inviò Massena, il migliore dei suoi marescialli, ordinandogli di assumere una condotta offensiva malgrado disponesse della metà dell'esercito austriaco. Riuscì così ad inchiodare le forze nemiche e a catturare 50000 soldati in Baviera. Poi riuscì ad attirare il rimanente esercito austriaco in un territorio di battaglia presso Austerliz, che il grande generale aveva già studiato. All'inizio degli scontri l'esercito francese si dispose sulla difensiva invogliando i Russi ed Austriaci ad attaccare e a tentare di circondare la Grand Armèe disposta sull'altopiano del Pratzen. Ma proprio quando gli avversari sembravano avessero la meglio, Napoleone ordinò l'attacco e l'annientamento del nemico con il grosso delle truppe e, in breve tempo lo costrinse alla resa. Dalla vittoria di Napoleone nacque la "pace imperiale" che ridisegnò la mappa Europea. Ma i suoi limiti di statista vennero subito a galla: con lo smembramento della Prussia ed il fatto di aver stimolato la nascita del nazionalismo tedesco e con la nascita di un blocco continentale, avrebbe perso i titubanti alleati che gli rimanevano; con la repressione ideologica effettuata in particolare modo in Spagna si sarebbe inimicato grandi pensatori ed intellettuali.


Se avessero vinto gli Austro-Russi?

La vittoria degli alleati ad Austerliz non sarebbe stata affatto possibile, anzi, a detta di numerosi specialisti, se l'attacco a sud fosse stato portato con meno truppe il primo attacco sul Pratzen sarebbe stato respinto. La battaglia sarebbe stata decisa dal logoramento più che dalla manovra ed, in quel caso, i 3000 cannoni degli alleati avrebbero avuto un peso contro i valorosi combattenti francesi. La vittoria degli alleati si sarebbe potuta verificare soltanto nel settore meridionale e l'Imperatore, in questo caso, avrebbe dovuto affrontare, subito dopo la sconfitta, gravi problemi come l'entrata in guerra della Prussia al fianco degli Alleati.


Napoleone attacca Russia e Prussia

Dalla vittoria di Austerliz emerse un esercito francese altamente galvanizzato dalle vittorie e presto avrebbe combattuto con l'esercito Prussiano. In Europa, dopo la sconfitta austriaca si credette in lungo periodo di pace, ma l'idea di Federico Guglielmo III, re di Prussia, di attaccare la Francia, suscitò l'ira di Napoleone che in poco tempo rase totalmente al suolo l'esercito Prussiano a Jena. I dati parlano chiaro: 30000 tra feriti e morti, 35000 prigionieri tra cui 30 generali prussiani e 300 pezzi di artiglieria conquistati. Napoleone poté marciare trionfante da Weimar a Berlino distruggendo ogni ricordo di sconfitte francesi subite a causa dei prussiani nel corso della storia; però, l'obiettivo principale nella testa dell'imperatore rimaneva sempre l'Inghilterra che fu costretta a subire il Blocco continentale emanato dallo stesso Bonaparte direttamente da Berlino. Convinto di aver posto un grosso freno alla potenza Inglese con il Blocco, Napoleone si dedicò all'incognita Russia. Nonostante il primo tentativo di attacco fallì malamente con "un inutile macello" a causa delle pessime condizioni meteorologiche, al secondo attacco la macchina da guerra francese non fallì e riuscì a distruggere il 14 giugno 1807 alle ore 22.00 l'esercito dello Zar Alessandro a Friedland. Ma l'abilità diplomatica dello Zar riuscì ad addolcire Napoleone nel firmare il trattato di Tilsit, che era favorevole ad entrambe le nazioni. Chi ha fatto le spese di queste veloci e ripetute battaglie dell'esercito napoleonico fu la sconfitta Prussia che, oltre a rimborsare economicamente le spese della guerra, dovette cedere parte dei suoi territori che vennero divisi in granducato di Varsavia e regno di Vestfalia.


I problemi con la Spagna

I problemi per Napoleone non erano finiti. Sistemato l'est e il centro Europa, l'esercito francese si concentrò sulla penisola iberica a causa del fatto che i ribelli spagnoli e portoghesi decisero di non aderire al Blocco continentale perché ciò avrebbe danneggiato anche la loro economia. Presto il Generale Junot venne inviato a conquistare Lisbona, mentre il re di Spagna Ferdinando VII veniva destituito in favore del fratello di Napoleone, Giuseppe. La rivolta popolare degli spagnoli "nel nome di Cristo e del re Ferdinado" non si fece attendere e nella giornata del Dos de Mayo a Madrid tutta la popolazione insorse contro l'esercito francese prendendolo molte volte di sorpresa come accadde ai 20000 uomini di Dupont che furono costretti alla resa. Stessa sorte per Junot in Portogallo, costretto a firmare la convenzione di Cintrab che sanciva la sconfitta francese fino all'arrivo della Grande Armèe guidata da Napoleone che, non senza difficoltà, conquistò Madrid e Saragozza, ma non fu in grado di sedare completamente le insurrezione appoggiate, tra l'altro, dall'Inghilterra. Tali tumulti stimolarono anche il tentativo di rivincita dell'Austria che dichiarò guerra al decimato esercito francese che fu comunque in grado di sostenere la battaglia e di dirigersi verso Vienna. Tuttavia il progetto di conquistare la riva opposta del Danubio fallì duramente e l'invincibile esercito francese dovette constatare il fatto di essere "battibile". Dopo la sconfitta di Essling, l'Imperatore non si diede per vinto e tra il 4 ed il 6 Luglio 1809 ordinò il passaggio del Danubio su ponti di fortuna. Giunto a Wagram, Napoleone diresse in prima persona le operazioni nella battaglia decisiva contro l'Austria che fu presto annientata e costretta a chiedere al pace. Il 14 ottobre a Vienna venne firmato l'accordo con il quale l'Austria avrebbe rispettato il blocco continentale, avrebbe ceduto alla Francia la Carinzia, la Carnia e la Croazia e non avrebbe tenuto un esercito superiore alle 150000 unità. La Francia era ora il più grande stato dai tempi di Carlo V.


Crisi con la Santa Sede

Napoleone però, dovette per un momento abbandonare le sue imprese militari e dedicarsi nuovamente ai rapporti con la Santa Sede. Dopo che l'Imperatore aveva conquistato Ancona ed aveva sottratto numerosi territori dello stato Pontificio, Papa Pio VII cominciò a non vedere di buon occhio Napoleone il quale lo costrinse anche a rispettare il blocco continentale. Al rifiuto del Papa la Francia rispose con la conquista di Roma e l'arresto di Pio VII che venne portato nel carcere di Savona, anche se ciò costò a Bonaparte la scomunica. Più tardi si tentò comunque di ristabilire i buoni rapporti e si giunse al secondo Concordato il 25 gennaio del 1812 ed, un anno più tardi, Pio VII tornò in Vaticano.

Al termine di tanti problemi, dopo aver ripudiato Giuseppina e aver sposato Maria Luisa d'Austria, a Napoleone mancava soltanto un erede maschio per consolidare il suo potere. In un clima di enorme festa in tutta la Francia il 20 Marzo del 1811 nacque il sogno di Napoleone: suo figlio, re di Roma.


Il "grande flop" in Russia e l'ecatombe della ritirata

Ma la festa durò poco. Il nemico Russo guidato da Alessandro si faceva sempre più minaccioso. L'imperatore decise allora di infliggere ai Russi una dura sconfitta e per far ciò partì con mezzo milione di uomini. Il 23 Giugno 1812 cominciò la battaglia, ma il nemico non si fece incontro ritirandosi nell'entroterra russo. Il 5 settembre al sorgere del sole napoleone disse: "ecco il sole di Austerliz", ma questa volta lo aveva contro, svelando ai russi gli obiettivi francesi. Alla fine però Napoleone vinse sulla Moscova, anche se dato il numero di perdite e la condizione dell'esercito, tale azione militare somigliasse maggiormente ad una sconfitta. La Grande Armèe entrò a Mosca dove contava di trovare rifornimenti, ma trovò soltanto fiamme e fumo perché per la mentalità russa c'era "solo terra bruciata per l'invasore". Dopo aver tentato di giungere ad un accordo Napoleone, chiuso in un pericolosissima morsa dal generale Inverno, si vide costretto ad ordinare la ritirata per non perdere anche il controllo dell'Europa. In Russia Napoleone cominciò pensare tra i saloni del Cremlino che l'essere vincitore prigioniero del nemico vinto fosse l'inizio della fine. Infatti anche la ritirata fu un ecatombe, descritta così dal conte Rochechouart agli ordini dell'esercito russo: "mi trovavo sul posto dove l'esercito Francese aveva passato la Beresina. Nulla avrebbe potuto essere più straziante. Si vedevano montagne di cadaveri di tutte le armi e di diverse nazioni, che giacevano ancor lì gelati, schiacciati dai fuggiaschi e finiti dalla mitraglia russa".


Il primo esilio per l'Elba

Dopo la sconfitta dell'esercito francese Parigi era diventata l'obiettivo principale di Russia, Prussia, Austria, Inghilterra e Svezia. Napoleone dovette riorganizzare un esercito costituito, per la maggior parte da ragazzi ventenni i quali si videro costretti ad affrontare il nemico a Weissenfels e a Luzten. Nonostante i "Maria Luisa", nome dato al nuovo esercito francese in onore dell'imperatrice, si fosse comportato valorosamente su tutti i fronti, gli scontri furono persi e Napoleone, pressato da ogni parte a causa dell'incapacità dei suoi luogotenenti che non seppero mantenere salda la vittoria di Dresda, si dichiarò sconfitto. Il 25 gennaio del 1814 alle tre del mattino Napoleone lasciò la Parigi e tentò una inutile resistenza, ma gli invasori furono presto in grado di conquistarla il 31 marzo. L'imperatrice ed il re di Roma furono costretti a rifugiarsi a Bloise, mentre Napoleone si ritirò nella sua sede di Fontainebleau per meditare una nuova marcia su Parigi con l'aiuto dei suoi generali i quali, però, gli voltarono le spalle e lo spinsero verso un'inevitabile abdicazione a favore del figlio e della moglie, il 20 aprile 1814, prime di partire per l'Elba.


La sua attività non si ferma: si prepara per i cento giorni

Durante l'esilio all'Elba, l'imperatore non seppe trattenersi dal suo spirito di comando. In breve tempo riorganizzò l'isola intera stupendo gli abitanti del luogo. Nel frattempo rimaneva sempre informato su ciò che accadeva in Francia, dove la popolazione cominciava ad avere il rimpianto di Napoleone ed aveva già organizzato alcune rivolte. Logicamente, attorniato dai suoi generali fedelissimi, Bonaparte non esitò a tornare in Francia e a dirigersi verso il centro mentre, lungo il cammino, interi reggimenti si ponevano liberamente sotto il suo comando tanto da costringere il re Luigi XVIII, che dall'esilio di Napoleone aveva preso il trono di Francia, a ritirarsi senza opporre resistenza. Il vecchio imperatore era tornato al comando, ma questa volta, al contrario di quanto pensassero le altre nazioni, aveva intenti pacifici espressi esplicitamente in una sua celebre affermazione : "io sono l'imperatore dei soldati, ma anche del popolo".


La definitiva sconfitta: Waterloo

La clamorosa fuga di Napoleone dall'Elba sorprese i capi alleati riuniti a Vienna per il congresso per la ricostruzione europea. L'imperatore venne dichiarato fuori legge e per affrontarlo venne fatta un'alleanza tra Russia, Inghilterra, Austria e Prussia. Egli allora decise di attaccare per primo sulla piana di Waterloo dove si trovò a fronteggiare l'esercito inglese di Wellington e quello prussiano di Blucher. Alle ore 11 del 18 giugno 1815 la battaglia ha inizio e dalle prime battute sembra del tutto favorevole alla Francia quando però alle ore 19 arrivava in aiuto degli inglesi il generale Blucher che in tre ore capovolse le sorti della battaglia. Napoleone è stato definitivamente sconfitto forse a causa della minoranza di uomini, forse per il tradimento del generale Bourmont o, forse, perché, in qualsiasi caso, aveva raggiunto l'apice della sua "parabole discendente".

Tornato in patria, la Francia gli voltò le spalle e lo costrinse all'Abdicazione in favore del figlio Napoleone II. Poco prima che Napoleone firmasse il documento il consiglio dei ministri gli aveva inviato una deputazione di cinque persone tra le quali il Vicepresidente La Fayette che disse: "Dite a Bonaparte di inviarci la sua abdicazione , altrimenti gli manderemo la sua deposizione".


Approfondimento: il linciaggio di Prina

Al crollo del regime napoleonico il ministro delle finanze Giuseppe Prina cadde vittima di una sommossa a Milano. Tecnico competente ed energico, Prina scontava con la vita il rancore che si era guadagnato tra la popolazione con le sue durissime misure fiscali (aveva tra l'altro ripristinato l'odiata tassa sul macinato), tese a risanare il debito pubblico e a raccogliere i fondi necessari ad alimentare un esercito, quello francese, sempre più dispendioso.

Il 20 aprile 1814 i milanesi presero atto del crollo del regime napoleonico massacrando uno dei suoi più qualificati esponenti, Giuseppe Prina, che era stato ministro delle Finanze per dodici anni. Quel giorno la città era stata abbandonata a se stessa: le autorità si erano dileguate, numerosi uomini politici avevano preferito mettersi in salvo con la fuga e i militari erano rimasti senza ordini. Anche al Prina era stato consigliato di abbandonare la città prima che insorgessero disordini, ma egli aveva rifiutato perché si sentiva la coscienza tranquilla. In realtà si comportò come un temerario: aveva legato il proprio nome ai provvedimenti più impopolari dell'epoca napoleonica; era a lui che si addebitavano le tasse che erano state introdotte. I milanesi lo consideravano "l'anima dannata di Napoleone".

La mattina di quel 20 aprile un numero insolitamente alto di contadini affluì in città e questo fu un sintomo certo che gli oppositori del regime meditavano di prendersi una rivincita. La folla cominciò con l'invadere il senato, dove si cercava di favorire il trapasso pacifico dei poteri. In realtà i senatori erano tutti legati al potere napoleonico: la gente li disperse e gettò i mobili dal palazzo fuori dalle finestre. Quando non ci fu più nulla da devastare, dalla folla scatenata si levò un grido: "Vogliamo Prina!".

Appena la moltitudine cominciò a tumultuare sotto le finestre del suo palazzo, a San Fedele, Prina tentò di nascondersi ma presto il portone d'ingresso fu sfondato e gli scalmanati rovistarono tutte le stanze: il ministro fu scoperto, spogliato, picchiato a sangue e poi gettato dalla finestra. Lo sventurato tentò di rialzarsi ma la folla gli si avventò contro nuovamente. Fu formato un corteo e Giuseppe Prina fu trascinato nel fango mentre continuava a essere picchiato.
Ci fu, a onor del vero, chi cercò di metter fine a quel supplizio facendo nascondere la vittima in una casa, ma i più assetati di vendetta ebbero il sopravvento e di nuovo il poveretto fu riportato per strada. Alla fine non fu più in grado di reggersi in piedi e allora lo stesero su di un'asse e lo portarono fino in piazza Cordusio, dove restò esposto al ludibrio generale. Stava agonizzando ma l'energumeno che a quel punto lo colpì sulla testa, forse con una martellata, sfondandogli il cranio, non lo fece per alleviare le sue sofferenze. Soltanto a cose fatte un reparto di soldati sopraggiunse a disperdere la folla.


Il triste esilio a S. Elena

Dopo l'abdicazione Napoleone aveva raggiunto la sua preferita residenza estiva a Malmaison, dove trascorse i suoi giorni progettando un grande ritorno o una fuga verso l'America. La decisione del governo francese si protrasse a lungo e nonostante, lui avesse avuto la possibilità di fuggire sfondando il blocco inglese, decise di consegnarsi alla corona di Inghilterra. Giunto in Inghilterra a bordo della Bellerophon, però, gli venne data la triste notizia della decisione di esiliarlo nell'isoletta di S. Elena, sperduta nell'atlantico meridionale. Dopo due mesi di viaggio a bordo della Northumberland, arrivò al porto di Jamestown e per lui e per i suoi ultimi e fedelissimi seguaci e servitori cominciò un duro periodo reso ancor più aspro dalla presenza sull'isola di un rigidissimo governatore inglese: Hudson Lowe. Dal 1816 al 1819 Napoleone ha passato tutto il suo tempo in angosciose cavalcate accompagnato sempre da un ufficiale inglese, fino a quando si ammalò gravemente e perse le forze. Pienamente convinto di riprendersi, ma dopo aver scritto il testamento per "sicurezza", il 10 aprile del 1820 l'imperatore disse: "Sono ancora abbastanza forte, il desiderio di vivere mi soffoca". Il 4 maggio riuscì ad inghiottire soltanto un po' d'acqua zuccherata. Poi una crisi di vomito. All'alba si calmò e rimase tutto il 5 maggio immobile con lo sguardo fisso. Alle 17.51 si spense e con lui morì pezzo importante di storia che riesce, ancora oggi, a trasmettere, attraverso le sue imprese militari ed il suo genio politico, tutto il suo fascino. Dopo essere stato seppellito a S. Elena nel 1821, nel 1840 il suo corpo venne riesumato per essere restituito alla Francia, e, per uno strano scherzo del destino, agli occhi di tutti, il corpo di Napoleone dopo 19 anni dalla sua morte, avvolto soltanto dall'uniforme della guardia nazionale, era intatto.
Napoleone è forse immortale?


Fonti:I grandi della storia, Mondadori Editore,1969
Perenne,storia universale, Sansoni Editore
Desideri, Themelly, Storia e Storiografia,D'Anna casa editrice, Firenze, 1997
Tratto da http://pdsm.altervista.org/