FELICE ORSINI
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Felice Orsini, nato a Meldola il 10 dicembre 1819, fu imolese solo per poco più di otto anni della sua vita. Soggiornò infatti stabilmente a Imola solo dal 1829 fino all'estate del 1838, nella casa dello zio paterno Orso, conservatore religiosissimo arricchitosi nella lavorazione della canapa. Il padre di Felice, Andrea, era invece di idee molto diverse: aveva militato come ufficiale nell'armata italiana che aveva seguito Napoleone in Russia, dopo di chè, finito il sogno bonapartista, si era iscritto alla Carboneria ed era entrato, per questo, nell'elenco dei ricercati dalla polizia pontificia. Questo stato di continua latitanza impose di affidare Felice alle cure dello zio.

Per il giovane Orsini la permanenza a Imola non fu serena e terminò tragicamente nel tardo pomeriggio del 5 luglio 1838, con due colpi secchi esplosi in rapida successione. I protagonisti della tragedia che si era appena consumata erano il signorino Felice, nipote di Orso, e Domenico Spada, la vittima, uomo di fiducia dello zio che in quel momento era fuori città per alcuni impegni nelle sue terre. Quando il delegato di polizia bussò con i suoi uomini, dopo pochi minuti, alla porta di casa Orsini, del giovane neo assassino non vi era più traccia perché era già fuggito per i tetti alla ricerca di un nascondiglio sicuro poi trovato dai vicini di casa.

Felice non era nuovo ad imprese violente. Ne sapeva qualcosa quel Leopoldo Montanari suo compagno di schiamazzi della parrocchia di Valverde, costretto a letto per un mese dopo avere sperimentato gli eccessi collerici del futuro autore del fallito attentato a Napoleone III. Perché, questa fu l'"impresa" che avrebbe reso "famoso" Felice Orsini, per la quale fu ghigliottinato a Parigi il 13 marzo 1858. Con tre complici (Pieri, Rudio e Gomez) impresse il proprio nome sulle pagine della storia col sangue di vittime innocenti (per la precisione 8 morti e 156 feriti tra i quali 21 donne e 11 ragazzi) che furono colpite dalle 511 schegge provocate da tre micidiali bombe lanciate, la sera di giovedì 14 gennaio del 1858, contro la carrozza imperiale che si arrestava di fronte al teatro dell'Opera tra un folto stuolo di curiosi, soldati e gendarmi.

La figura di Orsini assume i contorni contraddittori di un pericoloso idealista, pronto a commettere atti violenti e insensati pur di portare a compimento i propri fini politici. Ciò nonostante l'impresa di Orsini, ricordata a Imola da una lapide e da una via, è stata idealizzata in Romagna come un atto di eroismo estremo e di profondo amore patrio e la sua condanna è stata pianta come un "sacrificio" e un "martirio", dimenticando che la morte procurata ad un proprio simile (soprattutto se innocente) non può mai assurgere ad atto di valore. E così il 29 novembre del 1903 le "Società popolari imolesi" murarono una lapide, sul lato esterno del portichetto della Farmacia dell'Ospedale, dedicando a "Felice Orsini intrepido campione dell'italica indipendenza" tutta la loro ammirazione. Non tutti a Imola, per fortuna, la pensavano come i suoi più accesi ed irriducibili ammiratori. Giovanni Codronchi nel 1906 così sintetizzava il primo atto criminoso del futuro "eroe" del Risorgimento: "Felice uccise il domestico di suo zio, da lui sospettato di aver denunciato un suo amorazzo, e fuggì in Toscana in una carrozza signorile, appiattato sotto le sottane di due signore". Chi fossero queste dame imolesi è facile saperlo dagli atti del processo che, grazie alle amicizie dello zio Orso col cardinale Mastai Ferretti (futuro Pio IX), si concluse con una condanna a poco più di una tirata d'orecchia (sei mesi poi condonati dietro la promessa di Felice, non mantenuta, di entrare in convento e farsi gesuita).