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La rivoluzione americana
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Nel corso del 1600 nella fascia atlantica estesa dai grandi laghi alla Florida si erano formate dodici colonie inglesi che nel 1732. Con l’unione della Georgia, salirono a tredici. Queste però non rappresentavano un meccanismo unitario erano sorte in tempi e in modi molto diversi ed erano sempre pronte alla lite o alla zuffa armata. Da sempre avevano nemici esterni i Francesi ed i Pellirosse, ed erano convinte che, senza il legame con l’Inghilterra, sarebbero state travolte. A differenza delle colonie spagnole dell’America meridionale e di quelle francesi del Canada, le colonie inglesi ebbero una rapida crescita della popolazione per l’afflusso continuo d’immigrati dalle isole britanniche. Le maggiori città erano Filadelfia (24000 abitanti) New York (fondata dagli Olandesi nel 1632 con il nome di Nuova Amsterdam) e Boston. L’organizzazione politica era in mano ad un governatore il cui potere era controbilanciato dalle Assemblee rappresentative, elette dai coloni. Le diverse origini, convinzioni religiose e attività economiche creavano attriti e fratture tra le colonie che si possono dividere in tre gruppi:

Quattro colonie del nord (Massachussets, Connecticut, New Hampshire, Rhode Island) che formavano il New England, a causa della maggioranza di colazione inglese; qui era forte la tradizione puritana (molti coloni erano arrivati nel 1600, durante la persecuzione da parte della dinastia cattolica degli Stewart). Prevalevano piccole fattorie famigliari, condotte con tecniche simili a quelle delle campagne europee; ma gli abitanti di queste regioni, coperte in gran parte da foreste, si dedicavano anche alla produzione di legname, resina, canapa e quindi alla costruzione delle navi, che erano utilizzate per la pesca, che era un’altra importante voce nel campo economico di queste colonie. I quattro stati del nord occupavano un territorio che non permetteva un grande sviluppo agricolo, ma che era favorevole alle attività manifatturiere e commerciali. I fiumi davano una forza motrice per mulini e segherie, le coste offrivano insenature per i porti, le foreste fornivano abbondante materiale per la costruzione di navi.

Quattro colonie del centro (New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware) che possedevano le città e i porti più importanti ed erano abitate da gente d’origine diversa: inglesi, Olandesi, Svedesi, tedeschi, Irlandesi e Scozzesi. Nonostante l’attività commerciale dei porti e delle città, queste colonie vivevano prevalentemente con l’agricoltura: la terra era suddivisa in molti appezzamenti dove numerosi piccoli proprietari coltivavano grano, con la forza delle proprie braccia e dei familiari. Inoltre i coloni praticavano la caccia d’animali da pelliccia nelle zone montuose più interne e intenso era il commercio delle pellicce comprate dai pellirossa, e per la loro posizione erano il luogo di scambio dei prodotti tra il nord ed il sud.. La tolleranza religiosa era massima e nelle colonie centrali si trovavano protestanti di chiese diverse (calvinisti, luterani, anglicani), cattolici ed ebrei.

Cinque colonie del sud (Virginia, Maryland, Carolina del nord, Carolina del sud, Georgia) che fondavano la loro economia sulle grandi piantagioni di tabacco, d’indaco (la pianta da cui si estraeva il colorante azzurro per tingere i tessuti) e di riso (il cotone, altro pilastro dell’economia americana, fu introdotto solamente in seguito). Qui dominava un’aristocrazia terriera d’origine inglese e di confessione anglicana, formata da un gruppo relativamente esiguo di grandi proprietari, i piantatori mentre i campi erano coltivati da schiavi.

L’eguaglianza era il bene più ambito dagli abitanti delle colonie, tanto da essere superiore alla libertà. Infatti, nel 1700 legato a quest’amore per l’uguaglianza è lo spirito di tolleranza, cosicché le sette più disparate si abituarono a vivere armonicamente insieme. Se la storia anteriore ci mostra il popolo del Massachussets che caccia gli eretici quando non li uccide, se la legislatura più antica esclude rigorosamente dal diritto di voto chi non appartiene alla fede religiosa dominante in ogni singola colonia, ora invece il popolo è tutto per un uguale ed universale tolleranza.

Ciò dipendeva anche dal fatto che fede robusta e fanatica della prima ora si era notevolmente temperata e che la lotta quotidiana per domare il nuovo continente e per raggiungere una condizione di vita accettabile legava fortemente gli uomini agli interessi materiali, suscitando quella tenace ricerca del benessere, che resterà come un’altra caratteristica silente del popolo americano. Tutto ciò non si accordava con le esaltazioni religiose che ancora negli ultimi decenni del 1600 faceva considerare a Congregazionisti del Massachussets “una distrazione seria, ma veramente piacevole” il mettere un po’ d’ordine tra i feretri deposti nelle cantine a Natale. Tuttavia lo spirito religioso non si spense.

Quindi le colonie erano nate in modi assai diversi o per l’iniziativa di singoli individui per lo più ricchi borghesi e di società commerciali ai quali il sovrano aveva concesso, con un’apposita Carta, il diritto di proprietà e ampi poteri sui territori occupati: erano le colonie di proprietà. La maggioranza delle colonie erano sorte per l’emigrazione di comuni cittadini che avevano abbandonato la patria per semplice spirito d’avventura o perché perseguitati per motivi religiosi e politici: Inglesi, Scozzesi, Irlandesi e più tardi Olandesi e tedeschi avevano ricercato nel nuovo continente quella libertà che l’Europa non garantiva loro. Erano queste le colonie della corona, poiché era più diretta l’autorità del sovrano.

Ogni colonia aveva con la madrepatria un rapporto duale.di svantaggio e di svantaggio. Per quanto riguarda i vantaggi, gli Americani non avevano un esercito ben organizzato né una flotta da guerra, erano protetti dall’armata inglese, nel caso di un attacco massiccio da parte dell’esercito francese o di un assalto marinaro delle flotte francesi od olandesi ai convogli diretti in Inghilterra. Per il resto ogni contadino difendeva i suoi campi dai pellirosse e dai bisonti, a colpi di fucile e ogni porto aveva la sua flottiglia da pesca. Inoltre, in quest’epoca, un inglese pagava mediamente 26 scellini d’imposte dirette, cioè di tasse direttamente versate allo stato, mentre i coloni americani versavano solo uno scellino e non era denunciato il contrabbando con le Antille.

Di contro, anche le colonie americane, come tutte le colonie dell’Impero commerciale inglese dovevano contribuire alla ricchezza e allo sviluppo dell’Inghilterra, quindi dovevano produrre per la madrepatria: vino (che altrimenti bisognava importare dalla Francia) legname (importato dalla Svezia) spezie (Portogallo) e inoltre di tabacco, rum, cotone, canapa, catrame, pellicce e d’olio di balena. Le spedizioni dovevano avvenire solo con navi inglesi, i cui proprietari fissavano i prezzi più convenienti per loro e non si preoccupavano dello sviluppo colonico. Questo era un freno per lo sviluppo commerciale ed industriale perché le colonie potavano commerciale solo con la madrepatria e importare da questa tutti i prodotti necessari come manufatti e macchinari e nelle colonie non potevano essere organizzate quelle attività manifatturiere già presenti in Inghilterra, come la costruzione d’imbarcazioni o la produzione di tessuti di lana e cotone: le colonie dovevano quindi limitarsi a tagliare legname nelle foreste, estrarre minerali da qualche miniera, coltivare tabacco. Tutti questi obblighi tendevano a salvaguardare gli interessi dell’Inghilterra e limitavano fortemente la libera iniziativa economica dei coloni, i quali contrabbandavano le merci con le Antille, con il Canada e con gli spagnoli del Messico, oltre che con mercanti olandesi.