PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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LA PACE NON COME LA DÀ IL MONDO (GV 14, 27)

S. Em. Card. Patriarca ANGELO SCOLA 

alla XXIII Festa diocesana della Famiglia

19 gennaio 2003

 

 

II Domenica del Tempo Ordinario B

1 Samuele 3,3-10.19; Prima lettera ai Corinzi 6,13-15.17-20

Giovanni, 1,35-42

«CHE COSA CERCATE?»

«Che cosa cercate?»

La domanda che Gesù, voltandosi, rivolge a bruciapelo ai due che prima erano del Battista, li sorprende. Gesù vuole che loro rendano esplicito il gesto compiuto: lasciare il Battista per andare con Lui; vuole cioè che si rendano conto del passo a cui il desiderio li aveva condotti.

Di qui la domanda: «Maestro, dove abiti?».

Ecco qual è il desiderio: il desiderio di una compagnia stabile con questo uomo che il loro grande, grande maestro Giovanni aveva indicato come l’unico, vero maestro, superiore a lui, addirittura come l’agnello messianico tanto atteso.

Sono talmente pieni del desiderio che si compia, si realizzi questa aspirazione di felicità, da fare quella domanda.  Vogliono stare con Lui.

VENITE, COSTRUIAMO LA CASA

Ma chi, tra quanti di voi, amici, è qui stasera, non ha provato qualche cosa di molto simile, anzi direi della stessa natura, quando ha incontrato il marito o la moglie! Non è nata lì quella curiositas, cioè quell’apertura alla conoscenza commossa ed amante su cui poi, in forza della grazia santissima del matrimonio, avete costruito la vostra famiglia?

Che cercate dunque stasera qui, se non di rendere ancora più esplicita, dopo un anno o dopo cinquanta, questa mossa del desiderio così esaltante la libertà, così compiuta.

Allora Gesù risponde: «venite, venite e vedrete voi». Che realismo nella proposta di Cristo, che concretezza, niente discorsi, niente elaborazioni ideologiche, niente analisi: una proposta di con-vivenza, di vita insieme; diciamo la parola: una dimora, esattamente come tu, oggi magari madre, hai risposto al tuo sposo di oggi, quando allora ti chiese questa compagnia stabile.

Una dimora. Venite a casa mia, costruiamo la casa, la dimora, il matrimonio, la famiglia.

È realmente questa proposta così spesso fraintesa dal mondo, così poco capita? Forse addirittura emarginata anche da parte di coloro che avrebbero il compito di elaborare politiche sociali organiche a favore della famiglia.

Però, questa scelta, che purtroppo le nostre società del nord del paese rischiano di ridurre ad una sorta di accordo privato tra due, anziché riconoscerlo nella sua valenza potentemente sociale, questa scelta della dimora stabile e fedele, non è l’espressione più potente e naturale di qualche cosa che anche il brano della lettera di Paolo ai Corinzi ci ha suggerito?

Questo brano ci parla in modo stupendo di quel livello elementare e a sua volta primario, attraverso il quale l’«io» è portato alla scoperta del «tu», livello che sta alla base dell’uomo/donna, che sta alla base del matrimonio e della famiglia.

IL CORPO, SACRAMENTO DELLA COMUNICAZIONE

C’è la percezione autentica del corpo, costituito nella sua differenza sessuale, come una grande possibilità,  come il sacramento della comunicazione totale della persona, per usare le parole del Santo Padre. Il corpo che, come ci dice appunto Paolo, è il tempio dello Spirito Santo; il corpo, che dopo la risurrezione di Gesù è realmente il sacramento potente dell’espressione di tutta la propria personalità e dell’incontro con l’altro.

È il modo normale con cui comunichiamo, ci sorridiamo, guardiamo, con cui in famiglia voi accogliete il concepimento dei vostri bimbi, e poi, quando vengono alla luce li prendete tra le braccia e li accompagnate lentamente nei dinamismi della crescita.

Il corpo come sacramento di tutta la persona, la prima elementare scuola alla famiglia, il luogo in cui l’«io» impara il «tu»; il luogo in cui noi ci scopriamo generati non soltanto perché biologicamente messi al mondo, ma perché genealogicamente ogni giorno trattenuti nell’essere dalla paternità e dalla maternità del papà e della mamma e col riflesso della grande paternità di Dio.

Il corpo è la strada per imparare da una parte la generazione, e dall’altra il riconoscimento dell’altro; luogo in cui, ogni giorno, ci educhiamo a volerci bene, a voler bene ai nostri figlioli, a far crescere quella dimora nella quale il destino di felicità si realizza.

Da questa esperienza, rinnovata dalla risurrezione di Cristo del nostro corpo, che ci conduce attraverso la dimora della famiglia a costruire questa trama stabile e fedele di relazioni nelle quali Dio può essere finalmente se stesso, noi siamo progressivamente accompagnati a costruire il “noi” della società ed è per questo che voi giustamente avete messo con forza quest’anno a tema la destinazione sociale della famiglia.

SOGGETTI DI EDIFICAZIONE DELLA COMUNITÀ....

Giustamente voi percepite di essere soggetto di edificazione della comunità, la quale solamente entro la famiglia può trovare la sua consistenza e stabilità, dove parole come amore, civiltà, parole come cultura, e come pace non restano utopiche, cioè astrazioni ed elucubrazioni intellettualistiche di uomini, ma diventano esperienza di edificazione concreta nella vita quotidiana. Basti pensare alla trama delle famiglie in un quartiere, alle modalità con cui vengono pensati e affrontati i bisogni di tutti, con cui si cerca di edificare luoghi di lavoro, di riposo, luoghi di rigenerazione dell’«io».

La grande condizione per costruire noi il sociale è esattamente questa, amici, per la quale avete lavorato tanto quest’anno nelle vostre parrocchie, per cui in questa settimana vi siete preparati e adesso siamo qui insieme per ricevere il dono della Sacra Scrittura.

È il «noi» della Chiesa, perché è nella Chiesa che diventa ogni giorno concreto, possibile fino in fondo questo «noi», questo dramma nel senso nobile e quotidiano, questa esperienza quotidiana della nostra libertà per cui ogni giorno dobbiamo imparare, nel rapporto «io/tu», nel «noi», la verità dell’io e la verità dell’altro,

.... IN FORZA DELL’AMORE DI CRISTO

In forza dell’amore con cui Cristo ci ha amati dando la sua vita per noi, questo noi non è più artificioso, non è più astratto, anzi è costruito ogni giorno dalla potenza della sua grazia e ogni giorno impariamo addirittura ad accettare il nostro limite, a riconoscere il nostro peccato, a domandare perdono e quindi a costruire fino in fondo la nostra libertà, ad accogliere l’altro, soprattutto l’altro che è nel bisogno.

In questo «noi» ecclesiale, non abbiamo in nessun modo, più paura nemmeno di quella legge singolare che non può non vivere in ogni esperienza umana, la legge del sacrificio, la rinuncia in tutte le sue forme (penso a quelle dei papà e delle mamme).

Il dolore per il proprio peccato, l’umiliazione per l’ingiustizia subita, non sono più una obiezione a questo noi, perché, dentro la Santa Madre Chiesa, diventano addirittura come una condizione che riflette la grande opera della croce attraverso la quale Gesù è voluto passare per risorgere e per farci risorgere. A questo compimento siamo destinati.

Per questo agiamo ed agite nella Chiesa santa che è in Venezia, nella Chiesa tutta, e nella società civile. Realmente, attraverso di voi, attraverso le nostre famiglie che vivono il metodo della Santa Famiglia di Nazareth, l’io cresce e cresce il noi della chiesa come forma compiuta della società.

Amici carissimi, questo è il grande dono che la Chiesa fa al mondo attraverso di voi: il dono dell’amore reso concreto, reso sperimentabile, dell’amore luogo di verità, luogo di bellezza, luogo di bontà.

Gesù è la nostra pace, la pace che noi invochiamo con forza, soprattutto in queste settimane. Ebbene, questa pace la costruite voi, la costruiamo noi ogni giorno, vivendo il metodo dell’amore, secondo la concretezza che oggi la Santa Chiesa ci ha richiamato.

UNA CHIAMATA CHE METTE IN MOTO LA LIBERTÀ

«Samuele, Samuele!» Come è delicato e bello questo episodio che mette in moto la libertà del giovinetto! Con la stessa delicatezza il Padre ti chiama stasera o sposa, o sposo, o figlio, per nome.

«Samuele!». Possa il tuo «Eccomi» essere luogo di esaltante libertà come lo fu per quel giovinetto, possa esserlo se hai sei anni o se ne hai novantasei, possa essere veramente una condizione di pace e di verità per te, per noi, per la nostra chiesa, per la nostra città di Venezia, per il nostro Paese, per tutto il mondo.

«Eccomi», rispose. Anche noi, che cerchiamo il suo volto, vogliamo ridirci e ridirgli questo «eccomi» che nasce dalla forza delle nostre famiglie, che nasce dall’esperienza di una dimora che sta cambiando il mondo perché sta cambiando noi stessi. Amen.  

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Omelia tenuta alla XXIII Festa diocesana della Famiglia . Trascrizione, non rivista dall’autore , dalla registrazione, revisione del testo e titolazioni a cura della Segreteria della Commissione.

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