PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO EVANGELISTA


XXVIII Festa diocesana della Famiglia

con la Consegna della Bibbia

20 gennaio 2008

Omelia 

di

S.E. Rev.ma Card. ANGELO SCOLA

Is 49, 3.5-6; Sal 39; 1Cor 1, 1-3.5-6;Gv 1, 29-34

 

 

 

 

1. «Ecco l’agnello di Dio» (Gv 1,29). L’espressione agnello di Dio (il termine aramaico agnello è lo stesso di servo - Prima Lettura: secondo carme del Servo del Signore) evoca negli ascoltatori ebrei due immagini distinte, ma in fondo convergenti: il Servo di Jahvé che appare come l’agnello del sacrificio pasquale e l’agnello sacrificale. Gesù, il Testimone fedele dell’amore del Padre, le unifica nella Sua Persona umano-divina e ne svela il cuore incandescente: il dono di sé fino all’offerta della propria vita. Il dono di sé ci pone di fronte ad un elemento essenziale di quel mistero nuziale fatto di differenza sessuale, dono di sé e fecondità di cui voi, chiamati a vivere il matrimonio cristiano, siete resi partecipi. Il Mistero ineffabile dell’unità tra Cristo Sposo con la Chiesa Sua Sposa di cui il matrimonio è partecipazione e testimonianza, vi mette in permanente rapporto con l’Unitrino che dà e conserva la vita di tutti gli uomini.

 

Questa partecipazione ai misteri centrali della nostra fede si esprime nel mistero eucaristico che, non senza sacrificio, siete convenuti oggi a celebrare nella nostra Basilica Cattedrale in occasione della XXVIII Festa della famiglia.

 

Siamo qui perché, in forza del Battesimo che abbiamo ricevuto e a cui crescendo abbiamo dato il nostro assenso consapevole, abbiamo accolto Gesù Cristo nella nostra stessa persona e Lui ci ha dato il potere di diventare figli di Dio. Siamo figli nel Figlio. Questo ci abilita ad essere padri e madri in senso pieno. Lo vediamo nell’esperienza umana elementare: uno non è veramente padre se non è a sua volta figlio. Non genera se non è generato nel presente (nell’esperienza della comunione ecclesiale ognuno di noi è generato dalla Mater et magistra). Si vede qui un altro elemento decisivo del mistero nuziale: la fecondità, l’apertura alla vita.

 

 

 

2. Nella introduzione della Prima Lettera di Paolo ai Corinti che abbiamo appena sentito proclamare l’apostolo si rivolge ai figli di quella comunità con queste parole: «a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù [la santità oggettiva del Battesimo, della incorporazione a Lui], chiamati ad essere santi  [la vocazione ad attuarla nel cammino della nostra vita quotidiana]»  (1Cor 1, 2b ). Già gli anni scorsi ci siamo ricordati che la santità non è altro che la piena “riuscita” della nostra vita, non in modo astratto, ma dentro le concrete circostanze vocazionali in cui la misericordia del Padre ci ha posto.

 

La vita stessa è vocazione e all’interno di questa prospettiva si delineano gli stati di vita (matrimonio e consacrazione). La vita come vocazione attraverso lo stato di vita realizza l’unità della nostra persona. Questa concezione dell’io si vede nello stretto rapporto tra affetti, lavoro e riposo. Per questo ricordiamo in particolar modo in questa Santa Messa i due operai morti sul lavoro a Marghera, i loro familiari e tutte le vittime a causa degli incidenti nel mondo del lavoro. Per il bene dei lavoratori e delle loro famiglie ci impegniamo a far crescere una cultura della sicurezza sul lavoro, per la quale servono buone leggi ed un’applicazione rigorosa delle procedure da esse stabilite, e una continua formazione.

 

 

 

3. Alla profondità umana implicata dal matrimonio e dalla famiglia noi siamo chiamati a dare testimonianza: «E io ho visto e ho reso testimonianza» (Gv 1, 34 ).

 

Consegnandovi la Bibbia vi affido anche un altro compito che mi sta particolarmente a cuore. All’interno della comunità cristiana voi avete una responsabilità enorme e non delegabile a nessun altro: rendere visibile e credibile il bell’amore, l’amore autentico in un clima culturale che invece tende a non riconoscerlo più, perché tende a considerare la fedeltà neanche più come una proprietà aggiunta dell’amore, ma quasi come un non-valore rispetto all’amore. Lo smarrimento è giunto a tal punto da pensare che il vero amore sarebbe quella passione che rinasce tutte le volte sulle ceneri dell’amore precedente, che esclude la fedeltà per principio. La fedeltà con la sua inevitabile componente di fatica, di rinuncia, di compito, di dovere sarebbe qualcosa che ammazza l’amore. Invece la fedeltà è il cuore dell’amore, svela l’oggettiva partecipazione all’eredità preziosa che Cristo ci ha lasciato: essere figli nel Figlio. Il sacramento del matrimonio e la famiglia sono “il talento” prezioso donatoci dal Padre e che noi dobbiamo “trafficare” nel quotidiano. L’amore è bello perché chiede un lavoro su di sé (ascesi), per sé e per tutti. Per questo Benedetto XVI ha posto in stretta relazione la famiglia con la pace.

 

 

 

4. Testimoniare la fedeltà implica una comunione effettiva che si spezza in una compagnia che, condividendo la vita dell’altro a partire dai bisogni e dalle sue vicende più dolorose, arriva fino ad esplicitare le ragioni esistenziali della fede e la convenienza umana del vivere nella comunità cristiana secondo la pluriformità delle sue manifestazioni (“carità medicinale”).

 

 

 

5. Mettiamo sotto la protezione della Vergine, Madre del bell’amore, il gesto con cui fra poco rinnoverete le promesse matrimoniali: che il vostro reciproco , che oggi prende il peso della fedeltà per gli anni condivisi e per quelli che vi attendono, risplenda anzitutto ai vostri occhi e poi agli occhi di tutti coloro che il Padre vi farà incontrare come il tesoro più prezioso, la “convenienza” più grande per la vostra vita perché, come suonava il titolo della XXII Assemblea degli sposi, davvero l’amore dell’uomo e della donna, vissuto nel sacramento del matrimonio, sia sempre più l’appuntamento e la sorpresa di Dio per ognuno di voi e per le vostre famiglie. Amen