PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

Home ] Su ] PROGRAMMA ] Gli Uffici ] La Commissione ] Formazione al Matrimonio ] Casa Famiglia Pio X ] Assemblea animatori ] La festa della Famiglia ] I  Fidanzati a S. Marco ] Ass. Centro S. Maria M. Domini ]

Assemblea straordinaria

Basilica Cattedrale di S. Marco

Venezia, 13 aprile 1997

SPOSI E FAMIGLIE, 

DONO ED IMPEGNO PER LA CHIESA, 

SPERANZA DI NUOVI PRETI  

Intervento di Sua Em. Card. Marco Cè

 

Una corresponsabilità ecclesiale

Vi saluto, cari coniugi, e ringrazio il Signore del fatto che avete risposto a questa mia convocazione. Pensavo: ma non stiamo esagerando con i coniugi? Li abbiamo chiamati per l’Assemblea[1] , per la Festa della Famiglia[2] , e adesso li chiamiamo un’altra volta: e invece voi, non mi deludete mai. Anche questa volta siete venuti numerosi, accogliendo la chiamata del vostro Vescovo.

Oggi siamo qui a parlare delle vocazioni sacerdotali, ma anche delle vocazioni religiose maschili e femminili, cioè di questa chiamata di speciale consacrazione che il Signore rivolge ad alcune persone nella sua Chiesa. Ci siamo convocati in un momento di difficoltà per le vocazioni, però non siamo qui per lamentarci, ma per ringraziare il Signore per le vocazioni che ci ha dato. Ho qui accanto a me il papà e la mamma di Raffaele che tra due mesi circa diventerà sacerdote assieme ad altri tre giovani e io ringrazio il Signore per questi doni.

Ci troviamo, quindi, non per lamentarci o colpevolizzarci, ma soprattutto per ringraziare il Signore, e anche per chiedergli di aiutarci a fare - anche se non mi piace molto l’espressione - un salto di qualità nel nostro essere Chiesa anche a proposito di problemi importantissimi come questo; problema che noi normalmente abbiamo delegato al Vescovo o, al massimo ai preti. Invece sono problemi anche del Vescovo e anche del presbiterio, ma non sono prevalentemente i problemi del Vescovo e del presbiterio, sono i problemi della Comunità Cristiana.

Di fronte ad un problema, ad una difficoltà noi possiamo assumere due atteggiamenti, quello del mugugno, del lamentarsi, del brontolare, del piangerci addosso per la cattiveria dei tempi; e quello dell’interrogarci: “Signore, cosa vuoi da noi?”. Mi pare che ponendoci in questo secondo atteggiamento, che è quello della fede, il Signore chiami voi e chiami me; chiami me ad avere finalmente una fiducia totale, sconfinata in questa grande realtà che è il sacramento del Matrimonio consegnato alla famiglia, quasi che il Signore mi dicesse: “Vescovo, abbi fede in questo Sacramento che io ho consegnato alla Chiesa, abbi fede nella realtà della famiglia sacramentale che forma la cellula della Chiesa”. E dica a voi coniugi cristiani: “La Chiesa è vostra, è nelle vostre mani, aprite gli occhi, aprite il cuore, svegliate la vostra coscienza ecclesiale.”

Questa coscienza ecclesiale già c’è in voi perché sapete che la Chiesa è vostra. In questi anni ve lo siete detto infinite volte, nelle catechesi e nei discorsi che andate facendo anche nelle Assemblee e nelle Feste della Famiglia quando ci convochiamo qui in San Marco. Questa verità della vostra corresponsabilità ecclesiale, ce la siamo detta infinite volte. Credo sia venuto il momento in cui occorre passare dalla convinzione alla vera assunzione di responsabilità, prendendo in mano, ciascuno di noi, il problema.

Un atto di fiducia

Io, quindi, vorrei vederlo come un atto di fiducia del Patriarca nei vostri confronti, e questo è ben poco, ma soprattutto una presa di coscienza che Dio ha avuto fiducia in voi. Questo è ancora più bello, mi pare! Prenderne coscienza fino in fondo vuol dire avere la volontà di rispondere a questa fiducia che il Signore - e la Chiesa nella persona del Patriarca - ha nei vostri confronti.

Abbiamo evocato il “Veni Creator Spiritus” perché in tutti i momenti più importanti della Chiesa c’è la presenza dello Spirito Santo e credo che ciò che oggi stiamo facendo, sia ‘qualche cosa’ che è sotto l’invocazione dello Spirito Santo.

La radice è nel battesimo

Vorrei dirvi - nel poco tempo che mi è concesso - quattro cose, che sono semplicissime. La prima è questa: voi sapete che la Chiesa è una comunione di corresponsabili e questa corresponsabilità è radicata nel Battesimo, cioè nella realtà primordiale del nostro essere cristiani. Per voi sposi, questa corresponsabilità è radicata anche nel sacramento del Matrimonio come per  me è radicata anche nel sacramento dell’Ordine.

Ma che cos’è il Battesimo? Il Battesimo è chiamata di Dio; col Battesimo Dio ci chiama, e ci chiama col nome bellissimo di figli. Il Battesimo è vocazione. Dio ci chiama alla filiazione divina e ci chiama a viverla in una Chiesa che non solo deve aprire il mondo alla speranza della salvezza, ma gliela deve anche donare. In forza di questa chiamata battesimale, i problemi della Chiesa sono i nostri problemi.

La radice della corresponsabilità ecclesiale non è il sacramento dell’Ordine e dell’Episcopato, ma ciò che mi accomuna a voi, cioè il Battesimo. Quindi ciò che ci fa tutti responsabili della Chiesa, è quello che tutti abbiamo in comune: il Battesimo. Noi, voi e io, siamo poi titolari di un altro Sacramento ministeriale che ci fa ulteriormente responsabili della Chiesa e del mondo, però la radice di tutto è il Battesimo.

Oggi il Vescovo mette nelle vostre mani questa responsabilità. È una sfida che io vi lancio domandando: accettate o no di essere responsabili della Chiesa?

La ministerialità coniugale

La seconda cosa che voglio dirvi riguarda uno dei termini che più frequentemente è risuonato nella pastorale per il sacramento del Matrimonio e della Famiglia, in questi anni: “Ministerialità coniugale”.

Il sacramento del Matrimonio vi consacra ad un servizio nei confronti gli uni degli altri come marito e moglie, nei confronti della famiglia e nei confronti della Chiesa nel mondo e per il mondo. Questa ministerialità non è una bella perla da mettere in tasca, in una scatoletta preziosa, oppure da chiudere nella cassaforte; questa ministerialità è da attivare, da ridestare e il problema intorno al quale oggi ci siamo convocati investe proprio la vostra ministerialità nei confronti della Chiesa e del mondo. Dico ‘della Chiesa e del mondo’ perché la Chiesa non è fatta per se stessa, ma per essere lievito nel mondo, per ravvivarlo, per aprire le strade della speranza, per dare e seminare la salvezza  che poi ci viene solo da Dio.

I figli

La terza cosa: i figli. Voi li mettete al mondo, li generate, li tirate su, li fate crescere. Però vedete: della vostra mano voi dite “la mia mano”; del vostro cuore dite “il mio cuore”, ma  non date del “tu” alla mano. Vi mettete forse a parlare con la mano, qualche volta? Se io vedessi qualcuno parlare con la mano e gli dicesse “tu”, direi che quello è matto. Invece, di fronte ai figli voi dite “mio figlio”, “mia figlia” ma gli date del “tu”. È un “tu” davanti a voi ; allora dire “mio figlio” e “mia figlia”, non è la stessa cosa come dire “la mia mano” e “il mio cuore”.

È una persona quella cui voi date del “tu”, ma la cosa ancora più grande è che questa persona dà del “tu” a Dio. È una persona davanti a voi, davanti al mondo e davanti a Dio. Nessuno ne può disporre; della sua libertà neppure Dio dispone: la rispetta. Anche Dio le dà del tu: “Vuoi? Se vuoi”. Alla mia mano non dico “se vuoi”. A me Dio ha detto “se vuoi”, a voi Dio dice “se vuoi”.

I figli sono persone da voi generate, da voi cresciute come “persona”, cioè nella loro indipendenza, nella loro libertà, nella loro alterità nei vostri confronti, nella loro responsabilità personale di fronte a Dio e di fronte al mondo; delle persone che sono chiamate per nome da Dio e in questo nome c’è un progetto, e in questo progetto c’è il DNA, la cifra di una vita riuscita e della loro felicità. Su questo progetto io non posso mettere le mani perché esso appartiene al dialogo di questa persona con Dio. Io lo devo rispettare e devo aiutare questa persona a realizzarlo perché in esso c’è questo DNA della sua riuscita e della sua felicità.

Al servizio del progetto

L’ultima cosa che voglio dirvi è che il vostro compito, la vostra responsabilità nei confronti di  questo progetto, non è il dominio, ma il servizio. “Ministerialità” vuol dire svolgere un ministero, cioè un servizio. In questo caso mettersi al servizio del progetto di Dio sulla persona del figlio: questo è il nostro compito. Il mio compito nei confronti di tutta la comunità, ma soprattutto il vostro compito nei confronti della personalità dei vostri figli.

CONCLUSIONI

Il primato della preghiera

Non posso riprendere tutte le cose che avete detto perché mi porterebbe via troppo tempo e allora tenterò di dire alcune cose cercando di cogliere la sostanza dei vostri interventi.

Innanzitutto, come punto di partenza, dobbiamo convincerci che la vocazione sacerdotale e religiosa - come il vostro Matrimonio - è grazia, è dono di Dio e quindi non possiamo fabbricarlo noi. Siamo di fronte ad un dono di Dio e allora mi pare sia proprio da mettere in campo il primato della preghiera. Infatti Gesù non ha dato tanti consigli sulla pastorale delle vocazioni, ma ha detto: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate”[3] . Vorrei proprio sottolineare questo, come avete fatto voi del resto, che avete concluso gli interventi con una preghiera.

Sono consapevole che per quanto possa mettere tutta la mia buona volontà, non sono io che creo vocazioni: esse vanno implorate al Signore. Sono anche convinto che Dio non lascia la sua Chiesa senza i mezzi necessari per lo svolgimento della sua missione, quindi, se le vocazioni non ci sono, dobbiamo interrogarci e lasciarci interpellare da Dio che ci pone una domanda.

A me pare importantissimo che noi, oggi, conquistiamo una certezza tutti insieme: è un problema che ci tocca, che ci investe personalmente, che non possiamo scaricare sulle spalle di qualcun altro. Non possiamo dire ci penserà il Vescovo, il parroco, i preti e sinceramente, se avessimo tempo, prenderei in considerazione tutti i vostri consigli perché c’è sempre qualcosa di bello e di nuovo che si può fare. Però la cosa più sbagliata sarebbe scaricare questo problema sugli altri.

Dal nostro Battesimo viene questa radice della nostra corresponsabilità ecclesiale nei confronti dell’annuncio del Vangelo, e quindi anche di questo strumento necessario che è il ministero sacerdotale. Se noi tornassimo a casa sentendo come nostro questo problema, sarebbe una grande conquista di questo incontro.

Una proposta esplicita

Quand’ero ragazzo io, la proposta vocazionale era un po’ nell’aria; come Raffaele, ho sempre pensato di fare il prete, e ne sono contento perché la mia dignità è sempre stata di Dio. Non per merito mio - perché ritengo di essere stato un ragazzo abbastanza “selvaggetto” - ma perché Dio mi ha sempre voluto bene, in modo assolutamente gratuito, e io ho detto sì.

Adesso la vocazione nell’aria non c’è più, ci vogliono i cannoni per farla sentire perché nell’aria c’è tutt’altra cosa che la vocazione alla vita consacrata. Oggi devono essere la famiglia, i sacerdoti, e tutte le realtà ecclesiali ad assumersi il compito della proposta esplicita e quindi anche voi genitori dovete porvi questo problema. Non penso che mio padre e mia madre abbiano pensato appena nato che io potessi diventare prete, però ho colto questo, non so dire come. Adesso non è più così, e non dico con questo che adesso sia meglio di prima, dico che adesso non è più così e la proposta vocazionale va fatta normalmente in modo esplicito. Dio ha poi le sue strade, è padrone Lui e fa quello che vuole.

La Diocesi - lo diceva don Luigi - ha delle iniziative che vi raccomando perché vanno proprio in questo senso; gli esercizi spirituali e i corsi di orientamento nella vita non sono proposti perché si debba  diventare prete ma per offrire occasioni di silenzio e di preghiera in cui porsi davanti al Signore e cercare di accogliere, di capire la sua volontà.

Sono allora preziosissimi i corsi di orientamento vocazionale per i giovani nei momenti in cui si pongono esplicitamente il problema di cosa fare nella vita, alla fine degli studi superiori, verso i 18-19 anni. Sono aiuti che vengono prestati perché i giovani si possano orientare e trovare la strada della realizzazione del loro progetto, perché non è facendo il prete che ci si salva e neanche sposandosi, ma facendo la volontà di Dio, realizzando il suo progetto su di noi.

La disponibilità, l’accompagnamento, l’apertura al mondo

Della vocazione qualche volta si ha una concezione un po’ mitica. Se dovessi parlare della mia direi le cose più semplici di questo mondo; non ho avuto dei gran preti che mi abbiano aiutato da ragazzo, non ho avuto niente di straordinario, però via via ho capito che la mia strada era questa. Ho fatto le mie fatiche, ho avuto le mie piccole tribolazioni, il buon Dio mi ha voluto bene, mi ha spianato le strade, sono arrivato ad essere prete e lo ringrazio. San Paolo è stato chiamato in modo straordinario, ma normalmente non è così. Normalmente, penso ci siano tre momenti nella vita di una vocazione.

Innanzitutto il Signore costruisce una persona con un quadro di qualità che lo rendono disponibile ad essere chiamato a questo. In ogni buon ragazzo o buona ragazza ci sono queste disponibilità: la docilità, la capacità a vivere non per se stessi ma ad aprirsi agli altri, la sensibilità altruistica, cose che vanno fatte crescere.

In secondo luogo è importantissimo l’accompagnamento nella vita dei ragazzi e delle ragazze, comunque sia la loro strada. In particolare, per una strada di vita consacrata è importante avere qualcuno che aiuti, non soltanto nel discernere, nel capire, ma anche a crescere, attraverso l’amicizia, il consiglio. Quando un giovane, una ragazza trovano una persona che li accompagni in questo, è veramente un grande dono di Dio: è un compito quasi naturale dei sacerdoti, ma anche di qualche buono o brava religiosa, di qualche laico o laica.

Un terzo aspetto riguarda la capacità di porsi di fronte alle difficoltà del mondo e alle necessità della Chiesa. Specialmente nel caso di vocazioni che si decidono in età adulta, quando si è in grado di prendere decisioni libere, consapevoli, responsabili, è importantissima la capacità di porsi di fronte alla Chiesa e al mondo e riconoscere che la vocazione non è soltanto un sentimento interiore che uno sente. Va fatta crescere quindi la consapevolezza che non possiamo pensare solo a noi stessi ma che apparteniamo ad una Chiesa, che viviamo in un mondo che può aver bisogno di noi e che può chiederci di dare tutta o parte della nostra vita per esso.

Un discorso ordinario

Questo discorso delle vocazioni deve diventare più “ordinario”, cioè più dentro il tessuto quotidiano della vostra vita di educatori, di papà e mamme, deve entrare nel discorso ordinario della catechesi di una vita parrocchiale e dell’accostamento che i sacerdoti hanno con le persone.

Vorrei pertanto che portaste a casa da questo nostro incontro la convinzione che la vocazione non è un discorso specialistico per circoli ristretti di tipo spirituale: questo è il discorso più ordinario, più normale della vita della Chiesa.

Come la famiglia deve occuparsi, giorno per giorno, di avere i mezzi del proprio sostentamento, così noi, che partecipiamo responsabilmente alla vita della Chiesa, dobbiamo preoccuparci di fare in modo che essa abbia gli strumenti necessari per servire il Vangelo e la salvezza degli uomini.

Il discorso delle vocazioni, anche di speciale consacrazione, deve ritornare nella vita normale delle nostre famiglie, della nostra preghiera quotidiana, nei discorsi che si fanno in casa, parlando con stima della vocazione religiosa, senza censure dettate dalla paura che i nostri figli si affaccino a questa prospettiva. Non dovrebbe essere un argomento tabù, ma se noi viviamo veramente una vita di fede dovremmo affacciare noi stessi e i nostri figli a questa ipotesi nel rispetto della vita propria.

Sono stato per molti anni rettore del seminario e posso testimoniare di essere stato il difensore della libertà dei ragazzi. Molto spesso, infatti, succedeva che prima le famiglie erano contrarie, poi s’innamoravano di questa prospettiva e quando il ragazzo invece decideva diversamente c’era una certa sofferenza nella famiglia e qualche piccola pressione. Ricordo di aver preparato con tanta delicatezza molti genitori ad accettare anche una decisione diversa, ma sempre ponendomi con grande coscienziosità, nel rispetto della libertà delle persone.

Sono quindi convinto che il nostro incontro su questo tema sia importantissimo soprattutto se riesce a restituire il tema della vocazione alla serena, pacifica ordinarietà della vostra vita di cristiani che partecipate alla vita della Chiesa.

 

ÌÌÌÌÌ

 

 


ALL'ELENCO DELLE ULTIME ASSEMBLEE


[1] XI Assemblea diocesana degli Sposi - S. Nicolò di Mira, 20 Ottobre 1996

[2] XVII Festa diocesana della Famiglia - Basilica-Cattedrale di S. Marco, 26 Gennaio 1997

[3] cfr. Mt 9, 37-38