PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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ATTI DELLA

XII ASSEMBLEA DIOCESANA DEGLI SPOSI

S. MICHELE DI QUARTO D'ALTINO

19 ottobre 1997

SPOSI IN GESù CRISTO

PER MEZZO DELLO SPIRITO SANTO

NELLA CHIESA E DENTRO LA STORIA

 

SOMMARIO

Prefazione                                                                                     

Articolazione dell’Assemblea                                                  

Presentazione dell’Assemblea                                                

di Adriana e Guido Iscra                                                             

Saluti all’Assemblea                                                                    

“Fissiamo il nostro sguardo affettuoso su Gesù”                  

del Card. Patriarca Marco Cè                                                       

Dialogo del Patriarca con l’Assemblea                                        

Presentazione della consegna della Bibbia                               

Il ministero coniugale nella Chiesa e dentro la storia                 

A. Il ministero coniugale “profetico-creativo-educativo”

o dell’annuncio dell’Amore di Dio                                          

di Paola e Filippo De Perini                              

B. Il ministero coniugale “sacerdotale-caritativo-eucaristico” o dell’accoglienza dell’Amore di Dio 

di Mary Lisa e Franco Bonaldi                                           

C.Il ministero  coniugale “regale-sociale-politico” o

del dono agli uomini dell’Amore di Dio                                   

di Anna e Piero Martin      

 

Conclusione sul "Ministero coniugale

(Coniugi Bonaldi)                                               

Interventi assembleari e repliche                                              

Conclusioni all’Assemblea                                                      

di mons. Silvio Zardon                                                                

 

Il saluto del Patriarca

Celebrazione Eucaristica  - Introduzione                                                                                

. Omelia del Patriarca 

 

PREFAZIONE  

don Silvio Zardon


Parto subito dai numeri, che troverete nel dettaglio più avanti. All’Assemblea di S. Michele di Quarto d’Altino c’erano 214 coppie di sposi; le parrocchie rappresentate, 63 su 128 e i vicariati 15 su 16. Un dato interessante, il 26% dei partecipanti erano presenti per la prima volta: lo zoccolo degli affezionati è forte, ma c’è anche un buon ricambio. Circa l’età dei partecipanti, predominio della fascia centrale, tra i 36 e i 50 anni, il 51%; seguita da quella matura, tra i 51 e i 65 anni, il 24%. Ma ben rappresentate anche le coppie giovani dai 21 ai 35 anni, il 20%.

Voglio anche notare che 136 coppie su 214 (64%) frequentano un Gruppo sposi parrocchiale o vicariale. Ciò mette in luce che i gruppi sposi si stanno diffondendo e chi vi fa parte trova motivi sempre validi per intervenire agli incontri e alle mete diocesane. È proprio questo uno degli intenti della Commissione: far giungere le sue proposte agli sposi e alle famiglie nelle parrocchie, per coinvolgerle proficuamente nel cammino formativo e pastorale in atto nella nostra Chiesa. Infatti, sugli obiettivi, sui contenuti e sugli strumenti sempre è stata data ampia informazione soprattutto in occasione di ogni Assemblea e della Festa della Famiglia.

Il tema della XII Assemblea poteva sembrare complesso, per di più espresso con un linguaggio non proprio moderno o, come si dice, non corrente. Tuttavia, anche rileggendo ora in questi Atti lo svolgimento della giornata, devo dire che la trattazione dei temi è stata ben seguita, soprattutto quello svolto, il mattino, dal nostro Patriarca. La sua è stata una “contemplazione” di Gesù, spiritualmente ed emotivamente coinvolgente, addirittura affascinante. Ci ha detto il Patriarca: “È alla persona di Gesù Cristo che va la priorità assoluta su qualsiasi scelta o obiettivo della nostra esistenza cristiana”. Gli sposi, come ogni cristiano, hanno scelto la “sequela”: un itinerario di coppia dinamico, la cui meta è la “comunione con Gesù, voluta dal Padre e suscitata dallo Spirito Santo, un rapporto, cioè, secondo la comunione sponsale di Cristo con la Chiesa”.

Da qui, la nostra scelta della “contemplazione” di Gesù mediante lo Spirito Santo come anima ed essenza del servizio pastorale, anzi come già irrinunciabile servizio pastorale nella Chiesa e nel mondo. Noterete, di conseguenza, che il passaggio nel pomeriggio al tema del Ministero coniugale è venuto come naturale e quasi atteso sviluppo della meditazione del Patriarca. Tutti, infatti, abbiamo avuto la conferma che, come ogni ministero, il ministero degli sposi è autentico e cresce solo se ha il suo fondamento nella “imitazione di Cristo”, perché, essendo lo stesso suo ministero, solo Gesù può rivelarne il “senso” e la “modalità di incarnazione nella storia”, solo e sempre in comunione con lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù e lo Spirito del Padre.

Ecco, allora, la seconda acquisizione o punto “fermo” pastorale della XII Assemblea: il Ministero coniugale è ministero di “rivelazione dell’eterno Amore di Dio trinitario per l’uomo”. È lo stesso Gesù Cristo ad affidare agli sposi, nella celebrazione del sacramento del Matrimonio, questo ministero coniugale; per questo, rifacendoci alle considerazioni teologiche e pastorali di don Germano Pattaro, abbiamo preferito descrivere sotto una triplice modulazione. Secondo la Nostra Commissione, questa triplice articolazione, che, come è evidente, si ispira al triplice ministero di Gesù Cristo, favorirà una maggiore comprensione da parte degli sposi, dei presbiteri e delle parrocchie della originalità del ministero coniugale e, allo stesso tempo, una sua più facile concretizzazione nella storia.

1.    Il ministero “PROFETICO-CREATIVO-EDUCATIVO”: chiede alla comunità sponsale di fare memoria di Gesù Cristo, che è innanzi tutto “rivelazione-profezia” del progetto eterno dell’Amore del Padre per l’uomo. Gli sposi chiamati a svolgere questo ministero prima di tutto nel loro compito “educativo” nei confronti dei figli, a partire dalla “dimensione vocazionale”. Gli sposi Paola e Filippo De Perini, della Commissione diocesana, nel loro intervento in Assemblea, hanno proposto una preziosa e coinvolgente pista di riflessione su questo primo ministero, che trovate qui e che utilizzeremo nell’incontro di Domenica pomeriggio 15 febbraio. Particolare attenzione dovremo darla al tema delle “vocazioni presbiterali e di speciale consacrazione”, iniziato in S. Marco il 13 aprile scorso con il Patriarca, il Seminario e l’Opera diocesana vocazioni.

2.    Il ministero “SACERDOTALE-CARITATIVO-EUCARISTICO”: ministero dell’accoglienza stupita e gioiosa dell’Amore di Dio, della lode e liturgia di adorazione e di rendimento di grazie per il dono dell’Amore, di cui Dio ha fatto partecipi gli sposi, la famiglia, gli uomini. Sarà bene riflettere sull’originale e sorprendente relazione degli sposi Mary Lisa e Franco Bonaldi (responsabili della segreteria del Centro S. Valentino) su questo ministero, che trovate in questi Atti. La utilizzeremo certamente nell’incontro sposi che faremo su questo argomento Domenica pomeriggio 29 marzo prossimo, con un particolare obiettivo: “La famiglia per le famiglie”.

3.    Il ministero “REGALE-SOCIALE-POLITICO”: ministero dell’Amore di Dio donato agli uomini come esperienza di comunione, vincolo profondo e servizio d’amore ad ogni uomo e alla comunità umana, il ministero della “promozione dell’uomo e dell’educazione alla Civiltà dell’Amore”. Nell’articolata e documentata relazione gli sposi Anna e Piero Martin, anch’essi della Commissione diocesana, sono partiti dall’affermazione che la responsabilità culturale, sociale e politica degli sposi nasce dal sacramento del Matrimonio, che dona loro una “grazia politica” a causa del cuore nuovo creato in loro dallo Spirito. Perciò la questione della responsabilità politica degli sposi e della famiglia, prima che essere questione di iniziative concrete e definite, è questione culturale, di mentalità. Anche questo tema, che in Assemblea subito ha suscitato diffuso interesse, sarà ripreso, utilizzando ovviamente l’intervento Martin, nel pomeriggio di Domenica 26 aprile 1998.

La Commissione, dunque, affida gli ATTI della XII Assemblea diocesana agli sposi, ai gruppi parrocchiali e vicariali, ai sacerdoti delle parrocchie, convinta di fare a tutti un buon servizio a vantaggio della formazione e delle scelte pastorali per il presente ed anche in prospettiva.

Gli ATTI della XII Assemblea, infatti, dovrebbero evidenziare il momento significativo del cammino, in atto ormai da circa 18 anni nella nostra Chiesa, della pastorale degli sposi e della famiglia. Questi ATTI vengono posti in mano anche come “sussidio” quasi per “nuovi percorsi”.

AL SOMMARIO

 

 

ARTICOLAZIONE DELL’ASSEMBLEA

DOMENICA 19 OTTOBRE 1997

 

 

Presidenza:                   S. Em. Card.   Patriarca MARCO CÈ

Moderatori:                    Coniugi  Adriana e Guido ISCRA

Espositori del tema:   S. Em. Card.   Patriarca Marco CÈ

Coniugi           Paola e Filippo DE PERINI

                          Mary Lisa e Franco BONALDI

                          Anna e Piero MARTIN

Svolgimento:

ore  9,30

arrivi alla sede dell’Assemblea ed accoglienza

ore  10,00

preghiera delle Lodi, saluti e presentazione dell’Assemblea

ore  10,30

meditazione contemplativa e dialogo con il Patriarca

ore  12,00

pausa per il pranzo

ore  14,00

presentazione dei tre ministeri sponsali e dialogo in Assemblea

(con un breve intervallo tra le relazioni ed il dialogo)

ore  16,30

conclusioni all’Assemblea

ore  17,30

S. Messa con la comunità parrocchiale ospitante  


 

PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA

di Adriana e Guido Iscra[1]

Cari Sposi, la Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia vi dà il benvenuto a questa XII Assemblea Diocesana degli Sposi e vi esprime la propria gratitudine nel vedere una partecipazione così numerosa.

Anche quest’anno abbiamo presente il nostro Patriarca Marco che salutiamo con grande affetto ed al quale auguriamo un completo ristabilimento dalla recente indisposizione. Il suo prezioso e paterno intervento sottolinea la grande importanza che egli attribuisce alla realtà della famiglia e degli sposi.

Il nostro Pastore fin dall’inizio del suo ministero a Venezia ha sostenuto con profonda convinzione la necessità che gli sposi si impegnino ad attivare una pastorale del matrimonio e della famiglia. Noi sposi cristiani, avendo ricevuto dal Signore il dono del sacramento del Matrimonio, dobbiamo diventare protagonisti corresponsabili della rievangelizzazione di cui oggi più che mai  percepiamo l’urgenza.

Desideriamo salutare e ringraziare anche l’Amministrazione comunale di Quarto d’Altino, presente con il Sindaco ed il Vicesindaco, e soprattutto la Comunità della parrocchia di S. Michele del Quarto, nella persona del parroco don Gianni Fassina che ci ospita in questa nuova ed accogliente sede; salutiamo inoltre il vicario foraneo don Adriano Di Lena,  tutti gli sposi e coloro che hanno preparato l’odierna Assemblea ed opereranno per la sua buona riuscita durante tutta la giornata con un particolare ringraziamento ai giovani che intrattengono i bambini

Vediamo a questo punto di ricordare il significato di questa Assemblea degli sposi: essa è l’occasione per verificare annualmente, in dialogo con il Patriarca, la vitalità del ministero coniugale nella realtà della Chiesa veneziana sottolineandone le caratteristiche precipue e insostituibili.

Il tema di fondo che ha animato le ultime assemblee è stato quello della carità per cui già nella IX Assemblea dal titolo “L’Eucaristia apre gli sposi ad ogni creatura che ha bisogno d’amore” si era sottolineata l’urgenza di una cultura della solidarietà e della condivisione che scaturiscono dall’Eucaristia; nella X Assemblea titolata “Sposi, siate testimoni dell’amore di Dio dentro la storia e darete speranza al mondo” si era sviluppata la consapevolezza che per umanizzare la convivenza civile è indispensabile assumersi concrete responsabilità; nella scorsa Assemblea dal titolo “La famiglia per le famiglie”[2] si era giunti alla convinzione che la famiglia cristiana ha come ministero precipuo e vocazione primaria, il compito di sostenere le famiglie in difficoltà suggerendo concreti servizi.

Si è, in sintesi, approfondito come gli sposi, nel servizio verso le famiglie in difficoltà, nel sostegno di ogni creatura bisognosa d’amore e più in generale nell’impegno alla promozione dell’uomo, così come Cristo ci ha insegnato, possono essere testimoni dell’Amore che Dio ha per tutti gli uomini.

Il titolo di quest’anno “SPOSI, IN GESÙ CRISTO PER MEZZO DELLO SPIRITO SANTO, NELLA CHIESA E DENTRO LA STORIA” è stato scelto nell’intento di  “riscoprire - come dice il nostro Patriarca - la presenza attiva dello Spirito e del suo significato nella vita della Chiesa e nella Storia degli uomini”. Gesù, infatti, consegna agli sposi il loro particolare ministero e lo Spirito Santo li ispira nel loro operare quotidiano.

Il nostro Pastore ha voluto così sottolineare il cammino comune che la chiesa sta compiendo per la preparazione al bimillenario della nascita di Cristo, che è ben  illustrato nella sua lettera “La Comunità cristiana in missione, nell’anno di grazia del Signore”. Si tratta di un documento basilare per la nostra Chiesa di Venezia, inserito nell’itinerario della Chiesa Universale che il Papa  ha indicato nella lettera apostolica “Tertio Millennio Adveniente”. Questo itinerario dedica l’anno 1996-1997 alla riflessione sulla persona  di Gesù unico Salvatore; per proseguire nel 1997-1998 con la riscoperta dell’azione dello Spirito Santo sempre presente nella Chiesa e concludere nel 1998-1999 con la meditazione su Dio, Padre di tutta l’umanità.

La mattinata di oggi sarà dedicata alla meditazione del Patriarca sulla contemplazione della persona di Gesù perché solo alla sua sequela possiamo, come sposi, capire che il ministero coniugale è autentico e cresce solo se ha il suo fondamento nella “imitazione di Cristo”.

Al pomeriggio seguiranno tre interventi, a cura di tre coppie della Commissione, per approfondire come si ponga il ministero affidato a noi sposi sotto i profili EDUCATIVO - CARITATIVO - POLITICO:

·      nell’ambito educativo noi sposi siamo chiamati a capire ed a far capire che Dio ci vuole parlare per rivelare ad ognuno la propria vocazione;

·      l’ambito caritativo ci rende capaci di testimoniare che ci sentiamo amati da Dio che da sempre ama gli uomini;

·      l’ambito politico ci investe della responsabilità di realizzare nella storia la giustizia dell’Amore di Dio.  

Desideriamo infine ricordare che l’odierna Assemblea non è che l’inizio di una riflessione su questi aspetti del ministero coniugale che andranno sviluppati sia nei tre  incontri di approfondimento che, possibilmente, negli incontri dei gruppi sposi parrocchiali o vicariali.

La Commissione ha molto lavorato in questi anni per cercare di capire che cosa voglia il Signore da noi sposi cristiani nella nostra Chiesa ed il volumetto verde[3] che trovate nella cartellina raccoglie lo sforzo fatto per aiutarci a rispondere a  questa domanda; risposta che dovremmo cercare camminando insieme per cui vi preghiamo di dare un’occhiata a queste schede di riflessione e di fare il possibile per  partecipare ai tre incontri che saranno dedicati all’approfondimento di queste tematiche nei prossimi mesi.

  AL SOMMARIO

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SALUTI ALL’ASSEMBLEA di Mauro Badalin[4]


A nome dell’Amministrazione Comunale e mio personale, assieme anche al vice sindaco qui presente, porgo a tutti voi, graditi ospiti, il saluto di benvenuto in questa terra altinate, ricca di storia, di cultura, di archeologia e di tradizioni.

Un saluto e particolari espressioni di accoglienza voglio riservare innanzitutto a lei, Eminenza; la sua presenza ci onora, la sua illuminata parola ci conforta, il farsi oggi compagno della nostra Comunità ci rende orgogliosi.

Il mio saluto va anche a Monsignor Silvio Zardon da anni responsabile della pastorale familiare. Voglio inoltre salutare il vicario foraneo e mio parroco, don Adriano Di Lena che ormai da alcuni mesi guida con competenza il nostro vicariato di Favaro-Altino. Saluto anche don Gianni, parroco di San Michele del Quarto, nonché arciprete, che ci ospita come sempre con la sua sensibilità e generosità.

Saluto tutti i sacerdoti presenti, un saluto e un grazie ai relatori che si alterneranno in questa giornata e a tutte le coppie: siete veramente tante, provenienti dal nostro vicariato e da tutta la diocesi. Permettetemi pure un saluto a distanza a tutti i vostri figli che godono oggi della nostra ospitalità e che fanno da preziosa cornice a questa giornata.

Nel mio ruolo di primo cittadino di questa comunità, mi sento oggi emozionato e anche imbarazzato a parlare, soprattutto perché, di solito, sono abituato a trovarmi dall’altra parte, dalla vostra parte assieme a voi, ad ascoltare e condividere questi momenti. Oggi siete tantissimi, provenienti da tutta la diocesi e siete chiamati a discutere ed approfondire il vostro ruolo di sposi all’interno della Chiesa e della storia. Giovanni Paolo II, nel suo viaggio in Brasile, ha sottolineato che il futuro della società passa attraverso la famiglia. Molti problemi sociali toccano la vita della famiglia e pertanto da questa vanno risolti.

Vedete, tantissimi sono i problemi che ogni giorno un sindaco deve affrontare, ma quelli che toccano di più, perché si constata con evidenza lo sgretolarsi di certi valori, sono problemi familiari, esistenziali, problemi di coppia. Dal sindaco vengono genitori anziani, abbandonati improvvisamente dai loro figli, vengono figli che si sentono trascurati, figli picchiati, sbattuti fuori casa, è questa la nostra realtà. Vengono coppie di sposi in crisi, vengono famiglie con sfratto, bisognose di casa; vengono famiglie in gravi difficoltà economiche, che non hanno alcuna risorsa e che lo stato non riconosce loro un sussidio, anche se al loro interno vi è un malato terminale e così via.

E il sindaco deve ascoltare, mediare, sistemare situazioni, intervenire anche con decisione, per cercare di dare serenità, speranza e fiducia.

Eminenza, nella sua lettera pastorale alla Diocesi “Il granello di senapa”, sottolineava il travaglio esistenziale della famiglia a cui va rivolta attenzione, cura ed impegno, in vista del futuro della comunità cristiana, ma io aggiungerei anche della comunità sociale, della comunità civile. Ed è per questo che come Amministrazione comunale siamo orientati alla collaborazione anche con le parrocchie, con l’associazionismo locale, a rendere sempre più vivibile questa nostra realtà comunale, offrendo stimolazioni, momenti di aggregazione, di confronto, di condivisione; momenti comunitari, momenti di solidarietà, di simpatia; momenti di inserimento, e alludo al progetto “I giovani e la strada”, e alludo al progetto ANFFAS di Ca’ delle Crete.

Molto spesso, invece, siamo troppo preoccupati di costruire l’impalcatura, dimenticando sovente di testimoniare i valori e di accorgerci che esistono anche gli altri.

Io auspico che in ogni coppia di sposi, in ogni famiglia regni la concordia, l’amore, che è il collante elastico che deve permettere a tutti convivenza ed autonomia.

Prima di congedarmi, vorrei lasciarvi un’immagine, è una consegna che lascio sempre alle coppie che vengono a sposarsi civilmente. Io immagino la vita di coppia e la vita familiare come l’esecuzione armoniosa di un’orchestra, dove neppure il direttore è a capo, perché senza i maestri di musica non potrebbe eseguire la sua sinfonia, che sarà tanto più godibile e ben eseguita, quanto ciascuno avrà fatto bene la sua parte, tenendo conto di essere parte di un tutto.

Vi auguro un proficuo e buon lavoro e che possiate portare con voi un buon ricordo di emozioni, di sensazioni e anche di simpatia di questa giornata trascorsa assieme a voi. Buona giornata e buon lavoro.  

AL SOMMARIO

 

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FISSIAMO IL NOSTRO SGUARDO AFFETTUOSO

SU GESÙ  

del Card. Patriarca Marco Cè


LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ

Cari amici, la mia meditazione vuole essere proprio uno sguardo affettuoso posato su Gesù, e in rapporto con lui.

Mentre mi accingo a parlavi, ho una duplice preoccupazione: la prima è di essere difficile e nello stesso tempo di banalizzare il discorso per farmi capire. La seconda preoccupazione è di dire cose belle, ma astratte e qui ho bisogno di voi. Io introduco la meditazione, però poi aspetto da parte vostra delle sollecitazioni e degli sforzi di concretizzazione del nostro discorso.

Il tema è quello che mi è stato fissato e lo introduco con un brano del vangelo di Giovanni[5]. Giovanni Battista si trovava lungo le rive del Giordano, probabilmente con alcuni dei suoi discepoli, ed ecco che vide passare Gesù. “Fissando lo sguardo su Gesù - vi ho detto che la mia meditazione vuole essere un prolungato, affettuoso sguardo fissato su Gesù - Giovanni Battista disse: «Ecco l’Agnello di Dio».

Lo guarda, lo contempla e si sforza di capirlo. I due discepoli - che sono Giovanni ed Andrea - sentendolo parlare così, seguirono Gesù, anche loro affascinati dalla sua presenza. Gesù allora si voltò - Gesù non lascia mai senza risposta quelli che lo guardano, che fissano la loro affettuosa attenzione su di lui - e vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che significa Maestro - dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro.

Quante volte ritorna questa parola del “vedere”, vedere Gesù, contemplare Gesù, fissare lo sguardo su Gesù. E videro dove abitava. E quel giorno si fermarono presso di lui. Erano circa le quattro del pomeriggio”.

Vi propongo dei motivi di contemplazione perché fissiate lo sguardo affettuoso su Gesù e sulla Grazia di amicizia e di comunione con noi che Lui ci dona, per poi tradurre questi doni nella concretezza della nostra vita e vedere come essa ne risulta impregnata, vedere che senso essa prende se si apre a questo dono, a questa Grazia che il Signore fa proprio a voi coniugi, oltre che a tutti i cristiani.

QUATTRO MOTIVI DI CONTEMPLAZIONE

Vorrei articolare la mia meditazione in quattro momenti.

1. Il primo: i rapporti che intercorrono fra Gesù e lo Spirito. Non si può parlare di Gesù senza parlare dello Spirito Santo, e il modo in cui noi parliamo dello Spirito Santo, soprattutto nei suoi rapporti con noi, non può mai prescindere da Gesù. Lo Spirito che agisce in noi è lo Spirito di Gesù.

2. Nel secondo momento della mia meditazione vorrei enunciare i due capisaldi della nostra contemplazione. Vuoi capire Gesù? Come si fa a capire Gesù? Quali sono le strade per poter capire Gesù? Vorrei sottolineare la strada che lui stesso preferirebbe che è quella di guardarlo. Guardarlo, e lasciarci invadere dalla sua luce! Questo è il primo caposaldo. Il secondo, che è veramente il perno della nostra fede, è che Gesù è morto! L’uomo Gesù che è figlio di Dio è morto, ucciso, crocifisso, ma è risorto ed è vivo!

3. Terzo momento: vorrei chiedermi cosa siamo noi rispetto a Gesù, in forza del Battesimo, del dono dello Spirito nella Cresima, e dell’Eucaristia.

4. Quarto momento: la domanda è che cosa siete voi, rispetto a Gesù, grazie al sacramento del Matrimonio.

1. Non si può parlare di Gesù  senza parlare dello Spirito Santo

Dicevo che non si può parlare di Gesù senza parlare dello Spirito Santo e non si può parlare dello Spirito in noi senza parlare di Gesù Cristo.

Non si può parlare dello Spirito Santo che agisce in noi, senza parlare di Gesù perché lo Spirito Santo che agisce in noi è sempre lo Spirito che è stato dato in pienezza a Gesù e che da Gesù, il capo, discende lungo il corpo, discende lungo le membra che siamo noi, ci vivifica (nel Credo diciamo: “Spiritus vivificans”), ci muove, ci fa agire. Quindi lo Spirito Santo, che è lo stesso Spirito che ha mosso Gesù, muove noi che siamo il suo corpo.

Cerchiamo di cogliere appena alcuni tratti.

Nel racconto dell’Annunciazione[6], di fronte all’annuncio dell’Angelo, Maria rimane stordita, si sente coinvolta in un mistero che non capisce e dice: «Come avverrà questo?». L’angelo le risponde: «Lo Spirito Santo scenderà su di te». Lo Spirito Santo scenderà su Maria e forgerà in lei il corpo umano di Cristo.

Il vangelo di Luca[7] dice che Gesù è pieno di Spirito Santo nella sua vita ed è lo Spirito Santo che lo conduce nel deserto[8] per essere tentato dal demonio; non solo ma, prima ancora della tentazione, vediamo che nel Battesimo lo Spirito Santo discende su Gesù[9].

Lo Spirito Santo rende filiale l’anima di Gesù e proprio grazie all’azione dello Spirito, Gesù si apre al Padre in un rapporto tenerissimo e lo chiama proprio così; anzi nella sua lingua, l’aramaico, lo chiama Abbà che vuol dire papà.

Lo Spirito Santo conduce Gesù sulla strada, anche più dura, della fedeltà al Padre e dell’amore ai fratelli: è la strada della croce e Gesù, morendo, dona a tutti noi il suo Spirito. È Giovanni che lo dice: “E chinato il capo spirò”[10], cioè ci comunicò, ci donò il suo Spirito.

Questo Spirito che Gesù ci dona nella sua morte, nella Pentecoste, nel Battesimo, nella Cresima, che Gesù ci dona sempre nei sacramenti, fa in noi quello che ha fatto in Gesù.

Lo Spirito ci forma come membra del corpo di Cristo, cioè ci dà la fisionomia di Gesù, ci abilita a rivolgerci a Dio chiamandolo Padre. Nessuno di noi oserebbe rivolgersi a Dio chiamandolo Padre; è proprio lo Spirito di Gesù, lo Spirito di filiazione che realmente trasforma il nostro cuore, che ci abilita a chiamare Dio, non soltanto per modo di dire ma con profonda realtà, col nome dolcissimo di Padre, sentendoci rispondere da Lui col nome dolcissimo di figlio.

È lo Spirito Santo che ci trasforma ad immagine di Cristo, che ci rende capaci, anche nella fatica, di compiere la volontà del Padre; è lo Spirito Santo, che è stato versato nei nostri cuori, che ci rende capaci di amare gli uomini come fratelli, perché sono tutti figli dello stesso Padre.

Lo Spirito che ha formato Gesù nel grembo della Vergine, che ha permeato l’anima di Gesù, l’ha resa filiale e aperta all’amore dei fratelli fino alla croce, questo stesso Spirito discende da Gesù in noi, ci fa agire come agiva lui, ci fa amare il Padre come l’amava lui, ci fa amare i fratelli come li amava lui.

Lo Spirito Santo, protagonista della vita di Cristo, è protagonista della nostra vita. Quindi lo Spirito Santo non è qualche cosa di estraneo alla nostra esistenza; lo Spirito Santo è un protagonista da scoprire, perché è lui che, come ha reso filiale l’anima di Gesù e l’ha aperta al Padre ed ai fratelli, così trasforma la nostra vita, la nostra anima ad immagine di quella di Cristo.

Noi siamo cristiani, cioè viventi in Cristo, perché lo Spirito Santo ci anima, ci rende vivi in Cristo e ci rende capaci di fare le stesse cose che faceva Gesù.

2. I due capisaldi della nostra contemplazione

2.1 - La strada maestra per capire chi è Gesù

Agli occhi della gente Gesù era uno come loro: la gente vedeva un giovane uomo. La gente ha visto un ragazzo crescere, diventare giovane; poi ha visto questo uomo, ma il suo aspetto, la sua apparenza erano assolutamente indistinguibili da quelli di qualunque altro uomo.

Ci piacerebbe sapere com’era quest’uomo, che fisionomia avesse. Dal vangelo non cogliamo molte cose; ad avere il tempo, si potrebbe riscontrare come fosse una persona molto sana, molto viva, molto vivace, probabilmente molto bella a leggere le reazioni delle donne nei suoi confronti. Pensate ad un solo fatto: quando ad un certo punto, mentre lui sta parlando in mezzo alla gente, una donna, tutta ammirata di fronte a lui, grida il suo entusiasmo: «Beato il ventre che ti ha portato!»[11].

Gesù era una giovane persona probabilmente molto bella, con degli occhi potenti che penetravano, che capivano, che sconvolgevano le persone quando entravano nel loro cuore. Però, fondamentalmente, era un uomo come tutti. Ci sono tante persone belle, simpatiche, con gli occhi profondi e penetranti.

Quest’uomo era anche molto buono (la bontà di Gesù è documentatissima nei vangeli), aveva un grandissima sensibilità verso la sofferenza, si fermava sempre, come catturato dalla sofferenza umana e la magnetizzava, perché i sofferenti quasi istintivamente andavano a lui.

Quest’uomo si proclama Figlio di Dio. Egli dice: «Io e il Padre siamo una cosa sola»[12]. Quest’uomo fa un’affermazione assolutamente improbabile in bocca a qualunque uomo di questo mondo, ma lui la fa.

Se voi guardate Gesù com’è descritto nei vangeli, non riuscite a dire che Gesù è un pazzo, un impostore. C’è tanto candore in quello che dice, c’è un’infinita sincerità, c’è un riscontro totale fra quello che dice e quello che fa, per cui è difficile catalogare negativamente Gesù.

Eppure quest’uomo dice di sé una cosa inimmaginabile, indicibile, assolutamente improbabile, che nessuno di noi si sognerebbe di affermare.

Allora si pone il problema: qual è la strada per verificare se quest’uomo è veramente il Figlio di Dio, se dice veramente la verità? La risposta che mi sembra più ovvia è quella di dire: «Vediamo cosa fa».  Quest’uomo fa dei miracoli, è innegabile, se fa dei miracoli vuol dire che ha una forza sovrumana; ma questo non basta per dire che è Figlio di Dio.

Si può dire di più: quest’uomo dice di essere Figlio di Dio, poi fa delle cose che solo Dio può fare e Dio non approverebbe mai un impostore. Attraverso i suoi miracoli, allora, posso arrivare a dire che lui è veramente il Figlio di Dio. Lui ammette che si possa arrivare a capire chi egli sia attraverso questa strada, però, se lo ascolto, mi accorgo che ne preferirebbe un’altra.

E sapete qual è?: «Guardatemi! Semplicemente guardatemi, ascoltate quello che dico, guardate quello che faccio e ditemi se qualche dubbio può sorgere sulle cose che io vi dico».

Vi cito alcune sue parole. «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce»[13].

Perché gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce? Perché non hanno colto la luce che brilla sul volto di Gesù, quest’uomo venuto da Nazareth? Perché le loro opere erano malvagie. Avevano gli occhiali neri e non hanno visto la luce che brilla sul suo volto.

«Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere, ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte da Dio»[14].

Vi invito a guardare Gesù con occhi buoni, a contemplare Gesù dicendo: «Sì Gesù, tu sei veramente il Figlio di Dio». Ricordate il centurione che aveva visto morire Gesù sulla croce? Lo vede nel momento dell’umiliazione totale, della sua radicale sconfitta. Se c’era un momento in cui, umanamente parlando, la divinità di Gesù era smentita, era proprio quello della croce.

Gli sgherri che stavano sotto la croce dicevano: «Tu che ti sei proclamato Figlio di Dio, scendi dalla croce, tu che hai salvato tante persone, salva ora te stesso!»[15]. La croce è il momento più improbabile per leggere la luce divina sul volto di Cristo, la Croce è il momento della sua sconfitta, umanamente è il momento della sua smentita totale. Ma c’è un uomo, un pagano, il capo del drappello di esecuzione che ha ucciso Gesù, che, guardandolo sulla croce con occhi limpidi, dice: «Veramente quest’uomo è il Figlio di Dio»[16]. Neanche la morte di Gesù lo trattiene dalla più grande confessione di fede.

Proviamo anche noi a guardare Gesù, a fissare il suo volto, a pensare a cosa diceva, a come agiva, alla sua dolcezza, alla sua verità (lui non ha paura di nessuno), alla limpidezza delle sue parole prive di finzione. Proviamo a guardarlo.

2.2 - Quest’uomo è risorto

Il secondo pilastro. Quest’uomo, che se lo guardi ti si svela come il Figlio di Dio, è stato ucciso, è morto. È un fatto storico.

Ma quest’uomo è risorto. Non si va a Gerusalemme, al Santo Sepolcro a cercare le reliquie di Gesù come andiamo a San Marco dove presumiamo siano custoditi gli ultimi resti dell’evangelista. Al Santo Sepolcro non si va a cercare le reliquie di Gesù, perché Gesù è risorto.

Ma vi rendete conto cosa vuol dire “è risorto”? Vuol dire che Gesù è vivo. È vivo come noi che abbiamo un cuore che batte.

Gesù è vivo. Quando è apparso in mezzo ai suoi, i discepoli erano sconcertati, non credevano ai loro occhi, avevano paura. E lui ha detto: «Perché avete paura, toccatemi...». Si fa dar da mangiare, gli danno del pesce e lui lo mangia.[17]

Tutti ci siamo abituati a dire che Gesù è risorto e non ci fa più né caldo né freddo, ma provate a toccarvi e a dire «sono vivo». Provate a sentire i battiti del vostro cuore.

Gesù è vivo. Certo, il suo corpo è glorificato: è il corpo del Risorto. Nel suo corpo, quella divinità che era in lui fin dal concepimento e che, per un disegno misterioso ma di infinita misericordia di Dio, era nascosta nella sua umanità umilissima - la più povera delle umanità - quella divinità, con la risurrezione, esplode nella sua umanità. Il corpo di Cristo è un corpo glorificato, un corpo che appare e poi non lo vedi più; si rende presente, supera i limiti della materia, ma è veramente lui.

Non è risorto lo Spirito di Gesù, è risorto Gesù nell’integrità della sua persona umana e divina. Gesù è vivo, è presente e agisce nella storia dell’uomo: per questo io posso parlare, entrare in contatto con lui. Gesù agisce direttamente sulle persone; l’invisibile Risorto, ma reale anche col suo corpo, agisce normalmente attraverso di noi, attraverso le mani della Chiesa, ma è lui che agisce.

Questa è una cosa straordinaria! Noi ci siamo ormai abituati a ciò e l’abitudine ci toglie la sensibilità, ci impedisce di gioire, di saltare di gioia per le cose, anche più grandi.

Nell’Eucaristia non è presente lo Spirito di Gesù; nell’Eucaristia è realmente presente la divina persona del Signore con la sua anima e il suo corpo. Gesù è vivo, è nella storia dell’uomo. Gesù agisce e salva la storia dell’uomo e, anche se sembra indicibile e incredibile, la salva con le mie mani e con le vostre mani.

3. Cosa siamo noi rispetto a Gesù, grazie al Battesimo, alla Cresima e all’Eucaristia

Il Battesimo è un gesto di Gesù con le mani della Chiesa. Il protagonista del Battesimo non è la Chiesa, ma il Risorto, attraverso le mani della Chiesa.

Io sono un ex contadino, sono l’ultimo residuato di una cultura contadina in mezzo ad una cultura che è tutta operaia e terziaria, perché i contadini non ci sono più. Quand’ero ragazzo, avevo imparato da mio padre a fare gli innesti (adesso se parlate ai ragazzi degli innesti, non sanno assolutamente più cosa siano, non li hanno mai visti) e pasticciavo un po’. Non tutti mi riuscivano, però li facevo. Su un selvatico innestavo il germe di un pero, di un melo buono; sull’uva americana, che valeva poco, innestavo un’uva più pregiata. Qualche volta mi andava male, ma qualche volta mi andava anche bene.

Anche San Paolo usa queste immagini dell’innesto; le usa pure Gesù che parla di vite e di tralci, quando paragona il nostro rapporto con lui: lui è la vite e noi siamo i rami. San Paolo usa però una parola che è più vicina all’innesto.

Il Battesimo ci innesta in Gesù e ci dona lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù che è la sua vita. In forza del Battesimo, lo Spirito Santo, che è come la vita di Gesù, circola in me come circola in Gesù. Si stabilisce cioè un’unica circolazione vitale tra Gesù, il capo, ed io che sono stato inserito, innestato in lui e sono diventato “convitale” con lui (questa è una parola difficilissima, ma è di Paolo). Un’unica vita circola in Gesù , il capo, e in me che sono membro del suo corpo.

Notate: il Battesimo mi inserisce in Gesù e mi dona lo Spirito che mi rende convitale. Credo nello Spirito Santo e vivificante, diciamo noi nel Credo. Avevate mai pensato cosa significhi questo participio? In forza del Battesimo mi viene dato lo Spirito di Cristo che vivifica anche me, che fa vivere me come membro vivo del corpo di Cristo. Senza Spirito sono un membro morto: il Battesimo mi inserisce nel ceppo che è Cristo e lo Spirito Santo circola nella mia vita.

Sono linguaggi “poveri”, se volete, però ci fanno capire. Noi ci accostiamo a questi misteri soltanto con delle immagini; ci mancano le parole proprie per esprimerli, ma le immagini ci aiutano a capire.

L’Eucaristia  che cosa fa? L’Eucaristia è Cristo che si dona a me col suo corpo, fa con me una cosa sola e mi nutre di sé.

L’Eucaristia è come il cibo (anche qui uso una metafora) che mi fa crescere, che mi irrobustisce, che mi nutre, che mi rende sempre più cristiano - “cristiforme” - cioè una cosa sola con lui; Paolo arriva a dire, con un’audacia che usa una volta sola: “Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito”[18]. Una sola persona con lui: pensate che unità profonda!

L’Eucaristia mi nutre in questa unità, al punto che io la mangio. Quando mangio un pezzo di pane, dopo qualche ora non c’è più, ci sono io che sono stato nutrito, che sono cresciuto con quel pezzo di pane. L’Eucaristia mi nutre di Cristo, del corpo di Cristo e S. Agostino mi dice: «Non sarai tu che trasformerai in te il Cristo, ma Cristo che ti trasforma in se stesso».

Questo non avviene materialmente; é lo Spirito Santo che entra e compie questa azione profonda e spirituale per cui la mia vita (con i miei difetti, con i miei limiti), la mia povera vita di vecchio (di chi ha le forze ormai diminuite), è vissuta da Cristo.

La mia povera vita! Capite, amici? La mia povera vita è vissuta da Cristo; sono io che vivo, ma in me c’è un fuoco che mi rende vivo, che rende luminosa la mia vita, che la rende più potente.

Pensate ad un povero pezzo di legno, che prima buttate via con una pedata e poi lo raccogliete, lo mettete sul fuoco e quel pezzo di legno diventa incandescente, vivo, luminoso. Un povero pezzo di legno, invaso dal fuoco, diventa splendente e luminoso.

La mia povera vita è vissuta da Cristo; il mio povero faticare, soffrire, il mio lottare per essere fedele a Dio (faccio tanta fatica ad essere fedele a Dio), il mio lavoro, la mia dedizione al marito, alla moglie, ai ragazzi, il lavoro nei campi, il lavoro in fabbrica, il lavoro alla scrivania, tutto è assunto da Cristo. Sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me.

L’incarnazione incomincia con Gesù, il capo, ma poi, attraverso il Battesimo, attraverso l’Eucaristia, attraverso l’azione dello Spirito Santo, va giù, giù e continua in tutte le membra.

Gesù ha fatto alcune cose nei suoi trentatré anni ma la salvezza, la redenzione non è ancora finita. Chi la finisce? Io! Voi!

Chi santifica gli ambiti del vostro lavoro? Chi santifica le vostre famiglie? Gesù Cristo; ma attraverso di voi!

Come il Figlio di Dio si è servito del corpo umano di Gesù vissuto trentatré o trentaquattro anni per compiere la redenzione, così, per portarla a compimento fino alla fine dei tempi, Dio si serve sempre di Gesù, ma prolungato in me, grazie alla continua azione dello Spirito Santo che rende vivo in me il Battesimo, che fa agire in me l’Eucaristia.

Senza Spirito, il Battesimo non riesce a crescere, come una pianta senza sole; senza Spirito, l’Eucaristia rischia di essere un rito, una messa che ho “sentito”: «Mamma mia, che messa lunga oggi; è durata mezz’ora».

Lo Spirito fa emergere il mio Battesimo, fa crescere l’innesto, è Cristo che vive in me e lo Spirito fa sì che l’Eucaristia trasformi la mia vita.  Io agisco e tutto quello che faccio e tocco, è salvato. È l’incarnazione, è la redenzione che continua in noi. È la redenzione che va a compimento per mezzo nostro.

Direte: «Patriarca, lei è impazzito!» Io non sono impazzito.

«Lei dice cose troppo belle per essere vere!» Io vi dico la verità, leggete il vangelo di Giovanni, al capitolo 15, che è così semplice: «Io sono la vite, voi siete i tralci. Il tralcio non può far nulla senza la vite. Il tralcio porta frutti grazie alla vite. Senza di me non fate frutti, ma se state uniti a me portate molti frutti».[19]

A me viene tante volte di pensare che siamo così ricchi e viviamo da straccioni. Noi abbiamo nel Battesimo, nella Cresima, nel dono dello Spirito, una ricchezza immensa e non ne siamo coscienti, non la scopriamo, non la viviamo.

Bisogna scoprire il dono di Dio per capire la bellezza della vita, anche delle cose più piccole, anche delle sofferenze più piccole, delle nostre fatiche, delle nostre tribolazioni con i figli, negli affari, nella salute, nei problemi in cui ci troviamo immersi.

È la croce di Cristo che continua con il mio nome; è la redenzione di Cristo che salva non soltanto le cose che lui ha incontrato nei trentatré anni di vita, ma tutta la storia del mondo fino alla fine dei tempi.

C’è un supplemento di salvezza che va a compimento soltanto attraverso di noi, di voi che siete come un prolungamento del corpo di Cristo, attraverso la vostra vita così com’è. Non pensate ad una vita “speciale”, non pensate a quei santi nel deserto che facevano cose strane. Oggi il papa proclama dottore della Chiesa una ragazza[20] vissuta ventiquattro anni; quando è morta le sue consorelle monache dicevano: «Mamma mia, ma cosa scriviamo ai monasteri! Come facciamo a fare una breve sintesi della vita di Teresa nella quale non c’è stato nulla, nulla di straordinario».

La santità non consiste nelle cose straordinarie. La vostra vita, con le sue gioie, le sue tribolazioni, le sue croci, il suo lavoro, qualche ora di lavoro nobile ma per lo più di lavoro molto misero che nessuno vede, di cui la televisione e i giornali non parlano, questa vita è la salvezza che corre nella storia del mondo e lo salva attraverso noi.

Il mondo si salva così. «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa.» diceva San Paolo nella lettera ai cristiani di Colossi[21].

4. Cosa siete voi rispetto a Gesù, grazie al Matrimonio

Finora vi ho descritto la vita cristiana: la Grazia del Battesimo, della Cresima, dell’Eucaristia. Ora introduco un concetto nuovo.

Gesù è un “narratore”. Voi avete sentito parlare di Gesù come “rivelatore” del Padre; io dico “narratore” perché è più semplice.

Cosa ha fatto Gesù nella sua vita? Lui è il Figlio. Ha visto Dio, sa che è Padre e, come Figlio, gli assomiglia in tutto. Come figlio conosce bene il Padre, sa come agisce, sa come pensa. In tutta la sua vita, nelle cose che ha detto e che ha fatto, Gesù ha narrato il Padre. Quando Gesù si piegava con infinita dolcezza sugli ammalati, lo faceva perché il Padre è così.

Lui, nella sua vita, nella sua misericordia, nella sua bontà, ci ha narrato Dio. Però Gesù non narra tutto del Padre da solo. Per narrare in pienezza la paternità e la maternità di Dio, per narrare questa volontà di dono che c’è in Dio, Gesù vuole servirsi della nostra umanità. In Dio paternità e maternità si identificano; quando queste immagini di Dio discendono nell’umanità vengono distinte perché noi siamo troppo piccoli per esprimere insieme paternità e maternità; qualcuno esprime la paternità, qualcuno esprime la maternità.

Egli ci unisce a sé nel Battesimo e attraverso il sacramento del Matrimonio abilita l’uomo e la donna a narrare in un modo incomparabile la paternità e la maternità di Dio. Senza il sacramento del Matrimonio, senza di voi, non riusciremmo a capire tutta la ricchezza che c’è in Dio Padre, Padre e Madre.

Gesù, il narratore di Dio, ha voluto ricorrere alla vostra paternità e maternità per narrare tutta la ricchezza che è contenuta in questa realtà che è l’Amore di Dio, l’amore che si spinge al dono pieno di sé, un amore che dà la vita. In forza del sacramento del Matrimonio voi date pienezza alla narrazione di Dio che Gesù ha fatto: egli ha voluto completarla, portarla a compimento attraverso voi.

Gesù istituisce i sacramenti proprio per questo; per farci capire in pienezza quest’Amore di Dio che noi chiamiamo paternità e maternità, ha istituito il sacramento del Matrimonio.

Il compito degli sposi di essere narratori di Dio nella sua paternità e maternità, non consiste nel fare qualcosa di straordinario; Dio ha voluto essere narrato nelle cose più semplici, più quotidiane, più vere di voi coniugi, di voi padri e madri.

Dio ha amato l’umanità a tal punto, da voler fare della vita degli uomini il luogo in cui si rivela. Non diciamo sempre che il creato è stato fatto ad immagine di Dio? Il mondo è stato fatto tutto ad immagine di Dio e i sacramenti fanno emergere quest’immagine.

Dalle cose più semplici, dal far da mangiare, dall’accudire alla casa, dal lavorare per portare a casa lo stipendio per mantenere i figli e la famiglia, il sacramento del Matrimonio fa venire fuori quel mistero nascosto che è la somiglianza di Dio.

Il sacramento del Matrimonio è il più grande atto di amicizia di Dio con le cose umane perché Dio si serve dei gesti anche più semplici per rivelare il suo mistero che è l’Amore.

Oggi parlerete del ministero coniugale: le radici della ministerialità sono proprio queste. I coniugi, i padri e le madri che vivono la loro vita in questo modo, consapevoli di narrare Dio nelle cose quotidiane e non nella straordinarietà, fanno il più grande servizio alla Chiesa.

Così si costruisce la Chiesa nel mondo, questo è il grande servizio fatto all’uomo: fargli capire che, nella sua realtà, è stato amato da Dio, è stato fatto a sua immagine e che tutto, assolutamente tutto, è chiamato a salvezza, grazie a Cristo che agisce mediante noi.

L’opera di Cristo è incompleta senza di noi. Il capo non basta, Cristo fallirebbe, se non ci fossimo noi; ma Cristo non fallisce. Noi portiamo a compimento l’opera di Cristo e voi coniugi lo fate con la vostra vita, non inventando qualcosa d’altro, ma amando la vostra vita.

Amate le vostre croci quotidiane, amate le vostre fatiche perché sono rivelatrici del mistero di Cristo che è in voi, narrano l’Amore di Dio che si esprime anche nella croce di Cristo, nella fatica di Cristo.  

AL SOMMARIO

 

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Dopo la meditazione si è svolto un dialogo tra il Patriarca e l’Assemblea


Gino Cintolo - Resurrezione, Marghera

Mi rifaccio all’esempio del Patriarca dell’innesto e premetto che anch’io sono di estrazione contadina. Vorrei mettere in evidenza che gli innestati nel tronco “buono” siamo noi: i “cattivi”. Non crediamo di essere noi il tronco: il tronco è Cristo. È senz’altro un modo per capire qual è il prodigioso progetto di salvezza di Dio.

Patriarca:

Vero, verissimo.

Luigi Meggiolaro - S. Maria Maddalena, Oriago

A proposito del terremoto in Umbria, mi ha un po’ sconvolto una frase del conduttore di un programma televisivo: «Come mai san Francesco, nei suoi cantici, non ha mai nominato “Fratello Terremoto”?».

Patriarca

È una domanda che pone fondamentalmente un problema gravissimo. Perché il terremoto per quella povera gente? Non c’è una risposta. Perché il Figlio di Dio è morto sulla croce? Perché quando la gente gli diceva: «Se sei veramente il Figlio di Dio, scendi dalla croce?», lui non è disceso?

Ora io non do risposte facili a questi problemi così drammatici.

Credo due cose: che Dio è padre anche degli Umbri e dei Marchigiani e che non avremmo voluto il terremoto nè a San Marco nè ad Assisi. Eppure questo è accaduto. Ma credo anche che su quella gente c’è la paternità di Dio e mi auguro che queste grandi sofferenze dei nostri fratelli suscitino tanto amore in Italia. Abbiamo bisogno di amore, di solidarietà. Queste realtà devono crescere e, poi, esse faranno anche i miracoli.

La mia, quindi, non è una risposta banale alla sua domanda, ma la risposta di un credente che sa accettare anche un mistero.

Giuliano Calearo - S. Michele Arcangelo, Quarto d’Altino

Prima che lei iniziasse a parlare, pensavo che la sua relazione sarebbe stata un po’ una “pizza” ed invece mi ha incantato. Sono sincero; credo di non aver perso una parola di quello che lei ha detto.

A proposito dell’Eucaristica, quando lei diceva che Cristo agisce attraverso di noi, mi sono sentito coinvolto in quanto non è facile assumere pienamente la responsabilità di mettere al servizio di qualcun altro la mia mente, il mio corpo, la mia libertà. Dio ci dà la libertà di credere, ma è difficile farlo consapevolmente nella quotidianità, è difficile pensare ogni giorno di agire con il Cristo dentro, anche perché viviamo in una società difficile. Siamo immersi in un mondo, con mezzi di comunicazione che ci distolgono dal pensiero che Cristo ci vuole dare, siamo colti continuamente nelle debolezze e nelle fragilità. 

Nel mondo di oggi la fedeltà è difficile: la fedeltà alla Parola, al matrimonio, a far crescere i figli nel rispetto dei valori; figli, che alle volte fanno problema ad essere quel tralcio che hai faticosamente curato e diventano rami che tentano di scappare dal tronco.

Ritengo allora sia importante capire che mi è stata data una mappa, una carta geografica che debbo sovrapporre a quella del Cristo per adattare le mie strade alle sue anche se esse sono, molte volte, in salita.

Credo che lo Spirito Santo mi unisca realmente a tutti; anche se devo confessare che non ci penso spesso, proprio perché è qualcosa di impalpabile. Ma ricordo le parole del Cristo che diceva che lo Spirito è come il vento: non  si sa da dove viene né dove spira e allora occorre aver l’orecchio e l’occhio attenti alla mappa di cui dicevo prima. Se lo Spirito è buono, non può che unire ed è un vento che mi unisce agli altri.

Alberto Bonfiglio - Cuore Immacolato di Maria - Altobello, Mestre

Riallacciandomi all’intervento appena concluso, vorrei porre l’attenzione sull’azione dello Spirito Santo nella liturgia eucaristica. Tutte le celebrazioni e gli stessi sacramenti non avrebbero significato se non ci fosse la presenza dello Spirito Santo, se non fossero operanti per mezzo suo.

Perciò come famiglie, come “Gruppo sposi”, dobbiamo partecipare alle assemblee eucaristiche con la piena consapevolezza che lo Spirito Santo è tra di noi e ci rende compartecipi, e non semplicemente presenziando all’assemblea. E quando usciamo dalla celebrazione domenicale, dobbiamo essere convinti che lo Spirito Santo ci aiuterà, come coniugi, in qualunque azione metteremo in atto nella nostra vita di tutti i giorni.

Patriarca

Dico una parola su questi due interventi. La vita cristiana, prima di tutto, ci è stata data. Le cose che vi ho esposto stamattina esigono la nostra collaborazione, la nostra risposta; però ci sono già state date. La grazia del Battesimo, la filiazione divina, il dono dello Spirito, la grazia di portare a compimento il mistero di Cristo nella storia, non sono cose che ci possono essere date o meno. Ci sono già!

Noi siamo stati preceduti dalla grazia di Dio, siamo stati amati prima dei nostri meriti. Questi doni ci sono già, la grazia del Matrimonio è già in noi. Forse questi doni dormono: noi dobbiamo destarli, prenderne coscienza e, con dolcezza, dare la nostra collaborazione, senza nevrosi.

La santità non è nevrosi. La santità è rispondere, da povera creatura quale sono, a Dio che mi ama, mi chiama alla santità più grande e mi vuol salvare. Egli mi chiama all’amore più grande così come sono, non come immagino di dover essere. In questa mia risposta a Dio ho degli aiuti grandissimi che devo valorizzare. Il primo grande aiuto è la domenica, con la messa, con l’Eucaristia, con la Parola di Dio che viene proclamata e spiegata.

Non voglio banalizzare dicendo che la vita cristiana è facile; direi una bugia. Gesù non ha vissuto una vita facile. Voglio dire però che la vita cristiana, anche ai suoi livelli più alti, è assolutamente alla portata di tutti - non perché sono bravo - ma perché Dio mi dà la potenza dello Spirito per vivere questa vita. Se commetto uno sbaglio c’è lo Spirito  della misericordia, c’è una paternità e maternità di Dio infinitamente più buona di noi.

Anche noi perdoniamo i nostri figli, ma Dio è ancora più buono di noi e se sbagliamo, Lui ci prende per mano. Quando i vostri figli, specialmente i più piccoli, fanno qualche errore, voi li sgridate, ma poi vi voltate e sorridete. Il bambino sbaglia, devo correggerlo, ma non è un dramma: prevale la misericordia, prevale l’amore.

Dobbiamo lasciare agire lo Spirito, spesso invece, quando abbiamo sbagliato e ci arrabbiamo con noi stessi, gli chiudiamo le strade pensando: «Oh, basta, adesso Dio non mi perdona più». Questa è la più grande offesa che possiamo fare a Dio. Se invece diciamo: «Signore, ho sbagliato, però sono tanto piccolo, vedi? Cosa stai aspettando?». Dio ci perdona, ci prende per mano e ci dà la forza di riprendere il nostro cammino.

La santità non è l’assenza di difetti, ma soprattutto credere all’infinita bontà di Dio che è preveniente; non viene dopo i nostri meriti e dopo le nostre opere buone, ma viene prima di essi. Il fiore non precede la linfa; prima c’è il tronco con la linfa vitale e poi c’è il fiore. Il fiore e il frutto della vita di tante persone e delle nostre opere buone, prima di essere nostri, sono il frutto dell’infinito amore che Dio ci dona.

Silvia Calearo - S. Michele Arcangelo, Quarto d’Altino

Volevo ringraziare il Patriarca perché questa mattina, con le sue parole, mi ha dato tanto coraggio riguardo la coppia che con la sua vita narra Gesù nelle cose semplici di tutti i giorni lavorando con fatica, senza dover fare cose straordinarie. Ringrazio e sono molto contenta di aver partecipato all’Assemblea.

Miria Degan - Ss. Giovanni e Paolo, Venezia

Volevo ringraziarla, Patriarca, e dirle che a volte mi sento in difficoltà perché io e mio marito non sempre facciamo le stesse scelte. Oggi io sono qui da sola, anche se lui mi è a fianco, è sulla mia strada, ma mi sento tranquilla perché mi sento accompagnata da Dio, e forse questa diversità mi aiuta a capire. Grazie.

Patriarca

Capire senza giudicare mai, capire amando profondamente. Pensate se Dio ci giudicasse! “Non entrare in giudizio col tuo servo, o Signore perché nessun vivente davanti a te è giusto”[22]E nel vangelo ci è detto: «Non giudicate, per non essere giudicati»[23]. È una grande cosa e bisogna tradurla anche nei piccoli fatti della vita quotidiana.

Il grande criterio di Dio è l’amore, l’accoglienza.

Papà e mamma debbono anche dare un giudizio, perché sono un grande riferimento per i figli e non possono tacere, altrimenti il bimbo che cresce non sa più cosa sia bene e cosa sia male. Papà e mamma debbono parlare, però, ad un certo punto quanto più i figli crescono, tanto più debbono diventare “pensosi” nel giudicare e devono tentare di capire più che giudicare.

In tutta la vostra vita c’è un’istanza che vi deve accompagnare ed è la preghiera semplice, la preghiera del mattino e della sera. Ma poi c’è una preghiera ancora più semplice: quella del cuore.

C’è un figlio che si impunta? «Signore, aiutami». Dovete sgridare un figlio? «Signore, che non mi lasci dominare dalla rabbia». Siete impazienti per qualche cosa, siete sofferenti...? Papà e mamme dovete trovare la preghiera semplice!

Se vi domando mentre state lavorando: «Per chi lo fai?», mi rispondete: «Lo faccio per i miei figli, per mio marito, per mia moglie...». Ma in quel momento non state pensando al marito o alla moglie: voi state lavorando! C’è un’attenzione impegnata, ma c’è anche una profondità del cuore che è orientata, ed ogni tanto emerge a livello di pensiero: «Cosa farà quel ragazzo, mia moglie a casa da sola...». Bisogna trovare questo modo di pregare, questo modo semplice.

Poi c’è un modo di pregare che alimenta veramente la nostra vita ed è quello di pregare con la Parola di Dio. In Diocesi ci sono delle occasioni che ci aiutano ad una preghiera più costruita: le scuole di preghiera in San Marco e a San Girolamo. Ricordatevi però che non dovete dimenticare di avere a disposizione questa preghiera semplice che è l’espressione più profonda dell’amore.

Penso ai miei genitori che, contadini, avevano solo il segno della croce (mia mamma forse qualcosa di più) e la messa alla domenica; ma anche questo, se vissuto bene, può fare dei grandi santi. Essi hanno fatto una vita dura, una vita faticosa, una vita da schiavi (la vita dei contadini di allora.... ). Anche questi piccoli gesti, con la preghiera semplice, possono diventare grande elevazione a Dio.

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LA CONSEGNA DELLA BIBBIA ALLE FAMIGLIE


 

Daniela e Alessandro Giantin, coppia coordinatrice della Commissione, hanno presentato l’iniziativa della consegna della Bibbia per le mani del Patriarca alle famiglie della diocesi.

«Il Concilio Vaticano II ha riaffermato con forza il primato che spetta alla Parola di Dio nella vita della Chiesa. La riforma conciliare che più ha contribuito a cambiare la Chiesa è stata l’aver messo in mano a tutta la comunità, ai laici in particolare, la Bibbia e la liturgia nella lingua parlata».

Con queste parole il Patriarca suscitò il nostro interesse e interrogò le nostre coscienze; da allora pochi anni sono trascorsi, ma la “Consegna della Bibbia” è già diventata una tradizione per la nostra Chiesa. «Gli sposi non possono celebrare l’Eucaristia - proseguiva il Patriarca - né, forse, possono parteciparvi tutti i giorni; possono però accogliere tra le mura domestiche la Bibbia, la Parola, il ‘Vivente’ che parla; non un ‘libro da leggere’, bensì una ‘persona da ascoltare’».

La nostra Chiesa è proiettata verso il bimillenario della nascita di Gesù: sarebbe bello che la consegna della Bibbia diventasse un appuntamento per le nostre parrocchie, un momento in cui sottolineare come è importante l’ascolto, sia nelle occasioni liturgiche, sia nella quotidianità feriale, nelle famiglie, nel territorio.

Ecco perché la consegna della Bibbia viene sì effettuata, come atto simbolico, durante la Festa della Famiglia in S. Marco, ma ha senso anche se collocata in un momento liturgico parrocchiale.

Già 331 coppie hanno ricevuto la Bibbia (nel 1993, 1996, 1997), ma sarebbe bello giungere in molti di più all’appuntamento giubilare. Chi volesse ricevere la Bibbia dalle mani del nostro Vescovo durante la XVIII Festa della Famiglia in S. Marco il 25 Gennaio 1998, è pregato di restituire la scheda rossa contenuta in cartellina, o comunque dare la propria adesione entro il 10 Novembre, alla segreteria della Commissione (Martedì e Mercoledì dalle 17,30 alle 19, tel. 952745).

Come per ogni incontro importante è opportuna una preparazione sia pur minima; queste le nostre proposte:

1° appuntamento: Giovedì 27 Novembre 1997 al Centro S. Valentino - Mestre -ore 18,30÷19,30

2° appuntamento: almeno un incontro della Scuola di preghiera (nel luogo che più vi è comodo), che svolge incontri settimanali con questo calendario

. a Mestre ogni Giovedì nella chiesa di S. Girolamo alle 18,30÷19,30

. a Venezia ogni Martedì nella basilica di S. Marco alle 18,30÷19,30

3° appuntamento: Martedì 13 Gennaio 1998 in basilica-cattedrale di S. Marco alle 18,30÷19,30

E le 331 coppie che hanno già ricevuto la Bibbia, molte delle quali sono qui oggi? Non temete! Abbiamo grandi progetti per l’anno venturo che vi comunicheremo per tempo.  

AL SOMMARIO

 

IL MINISTERO CONIUGALE


 

Le tre relazioni sono state accompagnate dalla proiezione di alcune trasparenze a colori. La parte introduttiva è stata svolta dai coniugi Bonaldi a nome della Commissione.

Approfondiamo ora, con l’ausilio di tre coppie della Commissione, il ministero coniugale. 

AGENDA DEI LAVORI

MATTINO

POMERIGGIO

Sposi in 

Gesù  Cristo

per mezzo dello

 Spirito Santo

 

Ministero degli Sposi

Questa mattina abbiamo contemplato la Persona di Gesù Cristo, oggi pomeriggio parleremo del ministero degli sposi.

Vale la pena, forse, intenderci almeno sul termine “ministero”. Il dizionario recita: “È l’ufficio che compete a qualcuno per vocazione, ...”. Noi amiamo dire che tutti i battezzati partecipano, anche se a titolo diverso, alla ministerialità prima e fondamentale della Chiesa che è l’evangelizzazione ed ogni membro della Chiesa svolge in essa il suo doveroso ufficio al servizio della salvezza del mondo, secondo la grazia dello Spirito Santo, che a ciascuno distribuisce i suoi doni come a lui piace.

Ecco, il matrimonio inteso come ministero e carisma deve trovare il suo significato non tanto in progetti, sia pure generosi, da attuare, quanto piuttosto nell’essere specchio, messaggio di una grazia ricevuta.  

É importante che gli sposi cristiani conoscano nello stupore e nella gioia.

  • la "buona notizia", la "profezia di grazia"

e quindi

  • approfondiscano la realtà coniugale intesa come Ministero della Rivelazione del progetto d'AMORE del PADRE per l'uomo

Allora se parliamo di ministero sponsale, ci sembra importante che noi sposi conosciamo la “buona notizia”, cioè l’evangelo, del matrimonio e lo possiamo fare solo partendo da ciò che conosciamo e viviamo: la nostra realtà coniugale.

È importante la conoscenza (supportata anche dallo studio), ma poi è attraverso il tessuto quotidiano della nostra vita che dovremmo rivelare - narrare, per usare il termine introdotto dal Patriarca stamattina - il progetto dell’Amore di Dio per l’uomo. In altre parole dobbiamo diventare dei testimoni credibili.  

Cristo ricorda agli sposi che loro VOCAZIONE è modulare la propria vita coniugale sul modello della storia dell'AMORE di Dio divenuta Alleanza, non più smentibile, sul Calvario

Il matrimonio cristiano è una Vocazione, elevata a Sacramento, che comporta un Ministero. Si può dire: due battezzati, amandosi, lasciano che Dio, con la forza del suo Spirito, faccia del loro amore il “lieto annuncio” di come Dio ama il mondo.

Quindi il matrimonio dei battezzati ha a che fare per sua natura intrinseca, con la Promessa dell’Amore di Dio che ha attraversato la storia del mondo antico, ed è diventata Alleanza definitiva (non più smentibile) sul Calvario.  

Con il Battesimo ed il SACRAMENTO del Matrimonio, Cristo, per forza dello SPIRITO SANTO, consacra gli sposi

"ministri del'Amore di Dio per l'uomo"

Con il sacramento del matrimonio - ecco il secondo aspetto -, Gesù Cristo si compromette con gli sposi ed affida loro il ministero di rivelare l’Amore di Dio per l’uomo, cioè li consacra ministri di questo amore.  

La MISSIONE degli sposi -e quindi il loro MINISTERO specifico-, si configura nella chiamata a diventare, da dentro la loro vita quotidiana d'amore.

L'EVANGELO DI QUESTA ALLEANZA

Quindi la missione degli sposi nel mondo è diventare la “buona notizia”, l’evangelo della Alleanza tra il Padre e gli uomini; Alleanza prima siglata con il patto del Sinai e poi divenuta definitiva con il patto della Croce. Per dirla con Giovanni Paolo II: “Gli sposi dicono al mondo che ispirando la propria esistenza al Vangelo, è possibile vivere un amore fedele, responsabile e generoso; dicono, ancora, che la famiglia è la culla naturale, dove è possibile accogliere con gioia la vita umana, amarla, proteggerla, educarla”[24].

Significa, allora, che gli sposi devono trasferirsi nell’area del “servizio”. Ma l’esperienza di coppia e di famiglia non deve rimanere chiusa tra le mura domestiche, ma bensì deve inserirsi nella Chiesa e nella società con atteggiamento di disponibilità.

E gli sposi lo devono fare vivendo coscientemente il loro rapporto d’amore, senza eroismi ma nella quotidianità, cioè amandosi di vero amore nella semplicità di ogni azione feriale.  

Dunque, la storia della Salvezza è la storia dell'amore divino (o del Padre), che ha il suo culmine nel Figlio

che è

 

 

PROFETA

 

SACERDOTE

 

RE

 

La Bibbia, la liturgia, la teologia e il Concilio ripropongono continuamente Cristo e il suo ministero chiamandolo con i titoli di Profeta, Sacerdote e Re.

Forse sono termini un po’ estranei al linguaggio odierno. È necessario, di conseguenza, decodificare questo linguaggio per comprendere interamente il messaggio salvifico che è implicito.  

 

La Profezia, il Sacerdozio, la Regalità

di Gesù Cristo come modalità del 

ministero coniugale

 

accoglienza

 

 

adorazione

 

ringraziamento

per il

DONO DELL'AMORE DEL PADRE PER L'UOMO

 

Dal sacramento del Matrimonio

 

nasce

l'impegno politico degli sposi

 

  La promozione umana, un sincero impegno verso le istanze della società, è il principale servizio degli sposi. L’impegno politico è espressione stessa del sacramento coniugale, esso non ha quindi solo un’origine storica, ma anche soprattutto religiosa.

Per cercare di concretizzare questo concetto è però opportuno  porsi alcune domande: con che stile la coppia si impegna nella società e nella politica? Con che progetto? Tenteremo ora di rispondere, per arrivare a proporre poi alcuni esempi concreti.

LO STILE DELLA COPPIA NEL SUO IMPEGNO VERSO LA SOCIETA'

Lo stile della coppia che si impegna: non è solo una questione di forma, come potrebbe sembrare a prima vista. La forma in questo caso è abbastanza strettamente connessa con la sostanza: crediamo sia ben presente a tutti, anche purtroppo sulla scorta di esperienze attuali, che l’impegno sociale e politico può talvolta essere originato da interessi personali o anche semplicemente da desiderio di autoaffermazione, piuttosto che da autentico spirito di servizio. 

Vero è che l’impegno socio-politico rimane un’attività umana, e come tale è naturale che essa si svolga attraverso la valorizzazione delle competenze dei singoli, che comporti un giusto grado di gratificazione intesa come soddisfazione nel veder procedere progetti in cui si crede, e talvolta anche attraverso una dialettica, anche forte, con chi ha opinioni e progetti diversi. Tutto ciò però ha un confine ben preciso, che possiamo cercare di comprendere attraverso una “imitazione” di Cristo. La regalità di Cristo va in una direzione diametralmente opposta alla visione degli uomini.  Vicino alla croce Gesù ribadisce che il suo regno è completamente al di fuori degli schemi umani.

«“Sei tu il re dei Giudei?” Gesù rispose: “Hai pensato tu questa domanda, o qualcuno ti ha detto questo di me?” Pilato rispose: “Non sono ebreo, io. Il tuo popolo e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me: che cosa hai fatto?” Gesù rispose:” Il mio regno non appartiene a questo mondo. Se il mio regno appartenesse a questo mondo, i miei servi avrebbero combattuto per non farmi arrestare dalle autorità ebraiche. Ma il mio regno non appartiene a questo mondo.” Pilato gli disse di nuovo: “Insomma, sei un re, tu?” Gesù rispose: “Tu dici che io sono re. Io sono nato e venuto al mondo per essere un testimone della verità. Chi appartiene alla verità ascolta la mia voce.”»[46]

I re si fanno servire, Gesù pone il servizio al primo posto della scala dei valori: «Le persone potenti fanno sentire con la forza il peso della loro autorità. Ma tra voi non deve essere così. Anzi, se uno tra voi vuole essere grande, si faccia servo di tutti. Infatti anche il Figlio dell’uomo è venuto non per farsi servire, ma è venuto per servire e per dare la propria vita come riscatto per la liberazione degli uomini.»[47]

L’unica potenza di Gesù è l’impotenza, ma non l’inerzia bensì lo strumento efficace del suo amore; amore che dona e non possiede, che offre e non pretende, che contesta l’egoismo delle virtù borghesi dell’avere, del potere, del riuscire; che contesta i falsi valori, che propone valori riconoscibili.

Cristo re crocifisso è scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani.

 

DAL BISOGNO AL PROGETTO: LA SOLIDARIETA' SI FA POLITICA

 

 

DAL BISOGNO 

AL PROGETTO: 

LA SOLIDARIETA' SI FA POLITICA

 

Stabilito il metodo, un secondo passo verso un impegno concreto ed efficace degli sposi è di convincersi, per convincere poi le nostre comunità, che nel nostro mondo socializzato e complesso  si aiuta colui che soffre non solo con la risposta immediata al suo bisogno, ma anche con la mediazione e l’aiuto di strutture economiche e sociali, di ideali politici ed etici.

Come dice il nostro Patriarca l’impegno della carità della comunità cristiana ed in particolare degli sposi non devono quindi rispondere solo all’emergenza, ma devono divenire sempre più sapienza, per far progredire la storia verso forme più umane e solidali. «La carità deve divenire impegno culturale, sociale e politico per spingere le istituzioni, sollecitare i movimenti di opinione e legislativi far crescere la società e lo Stato in umanità e solidarietà»[48].

La solidarietà chiede di attuarsi anche attraverso forme dirette di partecipazione politica e le famiglie, in quanto generate dalla solidarietà e generatrici di solidarietà, sono chiamate ad esprimere il loro compito sociale anche in forma di intervento politico.

Dalla risposta immediata al progetto, quindi; il passo non è facile, sia perché progettare significa andare alle radici del disagio, e questo è difficile in quanto richiede competenza e conoscenza dei problemi, ed anche perché gli interessi che si toccano possono essere molto più forti, e le visioni delle soluzioni proposte da altri possono essere diverse e quindi fonti di dialettica.

Di fronte a queste difficoltà, cui spesso si aggiunge quella della fatica di vedere un effetto immediato, può prevalere la mentalità della delega, ovvero l’affidarsi ai professionisti della politica.

Si tende cioè a separare l’azione politica dalla promozione umana, intendendo la prima come affare di pochi e di potenti, ai quali chiedere al massimo la soluzione dei singoli problemi di emergenza, che richiedano magari l’esborso di denaro pubblico, relegando la seconda ad interventi di tipo familiare o al più parrocchiale.

Pur se è presente nelle nostre comunità una consapevolezza della negatività di questa scelta, prevale però spesso un senso di impotenza verso il modo di fare politica. Si ha la sensazione che esistano altre forme per incidere sul governo della cosa pubblica, che non sia il semplice voto alle elezioni, ma non si sa bene quali.

Dobbiamo però essere consapevoli che come sposi e come famiglie  dobbiamo partecipare alla costruzione della città degli uomini, mettendo a disposizione le nostre risorse ed i nostri carismi a favore di tutti gli uomini e questo, lo ricordiamo, perché la nostra responsabilità culturale, sociale, politica, nasce direttamente dalla specificità del sacramento del Matrimonio.

 

pER UNA ECOLOGIA UMANA

 

Qualsiasi intervento di carattere sociale e politico, ma in generale qualsiasi forma di relazione sociale in cui la coppia e la famiglia siano coinvolte, non può che avere come obiettivo l’uomo.

Questa affermazione a prima vista può apparire banale, ma forse lo è meno, così come le sue implicazioni, quando ci fermiamo a riflettere su quale è veramente il nostro “modello” di uomo, su quale progetto di uomo e di sviluppo vogliamo come sposi, come comunità, impegnarci. A questo proposito non è senza fondamento la preoccupazione del Papa, che nella sua enciclica Centesimus Annus afferma che il sistema delle economie più avanzate, tra cui anche la nostra quindi, è attualmente dominato da una cultura consumistica, da un modello riduttivo di uomo, che non rispetta e non valorizza adeguatamente tutte le dimensioni del suo essere, ma che subordina quelle interiori e spirituali a quelle materiali e istintive[49].

 

pER UNA ECOLOGIA UMANA

ALCUNE PROPOSTE DI IMPEGNO QUOTIDIANO

 

 

All’interno di questa cultura è facile che l’uomo venga messo in secondo piano, che venga cioè visto come mezzo (di produzione, di consumo, di godimento), piuttosto che come fine.

I sistemi sociali delle economie più avanzate hanno perciò bisogno di un nuovo modello di sviluppo, fondato su una cultura ed uno stile di vita solidaristici che abbiano al centro la persona umana, ma che siano allo stesso tempo aperti al trascendente.

Abbiamo bisogno di un nuovo modello di sviluppo e di crescita umana, che immetta «nella cultura contemporanea stili di vita che assumono i valori del vero, del bello, della libertà, della solidarietà, della giustizia e dell’amore e, quindi, anche i valori dell’impegno, del sacrificio, dell’austerità. Alla cultura del consumo deve subentrare la cultura dell’essere di più.»[50]

«Alla cultura del lavorare per consumare, del produrre di più per consumare e far consumare di più, alla cultura del godimento e della fruizione immediata occorre sostituire la cultura del lavorare e del produrre per essere di più, la cultura dell’impegno e del dovere di essere e di crescere in pienezza, assieme agli altri, per gli altri.

L’uomo vale di più per quello che è che per quello che produce. Come conseguenza, criterio preminente del produrre, del consumare, del discernimento dei nuovi bisogni e delle modalità del loro soddisfacimento, non è alla fine l’efficienza, la produttività, il consumo stesso, ma la persona umana, la sua crescita in pienezza.»[51]

Come spiega il Papa «l’economia è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l’occupare il centro della vita sociale e diventano l’unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi.»[52]

È interessante notare come questa problematica possa essere discussa anche in termini di questione ecologica. Il Papa indica infatti la causa culturale della questione ecologica, cioè un’antropologia sbagliata: «L’uomo preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita.»[53].

La questione ecologica si manifesta quindi nei suoi risvolti negativi secondo tre modalità: distruzione dell’ambiente naturale, distruzione dell’ambiente umano, distruzione dell’uomo stesso.

Anche se sarebbe importante, non abbiamo purtroppo tempo di soffermarci sulla questione ecologica intesa come sperpero di risorse naturali, anche se è significativo sottolineare come la trattazione di questo problema sia nell’enciclica collocato nel contesto in cui vengono trattati i problemi delle società e delle economie più avanzate, tra le quali quindi la nostra. La questione ecologica è quindi strettamente connessa al problema del consumismo: i Paesi più ricchi hanno perciò una forte responsabilità, proprio a causa della loro cultura prevalentemente consumistica e per la visione distorta dell’uomo che le anima.

È senz’altro cruciale ai fini delle nostre riflessioni sottolinearvi invece l’insistenza che nella Centesimus Annus si rileva sul volto specificamente umano della questione ecologica, ovvero quella che il Pontefice chiama “ecologia umana”.

Secondo Giovanni Paolo, oltre che non impegnarsi sufficientemente per preservare gli habitat naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, non si ha abbastanza attenzione per l’uomo per il suo autentico e pieno sviluppo sociale e culturale. Tutto ciò ha conseguenze negative sul modo di condurre l’economia e questo a sua volta ha conseguenze negative sull’ambiente e sull’ecosistema. Uno sviluppo a misura d’uomo, compatibile con le risorse, l’ambiente e le generazioni future, è possibile solo se l’uomo cresce moralmente, culturalmente e spiritualmente, oltre che nel sapere e nel saper fare.

In altri termini, capitolo importante dell’ecologia umana autentica è l’educazione alla persona, in particolare l’educazione a una nozione di sviluppo regolata da una visione integrale dell’uomo.

«Se è necessaria la libertà economica, se è necessaria un’economia dell’imprenditorialità e della responsabilità, queste devono essere momenti armonizzati di una nuova e più vasta cultura dello sviluppo; la libertà economica  è soltanto un aspetto della libertà umana, come l’economia è solo un aspetto e una dimensione particolare dell’attività umana in generale; la libertà economica non va assolutizzata e non deve perdere la giusta commisurazione alla persona umana, suo soggetto, fondamento e fine.

Come l’uomo non può essere considerato produttore o consumatore dei beni, bensì soggetto che produce e consuma per vivere un’esistenza pienamente umana, così la produzione ed il consumo delle merci, cose buone in sé, non possono occupare il centro della vita sociale e diventare l’unico vero valore della società.»[54]

E nel valorizzare  il progetto di Cristo sull’uomo, nel perseguire una vera ecologia umana, fondamentale è il ruolo della famiglia, definita dal Papa «prima e fondamentale struttura a favore dell’ecologia umana» La famiglia è tale struttura perché in seno ad essa l’uomo «riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e quindi che cosa vuol dire in concreto essere una persona».[55]

Queste considerazioni, che possono sembrare di carattere molto generale, trovano applicazioni anche nella nostra esperienza quotidiana,

Il problema dell’umanizzazione dell’economia, di rendere lo sviluppo coerente con una visione integrale di uomo, ci riguarda infatti direttamente. Stiamo forse per comprendere uno dei paradossi del benessere: il fatto cioè che esso porta l’abbondanza, ma anche fa intravedere quante sono le opportunità che potremmo cogliere e che mai potremo vivere, anche se fossimo i più ricchi della terra. L’abbondanza ha messo in luce la nostra limitatezza, l’impossibilità di prendere tutto e il fatto che il nostro cuore rimane inquieto.[56]

Nel contesto di un’economia regolata da una forte spinta etica assumono significato singoli comportamenti quali uno stile di vita sobrio, l’attenzione alle spese ed al valore del denaro e quindi l’adesione a progetti di bilanci di giustizia o di risparmio etico, un rinnovato impegno nel lavoro e nello studio, in particolare intendendo quest’ultimo come mezzo di riscatto sociale e di acquisizione di competenze che potranno un domani essere utilizzate per la costruzione di una società più umana, la partecipazione consapevole alle spese della comunità ed agli oneri della vita sociale (senza scorciatoie o elusioni) , un alto senso dello stato e della vita comunitaria, il rispetto dell’ambiente. (Si vedano le “Schede per la riflessione”, inserite nella cartellina, per ulteriori concretizzazioni)

 EDUCAZIONE ALLA DIMENSIONE SOCIALE E STORICA IN FAMIGLIA

Il ruolo sociale e politico degli sposi può e deve svilupparsi a partire da qualcosa di originale e cioé dalla potenzialità e necessità educativa: dall’educarsi e  dall’educare i componenti della famiglia, in particolare i figli, al “senso” della vita, a riconoscere e promuovere l’uomo nella sua integrità.

L’esperienza di comunione e di partecipazione caratteristica della coppia, rappresenta il suo primo e fondamentale contributo alla società; infatti le relazioni tra i coniugi e poi tra i membri della comunità familiare sono ispirate e guidate dalla legge della gratuità che, rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda.

La famiglia creata dalla coppia non può oggi considerarsi unico luogo di educazione, ma deve riappropriarsi del primo posto nella graduatoria formata dalle agenzie educative formali e non. Questo può e deve essere possibile, in quanto solo nella famiglia si possono trovare delle caratteristiche fondamentali per l’educazione all’uomo.

La famiglia, proprio perché sistema di relazioni (e quindi di regole e di affetti) stabili e durature, può essere considerata come luogo privilegiato di trasmissione biologica e soprattutto culturale. La famiglia, riunendo nel tempo persone diverse e non solo per sesso ed età, diventa, di per sé, occasione per superare l’individualismo e per recuperare il passato proiettandosi nel futuro.

Attraverso la famiglia quindi viene trasmessa la cultura, la storia dei singoli individui e della umanità. Proprio oggi che si assiste ad una perdita del senso storico e della dimensione collettiva, la famiglia deve riacquistare consapevolezza di questa sua caratteristica funzione.

Nella Centesimus Annus il Papa richiama al primato dell’educazione in vista della soluzione della questione sociale. Ma nel quotidiano come può tradursi e realizzarsi questa potenzialità educativa al senso sociale e storico?

Nella coppia in primo luogo, e quindi nella famiglia, si possono comporre le diversità da viversi come opportunità di ricchezza e non come handicap, attraverso l’apertura all’altro, al rispetto, alla solidarietà.

All’interno della famiglia è possibile l’educazione alla uguaglianza, alla giustizia ed alla libertà rispettosa dei diritti degli altri. Nella famiglia ciascuno ha una propria identità che deve essere valorizzata, deve essere possibile per ciascuno imparare ad esprimerla e così poi nel mondo  per esempio nella scuola e sul lavoro, senza perdere le occasioni per il confronto.

Il riconoscimento e la valorizzazione della propria e altrui identità apre all’impegno assunto come valorizzazione delle capacità dell’individuo e non come annientamento della persona; si può pensare, per esempio, come a volte viviamo il lavoro, non sempre dando testimonianza di un sano equilibrio tra impegno lavorativo e impegno di vita, spesso seguendo una mentalità che considera il lavoro come realtà puramente accidentale e strumentale, estranea alla vita e alla costruzione della maturità della persona.

Può essere possibile imparare, ed educare, al rispetto per le istituzioni che non vuol dire perdere la capacità di porsi criticamente nei loro confronti.

Il Concilio afferma: «Il dovere della giustizia e dell’amore viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini. ... Purtroppo molti, in vari paesi tengono in poco conto gli obblighi sociali. Sacro sia per tutti includere tra i doveri principali dell’uomo moderno, e osservare, gli obblighi sociali. Infatti quanto più il mondo si unifica, tanto più apertamente gli obblighi degli uomini superano i gruppi particolari e si estendono a poco a poco al mondo intero»[57].

Anche attraverso la discussione in casa dei fatti “politici”, pubblici, recuperando gli eventi del passato per dare un significato all’oggi, si può arrivare a considerare la “cosa” pubblica, come “cosa” della persona e della famiglia, quindi considerare la storia degli uomini come la nostra storia.

LA COMPETENZA, UN REQUISITO PER L'AZIONE POLITICA

La conoscenza e ancor di più la competenza diventano oggi requisiti indispensabili per “vivere nel mondo” e per l’agire politico. È sempre più necessario mettersi all’ascolto per  individuare i bisogni e soprattutto per formarsi a rispondere ad essi in modo adeguato.

Per questo è opportuno non distogliere mai l’attenzione su ciò che ci circonda, anche per cogliere quelle occasioni più specifiche volte ad approfondire le conoscenze, per ampliare le possibilità di riflessione sugli eventi rispetto ai quali non possiamo essere solo spettatori.

Si potrebbero individuare due ambiti in cui sembra necessaria una formazione più puntuale e un continuo aggiornamento:

- il primo ambito comprende argomenti più propriamente economici, amministrativi, ecc. Un contributo in questo senso lo possiamo vedere nelle iniziative della pastorale sociale e del lavoro, di cui un esempio è dato dalla Scuola all’impegno politico e sociale che viene attivata a livello diocesano.

- il secondo ambito riguarda gli aspetti più propriamente umani, antropologici, psicologici, relazionali che dovrebbero essere particolarmente approfonditi da chi opera per la pastorale familiare e giovanile. Si ricorda a tal proposito le iniziative proposte da questi due settori della pastorale; si ricorda inoltre la necessaria collaborazione con quelle strutture nate proprio come strumento di prevenzione e che agiscono offrendo opportunità di formazione e di impegno culturale sul territorio e nella comunità, prima che di consulenza e trattamento in caso di difficoltà.

In questo senso possono essere inseriti i consultori, in particolare quelli diocesani che guardando alle dinamiche personali e relazionali, secondo il contributo delle scienze umane e delle loro metodologie, sostengono una antropologia coerente con la visione cristiana dell’uomo.

 

LA POLITICA COME SCELTA DI COPPIA

La coppia, forte della particolare esperienza di promozione umana che fa, deve essere, conscia anche della necessità di interventi legislativi. Non si può porre solo a livello di testimonianza, ma deve anche porsi come soggetto attivo all’interno di un’esperienza politica diretta, in un pluralismo di scelte ormai riconosciute, senza cadere nella tentazione corporativa.

L’esperienza della famiglia può diventare il germe di una politica rinnovata fino ad assumere forme propriamente politiche di partecipazione democratica alla vita della società. È possibile adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato sostengano e difendano i diritti e i doveri delle persone.

Le coppie e le famiglie quindi come protagoniste della politica e non solo di quella che oggi viene definita familiare. Ci si assume la responsabilità di trasformare la società e di costruire la storia.

Diversamente le famiglie saranno le prime a risentire di quei mali, che si sono limitate ad osservare con un atteggiamento di indifferenza o di delega.

  AL SOMMARIO

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(La relazione sul “Ministero coniugale” è stata conclusa dai coniugi Bonaldi.)

 

 

Questo cammino degli sposi avviene nella Chiesa;

come coppia, allora, ricordiamoci di:

  • approfondire i temi proposti

  • prepararci al bimillenario della nascita di Gesù

 

E se abbiamo capito (o solo intuito) il grande dono di Dio, dobbiamo svegliarci dal nostro torpore religioso ed assumere atteggiamenti di forte testimonianza nel senso esposto dalle tre relazioni.

Per esempio non possiamo ritenere possibile che una Chiesa di Venezia di mezzo milione di persone, 128 parrocchie, trovi tutta la difficoltà che si sta incontrando in questi mesi a farsi carico della gestione di Casa Famiglia S. Pio X alla Giudecca, che accoglie mamme ed i loro bimbi che non hanno un posto dove andare, per aiutarle a ritrovare la speranza per iniziare una vera vita di relazione, di lavoro, di interessi.  

Continueremo questo dialogo insieme. Tutto  inquadrato nel programma pastorale diocesano che prevede due anni di preparazione per giungere ai “Gruppi di Ascolto” che consentiranno la Missione della Comunità cristiana in Venezia nell’anno di grazia del Signore.

Grazie per l’attenzione.

AL SOMMARIO

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INTERVENTI ASSEMBLEARI E REPLICHE



Mario Spezzamonte - Frari, Venezia

Poiché si è accennato a Casa Famiglia S. Pio X, dico due parole brevissime su questa istituzione, essendone il presidente.

Nella lettera di invito, che avete ricevuto tutti, sono riportate alcune notizie su Casa Famiglia ed un appello. Casa Famiglia è un’istituzione che aiuta non soltanto le ragazze madri, ma tutte le donne in difficoltà che hanno bambini piccoli, quindi ha una particolare attenzione alla maternità.

Quando, sette anni fa, le suore dorotee hanno lasciato Casa Famiglia, il Patriarca l’ha affidata alla Commissione diocesana per gli sposi, chiedendo aiuto per la gestione concreta ad un suo carissimo amico, don Giovanni Nicolini, (che voi avete già conosciuto). Don Giovanni si è assunto l’impegno per un paio d’anni, con la prospettiva che la diocesi di Venezia si  sarebbe fatta poi carico totalmente della gestione di Casa Famiglia.

Di questa istituzione si è parlato molte volte in Assemblee come questa: due anni fa fu creato il “Fondo casa-lavoro ospiti” che circa ottanta famiglie contribuiscono regolarmente ad alimentare. Questo fondo ci è servito moltissimo e ci ha permesso di aiutare sette mamme, con i loro bambini, ad uscire da Casa Famiglia; il Fondo ha erogato, allo scopo, trentadue milioni.

Quali sono i problemi che abbiamo ora? In Casa ci sono quattro ospiti che sarebbero pronte ad uscire, visto che hanno, più o meno, risolto i loro problemi ed hanno trovato un lavoro. Esse sarebbero perciò in grado di pagare un affitto (che col fondo si potrebbe integrare), ma a Venezia non riusciamo a trovare un appartamento con un affitto accessibile.

Quindi l’appello più pressante è questo: c’è qualcuno che, a Venezia o a Mestre, ha un appartamento da affittare a prezzo equo, o una casa che si possa ristrutturare in maniera da poter dire a queste ragazze: “Uscite anche voi e provate una nuova vita”? Il consiglio di amministrazione di Casa Famiglia si farebbe garante nei confronti dei proprietari. Abbiamo quattro giovani che potrebbero uscire e noi potremmo ospitare altre persone.

Secondo problema: a fine anno la comunità dei Sammartini lascerà Casa Famiglia; i due anni di impegno di don Giovanni con il Patriarca sono diventati sette ed ora egli ritiene che ci si possa arrangiare. Hanno aperto una missione in Tanzania e si stanno spostando.

Per trovare una soluzione al problema sono stati fatti e si stanno facendo parecchi incontri tra Commissione, coppie di laici e parroci. Si sta creando una rete di collaboratori che possano dare un po’ del loro tempo e della loro competenza professionale, ma il problema più urgente è trovare almeno una coppia di coniugi disposta ad assumere, magari per un tempo limitato, la gestione ordinaria di Casa Famiglia, coadiuvata da altri laici e religiosi e da esperti professionali.

Perché una coppia? Perché in questi anni abbiamo dato a Casa Famiglia un certo indirizzo, abbiamo voluto sottolineare l’aspetto familiare, e vorremmo che questa coppia di sposi potesse testimoniare alle ragazze che la coniugalità esiste, che accanto alle loro esperienze negative ci sono sposi che vivono positivamente il loro matrimonio.

Antonio Bilotti -  S. Andrea, Favaro

Colgo l’occasione per arricchire la discussione in merito alla “famiglia e il sociale”, traendo spunto da un articolo che ho letto su un settimanale cattolico proprio ieri.

Per la prima volta nella storia d’Italia, le famiglie si stanno organizzando per far sentire il peso della loro presenza nelle decisioni del governo. Purtroppo non si è saputo molto di ciò, per la scarsa diffusione data dai media.

Fino ad ora, infatti, la famiglia non è mai stata interpellata quale parte sociale coinvolta nelle riforme dello Stato. Per esempio, per ciò che riguarda la riforma della scuola, le parti sociali chiamate in causa sono sempre governo, sindacati, professori, insegnanti, studenti; di famiglia non si parla mai.

Attualmente si sta cercando di organizzare un “forum”, cioè un organismo che raggruppa ben trentacinque associazioni e movimenti, con identica matrice cattolica, di varie parti politiche - dalla destra alla sinistra - per chiamare a raccolta questa maggioranza silenziosa.

Leggo il comunicato stampa di questo “forum”. «La riforma dello stato sociale non può avere solo il traguardo della moneta unica europea. I diritti della famiglia sono fondamentali per lo sviluppo della società e della persona. Tra le riforme in discussione quella della scuola è una delle più decisive, perché interessa la vita delle famiglie e delle nuove generazioni. Le richieste avanzate da questo forum sono quattro:

- un’autonomia che non sia solo decentramento ma che porti ad una comunità scolastica in grado di esprimere corresponsabilità educative di autogoverno,

- un’effettiva parità per poter accedere liberamente al sistema pubblico di istruzione, che sia statale o privato,

- la valorizzazione della partecipazione dei genitori nella stesura del progetto educativo di ogni istituto,

- la riforma e il potenziamento degli organi collegiali che già sono esistenti ma non funzionano».

Sabato prossimo 25 ottobre, moltissime famiglie, (si pensa a circa diecimila persone) scenderanno in piazza con una grande mobilitazione, per dire a tutti solamente questa cosa: vogliamo partecipare anche noi famiglie - nel nostro caso famiglie cristiane - alla riforma del sistema scolastico.

La CEI plaude a questa iniziativa asserendo che «È bene che le famiglie diventino protagoniste dei cambiamenti in atto, con la medesima dignità e peso delle altre parti sociali». Non è pensabile nessuna riforma che non sia calibrata sulle esigenze delle famiglie, quindi invito chi può a partecipare.

Alessandro Giantin - Ss. Gervasio e Protasio, Carpenedo

Riallacciandomi alla relazione sul ministero politico, mi è parsa molto opportuna la sottolineatura sulla necessità di non delegare il nostro compito politico, di non cercare degli strumenti rappresentativi, siano essi partiti, sindacati, movimenti.

Un politico molto in voga fino a pochi mesi fa, aveva usato un’espressione di quelle che vengono sempre riportate dai giornali: “La coerenza è la virtù degli imbecilli”, a dire cioè che in politica, evidentemente, la flessibilità, per usare un termine nobile, è lo strumento con cui agire.

Credo sia importante questo richiamo alla necessità di non delegare, di essere noi protagonisti senza cercare necessariamente delle mediazioni o delle rappresentanze che potrebbero non essere coerenti con il messaggio cristiano.

Miria Degan - Ss. Giovanni e Paolo, Venezia

Mi è piaciuta molto la relazione di Paola e Filippo. Essi si sono innamorati di Cristo, e ciò ha provocato come un’esplosione, perché quando ci si innamora si ha questa spontaneità e questo entusiasmo. Noi cristiani invece siamo sempre fermi, seduti, in attesa; per fare un esempio la preghiera del Padre Nostro è tutto un verbo di movimento, un verbo di azione.

Mi è piaciuto anche il richiamo al fatto che i figli sono dono. Spesso me ne dimentico, perché sono tre e alle volte faccio fatica a capire le loro esigenze, le loro aspettative, e tutto quello che comporta la loro vita in crescita -peraltro uguale alla mia quand’ero giovane - che arriva, alle volte, a disturbarmi.

Poi c’è la carità; la carità come dono di se stessi ed è la cosa più difficile. È difficile anche donare il nostro tempo e questo ci limita molto soprattutto con le persone di famiglia che ci stanno a fianco tutti i giorni, che ci danno meno gratificazione, dalle quali ci sentiamo in diritto di essere amati. La botta sulla spalla ci fa sempre piacere e invece dobbiamo essere noi i primi a dare se vogliamo ricevere. Io ho avuto un’esperienza molto forte con la sofferenza dei miei genitori, però ho ricevuto molto di più di quello che ho dato.

C’è una cosa invece che mi diventa molto difficile: conciliare la politica con la religione. Io non sono capace di mettermi in politica. Mi impegno nella vita quotidiana di moglie, di madre, anche in parrocchia, però la politica è una cosa che mi rimane estranea, anche perché se uno è “pulito” non riesce a fare nulla, se uno dice le proprie idee viene deriso; in definitiva non riesco a mettere Cristo vicino alla politica. E non l’ho capita neanche oggi.

Luigi Meggiolaro -  S. Maria Maddalena, Oriago

Il papa, in diciannove anni, ha beatificato e santificato quasi milleottocento fra preti, frati, vescovi e suore, ma quanti sposi?

Un’altra domanda sulla politica. Per quale partito dobbiamo votare noi cattolici? Nella relazione si parlava di pluralità. Vorrei che mi spiegaste questa pluralità in termini chiari, perché finora non ho capito niente, né di santità, né di politica.

Marisa Biancardi - S. Giovanni in Bragora, Venezia

Vorrei dare, anche a nome di mio marito, un giudizio positivo sul taglio dato all’Assemblea di quest’anno. Mi sembra che le tre relazioni di oggi ci abbiano permesso di fare un percorso estremamente faticoso, sia per noi che abbiamo ascoltato sia per chi ce l’ha esposto, ma chiaro perché era una testimonianza. Un percorso faticoso perché siamo partiti dalla contemplazione di Dio e del suo Amore, dall’accettazione di questo, fino alla fatica quotidiana dell’imparare a dare significato politico ai nostri gesti.

C’è tutto l’arco, dentro la vita familiare, della risposta al Signore che chiama. Di solito siamo più portati a vedere la prima parte, quando riusciamo; risulta invece difficile capire bene quali siano le motivazioni delle risposte che diamo nel quotidiano, perché facciamo fatica a contemplare il dono del Signore.

Oggi abbiamo potuto fermarci e arrivare fino a quell’aspetto che forse è il più impegnativo, il più difficile, quello a cui sfuggiamo di più: cioè quello della formazione e della partecipazione competente alla vita sociale e politica da sposi.

Sergio Marsale - S. Leopoldo, Favaro

Ho trovato veramente interessante il discorso relativo all’ecologia umana, soprattutto quando si parla della funzione educativa della famiglia. La mia esperienza è quella di un insegnante di scuola media, e mi sono accorto che la famiglia, purtroppo, è molto latitante, dal punto di vista dell’educazione. Ci troviamo spesso di fronte a bambini che sono soli, che non dialogano con i genitori i quali, per la maggior parte, delegano. È importante invece che la famiglia si riappropri della funzione fondamentale di educare i propri figli.

Riguardo all’ecologia umana, si è parlato soprattutto del rispetto di ciò che ci è vicino, della natura, delle persone care e poi di coloro che non sono strettamente a contatto con noi, della gente che soffre e che vive situazioni difficili.

Ma per amare bisogna conoscere. Per amare Dio bisogna conoscere la sua Parola; per amare e rispettare la natura bisogna conoscerla. Tutti lo possono fare: basta mettersi in ascolto delle cose che ci circondano.

Gianpaolo Salvador - Madonna dell’Orto, Venezia

Non posso non approvare il taglio dato a questa Assemblea dalla Commissione, poiché ne faccio parte. Alle domande che sono state fatte non so dare una risposta, perché sono domande sostanziali, più o meno come quella di questa mattina sul terremoto. Più che dare una risposta, forse è importante non smettere mai di cercare una risposta, e questa è già una risposta.

Le tre relazioni del pomeriggio si possono facilmente collegare all’intervento del Patriarca di questa mattina se si pensa a tutte le Assemblee passate, a tutto il lavoro fatto per molti anni insieme agli sposi della diocesi. Mi vien da pensare che il motivo per cui gli sposi sentono questa vocazione, il loro ministero coniugale, è da cercare proprio nel fatto che il matrimonio è un’esperienza voluta da Gesù, e, ancor prima, dal Padre perché fosse rivelazione del suo Amore per il mondo, e in particolare dell’amore di Gesù per la sua Chiesa.

Una delle riflessioni che abbiamo fatto in Commissione, mentre preparavamo l’Assemblea, è che gli sposi fanno l’importante esperienza di sentirsi belli l’uno nei confronti dell’altro, per cui nessuno trova insignificante la propria sposa, il proprio sposo. Il sentire l’altra persona come straordinaria e il sentirsi ritenuto importante, è una cosa che fa uscire dall’anonimato, evita di sentirsi inutili.

Questo amore degli sposi fa sì che due persone non siano più due persone qualsiasi e ci riporta al  grande Amore di Dio, per cui ogni creatura è un essere importantissimo, unico e irripetibile perché amato. Il Signore lo investe di grande amore, di grande attenzione, di grande tenerezza.

Allora l’impegno degli sposi nasce dall’aver capito che ogni persona è una creatura di Dio e quindi un essere importantissimo, degna di tanta attenzione come nessuna altra cosa al mondo ne può avere.

Questa esperienza diventa allora punto di partenza per far sì che la vita quotidiana trovi spazio anche per un impegno politico o un impegno pastorale, comunque un impegno rivolto agli altri, anche al di fuori della propria famiglia, perché non sono belli solo il proprio marito e la propria moglie e i propri figli, ma sono belli tutti gli uomini.

Gianni Longhini - Cuore Immacolato di Maria - Altobello, Mestre

Sappiamo che esiste sempre in noi il dubbio fra l’essere e il fare. Siamo chiamati a fare tante cose e ci chiediamo sempre: “Ma sono pronto a farle?”. Credo sia necessario prendere coscienza che siamo una minoranza e probabilmente lo saremo sempre di più. Allora vale di più la qualificazione che permette a qualcuno di dire: “Guarda, sono cristiani!”.

Piergiorgio Dri - S. Canciano, Venezia

Mi ha colpito molto un passaggio della meditazione del Patriarca in cui, riferendosi al sacramento del Matrimonio, diceva che Gesù è stato chiamato a narrare il Padre e che per narrarne la maternità e la paternità, ha chiesto aiuto agli sposi dando loro il compito di continuare questo racconto. Vedrei proprio in questo il collegamento con quanto è stato detto oggi pomeriggio.

Per gli sposi diventa impossibile narrare la paternità e la maternità di Dio, attraverso il ministero educativo, se non guardano al Padre, se non contemplano Gesù Cristo, come ci ha indicato il Patriarca questa mattina. Diventa impossibile, per gli sposi, leggere l’Amore di Dio che precede qualsiasi nostro intervento e rendere grazia per questo nell’esercizio del ministero della carità.

Se gli sposi non fanno riferimento e non contemplano Cristo, probabilmente non riescono a esercitare il ministero della carità. Lo stesso discorso vale per il ministero politico: gli sposi non riescono a promuovere l’uomo se non guardano prima a Cristo, che è la fonte del loro essere sposi.

Giuliano Calearo - S. Michele Arcangelo, Quarto d’Altino

Ringrazio il Signore per avermi dato mia moglie, cioè una persona che è riuscita a capirmi, ad aiutarmi e a darmi la tranquillità necessaria per potermi dedicare, assieme a lei, anche a quello che dice il Cristo.

Senza di lei credo che il mio cammino sarebbe stato molto più difficile, non solamente nei rapporti familiari, ma anche nel lavoro, dove ho trovato il coraggio di testimoniare e di portare avanti determinati discorsi sul piano sindacale, perché è difficile dare al mondo un messaggio di unione e di coerenza se esse non sono vissute prima nella famiglia.

LA REPLICA[58]

Vorrei partire da una affermazione che ci ha detto il professore di scuola media a proposito del mettersi in ascolto di ciò che ci circonda, del mettersi a osservare. Questo è un valore fondamentale, vorremmo essere molto chiari su questo.

La competenza nell’agire, anche sociale e politico, viene assunta certamente anche attraverso lo studio e la preparazione personale, ma non solo: un aspetto fondamentale è mettersi in un ascolto attento della natura e dei bisogni degli uomini. Su questo si fonda qualsiasi impegno della famiglia.

Pertanto, la prima e fondamentale azione politica che una coppia di sposi può fare, consiste nell’educare i figli ad essere attenti, ad avere gli occhi aperti su ciò che la natura e la società ci dicono, perché è a partire dalla conoscenza di ciò che ci circonda che si può fondare un progetto, una dialettica di soluzione.

Ma questo, per chiunque sia un attimo attento a quello che succede nel mondo (compresa la realtà giovanile), non è assolutamente una cosa scontata. È molto facile vivere alla giornata, senza soffermarsi sulle piccole cose belle che la natura può offrirci, e che ci dicono anche quanto sia importante poi preservarle.

È certamente una difficoltà di tutti (e non solo della signora che ha sollevato il problema) collegare il discorso politico con il discorso religioso. Un’osservazione che può essere fatta è che “politica” non significa solo partito e nemmeno solo Parlamento; la politica si fa soprattutto nei piccoli gesti concreti di ogni giorno.

Trent’anni fa la Gaudium et Spes diceva: “Anzi molti, di vari paesi, tengono in poco conto le leggi e le prescrizioni sociali. Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, alle giuste imposte e agli altri obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio le misure igieniche, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, non rendendosi conto di mettere in pericolo, con la loro incuria, la propria vita e quella degli altri. Sacro sia per tutti, includere tra i doveri principali dell’uomo moderno di osservare gli obblighi sociali”[59]

Quindi, fare politica significa, per paradosso, anche osservare il codice della strada, rispettare gli oneri, in termini di tassazione, che una vita di società richiede.

Fare politica significa ancora educare i nostri figli a considerare la scuola non come un momento di parcheggio, ma come un’occasione di apprendimento, di formazione, anche di riscatto sociale, per essere migliori di come si era e poter contribuire a far diventare migliore qualcun altro.

Far politica significa anche sfruttare le occasioni che ci sono date in diocesi per prepararci a svolgere nel migliore dei modi, per esempio, il servizio della carità in parrocchia; cosa che costituisce un’esperienza di molti.

Ricordiamo le due opportunità che sono state citate nella relazione:

- la Scuola di Formazione all’Impegno politico;

- i Consultori Diocesani che propongono occasioni di formazione per le persone che hanno maggior attenzione verso i problemi degli adolescenti o dei giovani.

Un’altra provocazione è stata fatta con la frase: “Ma allora diteci per chi dobbiamo votare”. Credo che la Chiesa e noi stessi dobbiamo avere sufficiente rispetto per la capacità di decisione di ciascuno, da non dover indicare le strade delle scelte, che sono scelte concrete di ciascuno e che possono anche dipendere dal momento storico. Ci sono dei valori di fondo che vanno sostanzialmente rispettati e sui quali occorre confrontarsi con le varie opzioni politiche, che possono essere contingenti, cioè di oggi, ma non di domani.

La scelta, quindi, è sostanzialmente legata al momento, alla persona, alla sua realtà. Adesso si parla molto di sistema bipolare e ciò dovrebbe aiutare a sdrammatizzare la scelta, nel senso che è possibile modificarla dopo qualche anno. All’interno di un quadro di riferimento preciso, cioè di valori etici precisi, ci si confronta e si verifica se gli obiettivi che son stati posti inizialmente, sono stati poi anche realizzati.

Per chiarire: forse come cristiani siamo una minoranza, ma i valori etici di fondo, che soggiacciono all’etica cristiana, non credo siano di minoranza, ma possono essere condivisi con molti uomini di buona volontà. Ritengo questa la sfida dei nostri giorni: trasformare il nostro essere minoranza numerica nella valorizzazione dell’etica cristiana anche fra i cosiddetti pagani. C’è un’infinità di valori che possono essere condivisi, anche con chi non fa la nostra stessa scelta di fede.

  AL SOMMARIO

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CONCLUSIONI ALL’ASSEMBLEA  

 

di mons. Silvio Zardon[60]  


di mons. Silvio Zardon[60]

NON BASTA CONOSCERE GESÙ

Anzitutto devo ringraziarvi per essere riusciti a sopportare tutto questo diluvio di concetti, specialmente nel pomeriggio. Vorrei aggiungere alcune riflessioni su questa giornata fissando però dei paletti.

Il primo e fondamentale è costituito dal titolo stesso dell’Assemblea. Esso dovrebbe essere imparato a memoria, perché racchiude l’atteggiamento che un cristiano non può non avere se vuole essere discepolo del Signore. Questa frase sintetizza bene la definizione di cristiano, anche se essa è difficile perché si esprime in un linguaggio ecclesiastico e certamente non moderno.

Il cristiano, quindi, e nello specifico gli sposi, sono tali in Gesù Cristo nello Spirito Santo, ma nella Chiesa e dentro la storia. Questa è la definizione di cristiano che non dovremmo mai dimenticare.

Per primo, concentriamo la nostra riflessione su “Gesù nello Spirito Santo”. Non possiamo pensare di essere discepoli del Signore e quindi suoi testimoni, e - nel caso fossimo chiamati e ne avessimo la capacità - anche missionari che annunziano il vangelo con la parola, senza aver dimestichezza, familiarità con Gesù.

Non si può pensare di adoperarsi nella pastorale della Chiesa a prescindere dall’aver conosciuto, dall’aver contemplato personalmente Gesù e dall’esserne stati coinvolti. Questa è stata la ragione che ci ha spinto a chiedere al Patriarca, che ha il carisma del discernimento dello Spirito nella sua comunità, di parlarci di Gesù.

È Gesù che fa la pastorale, non noi e dobbiamo imparare a non saltarlo mai. E quando si decide di fare un servizio, si decide anche di essere per Lui. Il nostro atteggiamento deve indurci a dire: “Ecco, voglio testimoniare Gesù, perché cerco di avere con Lui quella familiarità a cui Lui mi chiama, a cui mi ha già chiamato”.

Non basta quindi conoscere Gesù. A questo proposito c’è stato un salto di qualità nell’impostazione della formazione cristiana a partire dal momento in cui la Chiesa italiana ha prodotto il documento base della catechesi, forse non ancora preso abbastanza in considerazione nelle nostre parrocchie.

Non basta conoscere le verità cristiane e aderirvi intellettualmente per essere cristiani: bisogna aderire a Gesù. Per questo, chi si dedica ad una azione pastorale di evangelizzazione o di carità dovrebbe riservare molto più tempo alla contemplazione.

La Commissione, quindi, vuole intraprendere questa strada perché non è discepolo chi non contempla Gesù e non può poi dire ad amici e fratelli che incontra per strada: «Vieni, io so dove sta di casa».

La contemplazione è fondamentale per parlare sia di ministero coniugale che di ministero presbiterale o di vita consacrata nella verginità. È un tema che ci sta molto a cuore perché c’è un rapporto strettissimo tra queste due realtà. Contemplare Gesù sarà il tema cui ci richiameremo sempre, forse anche esponendoci al pericolo di essere giudicati troppo spirituali.

Ci sembra giusto insistere molto, come diceva il Patriarca, che si preghi in casa e che la vita quotidiana sia considerata una vera preghiera di lode al Signore, ma anche che si impari a pregare insieme, attraverso la preghiera liturgica.

Rivolgiamo una forte raccomandazione alla preghiera, in particolare a coloro che ricevono la Bibbia dal Patriarca; ed è per questo motivo che invitiamo con insistenza a partecipare alle Scuole di preghiera. Avete già le date degli appuntamenti e sarebbe bello che le coppie venissero a questa Scuola per imparare a pregare sotto la guida del vescovo.

GESÙ CI APRE LA STRADA AL PADRE E ALLA COMUNIONE CON LA SS. TRINITÀ 

Vi possiamo annunciare che è nostra intenzione proporre un convegno degli sposi sul rapporto tra famiglia e Trinità, da tenersi indicativamente nel 2000. Le modalità operative sono allo studio, ma non è prematuro annunciarlo perché sarà un impegno molto grosso e vogliamo che ci pensiate.

La Trinità chiama ogni cristiano a vivere da protagonista la comunione con “Dio-Famiglia”, ma gli sposi, in forza del sacramento del Matrimonio, hanno il compito specifico di rivelare l’Amore trinitario di Dio, assieme ai consacrati.

Alla contemplazione di Gesù non si arriva però saltando due elementi portanti della vita cristiana, sui quali il Patriarca è tornato stamattina: l’Eucaristia della domenica e la Parola di Dio che ci viene attraverso la sacra Scrittura. Bisognerà allora che la consegna della Bibbia, che faremo durante ogni “Festa della Famiglia” (la prossima sarà la quarta consegna), sia capita meglio. Sono molte le famiglie che hanno accolto la Bibbia dalle mani del Patriarca, ma che cosa ne fanno? È un grosso problema. 

Il prossimo anno vorremmo dedicare più impegno alla Parola di Dio che attraverso la sacra Scrittura viene proclamata nella liturgia eucaristica: lo proporremo a tutti gli sposi, non escludendo che ciò possa coinvolgere anche le parrocchie o altre realtà pastorali.

Dobbiamo puntualizzare che le cose che sono state dette oggi pomeriggio vengono direttamente dal cuore del Patriarca perché le abbiamo pensate con lui. Leggendo il libro[61] che raccoglie i discorsi dei suoi primi quindici anni di presenza in Venezia, si capisce la sintonia profonda tra il nostro vescovo e quanto siamo andati dicendo sul ministero coniugale, che non è ministero degli sposi ma ministero di Gesù, articolato in profetico, caritativo e politico.

L’apertura che è stata data al tema è meritevole di approfondimento perché i dubbi che sono emersi e le domande fatte hanno una loro giustificazione, anche se è abbastanza chiaro che non possono trovare una frettolosa risposta in questo ambito.

GLI SPOSI, I PRIVILEGIATI DEL SIGNORE

Avrete notato che da anni preferiamo parlare di famiglia partendo dalla coppia di sposi perché è su di essi che si basa il progetto del Signore; la famiglia viene di conseguenza. Sono gli sposi i privilegiati del Signore. Lui ha creato la coppia. Vorremmo insistere su questo punto per evidenziare la forte responsabilità di cui siete stati investiti; non potete sentirvi esonerati dal ruolo che avete nella crescita della vostra comunità. Voi siete consacrati alla crescita della comunità cristiana.

Il mondo ha bisogno del vostro amore; tutti abbiamo bisogno dell’amore della coppia, perché questo amore è stato segnato da un sacramento. Non è sacramento l’amore materno, l’amore paterno, l’amore filiale - che pure sono sacrosanti - è  sacramento soltanto l’amore coniugale, e noi proponiamo questa pastorale perché gli sposi ne prendano coscienza e responsabilità.

Ed è per questo che chiediamo con forza che vi costituiate in gruppi-sposi parrocchiali, non per fare dei corporativismi o gruppi chiusi rispetto alla parrocchia, ma proprio in funzione di essa, per scoprire davvero il vostro compito dentro la comunità, dove ci siano condivisioni pastorali e spirituali. Nelle parrocchie spesso si è ancora troppo isolati, individualisti e non si parla né di pastorale, né di politica. Bisogna invece cominciare a trovare motivi di dialogo e di confronto.

Voi siete per la comunità cristiana, siete per la Chiesa, ma, per rispondere a Miria, ogni azione del cristiano è pubblica, politica, non partitica.

Ogni famiglia ha certamente una risonanza politica. Non vogliamo costituire nessun gruppo ma bisogna prendere coscienza che siamo fatti per essere testimoni nel mondo, essendo però molto chiari su cosa intendiamo per questo. È bello che esistano le associazioni degli uomini ispirati cristianamente, che vogliono difendere la famiglia, e che siano incoraggiate; la chiesa però non propone di essere lei ad istituirle ma invita i cristiani a darsi da fare, perché sono loro i responsabili di quel che è giusto fare per il bene.

Stiamo dicendo cioè che gli sposi debbono tener presenti le proprie necessità come famiglie e come sposi, ma ricordare anche che hanno un tesoro e delle risorse che il Signore ha dato loro per il bene della comunità civile, perché sia costruita la società, la comunità degli uomini.

Tenete presente che il vostro ministero coniugale non ha una dimensione solamente parrocchiale, anzi è parrocchiale nella misura in cui ha una dimensione aperta alla diocesi ed è per questo che abbiamo sempre goduto della presenza del Patriarca in questi nostri incontri.

RIPRENDIAMO IL COLLOQUIO SUI TRE ASPETTI DEL MINISTERO

Ci troveremo per riprendere il discorso educativo in un incontro a dimensione diocesana, che verterà sul tema fondamentale e ricchissimo delle vocazioni presbiterali, aperto dal Patriarca nell’Assemblea straordinaria del 13 aprile scorso. Vi raccomandiamo di leggerne gli Atti che vi sono stati distribuiti, perché da quelli trarremo linfa ed argomenti per continuare il dialogo, pensando di poter dare una mano su questo problema.

Quando avrà luogo l’incontro sul ministero caritativo, Paola e Ermanno Tagliapietra che in Commissione sono i responsabili di questa iniziativa, ci convocheranno per riprendere il tema della “Famiglia per le Famiglie” che è l’espressione di amore e di carità che deriva dal cuore pieno dell’Amore di Dio.

È un’iniziativa, a livello diocesano, che deve essere assolutamente portata avanti; non è una associazione nuova, ma una nuova dimensione, concreta e storica, dell’essere sposi dentro la Chiesa, responsabili dell’Amore di Dio da rivitalizzare e ridonare alle nostre famiglie in difficoltà.

Infine è bellissimo aver iniziato il discorso dell’uomo, perché il ministero degli sposi è proprio rivelare l’Amore di Dio all’uomo e alla comunità umana.

L’uomo, quindi, ci interessa. La nostra scelta è per l’uomo e per la convivenza umana. È la prima volta che a livello diocesano tocchiamo anche il tema politico, che, ripeto, non è partitico, ma che richiama l’esigenza di una cooperazione dei cristiani con tutti gli uomini di buona volontà per la costruzione della città degli uomini, per costruire la civiltà dell’amore. Nessuno può tirarsi indietro, gli sposi in primo luogo.

Per non creare problemi al programma diocesano per la formazione degli evangelizzatori, abbiamo ridotto a tre gli incontri in cui riprenderemo questi temi, tre pomeriggi domenicali, e precisamente:

- il 15 febbraio torneremo sul problema educativo in relazione principalmente alle vocazioni sacerdotali. Ci piacerebbe essere ospitati in seminario, se possibile;

- il 29 marzo a Mestre, parleremo del ministero caritativo, e quindi in particolare di “Famiglia per le Famiglie” e di Casa Famiglia S. Pio X alla Giudecca;  

- il 26 aprile ci troveremo qui a Quarto d’Altino per trattare il tema della attenzione all’uomo per il bene della società umana, attraverso la realizzazione della civiltà dell’amore.

 

AL SOMMARIO

 

IL SALUTO DEL PATRIARCA

Sento il dovere di salutare con molto affetto quelli che sono venuti nel pomeriggio e non erano presenti questa mattina. Vedo che siete molto numerosi - del resto lo eravate anche questa mattina - e vi garantisco che questo non è soltanto un motivo di consolazione, ma è anche un motivo di grande speranza.

Vorrei ribadire un’espressione che non è mia, ma di Giovanni Paolo II, detta a Rio de Janeiro nel grande raduno mondiale delle famiglie: “Il futuro della chiesa e del mondo passa attraverso la famiglia”. Io a questa espressione credo moltissimo. È una delle mie convinzioni più profonde.

Per questo apprezzo la pastorale che in diocesi si sta facendo per la famiglia, e per questo vorrei che fosse capita da tutti e crescesse. Ho visto le assemblee degli sposi crescere di anno in anno e sono convinto che questa è una strada sulla quale noi dobbiamo camminare decisamente per il bene della Chiesa (che non esiste senza la cellula viva della famiglia), e per il bene del mondo.

Ricordatevi che conservare il senso cristiano, quindi originario, della famiglia non vuol dire solo servire la Chiesa, ma vuol dire servire il mondo di oggi, il quale ha un’infinita nostalgia della famiglia, così come l’ha pensata e voluta il Signore. Quindi camminare su questa strada significa costruire veramente la Chiesa, ma significa anche servire il mondo.

Ora andiamo a messa con la comunità di Quarto d’Altino, che vorrei ringraziare a nome di tutti voi per la sua generosa ospitalità.

 


AL SOMMARIO

 

 

LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

a cura della Comunità parrocchiale di S. Michele Arcangelo

 

 

INTRODUZIONE

Questa nostra Assemblea, dopo aver contemplato ed accolto il Signore Risorto nel corso della giornata, ora si appresta a celebrarlo nei santi misteri con il successore degli apostoli: il nostro Patriarca ed i presbiteri.

Eminenza, sposi e sacerdoti: benvenuti tra noi!

Celebrare nella fede la Domenica significa - usando le parole del nostro vescovo - “Credere in Gesù, Figlio di Dio, unico Salvatore del mondo, il Vivente; e dirgli come Tommaso le parole battesimali che salvano: «Signore mio e mio Dio»“.

Ancora una volta attorno a questo altare come una sola grande famiglia convocata dallo Spirito Santo gusteremo e vivremo le parole di Gesù che ci ripete: «È giunto tra voi il Regno di Dio». E noi dobbiamo alla fine di questa Eucaristia sentirci responsabili di una cosa sola: dire a tutto il mondo ciò che abbiamo ricevuto per dono singolare di Dio, cioè di poter stare con il Signore, mangiare con Lui, ascoltare la sua Parola e soprattutto vedere la sua Resurrezione nella quale la potenza di Dio ha rivelato fino in fondo la sua capacità di amare tutti gli uomini e di salvarli.

Tutto questo viene in modo particolare sottolineato da questa Giornata Missionaria Mondiale che ci fa aprire gli orizzonti dal nostro ambiente al mondo intero a cui Dio vuol far giungere il suo messaggio di salvezza.

  AL SOMMARIO

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OMELIA DEL CARD. PATRIARCA MARCO CÈ

  letture: Is 52,2-3,10-11

Eb 4,14-16

Mc 10,35-45

Potete bere il calice che io bevo?

Fratelli e sorelle carissimi, prima del vangelo abbiamo cantato “Alleluja” che vuol dire “lodate Dio”. È un atto di fede nella presenza reale del Risorto in mezzo a noi. Noi sappiamo che il protagonista, il celebrante principale, il vero presidente di questa nostra celebrazione è il Signore Gesù, il Risorto che noi vorremmo vedere.

Come lo vorremmo vedere! «Signore, il tuo volto io cerco, mostrami il tuo volto»[62]. Anche Tommaso ha detto: «Se non lo vedo, io non credo, se non lo tocco, io non credo!» Gesù si è fatto vedere, però gli ha detto: «Tu hai creduto perché hai visto. Più beati coloro che crederanno senza vedere»[63].

Noi siamo fra questi di cui parla Gesù. Ma il Signore Gesù, il Risorto, è presente in mezzo a noi e le parole che abbiamo ascoltato nel vangelo, le ha dette per noi. Riascoltiamole!

Per capire l’episodio di oggi, dobbiamo rifarci a ciò che, secondo il testo dell’evangelista Marco che stiamo leggendo, è accaduto immediatamente prima: Gesù ha annunciato per la terza volta la sua passione.

Lui andava avanti da solo sulla strada di Gerusalemme, e i suoi apostoli lo seguivano silenziosi e un po’ intimiditi dal suo silenzio e dalla solitudine nella quale Gesù era profondamente raccolto. Gesù dice: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà»[64].

I suoi apostoli si guardano in faccia e non capiscono. Anzi. Due di loro, Giacomo e Giovanni, due apostoli carissimi a Gesù (c’erano alcuni apostoli che gli erano particolarmente vicini e con i quali aveva più confidenza), gli si avvicinano e, sconcertando un po’ tutti, che cosa chiedono? Chiedono di essere i primi nel Regno che, secondo loro, Gesù dovrà stabilire.

Non hanno capito niente. Loro concepiscono il Regno di Dio come un potere umano, come una gloria umana e vorrebbero essere considerati da Gesù come dei privilegiati, forse in forza dell’amicizia che li lega a lui.

E Gesù è desolato. Ricordate che Gesù arriva alla Croce in grande solitudine: anche le persone più vicine, i suoi apostoli, non lo hanno mai capito nelle cose più profonde. Egli è stato una persona molto sola, anche se aveva sempre tanta folla intorno, anche se aveva rapporti bellissimi con la gente perché era una persona piacevolissima. Spiritualmente, però, è stato molto solo perché anche le persone che gli erano più vicine non lo hanno capito.

Gesù allora dice ai due fratelli: «Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?»[65] alludendo alla sua passione e morte. Cioè: “Avete voi la forza di camminare con me sino alla Croce?” Gli apostoli rispondono: «Lo possiamo», ma non capiscono, non sanno cosa significhi camminare con Gesù fino alla Croce.

Seguire Gesù passa attraverso il sacrificio

Cari coniugi, cari papà e mamme, seguire Gesù, ascoltare il Signore, il Figlio di Dio fatto uomo, è bello, dà senso alla vita, riempie l’esistenza, però, voi lo sapete per esperienza personale, tutto ciò passa attraverso il sacrificio.

Gli apostoli lo capiranno tardi, dopo la Risurrezione del Signore, ora non lo hanno capito. Voi l’avete capito e, ogni giorno, lo praticate. E io vi dico: non perdetevi d’animo, non perdetevi di coraggio!

Ricordatevi che non siete soli: il vostro cammino è fatto della Grazia di Dio e quindi della gioia dello Spirito Santo, si fonda sulla certezza della fede, ma è fatto anche di fatica, qualche volta di grande preoccupazione, e anche di paura dell’incertezza del domani (penso al carico della famiglia, alle preoccupazioni dei figli e del lavoro, delle malattie).

Ricordatevi che il Signore Gesù, che ha camminato con decisione, anche se con grande sacrificio e con grande sofferenza interiore verso la Croce, che ha provato la solitudine, non vi lascerà soli e camminerà con voi.

Ricordatevi che ha senso anche il soffrire, l’essere tribolati. Se fosse un nonsenso, il Figlio di Dio non l’avrebbe scelto per sè.

Sappiate infine, che il cammino di fatica, di croce e di sofferenza che tutti facciamo - io, padre di una famiglia spirituale e voi, padri e madri della vostra famiglia secondo la carne, benedetta e consacrata da Dio - non giova soltanto a noi, ma costruisce la Chiesa e costruisce l’umanità.

Aperti agli altri

Oggi avete discusso della ministerialità dei coniugi ed è una bellissima verità del vostro matrimonio. Sappiate però che ministerialità non vuol dire soltanto “fare”, ma, prima di tutto, vivere non solo per sè; significa trovare il senso del proprio vivere, del proprio faticare, del proprio soffrire, non soltanto per sè, ma per la propria famiglia. Ogni padre ed ogni madre sa che l’essere padri e madri va pagato nella croce, non soltanto per la propria famiglia, ma per la grande famiglia per la quale siamo uniti: la Chiesa e il mondo.

“Potete bere il calice che io sto per bere?”. “Accettate di essere battezzati, immersi nel battesimo in cui io sto per essere immerso”. Voi camminate su questa strada ogni giorno, e il Signore è con voi. Scopritene il senso.

Gesù dice un’altra cosa: «Voi sapete che  coloro che sono ritenuti capi delle nazioni, dominano. Fra voi però, non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»[66].

Papà e mamme, questa è la vostra vita. Voi siete i capi, siete i primi, ma la vostra vita è proprio servizio. Marito e moglie, a servizio l’uno dell’altro, aperti l’uno all’altro, aperti a non pensare soltanto a sè. Papà e mamma a servizio dei figli, e quanto più son piccoli, tanto più voi vi prendete totalmente cura di loro.

Le parole di Gesù si applicano a tutti; si aprono anche a noi. Questa è la vita di Gesù: non vivere per se stessi ma per gli altri, non essere per se stessi ma per gli altri.

Oggi, ancora una volta, avete messo a tema la ministerialità e avete aperto i grandi spazi dei bisogni che sono sia accanto a voi che lontano da voi; apprezzate questa chiamata che il Signore vi ha fatto a non pensare soltanto a voi stessi! Chi si è sposato non pensa più soltanto a se stesso, chi ha una famiglia non pensa più soltanto a se stesso. È dono.

Questa è la vita di Gesù, questa è la vita stessa di Dio.

Non preoccupatevi se vi costa sacrificio, non dite: «Ma se è vita divina dovrebbe darmi gioia!» Ci darà gioia piena quando saremo in Paradiso. Adesso la gioia passa attraverso la strettoia della sofferenza. Non lamentatevi se sentirete qualche giorno, in maniera anche violenta, la fatica della vostra condizione di dover sempre pensare agli altri, di non poter riservare un po’ di tempo, un po’ di pensiero a voi stessi. Sappiate che questa è la vita di Gesù, di cui voi siete i testimoni, il sacramento nella storia degli uomini.

       Che il Signore vi aiuti a capire che la pagina del vangelo di oggi parla proprio di voi; parla di Gesù e parla di voi. Com’è bello rendersi consapevoli che, riflettendo sulla vostra vita, riuscite a capire meglio la vita del Signore.

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[1] Moderatori dell’Assemblea e membri della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

[2] cfr. sussidi della Commissione rispettivamente n. 23 (Novembre 1994), n. 30 (Novembre 1995) e n. 35 (Dicembre 1996)

[3] cfr. sussidio della Commissione n. 41 (Ottobre 1997)

[4] Sindaco di Quarto d’Altino

[5] Gv 1,35-39

[6] Lc 1,34-35

[7] Lc 4,1

[8] cfr Mt 4,1; Mc 1,12; Lc 4,1;

[9] cfr Mt 3,36; Mc 1,10; Lc 3,22; Gv 1,32

[10] Gv 19,30

[11] Lc 11,27

[12] Gv 10,30

[13] Gv 3,19

[14] Gv 3,20

[15] cfr Mt 27,40

[16] Mt 27,54; Mc 15,39

[17] Lc 24,38-43

[18] 1 Cor 6,17

[19] Gv 15,5-6

[20] S. Teresa di Lisieux

[21] Col 1,24

[22] Sal 143,2

[23] Mt 7,1

[24] dalla preghiera dell’Angelus del 21 Settembre per il Convegno mondiale delle Famiglie a Rio De Janeiro in Ottobre 1997

[25] Membri della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

[26] Gv 8,25-29

[27] Gen 2,18

[28] cfr. sussidio della Commissione n. 39 (Luglio 1997)

[29] dialettale. Letteralmente: “bella prova!” con significato di “troppo facile” (N.d.R.)

[30] cfr. “Il profeta” di Kahlil Gibran, Mondadori, Milano 1990, pag. 17

[31] Membri della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

[32] cfr. Ap 1,5-6

[33] cfr. Is 44

[34] ESM, 37

[35] Gv 13,34

[36] cfr. Fil 2,8; Gv 13,1

[37] 1 Cor 13, 2

[38] cfr. Lc 17,10

[39] Apostolicam Actuositatem, 8

[40] cfr. sussidi della Commissione n. 34 (Ottobre 1996) e n. 35 (Dicembre 1996)

[41] Membri della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

[42] Mt 25,31-46

[43] Familiaris Consortio, 42

[44] Direttorio di Pastorale familiare, 179

[45] Familiaris Consortio, 47

[46] Gv 18,33-37

[47] Mc 10,42-45

[48] Granello di senapa, 127

[49] cfr. CA,36 ss

[50] cfr. “La Centesimus Annus, studi sull’enciclica sociale di Giovanni Paolo II”, a cura di M. Toso, Elle Di Ci, 1991, pag. 50 ss

[51] ibidem, pag. 51

[52] CA, 39

[53] CA, 37

[54] cfr. “La Centesimus Annus, studi sull’enciclica sociale di Giovanni Paolo II”,op. cit. pag. 53

[55] CA, 39

[56] cfr. “La famiglia nella società del benessere”, CET 1994

[57] Gaudium et Spes, 30

[58] La replica è stata fatta da Piero Martin a nome di tutte le coppie relatrici

[59] GS,30

[60] Responsabile diocesano della Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

[61] “Cari sposi, care famiglie...”, EDB 1995

[62] cfr. Sal 27,8 ss

[63] cfr. Gv 20,25.29

[64] Mc 10,33-34

[65] Mc 10,38

[66] cfr. Mc 10,42-45

(*) dal 1991

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