ATTI DELLA
XII ASSEMBLEA DIOCESANA DEGLI SPOSI
S. MICHELE DI QUARTO D'ALTINO
19 ottobre 1997
SPOSI IN GESù
CRISTO
PER MEZZO DELLO SPIRITO SANTO
NELLA CHIESA E DENTRO LA STORIA
Prefazione
Articolazione
dell’Assemblea
Presentazione
dell’Assemblea
di
Adriana e Guido Iscra
Saluti
all’Assemblea
“Fissiamo
il nostro sguardo affettuoso su Gesù”
del
Card. Patriarca Marco Cè
Dialogo
del Patriarca con l’Assemblea
Presentazione
della consegna della Bibbia
Il
ministero coniugale nella Chiesa e dentro la storia
A.
Il ministero coniugale “profetico-creativo-educativo”
o
dell’annuncio dell’Amore di Dio
di
Paola e Filippo De Perini
B.
Il ministero coniugale “sacerdotale-caritativo-eucaristico” o
dell’accoglienza dell’Amore di Dio
di
Mary Lisa e Franco Bonaldi
C.Il ministero
coniugale “regale-sociale-politico” o
del
dono agli uomini dell’Amore di Dio
di
Anna e Piero Martin
Conclusione
sul "Ministero coniugale
(Coniugi
Bonaldi)
Interventi
assembleari e repliche
Conclusioni
all’Assemblea
di
mons. Silvio Zardon
Il
saluto del Patriarca
Celebrazione
Eucaristica
- Introduzione
.
Omelia del Patriarca
PREFAZIONE
don
Silvio Zardon
|
Parto
subito dai numeri, che troverete nel dettaglio più avanti.
All’Assemblea di S. Michele di Quarto d’Altino c’erano 214
coppie di sposi; le parrocchie rappresentate, 63 su 128 e i vicariati
15 su 16. Un dato interessante, il 26% dei partecipanti erano presenti
per la prima volta: lo zoccolo degli affezionati è forte, ma c’è
anche un buon ricambio. Circa l’età dei partecipanti, predominio
della fascia centrale, tra i 36 e i 50 anni, il 51%; seguita da quella
matura, tra i 51 e i 65 anni, il 24%. Ma ben rappresentate anche le
coppie giovani dai 21 ai 35 anni, il 20%.
Voglio
anche notare che 136 coppie su 214 (64%) frequentano un Gruppo sposi
parrocchiale o vicariale. Ciò mette in luce che i gruppi sposi si
stanno diffondendo e chi vi fa parte trova motivi sempre validi per
intervenire agli incontri e alle mete diocesane. È proprio questo uno
degli intenti della Commissione: far giungere le sue proposte agli
sposi e alle famiglie nelle parrocchie, per coinvolgerle proficuamente
nel cammino formativo e pastorale in atto nella nostra Chiesa.
Infatti, sugli obiettivi, sui contenuti e sugli strumenti sempre è
stata data ampia informazione soprattutto in occasione di ogni
Assemblea e della Festa della Famiglia.
Il
tema della XII Assemblea poteva sembrare complesso, per di più
espresso con un linguaggio non proprio moderno o, come si dice, non
corrente. Tuttavia, anche rileggendo ora in questi Atti lo svolgimento
della giornata, devo dire che la trattazione dei temi è stata ben
seguita, soprattutto quello svolto, il mattino, dal nostro Patriarca.
La sua è stata una “contemplazione” di Gesù, spiritualmente ed
emotivamente coinvolgente, addirittura affascinante. Ci ha detto il
Patriarca: “È alla persona di Gesù Cristo che va la priorità
assoluta su qualsiasi scelta o obiettivo della nostra esistenza
cristiana”. Gli sposi, come ogni cristiano, hanno scelto la
“sequela”: un itinerario di coppia dinamico, la cui meta è la
“comunione con Gesù, voluta dal Padre e suscitata dallo Spirito
Santo, un rapporto, cioè, secondo la comunione sponsale di Cristo con
la Chiesa”.
Da
qui, la nostra scelta della “contemplazione” di Gesù mediante lo
Spirito Santo come anima ed essenza del servizio pastorale, anzi come
già irrinunciabile servizio pastorale nella Chiesa e nel mondo.
Noterete, di conseguenza, che il passaggio nel pomeriggio al tema del
Ministero coniugale è venuto come naturale e quasi atteso sviluppo
della meditazione del Patriarca. Tutti, infatti, abbiamo avuto la
conferma che, come ogni ministero, il ministero degli sposi è
autentico e cresce solo se ha il suo fondamento nella “imitazione di
Cristo”, perché, essendo lo stesso suo ministero, solo Gesù può
rivelarne il “senso” e la “modalità di incarnazione nella
storia”, solo e sempre in comunione con lo Spirito Santo, lo Spirito
di Gesù e lo Spirito del Padre.
Ecco,
allora, la seconda acquisizione o punto “fermo” pastorale della
XII Assemblea: il Ministero coniugale è ministero di “rivelazione
dell’eterno Amore di Dio trinitario per l’uomo”. È lo stesso
Gesù Cristo ad affidare agli sposi, nella celebrazione del sacramento
del Matrimonio, questo ministero coniugale; per questo, rifacendoci
alle considerazioni teologiche e pastorali di don Germano Pattaro,
abbiamo preferito descrivere sotto una triplice modulazione. Secondo
la Nostra Commissione, questa triplice articolazione, che, come è
evidente, si ispira al triplice ministero di Gesù Cristo, favorirà
una maggiore comprensione da parte degli sposi, dei presbiteri e delle
parrocchie della originalità del ministero coniugale e, allo stesso
tempo, una sua più facile concretizzazione nella storia.
1.
Il ministero “PROFETICO-CREATIVO-EDUCATIVO”: chiede alla
comunità sponsale di fare memoria di Gesù Cristo, che è innanzi
tutto “rivelazione-profezia” del progetto eterno dell’Amore del
Padre per l’uomo. Gli sposi chiamati a svolgere questo ministero
prima di tutto nel loro compito “educativo” nei confronti dei
figli, a partire dalla “dimensione vocazionale”. Gli sposi Paola e
Filippo De Perini, della Commissione diocesana, nel loro intervento in
Assemblea, hanno proposto una preziosa e coinvolgente pista di
riflessione su questo primo ministero, che trovate qui e che
utilizzeremo nell’incontro di Domenica pomeriggio 15 febbraio.
Particolare attenzione dovremo darla al tema delle “vocazioni
presbiterali e di speciale consacrazione”, iniziato in S. Marco il
13 aprile scorso con il Patriarca, il Seminario e l’Opera diocesana
vocazioni.
2.
Il ministero “SACERDOTALE-CARITATIVO-EUCARISTICO”:
ministero dell’accoglienza stupita e gioiosa dell’Amore di Dio,
della lode e liturgia di adorazione e di rendimento di grazie per il
dono dell’Amore, di cui Dio ha fatto partecipi gli sposi, la
famiglia, gli uomini. Sarà bene riflettere sull’originale e
sorprendente relazione degli sposi Mary Lisa e Franco Bonaldi
(responsabili della segreteria del Centro S. Valentino) su questo
ministero, che trovate in questi Atti. La utilizzeremo certamente
nell’incontro sposi che faremo su questo argomento Domenica
pomeriggio 29 marzo prossimo, con un particolare obiettivo: “La
famiglia per le famiglie”.
3.
Il ministero “REGALE-SOCIALE-POLITICO”: ministero
dell’Amore di Dio donato agli uomini come esperienza di comunione,
vincolo profondo e servizio d’amore ad ogni uomo e alla comunità
umana, il ministero della “promozione dell’uomo e
dell’educazione alla Civiltà dell’Amore”. Nell’articolata e
documentata relazione gli sposi Anna e Piero Martin, anch’essi della
Commissione diocesana, sono partiti dall’affermazione che la
responsabilità culturale, sociale e politica degli sposi nasce dal
sacramento del Matrimonio, che dona loro una “grazia politica” a
causa del cuore nuovo creato in loro dallo Spirito. Perciò la
questione della responsabilità politica degli sposi e della famiglia,
prima che essere questione di iniziative concrete e definite, è
questione culturale, di mentalità. Anche questo tema, che in
Assemblea subito ha suscitato diffuso interesse, sarà ripreso,
utilizzando ovviamente l’intervento Martin, nel pomeriggio di
Domenica 26 aprile 1998.
La
Commissione, dunque, affida gli ATTI della XII Assemblea diocesana
agli sposi, ai gruppi parrocchiali e vicariali, ai sacerdoti delle
parrocchie, convinta di fare a tutti un buon servizio a vantaggio
della formazione e delle scelte pastorali per il presente ed anche in
prospettiva.
Gli
ATTI della XII Assemblea, infatti, dovrebbero evidenziare il momento
significativo del cammino, in atto ormai da circa 18 anni nella nostra
Chiesa, della pastorale degli sposi e della famiglia. Questi ATTI
vengono posti in mano anche come “sussidio” quasi per “nuovi
percorsi”.
AL SOMMARIO
ARTICOLAZIONE
DELL’ASSEMBLEA
|
DOMENICA
19 OTTOBRE 1997
Presidenza:
S. Em. Card. Patriarca
MARCO CÈ
Moderatori: Coniugi Adriana e Guido ISCRA
Espositori
del tema: S.
Em. Card. Patriarca Marco
CÈ
Coniugi
Paola e Filippo DE PERINI
Mary Lisa e Franco BONALDI
Anna e Piero MARTIN
Svolgimento:
ore 9,30
arrivi alla sede dell’Assemblea ed accoglienza
ore
10,00
preghiera delle Lodi, saluti e presentazione dell’Assemblea
ore
10,30
meditazione
contemplativa e dialogo con il Patriarca
ore
12,00
pausa
per il pranzo
ore
14,00
presentazione
dei tre ministeri sponsali e dialogo in Assemblea
(con
un breve intervallo tra le relazioni ed il dialogo)
ore
16,30
conclusioni all’Assemblea
ore
17,30
S. Messa con la comunità parrocchiale ospitante
PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA
di Adriana e Guido Iscra
|
Cari Sposi, la Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia vi dà il benvenuto a questa XII Assemblea Diocesana degli Sposi e vi esprime la propria gratitudine nel vedere una partecipazione così numerosa.
Anche quest’anno abbiamo presente il nostro Patriarca Marco che salutiamo con grande affetto ed al quale auguriamo un completo ristabilimento dalla recente indisposizione. Il suo prezioso e paterno intervento sottolinea la grande importanza che egli attribuisce alla realtà della famiglia e degli sposi.
Il nostro Pastore fin dall’inizio del suo ministero a Venezia ha sostenuto con profonda convinzione la necessità che gli sposi si impegnino ad attivare una pastorale del matrimonio e della famiglia. Noi sposi cristiani, avendo ricevuto dal Signore il dono del sacramento del Matrimonio, dobbiamo diventare protagonisti corresponsabili della rievangelizzazione di cui oggi più che mai
percepiamo l’urgenza.
Desideriamo salutare e ringraziare anche l’Amministrazione comunale di Quarto d’Altino, presente con il Sindaco ed il Vicesindaco, e soprattutto la Comunità della parrocchia di S. Michele del Quarto, nella persona del parroco don Gianni Fassina che ci ospita in questa nuova ed accogliente sede; salutiamo inoltre il vicario foraneo don Adriano Di Lena, tutti gli sposi e coloro che hanno preparato l’odierna Assemblea ed opereranno per la sua buona riuscita durante tutta la giornata con un particolare ringraziamento ai giovani che intrattengono i bambini
Vediamo a questo punto di ricordare il significato di questa Assemblea degli sposi: essa è l’occasione per verificare annualmente, in dialogo con il Patriarca, la vitalità del ministero coniugale nella realtà della Chiesa veneziana sottolineandone le caratteristiche precipue e insostituibili.
Il tema di fondo che ha animato le ultime assemblee è stato quello della carità per cui già nella IX Assemblea dal titolo “L’Eucaristia apre gli sposi ad ogni creatura che ha bisogno d’amore” si era sottolineata l’urgenza di una cultura della solidarietà e della condivisione che scaturiscono dall’Eucaristia; nella X Assemblea titolata “Sposi, siate testimoni dell’amore di Dio dentro la storia e darete speranza al mondo” si era sviluppata la consapevolezza che per umanizzare la convivenza civile è indispensabile assumersi concrete responsabilità; nella scorsa Assemblea dal titolo “La famiglia per le famiglie”
si era giunti alla convinzione che la famiglia cristiana ha come ministero precipuo e vocazione primaria, il compito di sostenere le famiglie in difficoltà suggerendo concreti servizi.
Si è, in sintesi, approfondito come gli sposi, nel servizio verso le famiglie in difficoltà, nel sostegno di ogni creatura bisognosa d’amore e più in generale nell’impegno alla promozione dell’uomo, così come Cristo ci ha insegnato, possono essere testimoni dell’Amore che Dio ha per tutti gli uomini.
Il titolo di quest’anno “SPOSI, IN GESÙ CRISTO PER MEZZO DELLO SPIRITO SANTO, NELLA CHIESA E DENTRO LA STORIA” è stato scelto nell’intento di “riscoprire
- come dice il nostro Patriarca - la presenza attiva dello Spirito e del suo significato nella vita della Chiesa e nella Storia degli uomini”. Gesù, infatti, consegna agli sposi il loro particolare ministero e lo Spirito Santo li ispira nel loro operare quotidiano.
Il nostro Pastore ha voluto così sottolineare il cammino comune che la chiesa sta compiendo per la preparazione al bimillenario della nascita di Cristo, che è ben illustrato nella sua lettera “La Comunità cristiana in missione, nell’anno di grazia del Signore”. Si tratta di un documento basilare per la nostra Chiesa di Venezia, inserito nell’itinerario della Chiesa Universale che il Papa ha indicato nella lettera apostolica “Tertio Millennio Adveniente”. Questo itinerario dedica l’anno 1996-1997 alla riflessione sulla persona
di Gesù unico Salvatore; per proseguire nel 1997-1998 con la riscoperta dell’azione dello Spirito Santo sempre presente nella Chiesa e concludere nel 1998-1999 con la meditazione su Dio, Padre di tutta l’umanità.
La mattinata di oggi sarà dedicata alla meditazione del Patriarca sulla contemplazione della persona di Gesù perché solo alla sua sequela possiamo, come sposi, capire che il ministero coniugale è autentico e cresce solo se ha il suo fondamento nella “imitazione di Cristo”.
Al
pomeriggio seguiranno tre interventi, a cura di tre coppie della
Commissione, per approfondire come si ponga il ministero affidato a
noi sposi sotto i profili EDUCATIVO - CARITATIVO - POLITICO:
·
nell’ambito educativo noi sposi siamo chiamati a capire ed a far capire che Dio ci vuole parlare per rivelare ad ognuno la propria vocazione;
·
l’ambito caritativo ci rende capaci di testimoniare che ci sentiamo amati da Dio che da sempre ama gli uomini;
·
l’ambito politico ci investe della responsabilità di realizzare nella storia la giustizia dell’Amore di Dio.
Desideriamo infine ricordare che l’odierna Assemblea non è che l’inizio di una riflessione su questi aspetti del ministero coniugale che andranno sviluppati sia nei tre incontri di approfondimento che, possibilmente, negli incontri dei gruppi sposi parrocchiali o vicariali.
La Commissione ha molto lavorato in questi anni per cercare di capire che cosa voglia il Signore da noi sposi cristiani nella nostra Chiesa ed il volumetto verde
che trovate nella cartellina raccoglie lo sforzo fatto per aiutarci a rispondere a questa domanda; risposta che dovremmo cercare camminando insieme per cui vi preghiamo di dare un’occhiata a queste schede di riflessione e di fare il possibile per partecipare ai tre incontri che saranno dedicati all’approfondimento di queste tematiche nei prossimi mesi.
AL SOMMARIO
ÌÌÌÌÌ
SALUTI ALL’ASSEMBLEA
di
Mauro Badalin
|
A nome dell’Amministrazione Comunale e mio personale, assieme anche al vice sindaco qui presente, porgo a tutti voi, graditi ospiti, il saluto di benvenuto in questa terra altinate, ricca di storia, di cultura, di archeologia e di tradizioni.
Un
saluto e particolari espressioni di accoglienza voglio riservare
innanzitutto a lei, Eminenza; la sua presenza ci onora, la sua
illuminata parola ci conforta, il farsi oggi compagno della nostra
Comunità ci rende orgogliosi.
Il mio saluto va anche a Monsignor Silvio Zardon da anni responsabile della pastorale familiare. Voglio inoltre salutare il vicario foraneo e mio parroco, don Adriano Di Lena che ormai da alcuni mesi guida con competenza il nostro vicariato di Favaro-Altino. Saluto anche don Gianni, parroco di San Michele del Quarto, nonché arciprete, che ci ospita come sempre con la sua sensibilità e generosità.
Saluto
tutti i sacerdoti presenti, un saluto e un grazie ai relatori che si
alterneranno in questa giornata e a tutte le coppie: siete veramente
tante, provenienti dal nostro vicariato e da tutta la diocesi.
Permettetemi pure un saluto a distanza a tutti i vostri figli che
godono oggi della nostra ospitalità e che fanno da preziosa cornice a
questa giornata.
Nel mio ruolo di primo cittadino di questa comunità, mi sento oggi emozionato e anche imbarazzato a parlare, soprattutto perché, di solito, sono abituato a trovarmi dall’altra parte, dalla vostra parte assieme a voi, ad ascoltare e condividere questi momenti. Oggi siete tantissimi, provenienti da tutta la diocesi e siete chiamati a discutere ed approfondire il vostro ruolo di sposi all’interno della Chiesa e della storia. Giovanni Paolo II, nel suo viaggio in Brasile, ha sottolineato che il futuro della società passa attraverso la famiglia. Molti problemi sociali toccano la vita della famiglia e pertanto da questa vanno risolti.
Vedete,
tantissimi sono i problemi che ogni giorno un sindaco deve affrontare,
ma quelli che toccano di più, perché si constata con evidenza lo
sgretolarsi di certi valori, sono problemi familiari, esistenziali,
problemi di coppia. Dal sindaco vengono genitori anziani, abbandonati
improvvisamente dai loro figli, vengono figli che si sentono
trascurati, figli picchiati, sbattuti fuori casa, è questa la nostra
realtà. Vengono coppie di sposi in crisi, vengono famiglie con
sfratto, bisognose di casa; vengono famiglie in gravi difficoltà
economiche, che non hanno alcuna risorsa e che lo stato non riconosce
loro un sussidio, anche se al loro interno vi è un malato terminale e
così via.
E
il sindaco deve ascoltare, mediare, sistemare situazioni, intervenire
anche con decisione, per cercare di dare serenità, speranza e
fiducia.
Eminenza, nella sua lettera pastorale alla Diocesi “Il granello di senapa”, sottolineava il travaglio esistenziale della famiglia a cui va rivolta attenzione, cura ed impegno, in vista del futuro della comunità cristiana, ma io aggiungerei anche della comunità sociale, della comunità civile. Ed è per questo che come Amministrazione comunale siamo orientati alla collaborazione anche con le parrocchie, con l’associazionismo locale, a rendere sempre più vivibile questa nostra realtà comunale, offrendo stimolazioni, momenti di aggregazione, di confronto, di condivisione; momenti comunitari, momenti di solidarietà, di simpatia; momenti di inserimento, e alludo al progetto “I giovani e la strada”, e alludo al progetto ANFFAS di Ca’ delle Crete.
Molto spesso, invece, siamo troppo preoccupati di costruire l’impalcatura, dimenticando sovente di testimoniare i valori e di accorgerci che esistono anche gli altri.
Io auspico che in ogni coppia di sposi, in ogni famiglia regni la concordia, l’amore, che è il collante elastico che deve permettere a tutti convivenza ed autonomia.
Prima di congedarmi, vorrei lasciarvi un’immagine, è una consegna che lascio sempre alle coppie che vengono a sposarsi civilmente. Io immagino la vita di coppia e la vita familiare come l’esecuzione armoniosa di un’orchestra, dove neppure il direttore è a capo, perché senza i maestri di musica non potrebbe eseguire la sua sinfonia, che sarà tanto più godibile e ben eseguita, quanto ciascuno avrà fatto bene la sua parte, tenendo conto di essere parte di un tutto.
Vi
auguro un proficuo e buon lavoro e che possiate portare con voi un
buon ricordo di emozioni, di sensazioni e anche di simpatia di questa
giornata trascorsa assieme a voi. Buona giornata e buon lavoro.
AL SOMMARIO
ÌÌÌÌÌ
FISSIAMO
IL NOSTRO SGUARDO AFFETTUOSO
SU GESÙ
del Card. Patriarca Marco Cè
|
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ
Cari
amici, la mia meditazione vuole essere proprio uno sguardo affettuoso
posato su Gesù, e in rapporto con lui.
Mentre
mi accingo a parlavi, ho una duplice preoccupazione: la prima è di
essere difficile e nello stesso tempo di banalizzare il discorso per
farmi capire. La seconda preoccupazione è di dire cose belle, ma
astratte e qui ho bisogno di voi. Io introduco la meditazione, però
poi aspetto da parte vostra delle sollecitazioni e degli sforzi di
concretizzazione del nostro discorso.
Il tema è quello che mi è stato fissato e lo introduco con un brano del vangelo di Giovanni. Giovanni Battista si trovava lungo le rive del Giordano, probabilmente con alcuni dei suoi discepoli, ed ecco che vide passare Gesù. “Fissando lo sguardo su Gesù - vi ho detto che la mia meditazione vuole essere un prolungato, affettuoso sguardo fissato su Gesù - Giovanni Battista disse: «Ecco l’Agnello di Dio».
Lo guarda, lo contempla e si sforza di capirlo. I
due discepoli - che sono Giovanni ed Andrea - sentendolo
parlare così, seguirono Gesù, anche loro affascinati dalla sua presenza. Gesù allora si voltò
- Gesù non lascia mai senza risposta quelli che lo guardano, che fissano la loro affettuosa attenzione su di lui - e vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che significa Maestro - dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro.
Quante volte ritorna questa parola del “vedere”, vedere Gesù, contemplare Gesù, fissare lo sguardo su Gesù. E videro dove abitava. E quel giorno si fermarono presso di lui. Erano circa le quattro del pomeriggio”.
Vi
propongo dei motivi di contemplazione perché fissiate lo sguardo
affettuoso su Gesù e sulla Grazia di amicizia e di comunione con noi
che Lui ci dona, per poi tradurre questi doni nella concretezza della
nostra vita e vedere come essa ne risulta impregnata, vedere che senso
essa prende se si apre a questo dono, a questa Grazia che il Signore
fa proprio a voi coniugi, oltre che a tutti i cristiani.
QUATTRO
MOTIVI DI CONTEMPLAZIONE
Vorrei
articolare la mia meditazione in quattro momenti.
1.
Il primo: i rapporti che intercorrono fra Gesù e lo Spirito. Non si
può parlare di Gesù senza parlare dello Spirito Santo, e il modo in
cui noi parliamo dello Spirito Santo, soprattutto nei suoi rapporti
con noi, non può mai prescindere da Gesù. Lo Spirito che agisce in
noi è lo Spirito di Gesù.
2. Nel secondo momento della mia meditazione vorrei enunciare i due capisaldi della nostra contemplazione. Vuoi capire Gesù? Come si fa a capire Gesù? Quali sono le strade per poter capire Gesù? Vorrei sottolineare la strada che lui stesso preferirebbe che è quella di guardarlo. Guardarlo, e lasciarci invadere dalla sua luce! Questo è il primo caposaldo. Il secondo, che è veramente il perno della nostra fede, è che Gesù è morto! L’uomo Gesù che è figlio di Dio è morto, ucciso, crocifisso, ma è risorto ed è vivo!
3. Terzo momento: vorrei chiedermi cosa siamo noi rispetto a Gesù, in forza del Battesimo, del dono dello Spirito nella Cresima, e dell’Eucaristia.
4.
Quarto momento: la domanda è che cosa siete voi, rispetto a Gesù,
grazie al sacramento del Matrimonio.
1.
Non
si può parlare di Gesù senza
parlare dello Spirito Santo
Dicevo
che non si può parlare di Gesù senza parlare dello Spirito Santo e
non si può parlare dello Spirito in noi senza parlare di Gesù
Cristo.
Non si può parlare dello Spirito Santo che agisce in noi, senza parlare di Gesù perché lo Spirito Santo che agisce in noi è sempre lo Spirito che è stato dato in pienezza a Gesù e che da Gesù, il capo, discende lungo il corpo, discende lungo le membra che siamo noi, ci vivifica (nel Credo diciamo: “Spiritus vivificans”), ci muove, ci fa agire. Quindi lo Spirito Santo, che è lo stesso Spirito che ha mosso Gesù, muove noi che siamo il suo corpo.
Cerchiamo
di cogliere appena alcuni tratti.
Nel racconto dell’Annunciazione, di fronte all’annuncio dell’Angelo, Maria rimane stordita, si sente coinvolta in un mistero che non capisce e dice: «Come
avverrà questo?». L’angelo le risponde:
«Lo Spirito Santo scenderà su di te». Lo Spirito Santo scenderà su Maria e forgerà in lei il corpo umano di Cristo.
Il
vangelo di Luca
dice che Gesù è pieno di Spirito Santo nella sua vita ed è lo
Spirito Santo che lo conduce nel deserto
per essere tentato dal demonio; non solo ma, prima ancora della
tentazione, vediamo che nel Battesimo lo Spirito Santo discende su Gesù.
Lo Spirito Santo rende filiale l’anima di Gesù e proprio grazie all’azione dello Spirito, Gesù si apre al Padre in un rapporto tenerissimo e lo chiama proprio così; anzi nella sua lingua, l’aramaico, lo chiama Abbà che vuol dire papà.
Lo Spirito Santo conduce Gesù sulla strada, anche più dura, della fedeltà al Padre e dell’amore ai fratelli: è la strada della croce e Gesù, morendo, dona a tutti noi il suo Spirito. È Giovanni che lo dice: “E chinato il capo spirò”,
cioè ci comunicò, ci donò il suo Spirito.
Questo
Spirito che Gesù ci dona nella sua morte, nella Pentecoste, nel
Battesimo, nella Cresima, che Gesù ci dona sempre nei sacramenti, fa
in noi quello che ha fatto in Gesù.
Lo
Spirito ci forma come membra del corpo di Cristo, cioè ci dà la
fisionomia di Gesù, ci abilita a rivolgerci a Dio chiamandolo Padre.
Nessuno di noi oserebbe rivolgersi a Dio chiamandolo Padre; è proprio
lo Spirito di Gesù, lo Spirito di filiazione che realmente trasforma
il nostro cuore, che ci abilita a chiamare Dio, non soltanto per modo
di dire ma con profonda realtà, col nome dolcissimo di Padre,
sentendoci rispondere da Lui col nome dolcissimo di figlio.
È
lo Spirito Santo che ci trasforma ad immagine di Cristo, che ci rende
capaci, anche nella fatica, di compiere la volontà del Padre; è lo
Spirito Santo, che è stato versato nei nostri cuori, che ci rende
capaci di amare gli uomini come fratelli, perché sono tutti figli
dello stesso Padre.
Lo Spirito che ha formato Gesù nel grembo della Vergine, che ha permeato l’anima di Gesù, l’ha resa filiale e aperta all’amore dei fratelli fino alla croce, questo stesso Spirito discende da Gesù in noi, ci fa agire come agiva lui, ci fa amare il Padre come l’amava lui, ci fa amare i fratelli come li amava lui.
Lo Spirito Santo, protagonista della vita di Cristo, è protagonista della nostra vita. Quindi lo Spirito Santo non è qualche cosa di estraneo alla nostra esistenza; lo Spirito Santo è un protagonista da scoprire, perché è lui che, come ha reso filiale l’anima di Gesù e l’ha aperta al Padre ed ai fratelli, così trasforma la nostra vita, la nostra anima ad immagine di quella di Cristo.
Noi
siamo cristiani, cioè viventi in Cristo, perché lo Spirito Santo ci
anima, ci rende vivi in Cristo e ci rende capaci di fare le stesse
cose che faceva Gesù.
2.
I due capisaldi della nostra contemplazione
2.1
- La strada maestra per capire chi è Gesù
Agli
occhi della gente Gesù era uno come loro: la gente vedeva un giovane
uomo. La gente ha visto un ragazzo crescere, diventare giovane; poi ha
visto questo uomo, ma il suo aspetto, la sua apparenza erano
assolutamente indistinguibili da quelli di qualunque altro uomo.
Ci piacerebbe sapere com’era quest’uomo, che fisionomia avesse. Dal vangelo non cogliamo molte cose; ad avere il tempo, si potrebbe riscontrare come fosse una persona molto sana, molto viva, molto vivace, probabilmente molto bella a leggere le reazioni delle donne nei suoi confronti. Pensate ad un solo fatto: quando ad un certo punto, mentre lui sta parlando in mezzo alla gente, una donna, tutta ammirata di fronte a lui, grida il suo entusiasmo:
«Beato il ventre che ti ha portato!».
Gesù
era una giovane persona probabilmente molto bella, con degli occhi
potenti che penetravano, che capivano, che sconvolgevano le persone
quando entravano nel loro cuore. Però, fondamentalmente, era un uomo
come tutti. Ci sono tante persone belle, simpatiche, con gli occhi
profondi e penetranti.
Quest’uomo era anche molto buono (la bontà di Gesù è documentatissima nei vangeli), aveva un grandissima sensibilità verso la sofferenza, si fermava sempre, come catturato dalla sofferenza umana e la magnetizzava, perché i sofferenti quasi istintivamente andavano a lui.
Quest’uomo si proclama Figlio di Dio. Egli dice: «Io
e il Padre siamo una cosa sola».
Quest’uomo fa un’affermazione assolutamente improbabile in bocca a qualunque uomo di questo mondo, ma lui la fa.
Se voi guardate Gesù com’è descritto nei vangeli, non riuscite a dire che Gesù è un pazzo, un impostore. C’è tanto candore in quello che dice, c’è un’infinita sincerità, c’è un riscontro totale fra quello che dice e quello che fa, per cui è difficile catalogare negativamente Gesù.
Eppure quest’uomo dice di sé una cosa inimmaginabile, indicibile, assolutamente improbabile, che nessuno di noi si sognerebbe di affermare.
Allora si pone il problema: qual è la strada per verificare se quest’uomo è veramente il Figlio di Dio, se dice veramente la verità? La risposta che mi sembra più ovvia è quella di dire: «Vediamo
cosa fa». Quest’uomo fa dei miracoli, è innegabile, se fa dei miracoli vuol dire che ha una forza sovrumana; ma questo non basta per dire che è Figlio di Dio.
Si può dire di più: quest’uomo dice di essere Figlio di Dio, poi fa delle cose che solo Dio può fare e Dio non approverebbe mai un impostore. Attraverso i suoi miracoli, allora, posso arrivare a dire che lui è veramente il Figlio di Dio. Lui ammette che si possa arrivare a capire chi egli sia attraverso questa strada, però, se lo ascolto, mi accorgo che ne preferirebbe un’altra.
E
sapete qual è?: «Guardatemi!
Semplicemente guardatemi, ascoltate quello che dico, guardate quello
che faccio e ditemi se qualche dubbio può sorgere sulle cose che io
vi dico».
Vi
cito alcune sue parole. «La
luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre
alla luce».
Perché gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce? Perché non hanno colto la luce che brilla sul volto di Gesù, quest’uomo venuto da Nazareth? Perché le loro opere erano malvagie. Avevano gli occhiali neri e non hanno visto la luce che brilla sul suo volto.
«Chiunque
infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non
siano svelate le sue opere, ma chi opera la verità viene alla luce,
perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte da Dio».
Vi invito a guardare Gesù con occhi buoni, a contemplare Gesù dicendo:
«Sì Gesù, tu sei veramente il Figlio di Dio». Ricordate il centurione che aveva visto morire Gesù sulla croce? Lo vede nel momento dell’umiliazione totale, della sua radicale sconfitta. Se c’era un momento in cui, umanamente parlando, la divinità di Gesù era smentita, era proprio quello della croce.
Gli sgherri che stavano sotto la croce dicevano: «Tu
che ti sei proclamato Figlio di Dio, scendi dalla croce, tu che hai
salvato tante persone, salva ora te stesso!». La croce è il momento più improbabile per leggere la luce divina sul volto di Cristo, la Croce è il momento della sua sconfitta, umanamente è il momento della sua smentita totale. Ma c’è un uomo, un pagano, il capo del drappello di esecuzione che ha ucciso Gesù, che, guardandolo sulla croce con occhi limpidi, dice:
«Veramente quest’uomo è il Figlio di Dio». Neanche la morte di Gesù lo trattiene dalla più grande confessione di fede.
Proviamo
anche noi a guardare Gesù, a fissare il suo volto, a pensare a cosa
diceva, a come agiva, alla sua dolcezza, alla sua verità (lui non ha
paura di nessuno), alla limpidezza delle sue parole prive di finzione.
Proviamo a guardarlo.
2.2 - Quest’uomo è risorto
Il secondo pilastro. Quest’uomo, che se lo guardi ti si svela come il Figlio di Dio, è stato ucciso, è morto. È un fatto storico.
Ma quest’uomo è risorto. Non si va a Gerusalemme, al Santo Sepolcro a cercare le reliquie di Gesù come andiamo a San Marco dove presumiamo siano custoditi gli ultimi resti dell’evangelista. Al Santo Sepolcro non si va a cercare le reliquie di Gesù, perché Gesù è risorto.
Ma vi rendete conto cosa vuol dire “è risorto”? Vuol dire che Gesù è vivo. È vivo come noi che abbiamo un cuore che batte.
Gesù
è vivo. Quando è apparso in mezzo ai suoi, i discepoli erano
sconcertati, non credevano ai loro occhi, avevano paura. E lui ha
detto: «Perché avete paura,
toccatemi...». Si fa dar da mangiare, gli danno del pesce e lui
lo mangia.
Tutti
ci siamo abituati a dire che Gesù è risorto e non ci fa più né
caldo né freddo, ma provate a toccarvi e a dire «sono
vivo».
Provate a sentire i battiti del vostro cuore.
Gesù
è vivo. Certo, il suo corpo è glorificato: è il corpo del Risorto.
Nel suo corpo, quella divinità che era in lui fin dal concepimento e
che, per un disegno misterioso ma di infinita misericordia di Dio, era
nascosta nella sua umanità umilissima - la più povera delle umanità
- quella divinità, con la risurrezione, esplode nella sua umanità.
Il corpo di Cristo è un corpo glorificato, un corpo che appare e poi
non lo vedi più; si rende presente, supera i limiti della materia, ma
è veramente lui.
Non è risorto lo Spirito di Gesù, è risorto Gesù nell’integrità della sua persona umana e divina. Gesù è vivo, è presente e agisce nella storia dell’uomo: per questo io posso parlare, entrare in contatto con lui. Gesù agisce direttamente sulle persone; l’invisibile Risorto, ma reale anche col suo corpo, agisce normalmente attraverso di noi, attraverso le mani della Chiesa, ma è lui che agisce.
Questa è una cosa straordinaria! Noi ci siamo ormai abituati a ciò e l’abitudine ci toglie la sensibilità, ci impedisce di gioire, di saltare di gioia per le cose, anche più grandi.
Nell’Eucaristia non è presente lo Spirito di Gesù; nell’Eucaristia è realmente presente la divina persona del Signore con la sua anima e il suo corpo. Gesù è vivo, è nella storia dell’uomo. Gesù agisce e salva la storia dell’uomo e, anche se sembra indicibile e incredibile, la salva con le mie mani e con le vostre mani.
3. Cosa siamo noi rispetto a Gesù, grazie al Battesimo, alla Cresima e all’Eucaristia
Il
Battesimo è un gesto di Gesù con le mani della Chiesa. Il
protagonista del Battesimo non è la Chiesa, ma il Risorto, attraverso
le mani della Chiesa.
Io sono un ex contadino, sono l’ultimo residuato di una cultura contadina in mezzo ad una cultura che è tutta operaia e terziaria, perché i contadini non ci sono più. Quand’ero ragazzo, avevo imparato da mio padre a fare gli innesti (adesso se parlate ai ragazzi degli innesti, non sanno assolutamente più cosa siano, non li hanno mai visti) e pasticciavo un po’. Non tutti mi riuscivano, però li facevo. Su un selvatico innestavo il germe di un pero, di un melo buono; sull’uva americana, che valeva poco, innestavo un’uva più pregiata. Qualche volta mi andava male, ma qualche volta mi andava anche bene.
Anche San Paolo usa queste immagini dell’innesto; le usa pure Gesù che parla di vite e di tralci, quando paragona il nostro rapporto con lui: lui è la vite e noi siamo i rami. San Paolo usa però una parola che è più vicina all’innesto.
Il Battesimo ci innesta in Gesù e ci dona lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù che è la sua vita. In forza del Battesimo, lo Spirito Santo, che è come la vita di Gesù, circola in me come circola in Gesù. Si stabilisce cioè un’unica circolazione vitale tra Gesù, il capo, ed io che sono stato inserito, innestato in lui e sono diventato “convitale” con lui (questa è una parola difficilissima, ma è di Paolo). Un’unica vita circola in Gesù , il capo, e in me che sono membro del suo corpo.
Notate:
il Battesimo mi inserisce in Gesù e mi dona lo Spirito che mi rende
convitale. Credo nello Spirito
Santo e vivificante, diciamo noi nel Credo. Avevate mai pensato
cosa significhi questo participio? In forza del Battesimo mi viene
dato lo Spirito di Cristo che vivifica anche me, che fa vivere me come
membro vivo del corpo di Cristo. Senza Spirito sono un membro morto:
il Battesimo mi inserisce nel ceppo che è Cristo e lo Spirito Santo
circola nella mia vita.
Sono linguaggi “poveri”, se volete, però ci fanno capire. Noi ci accostiamo a questi misteri soltanto con delle immagini; ci mancano le parole proprie per esprimerli, ma le immagini ci aiutano a capire.
L’Eucaristia
che cosa fa? L’Eucaristia è Cristo che si dona a me col suo corpo, fa con me una cosa sola e mi nutre di sé.
L’Eucaristia è come il cibo (anche qui uso una metafora) che mi fa crescere, che mi irrobustisce, che mi nutre, che mi rende sempre più cristiano - “cristiforme” - cioè una cosa sola con lui; Paolo arriva a dire, con un’audacia che usa una volta sola: “Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito”.
Una sola persona con lui: pensate che unità profonda!
L’Eucaristia mi nutre in questa unità, al punto che io la mangio. Quando mangio un pezzo di pane, dopo qualche ora non c’è più, ci sono io che sono stato nutrito, che sono cresciuto con quel pezzo di pane. L’Eucaristia mi nutre di Cristo, del corpo di Cristo e S. Agostino mi dice: «Non sarai tu che
trasformerai in te il Cristo, ma Cristo che ti trasforma in se stesso».
Questo
non avviene materialmente; é lo Spirito Santo che entra e compie
questa azione profonda e spirituale per cui la mia vita (con i miei
difetti, con i miei limiti), la mia povera vita di vecchio (di chi ha
le forze ormai diminuite), è vissuta da Cristo.
La mia povera vita! Capite, amici? La mia povera vita è vissuta da Cristo; sono io che vivo, ma in me c’è un fuoco che mi rende vivo, che rende luminosa la mia vita, che la rende più potente.
Pensate
ad un povero pezzo di legno, che prima buttate via con una pedata e
poi lo raccogliete, lo mettete sul fuoco e quel pezzo di legno diventa
incandescente, vivo, luminoso. Un povero pezzo di legno, invaso dal
fuoco, diventa splendente e luminoso.
La
mia povera vita è vissuta da Cristo; il mio povero faticare,
soffrire, il mio lottare per essere fedele a Dio (faccio tanta fatica
ad essere fedele a Dio), il mio lavoro, la mia dedizione al marito,
alla moglie, ai ragazzi, il lavoro nei campi, il lavoro in fabbrica,
il lavoro alla scrivania, tutto è assunto da Cristo. Sono io che
vivo, ma è Cristo che vive in me.
L’incarnazione incomincia con Gesù, il capo, ma poi, attraverso il Battesimo, attraverso l’Eucaristia, attraverso l’azione dello Spirito Santo, va giù, giù e continua in tutte le membra.
Gesù
ha fatto alcune cose nei suoi trentatré anni ma la salvezza, la
redenzione non è ancora finita. Chi la finisce? Io! Voi!
Chi
santifica gli ambiti del vostro lavoro? Chi santifica le vostre
famiglie? Gesù Cristo; ma attraverso di voi!
Come il Figlio di Dio si è servito del corpo umano di Gesù vissuto trentatré o trentaquattro anni per compiere la redenzione, così, per portarla a compimento fino alla fine dei tempi, Dio si serve sempre di Gesù, ma prolungato in me, grazie alla continua azione dello Spirito Santo che rende vivo in me il Battesimo, che fa agire in me l’Eucaristia.
Senza Spirito, il Battesimo non riesce a crescere, come una pianta senza sole; senza Spirito, l’Eucaristia rischia di essere un rito, una messa che ho “sentito”: «Mamma mia, che messa lunga oggi; è durata mezz’ora».
Lo Spirito fa emergere il mio Battesimo, fa crescere l’innesto, è Cristo che vive in me e lo Spirito fa sì che l’Eucaristia trasformi la mia vita. Io agisco e tutto quello che faccio e tocco, è salvato. È l’incarnazione, è la redenzione che continua in noi. È la redenzione che va a compimento per mezzo nostro.
Direte:
«Patriarca, lei è impazzito!» Io non sono impazzito.
«Lei
dice cose troppo belle per essere vere!» Io
vi dico la verità, leggete il vangelo di Giovanni, al capitolo 15,
che è così semplice: «Io
sono la vite, voi siete i tralci. Il tralcio non può far nulla senza
la vite. Il tralcio porta frutti grazie alla vite. Senza di me non
fate frutti, ma se state uniti a me portate molti frutti».
A
me viene tante volte di pensare che siamo così ricchi e viviamo da
straccioni. Noi abbiamo nel Battesimo, nella Cresima, nel dono dello
Spirito, una ricchezza immensa e non ne siamo coscienti, non la
scopriamo, non la viviamo.
Bisogna
scoprire il dono di Dio per capire la bellezza della vita, anche delle
cose più piccole, anche delle sofferenze più piccole, delle nostre
fatiche, delle nostre tribolazioni con i figli, negli affari, nella
salute, nei problemi in cui ci troviamo immersi.
È
la croce di Cristo che continua con il mio nome; è la redenzione di
Cristo che salva non soltanto le cose che lui ha incontrato nei
trentatré anni di vita, ma tutta la storia del mondo fino alla fine
dei tempi.
C’è un supplemento di salvezza che va a compimento soltanto attraverso di noi, di voi che siete come un prolungamento del corpo di Cristo, attraverso la vostra vita così com’è. Non pensate ad una vita “speciale”, non pensate a quei santi nel deserto che facevano cose strane. Oggi il papa proclama dottore della Chiesa una ragazza
vissuta ventiquattro anni; quando è morta le sue consorelle monache dicevano: «Mamma mia, ma cosa scriviamo ai monasteri! Come facciamo a fare una breve sintesi della vita di Teresa nella quale non c’è stato nulla, nulla di straordinario».
La
santità non consiste nelle cose straordinarie. La vostra vita, con le
sue gioie, le sue tribolazioni, le sue croci, il suo lavoro, qualche
ora di lavoro nobile ma per lo più di lavoro molto misero che nessuno
vede, di cui la televisione e i giornali non parlano, questa vita è
la salvezza che corre nella storia del mondo e lo salva attraverso
noi.
Il
mondo si salva così. «Sono
lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne
quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è
la Chiesa.»
diceva San Paolo nella lettera ai cristiani di Colossi.
4.
Cosa siete voi rispetto a Gesù, grazie al Matrimonio
Finora vi ho descritto la vita cristiana: la Grazia del Battesimo, della Cresima, dell’Eucaristia. Ora introduco un concetto nuovo.
Gesù è un “narratore”. Voi avete sentito parlare di Gesù come “rivelatore” del Padre; io dico “narratore” perché è più semplice.
Cosa
ha fatto Gesù nella sua vita? Lui è il Figlio. Ha visto Dio, sa che
è Padre e, come Figlio, gli assomiglia in tutto. Come figlio conosce
bene il Padre, sa come agisce, sa come pensa. In tutta la sua vita,
nelle cose che ha detto e che ha fatto, Gesù ha narrato il Padre.
Quando Gesù si piegava con infinita dolcezza sugli ammalati, lo
faceva perché il Padre è così.
Lui, nella sua vita, nella sua misericordia, nella sua bontà, ci ha narrato Dio. Però Gesù non narra tutto del Padre da solo. Per narrare in pienezza la paternità e la maternità di Dio, per narrare questa volontà di dono che c’è in Dio, Gesù vuole servirsi della nostra umanità. In Dio paternità e maternità si identificano; quando queste immagini di Dio discendono nell’umanità vengono distinte perché noi siamo troppo piccoli per esprimere insieme paternità e maternità; qualcuno esprime la paternità, qualcuno esprime la maternità.
Egli ci unisce a sé nel Battesimo e attraverso il sacramento del Matrimonio abilita l’uomo e la donna a narrare in un modo incomparabile la paternità e la maternità di Dio. Senza il sacramento del Matrimonio, senza di voi, non riusciremmo a capire tutta la ricchezza che c’è in Dio Padre, Padre e Madre.
Gesù, il narratore di Dio, ha voluto ricorrere alla vostra paternità e maternità per narrare tutta la ricchezza che è contenuta in questa realtà che è l’Amore di Dio, l’amore che si spinge al dono pieno di sé, un amore che dà la vita. In forza del sacramento del Matrimonio voi date pienezza alla narrazione di Dio che Gesù ha fatto: egli ha voluto completarla, portarla a compimento attraverso voi.
Gesù istituisce i sacramenti proprio per questo; per farci capire in pienezza quest’Amore di Dio che noi chiamiamo paternità e maternità, ha istituito il sacramento del Matrimonio.
Il
compito degli sposi di essere narratori di Dio nella sua paternità e
maternità, non consiste nel fare qualcosa di straordinario; Dio ha
voluto essere narrato nelle cose più semplici, più quotidiane, più
vere di voi coniugi, di voi padri e madri.
Dio ha amato l’umanità a tal punto, da voler fare della vita degli uomini il luogo in cui si rivela. Non diciamo sempre che il creato è stato fatto ad immagine di Dio? Il mondo è stato fatto tutto ad immagine di Dio e i sacramenti fanno emergere quest’immagine.
Dalle cose più semplici, dal far da mangiare, dall’accudire alla casa, dal lavorare per portare a casa lo stipendio per mantenere i figli e la famiglia, il sacramento del Matrimonio fa venire fuori quel mistero nascosto che è la somiglianza di Dio.
Il sacramento del Matrimonio è il più grande atto di amicizia di Dio con le cose umane perché Dio si serve dei gesti anche più semplici per rivelare il suo mistero che è l’Amore.
Oggi parlerete del ministero coniugale: le radici della ministerialità sono proprio queste. I coniugi, i padri e le madri che vivono la loro vita in questo modo, consapevoli di narrare Dio nelle cose quotidiane e non nella straordinarietà, fanno il più grande servizio alla Chiesa.
Così si costruisce la Chiesa nel mondo, questo è il grande servizio fatto all’uomo: fargli capire che, nella sua realtà, è stato amato da Dio, è stato fatto a sua immagine e che tutto, assolutamente tutto, è chiamato a salvezza, grazie a Cristo che agisce mediante noi.
L’opera di Cristo è incompleta senza di noi. Il capo non basta, Cristo fallirebbe, se non ci fossimo noi; ma Cristo non fallisce. Noi portiamo a compimento l’opera di Cristo e voi coniugi lo fate con la vostra vita, non inventando qualcosa d’altro, ma amando la vostra vita.
Amate le vostre croci quotidiane, amate le vostre fatiche perché sono rivelatrici del mistero di Cristo che è in voi, narrano l’Amore di Dio che si esprime anche nella croce di Cristo, nella fatica di Cristo.
AL SOMMARIO
ÌÌÌÌÌÌ
Dopo la meditazione si è svolto un dialogo tra il Patriarca e l’Assemblea
|
Gino Cintolo - Resurrezione, Marghera
Mi rifaccio all’esempio del Patriarca dell’innesto e premetto che anch’io sono di estrazione contadina. Vorrei mettere in evidenza che gli innestati nel tronco “buono” siamo noi: i “cattivi”. Non crediamo di essere noi il tronco: il tronco è Cristo. È senz’altro un modo per capire qual è il prodigioso progetto di salvezza di Dio.
Patriarca:
Vero,
verissimo.
Luigi Meggiolaro - S. Maria Maddalena, Oriago
A proposito del terremoto in Umbria, mi ha un po’ sconvolto una frase del conduttore di un programma televisivo: «Come mai san Francesco, nei suoi cantici, non ha mai nominato “Fratello Terremoto”?».
Patriarca
È una domanda che pone fondamentalmente un problema gravissimo. Perché il terremoto per quella povera gente? Non c’è una risposta. Perché il Figlio di Dio è morto sulla croce? Perché quando la gente gli diceva: «Se sei veramente il
Figlio di Dio, scendi dalla croce?», lui non è disceso?
Ora
io non do risposte facili a questi problemi così drammatici.
Credo due cose: che Dio è padre anche degli Umbri e dei Marchigiani e che non avremmo voluto il terremoto nè a San Marco nè ad Assisi. Eppure questo è accaduto. Ma credo anche che su quella gente c’è la paternità di Dio e mi auguro che queste grandi sofferenze dei nostri fratelli suscitino tanto amore in Italia. Abbiamo bisogno di amore, di solidarietà. Queste realtà devono crescere e, poi, esse faranno anche i miracoli.
La
mia, quindi, non è una risposta banale alla sua domanda, ma la
risposta di un credente che sa accettare anche un mistero.
Giuliano Calearo - S. Michele Arcangelo, Quarto d’Altino
Prima che lei iniziasse a parlare, pensavo che la sua relazione sarebbe stata un po’ una “pizza” ed invece mi ha incantato. Sono sincero; credo di non aver perso una parola di quello che lei ha detto.
A proposito dell’Eucaristica, quando lei diceva che Cristo agisce attraverso di noi, mi sono sentito coinvolto in quanto non è facile assumere pienamente la responsabilità di mettere al servizio di qualcun altro la mia mente, il mio corpo, la mia libertà. Dio ci dà la libertà di credere, ma è difficile farlo consapevolmente nella quotidianità, è difficile pensare ogni giorno di agire con il Cristo dentro, anche perché viviamo in una società difficile. Siamo immersi in un mondo, con mezzi di comunicazione che ci distolgono dal pensiero che Cristo ci vuole dare, siamo colti continuamente nelle debolezze e nelle fragilità.
Nel
mondo di oggi la fedeltà è difficile: la fedeltà alla Parola, al
matrimonio, a far crescere i figli nel rispetto dei valori; figli, che
alle volte fanno problema ad essere quel tralcio che hai faticosamente
curato e diventano rami che tentano di scappare dal tronco.
Ritengo
allora sia importante capire che mi è stata data una mappa, una carta
geografica che debbo sovrapporre a quella del Cristo per adattare le
mie strade alle sue anche se esse sono, molte volte, in salita.
Credo che lo Spirito Santo mi unisca realmente a tutti; anche se devo confessare che non ci penso spesso, proprio perché è qualcosa di impalpabile. Ma ricordo le parole del Cristo che diceva che lo Spirito è come il vento: non si sa da dove viene né dove spira e allora occorre aver l’orecchio e l’occhio attenti alla mappa di cui dicevo prima. Se lo Spirito è buono, non può che unire ed è un vento che mi unisce agli altri.
Alberto
Bonfiglio - Cuore Immacolato di Maria - Altobello, Mestre
Riallacciandomi all’intervento appena concluso, vorrei porre l’attenzione sull’azione dello Spirito Santo nella liturgia eucaristica. Tutte le celebrazioni e gli stessi sacramenti non avrebbero significato se non ci fosse la presenza dello Spirito Santo, se non fossero operanti per mezzo suo.
Perciò come famiglie, come “Gruppo sposi”, dobbiamo partecipare alle assemblee eucaristiche con la piena consapevolezza che lo Spirito Santo è tra di noi e ci rende compartecipi, e non semplicemente presenziando all’assemblea. E quando usciamo dalla celebrazione domenicale, dobbiamo essere convinti che lo Spirito Santo ci aiuterà, come coniugi, in qualunque azione metteremo in atto nella nostra vita di tutti i giorni.
Patriarca
Dico
una parola su questi due interventi. La vita cristiana, prima di
tutto, ci è stata data. Le cose che vi ho esposto stamattina esigono
la nostra collaborazione, la nostra risposta; però ci sono già state
date. La grazia del Battesimo, la filiazione divina, il dono dello
Spirito, la grazia di portare a compimento il mistero di Cristo nella
storia, non sono cose che ci possono essere date o meno. Ci sono già!
Noi
siamo stati preceduti dalla grazia di Dio, siamo stati amati prima dei
nostri meriti. Questi doni ci sono già, la grazia del Matrimonio è
già in noi. Forse questi doni dormono: noi dobbiamo destarli,
prenderne coscienza e, con dolcezza, dare la nostra collaborazione,
senza nevrosi.
La santità non è nevrosi. La santità è rispondere, da povera creatura quale sono, a Dio che mi ama, mi chiama alla santità più grande e mi vuol salvare. Egli mi chiama all’amore più grande così come sono, non come immagino di dover essere. In questa mia risposta a Dio ho degli aiuti grandissimi che devo valorizzare. Il primo grande aiuto è la domenica, con la messa, con l’Eucaristia, con la Parola di Dio che viene proclamata e spiegata.
Non voglio banalizzare dicendo che la vita cristiana è facile; direi una bugia. Gesù non ha vissuto una vita facile. Voglio dire però che la vita cristiana, anche ai suoi livelli più alti, è assolutamente alla portata di tutti - non perché sono bravo - ma perché Dio mi dà la potenza dello Spirito per vivere questa vita. Se commetto uno sbaglio c’è lo Spirito della misericordia, c’è una paternità e maternità di Dio infinitamente più buona di noi.
Anche noi perdoniamo i nostri figli, ma Dio è ancora più buono di noi e se sbagliamo, Lui ci prende per mano. Quando i vostri figli, specialmente i più piccoli, fanno qualche errore, voi li sgridate, ma poi vi voltate e sorridete. Il bambino sbaglia, devo correggerlo, ma non è un dramma: prevale la misericordia, prevale l’amore.
Dobbiamo
lasciare agire lo Spirito, spesso invece, quando abbiamo sbagliato e
ci arrabbiamo con noi stessi, gli chiudiamo le strade pensando:
«Oh, basta, adesso Dio non mi perdona più». Questa è la più
grande offesa che possiamo fare a Dio. Se invece diciamo: «Signore,
ho sbagliato, però sono tanto piccolo, vedi? Cosa stai aspettando?».
Dio ci perdona, ci prende per mano e ci dà la forza di riprendere
il nostro cammino.
La santità non è l’assenza di difetti, ma soprattutto credere all’infinita bontà di Dio che è preveniente; non viene dopo i nostri meriti e dopo le nostre opere buone, ma viene prima di essi. Il fiore non precede la linfa; prima c’è il tronco con la linfa vitale e poi c’è il fiore. Il fiore e il frutto della vita di tante persone e delle nostre opere buone, prima di essere nostri, sono il frutto dell’infinito amore che Dio ci dona.
Silvia Calearo - S. Michele Arcangelo, Quarto d’Altino
Volevo ringraziare il Patriarca perché questa mattina, con le sue parole, mi ha dato tanto coraggio riguardo la coppia che con la sua vita narra Gesù nelle cose semplici di tutti i giorni lavorando con fatica, senza dover fare cose straordinarie. Ringrazio e sono molto contenta di aver partecipato all’Assemblea.
Miria Degan - Ss. Giovanni e Paolo, Venezia
Volevo
ringraziarla, Patriarca, e dirle che a volte mi sento in difficoltà
perché io e mio marito non sempre facciamo le stesse scelte. Oggi io
sono qui da sola, anche se lui mi è a fianco, è sulla mia strada, ma
mi sento tranquilla perché mi sento accompagnata da Dio, e forse
questa diversità mi aiuta a capire. Grazie.
Patriarca
Capire senza giudicare mai, capire amando profondamente. Pensate se Dio ci giudicasse! “Non entrare in giudizio col tuo servo, o Signore perché nessun vivente davanti a te è giusto”E nel vangelo ci è detto: «Non
giudicate, per non essere giudicati».
È una grande cosa e bisogna tradurla anche nei piccoli fatti della vita quotidiana.
Il grande criterio di Dio è l’amore, l’accoglienza.
Papà e mamma debbono anche dare un giudizio, perché sono un grande riferimento per i figli e non possono tacere, altrimenti il bimbo che cresce non sa più cosa sia bene e cosa sia male. Papà e mamma debbono parlare, però, ad un certo punto quanto più i figli crescono, tanto più debbono diventare “pensosi” nel giudicare e devono tentare di capire più che giudicare.
In tutta la vostra vita c’è un’istanza che vi deve accompagnare ed è la preghiera semplice, la preghiera del mattino e della sera. Ma poi c’è una preghiera ancora più semplice: quella del cuore.
C’è un figlio che si impunta? «Signore,
aiutami». Dovete sgridare un figlio? «Signore,
che non mi lasci dominare dalla rabbia». Siete impazienti per qualche cosa, siete sofferenti...? Papà e mamme dovete trovare la preghiera semplice!
Se vi domando mentre state lavorando: «Per
chi lo fai?», mi rispondete: «Lo
faccio per i miei figli, per mio marito, per mia moglie...». Ma in quel momento non state pensando al marito o alla moglie: voi state lavorando! C’è un’attenzione impegnata, ma c’è anche una profondità del cuore che è orientata, ed ogni tanto emerge a livello di pensiero: «Cosa farà quel
ragazzo, mia moglie a casa da sola...».
Bisogna
trovare questo modo di pregare, questo modo semplice.
Poi c’è un modo di pregare che alimenta veramente la nostra vita ed è quello di pregare con la Parola di Dio. In Diocesi ci sono delle occasioni che ci aiutano ad una preghiera più costruita: le scuole di preghiera in San Marco e a San Girolamo. Ricordatevi però che non dovete dimenticare di avere a disposizione questa preghiera semplice che è l’espressione più profonda dell’amore.
Penso
ai miei genitori che, contadini, avevano solo il segno della croce
(mia mamma forse qualcosa di più) e la messa alla domenica; ma anche
questo, se vissuto bene, può fare dei grandi santi. Essi hanno fatto
una vita dura, una vita faticosa, una vita da schiavi (la vita dei
contadini di allora.... ). Anche questi piccoli gesti, con la
preghiera semplice, possono diventare grande elevazione a Dio.
AL SOMMARIO
ÌÌÌÌÌÌ
LA
CONSEGNA DELLA BIBBIA ALLE FAMIGLIE
|
Daniela e Alessandro Giantin, coppia coordinatrice della Commissione, hanno presentato l’iniziativa della consegna della Bibbia per le mani del Patriarca alle famiglie della diocesi.
«Il Concilio Vaticano II ha riaffermato con forza il primato che spetta alla Parola di Dio nella vita della Chiesa. La riforma conciliare che più ha contribuito a cambiare la Chiesa è stata l’aver messo in mano a tutta la comunità, ai laici in particolare, la Bibbia e la liturgia nella lingua parlata».
Con queste parole il Patriarca suscitò il nostro interesse e interrogò le nostre coscienze; da allora pochi anni sono trascorsi, ma la “Consegna della Bibbia” è già diventata una tradizione per la nostra Chiesa. «Gli sposi non possono celebrare l’Eucaristia
- proseguiva il Patriarca - né, forse, possono parteciparvi tutti i giorni; possono però accogliere tra le mura domestiche la Bibbia, la Parola, il ‘Vivente’ che parla; non un ‘libro da leggere’, bensì una ‘persona da ascoltare’».
La nostra Chiesa è proiettata verso il bimillenario della nascita di Gesù: sarebbe bello che la consegna della Bibbia diventasse un appuntamento per le nostre parrocchie, un momento in cui sottolineare come è importante l’ascolto, sia nelle occasioni liturgiche, sia nella quotidianità feriale, nelle famiglie, nel territorio.
Ecco
perché la consegna della Bibbia viene sì effettuata, come atto
simbolico, durante la Festa della Famiglia in S. Marco, ma ha senso
anche se collocata in un momento liturgico parrocchiale.
Già 331 coppie hanno ricevuto la Bibbia (nel 1993, 1996, 1997), ma sarebbe bello giungere in molti di più all’appuntamento giubilare. Chi volesse ricevere la Bibbia dalle mani del nostro Vescovo durante la XVIII Festa della Famiglia in S. Marco il 25 Gennaio 1998, è pregato di restituire la scheda rossa contenuta in cartellina, o comunque dare la propria adesione entro il 10 Novembre, alla segreteria della Commissione (Martedì e Mercoledì dalle 17,30 alle 19, tel. 952745).
Come
per ogni incontro importante è opportuna una preparazione sia pur
minima; queste le nostre proposte:
1°
appuntamento: Giovedì 27 Novembre 1997 al Centro S. Valentino -
Mestre -ore 18,30÷19,30
2°
appuntamento: almeno un incontro della Scuola di preghiera (nel luogo
che più vi è comodo), che svolge incontri settimanali con questo
calendario
.
a Mestre ogni Giovedì nella chiesa di S. Girolamo alle 18,30÷19,30
.
a Venezia ogni Martedì nella basilica di S. Marco alle 18,30÷19,30
3°
appuntamento: Martedì 13 Gennaio 1998 in basilica-cattedrale di S.
Marco alle 18,30÷19,30
E le 331 coppie che hanno già ricevuto la Bibbia, molte delle quali sono qui oggi? Non temete! Abbiamo grandi progetti per l’anno venturo che vi comunicheremo per tempo.
AL SOMMARIO
Le tre relazioni sono state accompagnate dalla proiezione di alcune trasparenze a colori. La parte introduttiva è stata svolta dai coniugi Bonaldi a nome della Commissione.
Approfondiamo ora, con l’ausilio di tre coppie della Commissione, il ministero coniugale.
AGENDA DEI LAVORI
|
MATTINO |
POMERIGGIO |
Sposi in
Gesù Cristo
per mezzo dello
Spirito Santo
|
Ministero degli Sposi
|
Questa
mattina abbiamo contemplato la Persona di Gesù Cristo, oggi
pomeriggio parleremo del ministero degli sposi.
Vale
la pena, forse, intenderci almeno sul termine “ministero”. Il
dizionario recita: “È l’ufficio che compete a qualcuno per
vocazione, ...”. Noi amiamo dire che tutti i battezzati partecipano,
anche se a titolo diverso, alla ministerialità prima e fondamentale
della Chiesa che è l’evangelizzazione ed ogni membro della Chiesa
svolge in essa il suo doveroso ufficio al servizio della salvezza del
mondo, secondo la grazia dello Spirito Santo, che a ciascuno
distribuisce i suoi doni come a lui piace.
Ecco,
il matrimonio inteso come ministero e carisma deve trovare il suo
significato non tanto in progetti, sia pure generosi, da attuare,
quanto piuttosto nell’essere specchio, messaggio di una grazia
ricevuta.
É importante che gli sposi cristiani conoscano
nello stupore e nella gioia.
e quindi
|
Allora
se parliamo di ministero sponsale, ci sembra importante che noi sposi
conosciamo la “buona notizia”, cioè l’evangelo, del matrimonio
e lo possiamo fare solo partendo da ciò che conosciamo e viviamo: la
nostra realtà coniugale.
È
importante la conoscenza (supportata anche dallo studio), ma poi è
attraverso il tessuto quotidiano della nostra vita che dovremmo
rivelare - narrare, per usare il termine introdotto dal Patriarca
stamattina - il progetto dell’Amore di Dio per l’uomo. In altre
parole dobbiamo diventare dei testimoni credibili.
Cristo ricorda agli sposi che loro VOCAZIONE
è modulare la propria vita coniugale sul modello della storia
dell'AMORE di Dio divenuta Alleanza, non più smentibile, sul
Calvario
|
Il
matrimonio cristiano è una Vocazione, elevata a Sacramento, che
comporta un Ministero. Si può dire: due battezzati, amandosi,
lasciano che Dio, con la forza del suo Spirito, faccia del loro amore
il “lieto annuncio” di come Dio ama il mondo.
Quindi
il matrimonio dei battezzati ha a che fare per sua natura intrinseca,
con la Promessa dell’Amore di Dio che ha attraversato la storia del
mondo antico, ed è diventata Alleanza definitiva (non più
smentibile) sul Calvario.
Con il Battesimo ed il SACRAMENTO del
Matrimonio, Cristo, per forza dello SPIRITO SANTO, consacra
gli sposi
"ministri del'Amore di Dio per
l'uomo"
|
Con
il sacramento del matrimonio - ecco il secondo aspetto -, Gesù Cristo
si compromette con gli sposi ed affida loro il ministero di rivelare
l’Amore di Dio per l’uomo, cioè li consacra ministri di questo
amore.
La MISSIONE degli sposi -e quindi il loro
MINISTERO specifico-, si configura nella chiamata a diventare,
da dentro la loro vita quotidiana d'amore.
L'EVANGELO DI QUESTA ALLEANZA
|
Quindi
la missione degli sposi nel mondo è diventare la “buona notizia”,
l’evangelo della Alleanza tra il Padre e gli uomini; Alleanza prima
siglata con il patto del Sinai e poi divenuta definitiva con il patto
della Croce. Per dirla con Giovanni Paolo II: “Gli
sposi dicono al mondo che ispirando la propria esistenza al Vangelo,
è possibile vivere un amore fedele, responsabile e generoso; dicono,
ancora, che la famiglia è la culla naturale, dove è possibile
accogliere con gioia la vita umana, amarla, proteggerla, educarla”.
Significa,
allora, che gli sposi devono trasferirsi nell’area del
“servizio”. Ma l’esperienza di coppia e di famiglia non deve
rimanere chiusa tra le mura domestiche, ma bensì deve inserirsi nella
Chiesa e nella società con atteggiamento di disponibilità.
E
gli sposi lo devono fare vivendo coscientemente il loro rapporto
d’amore, senza eroismi ma nella quotidianità, cioè amandosi di
vero amore nella semplicità di ogni azione feriale.
Dunque, la storia della Salvezza
è la storia dell'amore divino (o del Padre), che ha il suo
culmine nel Figlio
che è
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PROFETA
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SACERDOTE
|
RE
|
La
Bibbia, la liturgia, la teologia e il Concilio ripropongono
continuamente Cristo e il suo ministero chiamandolo con i titoli di
Profeta, Sacerdote e Re.
Forse
sono termini un po’ estranei al linguaggio odierno. È necessario,
di conseguenza, decodificare questo linguaggio per comprendere
interamente il messaggio salvifico che è implicito.
La Profezia, il Sacerdozio, la Regalità
di Gesù Cristo come modalità del
ministero coniugale
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accoglienza
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adorazione
|
ringraziamento
|
per il
DONO DELL'AMORE DEL PADRE PER L'UOMO
|
Dal
sacramento del Matrimonio
|
nasce
l'impegno politico degli sposi
|
La
promozione umana, un sincero impegno verso le istanze della società,
è il principale servizio degli sposi. L’impegno politico è
espressione stessa del sacramento coniugale, esso non ha quindi solo
un’origine storica, ma anche soprattutto religiosa.
Per
cercare di concretizzare questo concetto è però opportuno
porsi alcune domande: con che stile la coppia si impegna nella
società e nella politica? Con che progetto? Tenteremo ora di
rispondere, per arrivare a proporre poi alcuni esempi concreti.
LO
STILE DELLA COPPIA NEL SUO IMPEGNO VERSO LA SOCIETA'
Lo
stile della coppia che si impegna: non è solo una questione di forma,
come potrebbe sembrare a prima vista. La forma in questo caso è
abbastanza strettamente connessa con la sostanza: crediamo sia ben
presente a tutti, anche purtroppo sulla scorta di esperienze attuali,
che l’impegno sociale e politico può talvolta essere originato da
interessi personali o anche semplicemente da desiderio di
autoaffermazione, piuttosto che da autentico spirito di servizio.
Vero
è che l’impegno socio-politico rimane un’attività umana, e come
tale è naturale che essa si svolga attraverso la valorizzazione delle
competenze dei singoli, che comporti un giusto grado di gratificazione
intesa come soddisfazione nel veder procedere progetti in cui si
crede, e talvolta anche attraverso una dialettica, anche forte, con
chi ha opinioni e progetti diversi. Tutto ciò però ha un confine ben
preciso, che possiamo cercare di comprendere attraverso una
“imitazione” di Cristo. La regalità di Cristo va in una direzione
diametralmente opposta alla visione degli uomini.
Vicino alla croce Gesù ribadisce che il suo regno è
completamente al di fuori degli schemi umani.
«“Sei
tu il re dei Giudei?” Gesù rispose: “Hai pensato tu questa
domanda, o qualcuno ti ha detto questo di me?” Pilato rispose:
“Non sono ebreo, io. Il tuo popolo e i capi dei sacerdoti ti hanno
consegnato a me: che cosa hai fatto?” Gesù rispose:” Il mio regno
non appartiene a questo mondo. Se il mio regno appartenesse a questo
mondo, i miei servi avrebbero combattuto per non farmi arrestare dalle
autorità ebraiche. Ma il mio regno non appartiene a questo mondo.”
Pilato gli disse di nuovo: “Insomma, sei un re, tu?” Gesù
rispose: “Tu dici che io sono re. Io sono nato e venuto al mondo per
essere un testimone della verità. Chi appartiene alla verità ascolta
la mia voce.”»
I
re si fanno servire, Gesù pone il servizio al primo posto della scala
dei valori: «Le persone
potenti fanno sentire con la forza il peso della loro autorità. Ma
tra voi non deve essere così. Anzi, se uno tra voi vuole essere
grande, si faccia servo di tutti. Infatti anche il Figlio dell’uomo
è venuto non per farsi servire, ma è venuto per servire e per dare
la propria vita come riscatto per la liberazione degli uomini.»
L’unica
potenza di Gesù è l’impotenza, ma non l’inerzia bensì lo
strumento efficace del suo amore; amore che dona e non possiede, che
offre e non pretende, che contesta l’egoismo delle virtù borghesi
dell’avere, del potere, del riuscire; che contesta i falsi valori,
che propone valori riconoscibili.
Cristo
re crocifisso è scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani.
DAL
BISOGNO AL PROGETTO: LA SOLIDARIETA' SI FA POLITICA
DAL
BISOGNO
AL
PROGETTO:
LA
SOLIDARIETA' SI FA POLITICA
|
Stabilito
il metodo, un secondo passo verso un impegno concreto ed efficace
degli sposi è di convincersi, per convincere poi le nostre comunità,
che nel nostro mondo socializzato e complesso
si aiuta colui che soffre non solo con la risposta immediata al
suo bisogno, ma anche con la mediazione e l’aiuto di strutture
economiche e sociali, di ideali politici ed etici.
Come
dice il nostro Patriarca l’impegno della carità della comunità
cristiana ed in particolare degli sposi non devono quindi rispondere
solo all’emergenza, ma devono divenire sempre più sapienza, per far
progredire la storia verso forme più umane e solidali. «La
carità deve divenire impegno culturale, sociale e politico per
spingere le istituzioni, sollecitare i movimenti di opinione e
legislativi far crescere la società e lo Stato in umanità e
solidarietà».
La
solidarietà chiede di attuarsi anche attraverso forme dirette di
partecipazione politica e le famiglie, in quanto generate dalla
solidarietà e generatrici di solidarietà, sono chiamate ad esprimere
il loro compito sociale anche in forma di intervento politico.
Dalla
risposta immediata al progetto, quindi; il passo non è facile, sia
perché progettare significa andare alle radici del disagio, e questo
è difficile in quanto richiede competenza e conoscenza dei problemi,
ed anche perché gli interessi che si toccano possono essere molto più
forti, e le visioni delle soluzioni proposte da altri possono essere
diverse e quindi fonti di dialettica.
Di
fronte a queste difficoltà, cui spesso si aggiunge quella della
fatica di vedere un effetto immediato, può prevalere la mentalità
della delega, ovvero l’affidarsi ai professionisti della politica.
Si
tende cioè a separare l’azione politica dalla promozione umana,
intendendo la prima come affare di pochi e di potenti, ai quali
chiedere al massimo la soluzione dei singoli problemi di emergenza,
che richiedano magari l’esborso di denaro pubblico, relegando la
seconda ad interventi di tipo familiare o al più parrocchiale.
Pur
se è presente nelle nostre comunità una consapevolezza della
negatività di questa scelta, prevale però spesso un senso di
impotenza verso il modo di fare politica. Si ha la sensazione che
esistano altre forme per incidere sul governo della cosa pubblica, che
non sia il semplice voto alle elezioni, ma non si sa bene quali.
Dobbiamo
però essere consapevoli che come sposi e come famiglie
dobbiamo partecipare alla costruzione della città degli
uomini, mettendo a disposizione le nostre risorse ed i nostri carismi
a favore di tutti gli uomini e questo, lo ricordiamo, perché la
nostra responsabilità culturale, sociale, politica, nasce
direttamente dalla specificità del sacramento del Matrimonio.
pER
UNA ECOLOGIA UMANA
Qualsiasi
intervento di carattere sociale e politico, ma in generale qualsiasi
forma di relazione sociale in cui la coppia e la famiglia siano
coinvolte, non può che avere come obiettivo l’uomo.
Questa
affermazione a prima vista può apparire banale, ma forse lo è meno,
così come le sue implicazioni, quando ci fermiamo a riflettere su
quale è veramente il nostro “modello” di uomo, su quale progetto
di uomo e di sviluppo vogliamo come sposi, come comunità, impegnarci.
A questo proposito non è senza fondamento la preoccupazione del Papa,
che nella sua enciclica Centesimus
Annus afferma che il sistema delle economie più avanzate, tra cui
anche la nostra quindi, è attualmente dominato da una cultura
consumistica, da un modello riduttivo di uomo, che non rispetta e non
valorizza adeguatamente tutte le dimensioni del suo essere, ma che
subordina quelle interiori e spirituali a quelle materiali e istintive.
pER
UNA ECOLOGIA UMANA
|
ALCUNE PROPOSTE DI IMPEGNO QUOTIDIANO
|
All’interno
di questa cultura è facile che l’uomo venga messo in secondo piano,
che venga cioè visto come mezzo (di produzione, di consumo, di
godimento), piuttosto che come fine.
I
sistemi sociali delle economie più avanzate hanno perciò bisogno di
un nuovo modello di sviluppo, fondato su una cultura ed uno stile di
vita solidaristici che abbiano al centro la persona umana, ma che
siano allo stesso tempo aperti al trascendente.
Abbiamo
bisogno di un nuovo modello di sviluppo e di crescita umana, che
immetta «nella cultura
contemporanea stili di vita che assumono i valori del vero, del bello,
della libertà, della solidarietà, della giustizia e dell’amore e,
quindi, anche i valori dell’impegno, del sacrificio, dell’austerità.
Alla cultura del consumo deve subentrare la cultura dell’essere di
più.»
«Alla
cultura del lavorare per consumare, del produrre di più per consumare
e far consumare di più, alla cultura del godimento e della fruizione
immediata occorre sostituire la cultura del lavorare e del produrre
per essere di più, la cultura dell’impegno e del dovere di essere e
di crescere in pienezza, assieme agli altri, per gli altri.
L’uomo
vale di più per quello che è che per quello che produce. Come
conseguenza, criterio preminente del produrre, del consumare, del
discernimento dei nuovi bisogni e delle modalità del loro
soddisfacimento, non è alla fine l’efficienza, la produttività, il
consumo stesso, ma la persona umana, la sua crescita in pienezza.»
Come
spiega il Papa «l’economia
è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana.
Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci
finiscono con l’occupare il centro della vita sociale e diventano
l’unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la
causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso,
quanto nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la
dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo
alla produzione dei beni e dei servizi.»
È
interessante notare come questa problematica possa essere discussa
anche in termini di questione ecologica. Il Papa indica infatti la
causa culturale della questione ecologica, cioè un’antropologia
sbagliata: «L’uomo preso dal
desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere,
consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la
sua stessa vita.».
La
questione ecologica si manifesta quindi nei suoi risvolti negativi
secondo tre modalità: distruzione dell’ambiente naturale,
distruzione dell’ambiente umano, distruzione dell’uomo stesso.
Anche
se sarebbe importante, non abbiamo purtroppo tempo di soffermarci
sulla questione ecologica intesa come sperpero di risorse naturali,
anche se è significativo sottolineare come la trattazione di questo
problema sia nell’enciclica collocato nel contesto in cui vengono
trattati i problemi delle società e delle economie più avanzate, tra
le quali quindi la nostra. La questione ecologica è quindi
strettamente connessa al problema del consumismo: i Paesi più ricchi
hanno perciò una forte responsabilità, proprio a causa della loro
cultura prevalentemente consumistica e per la visione distorta
dell’uomo che le anima.
È
senz’altro cruciale ai fini delle nostre riflessioni sottolinearvi
invece l’insistenza che nella Centesimus
Annus si rileva sul volto specificamente umano della questione
ecologica, ovvero quella che il Pontefice chiama “ecologia umana”.
Secondo
Giovanni Paolo, oltre che non impegnarsi sufficientemente per
preservare gli habitat naturali delle diverse specie animali
minacciate di estinzione, non si ha abbastanza attenzione per l’uomo
per il suo autentico e pieno sviluppo sociale e culturale. Tutto ciò
ha conseguenze negative sul modo di condurre l’economia e questo a
sua volta ha conseguenze negative sull’ambiente e sull’ecosistema.
Uno sviluppo a misura d’uomo, compatibile con le risorse,
l’ambiente e le generazioni future, è possibile solo se l’uomo
cresce moralmente, culturalmente e spiritualmente, oltre che nel
sapere e nel saper fare.
In
altri termini, capitolo importante dell’ecologia umana autentica è
l’educazione alla persona, in particolare l’educazione a una
nozione di sviluppo regolata da una visione integrale dell’uomo.
«Se
è necessaria la libertà economica, se è necessaria un’economia
dell’imprenditorialità e della responsabilità, queste devono
essere momenti armonizzati di una nuova e più vasta cultura dello
sviluppo; la libertà economica è
soltanto un aspetto della libertà umana, come l’economia è solo un
aspetto e una dimensione particolare dell’attività umana in
generale; la libertà economica non va assolutizzata e non deve
perdere la giusta commisurazione alla persona umana, suo soggetto,
fondamento e fine.
Come
l’uomo non può essere considerato produttore o consumatore dei
beni, bensì soggetto che produce e consuma per vivere un’esistenza
pienamente umana, così la produzione ed il consumo delle merci, cose
buone in sé, non possono occupare il centro della vita sociale e
diventare l’unico vero valore della società.»
E
nel valorizzare il
progetto di Cristo sull’uomo, nel perseguire una vera ecologia
umana, fondamentale è il ruolo della famiglia, definita dal Papa «prima
e fondamentale struttura a favore dell’ecologia umana» La
famiglia è tale struttura perché in seno ad essa l’uomo «riceve
le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene,
apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e quindi che cosa
vuol dire in concreto essere una persona».
Queste
considerazioni, che possono sembrare di carattere molto generale,
trovano applicazioni anche nella nostra esperienza quotidiana,
Il
problema dell’umanizzazione dell’economia, di rendere lo sviluppo
coerente con una visione integrale di uomo, ci riguarda infatti
direttamente. Stiamo forse per comprendere uno dei paradossi del
benessere: il fatto cioè che esso porta l’abbondanza, ma anche fa
intravedere quante sono le opportunità che potremmo cogliere e che
mai potremo vivere, anche se fossimo i più ricchi della terra.
L’abbondanza ha messo in luce la nostra limitatezza,
l’impossibilità di prendere tutto e il fatto che il nostro cuore
rimane inquieto.
Nel
contesto di un’economia regolata da una forte spinta etica assumono
significato singoli comportamenti quali uno stile di vita sobrio,
l’attenzione alle spese ed al valore del denaro e quindi
l’adesione a progetti di bilanci di giustizia o di risparmio etico,
un rinnovato impegno nel lavoro e nello studio, in particolare
intendendo quest’ultimo come mezzo di riscatto sociale e di
acquisizione di competenze che potranno un domani essere utilizzate
per la costruzione di una società più umana, la partecipazione
consapevole alle spese della comunità ed agli oneri della vita
sociale (senza scorciatoie o elusioni) , un alto senso dello stato e
della vita comunitaria, il rispetto dell’ambiente. (Si vedano le
“Schede per la riflessione”, inserite nella cartellina, per
ulteriori concretizzazioni)
EDUCAZIONE
ALLA DIMENSIONE SOCIALE E STORICA IN FAMIGLIA
Il
ruolo sociale e politico degli sposi può e deve svilupparsi a partire
da qualcosa di originale e cioé dalla potenzialità e necessità
educativa: dall’educarsi e dall’educare
i componenti della famiglia, in particolare i figli, al “senso”
della vita, a riconoscere e promuovere l’uomo nella sua integrità.
L’esperienza
di comunione e di partecipazione caratteristica della coppia,
rappresenta il suo primo e fondamentale contributo alla società;
infatti le relazioni tra i coniugi e poi tra i membri della comunità
familiare sono ispirate e guidate dalla legge della gratuità che,
rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale
come unico titolo di valore, diventa accoglienza, incontro e dialogo,
disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà
profonda.
La
famiglia creata dalla coppia non può oggi considerarsi unico luogo di
educazione, ma deve riappropriarsi del primo posto nella graduatoria
formata dalle agenzie educative formali e non. Questo può e deve
essere possibile, in quanto solo nella famiglia si possono trovare
delle caratteristiche fondamentali per l’educazione all’uomo.
La
famiglia, proprio perché sistema di relazioni (e quindi di regole e
di affetti) stabili e durature, può essere considerata come luogo
privilegiato di trasmissione biologica e soprattutto culturale. La
famiglia, riunendo nel tempo persone diverse e non solo per sesso ed
età, diventa, di per sé, occasione per superare l’individualismo e
per recuperare il passato proiettandosi nel futuro.
Attraverso
la famiglia quindi viene trasmessa la cultura, la storia dei singoli
individui e della umanità. Proprio oggi che si assiste ad una perdita
del senso storico e della dimensione collettiva, la famiglia deve
riacquistare consapevolezza di questa sua caratteristica funzione.
Nella
Centesimus Annus il Papa
richiama al primato dell’educazione in vista della soluzione della
questione sociale. Ma nel quotidiano come può tradursi e realizzarsi
questa potenzialità educativa al senso sociale e storico?
Nella
coppia in primo luogo, e quindi nella famiglia, si possono comporre le
diversità da viversi come opportunità di ricchezza e non come
handicap, attraverso l’apertura all’altro, al rispetto, alla
solidarietà.
All’interno
della famiglia è possibile l’educazione alla uguaglianza, alla
giustizia ed alla libertà rispettosa dei diritti degli altri. Nella
famiglia ciascuno ha una propria identità che deve essere
valorizzata, deve essere possibile per ciascuno imparare ad esprimerla
e così poi nel mondo per
esempio nella scuola e sul lavoro, senza perdere le occasioni per il
confronto.
Il
riconoscimento e la valorizzazione della propria e altrui identità
apre all’impegno assunto come valorizzazione delle capacità
dell’individuo e non come annientamento della persona; si può
pensare, per esempio, come a volte viviamo il lavoro, non sempre dando
testimonianza di un sano equilibrio tra impegno lavorativo e impegno
di vita, spesso seguendo una mentalità che considera il lavoro come
realtà puramente accidentale e strumentale, estranea alla vita e alla
costruzione della maturità della persona.
Può
essere possibile imparare, ed educare, al rispetto per le istituzioni
che non vuol dire perdere la capacità di porsi criticamente nei loro
confronti.
Il
Concilio afferma: «Il dovere
della giustizia e dell’amore viene sempre più assolto per il fatto
che ognuno, interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità
e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni
pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di vita
degli uomini. ... Purtroppo molti, in vari paesi tengono in poco conto
gli obblighi sociali. Sacro sia per tutti includere tra i doveri
principali dell’uomo moderno, e osservare, gli obblighi sociali.
Infatti quanto più il mondo si unifica, tanto più apertamente gli
obblighi degli uomini superano i gruppi particolari e si estendono a
poco a poco al mondo intero».
Anche
attraverso la discussione in casa dei fatti “politici”, pubblici,
recuperando gli eventi del passato per dare un significato all’oggi,
si può arrivare a considerare la “cosa” pubblica, come “cosa”
della persona e della famiglia, quindi considerare la storia degli
uomini come la nostra storia.
LA
COMPETENZA, UN REQUISITO PER L'AZIONE POLITICA
La
conoscenza e ancor di più la competenza diventano oggi requisiti
indispensabili per “vivere nel mondo” e per l’agire politico. È
sempre più necessario mettersi all’ascolto per
individuare i bisogni e soprattutto per formarsi a rispondere
ad essi in modo adeguato.
Per
questo è opportuno non distogliere mai l’attenzione su ciò che ci
circonda, anche per cogliere quelle occasioni più specifiche volte ad
approfondire le conoscenze, per ampliare le possibilità di
riflessione sugli eventi rispetto ai quali non possiamo essere solo
spettatori.
Si
potrebbero individuare due ambiti in cui sembra necessaria una
formazione più puntuale e un continuo aggiornamento:
-
il primo ambito comprende argomenti più propriamente economici,
amministrativi, ecc. Un contributo in questo senso lo possiamo vedere
nelle iniziative della pastorale sociale e del lavoro, di cui un
esempio è dato dalla Scuola all’impegno politico e sociale che
viene attivata a livello diocesano.
-
il secondo ambito riguarda gli aspetti più propriamente umani,
antropologici, psicologici, relazionali che dovrebbero essere
particolarmente approfonditi da chi opera per la pastorale familiare e
giovanile. Si ricorda a tal proposito le iniziative proposte da questi
due settori della pastorale; si ricorda inoltre la necessaria
collaborazione con quelle strutture nate proprio come strumento di
prevenzione e che agiscono offrendo opportunità di formazione e di
impegno culturale sul territorio e nella comunità, prima che di
consulenza e trattamento in caso di difficoltà.
In
questo senso possono essere inseriti i consultori, in particolare
quelli diocesani che guardando alle dinamiche personali e relazionali,
secondo il contributo delle scienze umane e delle loro metodologie,
sostengono una antropologia coerente con la visione cristiana
dell’uomo.
LA
POLITICA COME SCELTA DI COPPIA
La
coppia, forte della particolare esperienza di promozione umana che fa,
deve essere, conscia anche della necessità di interventi legislativi.
Non si può porre solo a livello di testimonianza, ma deve anche porsi
come soggetto attivo all’interno di un’esperienza politica
diretta, in un pluralismo di scelte ormai riconosciute, senza cadere
nella tentazione corporativa.
L’esperienza
della famiglia può diventare il germe di una politica rinnovata fino
ad assumere forme propriamente politiche di partecipazione democratica
alla vita della società. È possibile adoperarsi affinché le leggi e
le istituzioni dello Stato sostengano e difendano i diritti e i doveri
delle persone.
Le
coppie e le famiglie quindi come protagoniste della politica e non
solo di quella che oggi viene definita familiare. Ci si assume la
responsabilità di trasformare la società e di costruire la storia.
Diversamente
le famiglie saranno le prime a risentire di quei mali, che si sono
limitate ad osservare con un atteggiamento di indifferenza o di
delega.
AL SOMMARIO
ÌÌÌÌÌ
(La
relazione sul “Ministero coniugale” è stata conclusa
dai coniugi Bonaldi.)
|
Questo cammino degli sposi avviene nella
Chiesa;
come coppia, allora, ricordiamoci di:
|
E
se abbiamo capito (o solo intuito) il grande dono di Dio, dobbiamo
svegliarci dal nostro torpore religioso ed assumere atteggiamenti di
forte testimonianza nel senso esposto dalle tre relazioni.
Per
esempio non possiamo ritenere possibile che una Chiesa di Venezia di
mezzo milione di persone, 128 parrocchie, trovi tutta la difficoltà
che si sta incontrando in questi mesi a farsi carico della gestione di
Casa Famiglia S. Pio X alla Giudecca, che accoglie mamme ed i loro
bimbi che non hanno un posto dove andare, per aiutarle a ritrovare la
speranza per iniziare una vera vita di relazione, di lavoro, di
interessi.
Continueremo
questo dialogo insieme.
Tutto inquadrato nel programma pastorale diocesano che prevede
due anni di preparazione per giungere ai “Gruppi di Ascolto” che
consentiranno la Missione della Comunità cristiana in Venezia
nell’anno di grazia del Signore.
Grazie
per l’attenzione.
AL SOMMARIO
ÌÌÌÌÌ
INTERVENTI
ASSEMBLEARI E REPLICHE
|
Mario
Spezzamonte - Frari, Venezia
Poiché
si è accennato a Casa Famiglia S. Pio X, dico due parole brevissime
su questa istituzione, essendone il presidente.
Nella
lettera di invito, che avete ricevuto tutti, sono riportate alcune
notizie su Casa Famiglia ed un appello. Casa Famiglia è
un’istituzione che aiuta non soltanto le ragazze madri, ma tutte
le donne in difficoltà che hanno bambini piccoli, quindi ha una
particolare attenzione alla maternità.
Quando,
sette anni fa, le suore dorotee hanno lasciato Casa Famiglia, il
Patriarca l’ha affidata alla Commissione diocesana per gli sposi,
chiedendo aiuto per la gestione concreta ad un suo carissimo amico,
don Giovanni Nicolini, (che voi avete già conosciuto). Don Giovanni
si è assunto l’impegno per un paio d’anni, con la prospettiva
che la diocesi di Venezia si sarebbe
fatta poi carico totalmente della gestione di Casa Famiglia.
Di
questa istituzione si è parlato molte volte in Assemblee come
questa: due anni fa fu creato il “Fondo casa-lavoro ospiti” che
circa ottanta famiglie contribuiscono regolarmente ad alimentare.
Questo fondo ci è servito moltissimo e ci ha permesso di aiutare
sette mamme, con i loro bambini, ad uscire da Casa Famiglia; il
Fondo ha erogato, allo scopo, trentadue milioni.
Quali
sono i problemi che abbiamo ora? In Casa ci sono quattro ospiti che
sarebbero pronte ad uscire, visto che hanno, più o meno, risolto i
loro problemi ed hanno trovato un lavoro. Esse sarebbero perciò in
grado di pagare un affitto (che col fondo si potrebbe integrare), ma
a Venezia non riusciamo a trovare un appartamento con un affitto
accessibile.
Quindi
l’appello più pressante è questo: c’è qualcuno che, a Venezia
o a Mestre, ha un appartamento da affittare a prezzo equo, o una
casa che si possa ristrutturare in maniera da poter dire a queste
ragazze: “Uscite anche voi
e provate una nuova vita”? Il consiglio di amministrazione di
Casa Famiglia si farebbe garante nei confronti dei proprietari.
Abbiamo quattro giovani che potrebbero uscire e noi potremmo
ospitare altre persone.
Secondo
problema: a fine anno la comunità dei Sammartini lascerà Casa
Famiglia; i due anni di impegno di don Giovanni con il Patriarca
sono diventati sette ed ora egli ritiene che ci si possa arrangiare.
Hanno aperto una missione in Tanzania e si stanno spostando.
Per
trovare una soluzione al problema sono stati fatti e si stanno
facendo parecchi incontri tra Commissione, coppie di laici e
parroci. Si sta creando una rete di collaboratori che possano dare
un po’ del loro tempo e della loro competenza professionale, ma il
problema più urgente è trovare almeno una coppia di coniugi
disposta ad assumere, magari per un tempo limitato, la gestione
ordinaria di Casa Famiglia, coadiuvata da altri laici e religiosi e
da esperti professionali.
Perché
una coppia? Perché in questi anni abbiamo dato a Casa Famiglia un
certo indirizzo, abbiamo voluto sottolineare l’aspetto familiare,
e vorremmo che questa coppia di sposi potesse testimoniare alle
ragazze che la coniugalità esiste, che accanto alle loro esperienze
negative ci sono sposi che vivono positivamente il loro matrimonio.
Antonio
Bilotti - S. Andrea,
Favaro
Colgo
l’occasione per arricchire la discussione in merito alla
“famiglia e il sociale”, traendo spunto da un articolo che ho
letto su un settimanale cattolico proprio ieri.
Per
la prima volta nella storia d’Italia, le famiglie si stanno
organizzando per far sentire il peso della loro presenza nelle
decisioni del governo. Purtroppo non si è saputo molto di ciò, per
la scarsa diffusione data dai media.
Fino
ad ora, infatti, la famiglia non è mai stata interpellata quale
parte sociale coinvolta nelle riforme dello Stato. Per esempio, per
ciò che riguarda la riforma della scuola, le parti sociali chiamate
in causa sono sempre governo, sindacati, professori, insegnanti,
studenti; di famiglia non si parla mai.
Attualmente
si sta cercando di organizzare un “forum”, cioè un organismo
che raggruppa ben trentacinque associazioni e movimenti, con
identica matrice cattolica, di varie parti politiche - dalla destra
alla sinistra - per chiamare a raccolta questa maggioranza
silenziosa.
Leggo
il comunicato stampa di questo “forum”. «La
riforma dello stato sociale non può avere solo il traguardo della
moneta unica europea. I diritti della famiglia sono fondamentali per
lo sviluppo della società e della persona. Tra le riforme in
discussione quella della scuola è una delle più decisive, perché
interessa la vita delle famiglie e delle nuove generazioni. Le
richieste avanzate da questo forum sono quattro:
-
un’autonomia che non sia solo decentramento ma che porti ad una
comunità scolastica in grado di esprimere corresponsabilità
educative di autogoverno,
-
un’effettiva parità per poter accedere liberamente al sistema
pubblico di istruzione, che sia statale o privato,
-
la valorizzazione della partecipazione dei genitori nella stesura
del progetto educativo di ogni istituto,
-
la riforma e il potenziamento degli organi collegiali che già sono
esistenti ma non funzionano».
Sabato
prossimo 25 ottobre, moltissime famiglie, (si pensa a circa
diecimila persone) scenderanno in piazza con una grande
mobilitazione, per dire a tutti solamente questa cosa: vogliamo
partecipare anche noi famiglie - nel nostro caso famiglie cristiane
- alla riforma del sistema scolastico.
La
CEI plaude a questa iniziativa asserendo che «È
bene che le famiglie diventino protagoniste dei cambiamenti in atto,
con la medesima dignità e peso delle altre parti sociali».
Non è pensabile nessuna riforma che non sia calibrata sulle
esigenze delle famiglie, quindi invito chi può a partecipare.
Alessandro
Giantin - Ss. Gervasio e Protasio, Carpenedo
Riallacciandomi
alla relazione sul ministero politico, mi è parsa molto opportuna
la sottolineatura sulla necessità di non delegare il nostro compito
politico, di non cercare degli strumenti rappresentativi, siano essi
partiti, sindacati, movimenti.
Un
politico molto in voga fino a pochi mesi fa, aveva usato
un’espressione di quelle che vengono sempre riportate dai
giornali: “La coerenza è
la virtù degli imbecilli”, a dire cioè che in politica,
evidentemente, la flessibilità, per usare un termine nobile, è lo
strumento con cui agire.
Credo
sia importante questo richiamo alla necessità di non delegare, di
essere noi protagonisti senza cercare necessariamente delle
mediazioni o delle rappresentanze che potrebbero non essere coerenti
con il messaggio cristiano.
Miria
Degan - Ss. Giovanni e Paolo, Venezia
Mi
è piaciuta molto la relazione di Paola e Filippo. Essi si sono
innamorati di Cristo, e ciò ha provocato come un’esplosione,
perché quando ci si innamora si ha questa spontaneità e questo
entusiasmo. Noi cristiani invece siamo sempre fermi, seduti, in
attesa; per fare un esempio la preghiera del Padre Nostro è tutto
un verbo di movimento, un verbo di azione.
Mi
è piaciuto anche il richiamo al fatto che i figli sono dono. Spesso
me ne dimentico, perché sono tre e alle volte faccio fatica a
capire le loro esigenze, le loro aspettative, e tutto quello che
comporta la loro vita in crescita -peraltro uguale alla mia
quand’ero giovane - che arriva, alle volte, a disturbarmi.
Poi
c’è la carità; la carità come dono di se stessi ed è la cosa
più difficile. È difficile anche donare il nostro tempo e questo
ci limita molto soprattutto con le persone di famiglia che ci stanno
a fianco tutti i giorni, che ci danno meno gratificazione, dalle
quali ci sentiamo in diritto di essere amati. La botta sulla spalla
ci fa sempre piacere e invece dobbiamo essere noi i primi a dare se
vogliamo ricevere. Io ho avuto un’esperienza molto forte con la
sofferenza dei miei genitori, però ho ricevuto molto di più di
quello che ho dato.
C’è
una cosa invece che mi diventa molto difficile: conciliare la
politica con la religione. Io non sono capace di mettermi in
politica. Mi impegno nella vita quotidiana di moglie, di madre,
anche in parrocchia, però la politica è una cosa che mi rimane
estranea, anche perché se uno è “pulito” non riesce a fare
nulla, se uno dice le proprie idee viene deriso; in definitiva non
riesco a mettere Cristo vicino alla politica. E non l’ho capita
neanche oggi.
Luigi
Meggiolaro - S. Maria
Maddalena, Oriago
Il
papa, in diciannove anni, ha beatificato e santificato quasi
milleottocento fra preti, frati, vescovi e suore, ma quanti sposi?
Un’altra
domanda sulla politica. Per quale partito dobbiamo votare noi
cattolici? Nella relazione si parlava di pluralità. Vorrei che mi
spiegaste questa pluralità in termini chiari, perché finora non ho
capito niente, né di santità, né di politica.
Marisa
Biancardi - S. Giovanni in Bragora, Venezia
Vorrei
dare, anche a nome di mio marito, un giudizio positivo sul taglio
dato all’Assemblea di quest’anno. Mi sembra che le tre relazioni
di oggi ci abbiano permesso di fare un percorso estremamente
faticoso, sia per noi che abbiamo ascoltato sia per chi ce l’ha
esposto, ma chiaro perché era una testimonianza. Un percorso
faticoso perché siamo partiti dalla contemplazione di Dio e del suo
Amore, dall’accettazione di questo, fino alla fatica quotidiana
dell’imparare a dare significato politico ai nostri gesti.
C’è
tutto l’arco, dentro la vita familiare, della risposta al Signore
che chiama. Di solito siamo più portati a vedere la prima parte,
quando riusciamo; risulta invece difficile capire bene quali siano
le motivazioni delle risposte che diamo nel quotidiano, perché
facciamo fatica a contemplare il dono del Signore.
Oggi
abbiamo potuto fermarci e arrivare fino a quell’aspetto che forse
è il più impegnativo, il più difficile, quello a cui sfuggiamo di
più: cioè quello della formazione e della partecipazione
competente alla vita sociale e politica da sposi.
Sergio
Marsale - S. Leopoldo, Favaro
Ho
trovato veramente interessante il discorso relativo all’ecologia
umana, soprattutto quando si parla della funzione educativa della
famiglia. La mia esperienza è quella di un insegnante di scuola
media, e mi sono accorto che la famiglia, purtroppo, è molto
latitante, dal punto di vista dell’educazione. Ci troviamo spesso
di fronte a bambini che sono soli, che non dialogano con i genitori
i quali, per la maggior parte, delegano. È importante invece che la
famiglia si riappropri della funzione fondamentale di educare i
propri figli.
Riguardo
all’ecologia umana, si è parlato soprattutto del rispetto di ciò
che ci è vicino, della natura, delle persone care e poi di coloro
che non sono strettamente a contatto con noi, della gente che soffre
e che vive situazioni difficili.
Ma
per amare bisogna conoscere. Per amare Dio bisogna conoscere la sua
Parola; per amare e rispettare la natura bisogna conoscerla. Tutti
lo possono fare: basta mettersi in ascolto delle cose che ci
circondano.
Gianpaolo
Salvador - Madonna dell’Orto, Venezia
Non
posso non approvare il taglio dato a questa Assemblea dalla
Commissione, poiché ne faccio parte. Alle domande che sono state
fatte non so dare una risposta, perché sono domande sostanziali,
più o meno come quella di questa mattina sul terremoto. Più che
dare una risposta, forse è importante non smettere mai di cercare
una risposta, e questa è già una risposta.
Le
tre relazioni del pomeriggio si possono facilmente collegare
all’intervento del Patriarca di questa mattina se si pensa a tutte
le Assemblee passate, a tutto il lavoro fatto per molti anni insieme
agli sposi della diocesi. Mi vien da pensare che il motivo per cui
gli sposi sentono questa vocazione, il loro ministero coniugale, è
da cercare proprio nel fatto che il matrimonio è un’esperienza
voluta da Gesù, e, ancor prima, dal Padre perché fosse rivelazione
del suo Amore per il mondo, e in particolare dell’amore di Gesù
per la sua Chiesa.
Una
delle riflessioni che abbiamo fatto in Commissione, mentre
preparavamo l’Assemblea, è che gli sposi fanno l’importante
esperienza di sentirsi belli l’uno nei confronti dell’altro, per
cui nessuno trova insignificante la propria sposa, il proprio sposo.
Il sentire l’altra persona come straordinaria e il sentirsi
ritenuto importante, è una cosa che fa uscire dall’anonimato,
evita di sentirsi inutili.
Questo
amore degli sposi fa sì che due persone non siano più due persone
qualsiasi e ci riporta al grande
Amore di Dio, per cui ogni creatura è un essere importantissimo,
unico e irripetibile perché amato. Il Signore lo investe di grande
amore, di grande attenzione, di grande tenerezza.
Allora
l’impegno degli sposi nasce dall’aver capito che ogni persona è
una creatura di Dio e quindi un essere importantissimo, degna di
tanta attenzione come nessuna altra cosa al mondo ne può avere.
Questa
esperienza diventa allora punto di partenza per far sì che la vita
quotidiana trovi spazio anche per un impegno politico o un impegno
pastorale, comunque un impegno rivolto agli altri, anche al di fuori
della propria famiglia, perché non sono belli solo il proprio
marito e la propria moglie e i propri figli, ma sono belli tutti gli
uomini.
Gianni
Longhini - Cuore Immacolato di Maria - Altobello, Mestre
Sappiamo
che esiste sempre in noi il dubbio fra l’essere e il fare. Siamo
chiamati a fare tante cose e ci chiediamo sempre: “Ma
sono pronto a farle?”. Credo sia necessario prendere coscienza
che siamo una minoranza e probabilmente lo saremo sempre di più.
Allora vale di più la qualificazione che permette a qualcuno di
dire: “Guarda, sono
cristiani!”.
Piergiorgio
Dri - S. Canciano, Venezia
Mi
ha colpito molto un passaggio della meditazione del Patriarca in
cui, riferendosi al sacramento del Matrimonio, diceva che Gesù è
stato chiamato a narrare il Padre e che per narrarne la maternità e
la paternità, ha chiesto aiuto agli sposi dando loro il compito di
continuare questo racconto. Vedrei proprio in questo il collegamento
con quanto è stato detto oggi pomeriggio.
Per
gli sposi diventa impossibile narrare la paternità e la maternità
di Dio, attraverso il ministero educativo, se non guardano al Padre,
se non contemplano Gesù Cristo, come ci ha indicato il Patriarca
questa mattina. Diventa impossibile, per gli sposi, leggere
l’Amore di Dio che precede qualsiasi nostro intervento e rendere
grazia per questo nell’esercizio del ministero della carità.
Se
gli sposi non fanno riferimento e non contemplano Cristo,
probabilmente non riescono a esercitare il ministero della carità.
Lo stesso discorso vale per il ministero politico: gli sposi non
riescono a promuovere l’uomo se non guardano prima a Cristo, che
è la fonte del loro essere sposi.
Giuliano
Calearo - S. Michele Arcangelo, Quarto d’Altino
Ringrazio
il Signore per avermi dato mia moglie, cioè una persona che è
riuscita a capirmi, ad aiutarmi e a darmi la tranquillità
necessaria per potermi dedicare, assieme a lei, anche a quello che
dice il Cristo.
Senza
di lei credo che il mio cammino sarebbe stato molto più difficile,
non solamente nei rapporti familiari, ma anche nel lavoro, dove ho
trovato il coraggio di testimoniare e di portare avanti determinati
discorsi sul piano sindacale, perché è difficile dare al mondo un
messaggio di unione e di coerenza se esse non sono vissute prima
nella famiglia.
LA
REPLICA
Vorrei
partire da una affermazione che ci ha detto il professore di scuola
media a proposito del mettersi in ascolto di ciò che ci circonda,
del mettersi a osservare. Questo è un valore fondamentale, vorremmo
essere molto chiari su questo.
La
competenza nell’agire, anche sociale e politico, viene assunta
certamente anche attraverso lo studio e la preparazione personale,
ma non solo: un aspetto fondamentale è mettersi in un ascolto
attento della natura e dei bisogni degli uomini. Su questo si fonda
qualsiasi impegno della famiglia.
Pertanto,
la prima e fondamentale azione politica che una coppia di sposi può
fare, consiste nell’educare i figli ad essere attenti, ad avere
gli occhi aperti su ciò che la natura e la società ci dicono,
perché è a partire dalla conoscenza di ciò che ci circonda che si
può fondare un progetto, una dialettica di soluzione.
Ma
questo, per chiunque sia un attimo attento a quello che succede nel
mondo (compresa la realtà giovanile), non è assolutamente una cosa
scontata. È molto facile vivere alla giornata, senza soffermarsi
sulle piccole cose belle che la natura può offrirci, e che ci
dicono anche quanto sia importante poi preservarle.
È
certamente una difficoltà di tutti (e non solo della signora che ha
sollevato il problema) collegare il discorso politico con il
discorso religioso. Un’osservazione che può essere fatta è che
“politica” non significa solo partito e nemmeno solo Parlamento;
la politica si fa soprattutto nei piccoli gesti concreti di ogni
giorno.
Trent’anni
fa la Gaudium et Spes
diceva: “Anzi molti, di
vari paesi, tengono in poco conto le leggi e le prescrizioni
sociali. Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi
e frodi, alle giuste imposte e agli altri obblighi sociali. Altri
trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio le misure
igieniche, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, non
rendendosi conto di mettere in pericolo, con la loro incuria, la
propria vita e quella degli altri. Sacro sia per tutti, includere
tra i doveri principali dell’uomo moderno di osservare gli
obblighi sociali”
Quindi,
fare politica significa, per paradosso, anche osservare il codice
della strada, rispettare gli oneri, in termini di tassazione, che
una vita di società richiede.
Fare
politica significa ancora educare i nostri figli a considerare la
scuola non come un momento di parcheggio, ma come un’occasione di
apprendimento, di formazione, anche di riscatto sociale, per essere
migliori di come si era e poter contribuire a far diventare migliore
qualcun altro.
Far
politica significa anche sfruttare le occasioni che ci sono date in
diocesi per prepararci a svolgere nel migliore dei modi, per
esempio, il servizio della carità in parrocchia; cosa che
costituisce un’esperienza di molti.
Ricordiamo
le due opportunità che sono state citate nella relazione:
-
la Scuola di Formazione all’Impegno politico;
-
i Consultori Diocesani che propongono occasioni di formazione per le
persone che hanno maggior attenzione verso i problemi degli
adolescenti o dei giovani.
Un’altra
provocazione è stata fatta con la frase:
“Ma allora diteci per chi dobbiamo votare”. Credo che la
Chiesa e noi stessi dobbiamo avere sufficiente rispetto per la
capacità di decisione di ciascuno, da non dover indicare le strade
delle scelte, che sono scelte concrete di ciascuno e che possono
anche dipendere dal momento storico. Ci sono dei valori di fondo che
vanno sostanzialmente rispettati e sui quali occorre confrontarsi
con le varie opzioni politiche, che possono essere contingenti,
cioè di oggi, ma non di domani.
La
scelta, quindi, è sostanzialmente legata al momento, alla persona,
alla sua realtà. Adesso si parla molto di sistema bipolare e ciò
dovrebbe aiutare a sdrammatizzare la scelta, nel senso che è
possibile modificarla dopo qualche anno. All’interno di un quadro
di riferimento preciso, cioè di valori etici precisi, ci si
confronta e si verifica se gli obiettivi che son stati posti
inizialmente, sono stati poi anche realizzati.
Per
chiarire: forse come cristiani siamo una minoranza, ma i valori
etici di fondo, che soggiacciono all’etica cristiana, non credo
siano di minoranza, ma possono essere condivisi con molti uomini di
buona volontà. Ritengo questa la sfida dei nostri giorni:
trasformare il nostro essere minoranza numerica nella valorizzazione
dell’etica cristiana anche fra i cosiddetti pagani. C’è
un’infinità di valori che possono essere condivisi, anche con chi
non fa la nostra stessa scelta di fede.
AL SOMMARIO
ÌÌÌÌÌ
CONCLUSIONI
ALL’ASSEMBLEA
di
mons. Silvio Zardon
|
di
mons. Silvio Zardon
NON
BASTA CONOSCERE GESÙ
Anzitutto
devo ringraziarvi per essere riusciti a sopportare tutto questo
diluvio di concetti, specialmente nel pomeriggio. Vorrei aggiungere
alcune riflessioni su questa giornata fissando però dei paletti.
Il
primo e fondamentale è costituito dal titolo stesso
dell’Assemblea. Esso dovrebbe essere imparato a memoria, perché
racchiude l’atteggiamento che un cristiano non può non avere se
vuole essere discepolo del Signore. Questa frase sintetizza bene la
definizione di cristiano, anche se essa è difficile perché si
esprime in un linguaggio ecclesiastico e certamente non moderno.
Il
cristiano, quindi, e nello specifico gli sposi, sono tali in Gesù
Cristo nello Spirito Santo, ma nella Chiesa e dentro la storia.
Questa è la definizione di cristiano che non dovremmo mai
dimenticare.
Per
primo, concentriamo la nostra riflessione su “Gesù nello Spirito
Santo”. Non possiamo pensare di essere discepoli del Signore e
quindi suoi testimoni, e - nel caso fossimo chiamati e ne avessimo
la capacità - anche missionari che annunziano il vangelo con la
parola, senza aver dimestichezza, familiarità con Gesù.
Non
si può pensare di adoperarsi nella pastorale della Chiesa a
prescindere dall’aver conosciuto, dall’aver contemplato
personalmente Gesù e dall’esserne stati coinvolti. Questa è
stata la ragione che ci ha spinto a chiedere al Patriarca, che ha il
carisma del discernimento dello Spirito nella sua comunità, di
parlarci di Gesù.
È
Gesù che fa la pastorale, non noi e dobbiamo imparare a non
saltarlo mai. E quando si decide di fare un servizio, si decide
anche di essere per Lui. Il nostro atteggiamento deve indurci a
dire: “Ecco, voglio
testimoniare Gesù, perché cerco di avere con Lui quella
familiarità a cui Lui mi chiama, a cui mi ha già chiamato”.
Non
basta quindi conoscere Gesù. A questo proposito c’è stato un
salto di qualità nell’impostazione della formazione cristiana a
partire dal momento in cui la Chiesa italiana ha prodotto il
documento base della catechesi, forse non ancora preso abbastanza in
considerazione nelle nostre parrocchie.
Non
basta conoscere le verità cristiane e aderirvi intellettualmente
per essere cristiani: bisogna aderire a Gesù. Per questo, chi si
dedica ad una azione pastorale di evangelizzazione o di carità
dovrebbe riservare molto più tempo alla contemplazione.
La
Commissione, quindi, vuole intraprendere questa strada perché non
è discepolo chi non contempla Gesù e non può poi dire ad amici e
fratelli che incontra per strada:
«Vieni, io so dove sta di casa».
La
contemplazione è fondamentale per parlare sia di ministero
coniugale che di ministero presbiterale o di vita consacrata nella
verginità. È un tema che ci sta molto a cuore perché c’è un
rapporto strettissimo tra queste due realtà. Contemplare Gesù
sarà il tema cui ci richiameremo sempre, forse anche esponendoci al
pericolo di essere giudicati troppo spirituali.
Ci
sembra giusto insistere molto, come diceva il Patriarca, che si
preghi in casa e che la vita quotidiana sia considerata una vera
preghiera di lode al Signore, ma anche che si impari a pregare
insieme, attraverso la preghiera liturgica.
Rivolgiamo
una forte raccomandazione alla preghiera, in particolare a coloro
che ricevono la Bibbia dal Patriarca; ed è per questo motivo che
invitiamo con insistenza a partecipare alle Scuole di preghiera.
Avete già le date degli appuntamenti e sarebbe bello che le coppie
venissero a questa Scuola per imparare a pregare sotto la guida del
vescovo.
GESÙ
CI APRE LA STRADA AL PADRE E ALLA COMUNIONE
CON
LA SS. TRINITÀ
Vi
possiamo annunciare che è nostra intenzione proporre un convegno
degli sposi sul rapporto tra famiglia e Trinità, da tenersi
indicativamente nel 2000. Le modalità operative sono allo studio,
ma non è prematuro annunciarlo perché sarà un impegno molto
grosso e vogliamo che ci pensiate.
La
Trinità chiama ogni cristiano a vivere da protagonista la comunione
con “Dio-Famiglia”, ma gli sposi, in forza del sacramento del
Matrimonio, hanno il compito specifico di rivelare l’Amore
trinitario di Dio, assieme ai consacrati.
Alla
contemplazione di Gesù non si arriva però saltando due elementi
portanti della vita cristiana, sui quali il Patriarca è tornato
stamattina: l’Eucaristia della domenica e la Parola di Dio che ci
viene attraverso la sacra Scrittura. Bisognerà allora che la
consegna della Bibbia, che faremo durante ogni “Festa della
Famiglia” (la prossima sarà la quarta consegna), sia capita
meglio. Sono molte le famiglie che hanno accolto la Bibbia dalle
mani del Patriarca, ma che cosa ne fanno? È un grosso problema.
Il
prossimo anno vorremmo dedicare più impegno alla Parola di Dio che
attraverso la sacra Scrittura viene proclamata nella liturgia
eucaristica: lo proporremo a tutti gli sposi, non escludendo che
ciò possa coinvolgere anche le parrocchie o altre realtà
pastorali.
Dobbiamo
puntualizzare che le cose che sono state dette oggi pomeriggio
vengono direttamente dal cuore del Patriarca perché le abbiamo
pensate con lui. Leggendo il libro
che raccoglie i discorsi dei suoi primi quindici anni di presenza in
Venezia, si capisce la sintonia profonda tra il nostro vescovo e
quanto siamo andati dicendo sul ministero coniugale, che non è
ministero degli sposi ma ministero di Gesù, articolato in
profetico, caritativo e politico.
L’apertura
che è stata data al tema è meritevole di approfondimento perché i
dubbi che sono emersi e le domande fatte hanno una loro
giustificazione, anche se è abbastanza chiaro che non possono
trovare una frettolosa risposta in questo ambito.
GLI
SPOSI, I PRIVILEGIATI DEL SIGNORE
Avrete
notato che da anni preferiamo parlare di famiglia partendo dalla
coppia di sposi perché è su di essi che si basa il progetto del
Signore; la famiglia viene di conseguenza. Sono gli sposi i
privilegiati del Signore. Lui ha creato la coppia. Vorremmo
insistere su questo punto per evidenziare la forte responsabilità
di cui siete stati investiti; non potete sentirvi esonerati dal
ruolo che avete nella crescita della vostra comunità. Voi siete
consacrati alla crescita della comunità cristiana.
Il
mondo ha bisogno del vostro amore; tutti abbiamo bisogno
dell’amore della coppia, perché questo amore è stato segnato da
un sacramento. Non è sacramento l’amore materno, l’amore
paterno, l’amore filiale - che pure sono sacrosanti - è
sacramento soltanto l’amore coniugale, e noi proponiamo
questa pastorale perché gli sposi ne prendano coscienza e
responsabilità.
Ed
è per questo che chiediamo con forza che vi costituiate in
gruppi-sposi parrocchiali, non per fare dei corporativismi o gruppi
chiusi rispetto alla parrocchia, ma proprio in funzione di essa, per
scoprire davvero il vostro compito dentro la comunità, dove ci
siano condivisioni pastorali e spirituali. Nelle parrocchie spesso
si è ancora troppo isolati, individualisti e non si parla né di
pastorale, né di politica. Bisogna invece cominciare a trovare
motivi di dialogo e di confronto.
Voi
siete per la comunità cristiana, siete per la Chiesa, ma, per
rispondere a Miria, ogni azione del cristiano è pubblica, politica,
non partitica.
Ogni
famiglia ha certamente una risonanza politica. Non vogliamo
costituire nessun gruppo ma bisogna prendere coscienza che siamo
fatti per essere testimoni nel mondo, essendo però molto chiari su
cosa intendiamo per questo. È bello che esistano le associazioni
degli uomini ispirati cristianamente, che vogliono difendere la
famiglia, e che siano incoraggiate; la chiesa però non propone di
essere lei ad istituirle ma invita i cristiani a darsi da fare,
perché sono loro i responsabili di quel che è giusto fare per il
bene.
Stiamo
dicendo cioè che gli sposi debbono tener presenti le proprie
necessità come famiglie e come sposi, ma ricordare anche che hanno
un tesoro e delle risorse che il Signore ha dato loro per il bene
della comunità civile, perché sia costruita la società, la
comunità degli uomini.
Tenete
presente che il vostro ministero coniugale non ha una dimensione
solamente parrocchiale, anzi è parrocchiale nella misura in cui ha
una dimensione aperta alla diocesi ed è per questo che abbiamo
sempre goduto della presenza del Patriarca in questi nostri
incontri.
RIPRENDIAMO
IL COLLOQUIO SUI TRE ASPETTI DEL MINISTERO
Ci
troveremo per riprendere il discorso educativo in un incontro a
dimensione diocesana, che verterà sul tema fondamentale e
ricchissimo delle vocazioni presbiterali, aperto dal Patriarca
nell’Assemblea straordinaria del 13 aprile scorso. Vi
raccomandiamo di leggerne gli Atti che vi sono stati distribuiti,
perché da quelli trarremo linfa ed argomenti per continuare il
dialogo, pensando di poter dare una mano su questo problema.
Quando
avrà luogo l’incontro sul ministero caritativo, Paola e Ermanno
Tagliapietra che in Commissione sono i responsabili di questa
iniziativa, ci convocheranno per riprendere il tema della
“Famiglia per le Famiglie” che è l’espressione di amore e di
carità che deriva dal cuore pieno dell’Amore di Dio.
È
un’iniziativa, a livello diocesano, che deve essere assolutamente
portata avanti; non è una associazione nuova, ma una nuova
dimensione, concreta e storica, dell’essere sposi dentro la
Chiesa, responsabili dell’Amore di Dio da rivitalizzare e ridonare
alle nostre famiglie in difficoltà.
Infine
è bellissimo aver iniziato il discorso dell’uomo, perché il
ministero degli sposi è proprio rivelare l’Amore di Dio
all’uomo e alla comunità umana.
L’uomo,
quindi, ci interessa. La nostra scelta è per l’uomo e per la
convivenza umana. È la prima volta che a livello diocesano
tocchiamo anche il tema politico, che, ripeto, non è partitico, ma
che richiama l’esigenza di una cooperazione dei cristiani con
tutti gli uomini di buona volontà per la costruzione della città
degli uomini, per costruire la civiltà dell’amore. Nessuno può
tirarsi indietro, gli sposi in primo luogo.
Per
non creare problemi al programma diocesano per la formazione degli
evangelizzatori, abbiamo ridotto a tre gli incontri in cui
riprenderemo questi temi, tre pomeriggi domenicali, e precisamente:
-
il 15 febbraio torneremo sul problema educativo in relazione
principalmente alle vocazioni sacerdotali. Ci piacerebbe essere
ospitati in seminario, se possibile;
-
il 29 marzo a Mestre, parleremo del ministero caritativo, e quindi
in particolare di “Famiglia per le Famiglie” e di Casa Famiglia
S. Pio X alla Giudecca;
-
il 26 aprile ci troveremo qui a Quarto d’Altino per trattare il
tema della attenzione all’uomo per il bene della società umana,
attraverso la realizzazione della civiltà dell’amore.
AL SOMMARIO
Sento
il dovere di salutare con molto affetto quelli che sono venuti nel
pomeriggio e non erano presenti questa mattina. Vedo che siete molto
numerosi - del resto lo eravate anche questa mattina - e vi
garantisco che questo non è soltanto un motivo di consolazione, ma
è anche un motivo di grande speranza.
Vorrei
ribadire un’espressione che non è mia, ma di Giovanni Paolo II,
detta a Rio de Janeiro nel grande raduno mondiale delle famiglie: “Il
futuro della chiesa e del mondo passa attraverso la famiglia”.
Io a questa espressione credo moltissimo. È una delle mie
convinzioni più profonde.
Per
questo apprezzo la pastorale che in diocesi si sta facendo per la
famiglia, e per questo vorrei che fosse capita da tutti e crescesse.
Ho visto le assemblee degli sposi crescere di anno in anno e sono
convinto che questa è una strada sulla quale noi dobbiamo camminare
decisamente per il bene della Chiesa (che non esiste senza la
cellula viva della famiglia), e per il bene del mondo.
Ricordatevi
che conservare il senso cristiano, quindi originario, della famiglia
non vuol dire solo servire la Chiesa, ma vuol dire servire il mondo
di oggi, il quale ha un’infinita nostalgia della famiglia, così
come l’ha pensata e voluta il Signore. Quindi camminare su questa
strada significa costruire veramente la Chiesa, ma significa anche
servire il mondo.
Ora
andiamo a messa con la comunità di Quarto d’Altino, che vorrei
ringraziare a nome di tutti voi per la sua generosa ospitalità.
AL SOMMARIO
LA
CELEBRAZIONE EUCARISTICA
a
cura della Comunità parrocchiale di S. Michele Arcangelo
|
INTRODUZIONE
Questa
nostra Assemblea, dopo aver contemplato ed accolto il Signore
Risorto nel corso della giornata, ora si appresta a celebrarlo nei
santi misteri con il successore degli apostoli: il nostro Patriarca
ed i presbiteri.
Eminenza,
sposi e sacerdoti: benvenuti tra noi!
Celebrare
nella fede la Domenica significa - usando le parole del nostro
vescovo - “Credere in
Gesù, Figlio di Dio, unico Salvatore del mondo, il Vivente; e
dirgli come Tommaso le parole battesimali che salvano: «Signore
mio e mio Dio»“.
Ancora
una volta attorno a questo altare come una sola grande famiglia
convocata dallo Spirito Santo gusteremo e vivremo le parole di Gesù
che ci ripete: «È
giunto tra voi il Regno di Dio».
E noi dobbiamo alla fine di questa Eucaristia sentirci responsabili
di una cosa sola: dire a tutto il mondo ciò che abbiamo ricevuto
per dono singolare di Dio, cioè di poter stare con il Signore,
mangiare con Lui, ascoltare la sua Parola e soprattutto vedere la
sua Resurrezione nella quale la potenza di Dio ha rivelato fino in
fondo la sua capacità di amare tutti gli uomini e di salvarli.
Tutto
questo viene in modo particolare sottolineato da questa Giornata
Missionaria Mondiale che ci fa aprire gli orizzonti dal nostro
ambiente al mondo intero a cui Dio vuol far giungere il suo
messaggio di salvezza.
AL SOMMARIO
ÌÌÌÌÌ
OMELIA
DEL CARD. PATRIARCA MARCO CÈ
letture:
Is 52,2-3,10-11
Eb
4,14-16
Mc
10,35-45
Potete
bere il calice che io bevo?
Fratelli
e sorelle carissimi, prima del vangelo abbiamo cantato “Alleluja”
che vuol dire “lodate
Dio”. È un atto di fede nella presenza reale del Risorto in
mezzo a noi. Noi sappiamo che il protagonista, il celebrante
principale, il vero presidente di questa nostra celebrazione è il
Signore Gesù, il Risorto che noi vorremmo vedere.
Come
lo vorremmo vedere! «Signore,
il tuo volto io cerco, mostrami il tuo volto».
Anche Tommaso ha detto: «Se
non lo vedo, io non credo, se non lo tocco, io non credo!»
Gesù si è fatto vedere, però gli ha detto: «Tu
hai creduto perché hai visto. Più beati coloro che crederanno
senza vedere».
Noi
siamo fra questi di cui parla Gesù. Ma il Signore Gesù, il
Risorto, è presente in mezzo a noi e le parole che abbiamo
ascoltato nel vangelo, le ha dette per noi. Riascoltiamole!
Per
capire l’episodio di oggi, dobbiamo rifarci a ciò che, secondo il
testo dell’evangelista Marco che stiamo leggendo, è accaduto
immediatamente prima: Gesù ha annunciato per la terza volta la sua
passione.
Lui
andava avanti da solo sulla strada di Gerusalemme, e i suoi apostoli
lo seguivano silenziosi e un po’ intimiditi dal suo silenzio e
dalla solitudine nella quale Gesù era profondamente raccolto. Gesù
dice: «Ecco, noi saliamo a
Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi
sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno
ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno
e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà».
I
suoi apostoli si guardano in faccia e non capiscono. Anzi. Due di
loro, Giacomo e Giovanni, due apostoli carissimi a Gesù (c’erano
alcuni apostoli che gli erano particolarmente vicini e con i quali
aveva più confidenza), gli si avvicinano e, sconcertando un po’
tutti, che cosa chiedono? Chiedono di essere i primi nel Regno che,
secondo loro, Gesù dovrà stabilire.
Non
hanno capito niente. Loro concepiscono il Regno di Dio come un
potere umano, come una gloria umana e vorrebbero essere considerati
da Gesù come dei privilegiati, forse in forza dell’amicizia che
li lega a lui.
E
Gesù è desolato. Ricordate che Gesù arriva alla Croce in grande
solitudine: anche le persone più vicine, i suoi apostoli, non lo
hanno mai capito nelle cose più profonde. Egli è stato una persona
molto sola, anche se aveva sempre tanta folla intorno, anche se
aveva rapporti bellissimi con la gente perché era una persona
piacevolissima. Spiritualmente, però, è stato molto solo perché
anche le persone che gli erano più vicine non lo hanno capito.
Gesù
allora dice ai due fratelli: «Potete
bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono
battezzato?»
alludendo alla sua passione e morte. Cioè: “Avete
voi la forza di camminare con me sino alla Croce?” Gli
apostoli rispondono: «Lo
possiamo», ma non capiscono, non sanno cosa significhi
camminare con Gesù fino alla Croce.
Seguire
Gesù passa attraverso il sacrificio
Cari
coniugi, cari papà e mamme, seguire Gesù, ascoltare il Signore, il
Figlio di Dio fatto uomo, è bello, dà senso alla vita, riempie
l’esistenza, però, voi lo sapete per esperienza personale, tutto
ciò passa attraverso il sacrificio.
Gli
apostoli lo capiranno tardi, dopo la Risurrezione del Signore, ora
non lo hanno capito. Voi l’avete capito e, ogni giorno, lo
praticate. E io vi dico: non perdetevi d’animo, non perdetevi di
coraggio!
Ricordatevi
che non siete soli: il vostro cammino è fatto della Grazia di Dio e
quindi della gioia dello Spirito Santo, si fonda sulla certezza
della fede, ma è fatto anche di fatica, qualche volta di grande
preoccupazione, e anche di paura dell’incertezza del domani (penso
al carico della famiglia, alle preoccupazioni dei figli e del
lavoro, delle malattie).
Ricordatevi
che il Signore Gesù, che ha camminato con decisione, anche se con
grande sacrificio e con grande sofferenza interiore verso la Croce,
che ha provato la solitudine, non vi lascerà soli e camminerà con
voi.
Ricordatevi
che ha senso anche il soffrire, l’essere tribolati. Se fosse un
nonsenso, il Figlio di Dio non l’avrebbe scelto per sè.
Sappiate
infine, che il cammino di fatica, di croce e di sofferenza che tutti
facciamo - io, padre di una famiglia spirituale e voi, padri e madri
della vostra famiglia secondo la carne, benedetta e consacrata da
Dio - non giova soltanto a noi, ma costruisce la Chiesa e costruisce
l’umanità.
Aperti
agli altri
Oggi
avete discusso della ministerialità dei coniugi ed è una
bellissima verità del vostro matrimonio. Sappiate però che
ministerialità non vuol dire soltanto “fare”, ma, prima di
tutto, vivere non solo per sè; significa trovare il senso del
proprio vivere, del proprio faticare, del proprio soffrire, non
soltanto per sè, ma per la propria famiglia. Ogni padre ed ogni
madre sa che l’essere padri e madri va pagato nella croce, non
soltanto per la propria famiglia, ma per la grande famiglia per la
quale siamo uniti: la Chiesa e il mondo.
“Potete
bere il calice che io sto per bere?”. “Accettate di essere
battezzati, immersi nel battesimo in cui io sto per essere
immerso”.
Voi camminate su questa strada ogni giorno, e il
Signore è con voi. Scopritene il senso.
Gesù
dice un’altra cosa: «Voi
sapete che coloro che
sono ritenuti capi delle nazioni, dominano. Fra voi però, non è
così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore,
e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il
Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per
servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Papà
e mamme, questa è la vostra vita. Voi siete i capi, siete i primi,
ma la vostra vita è proprio servizio. Marito e moglie, a servizio
l’uno dell’altro, aperti l’uno all’altro, aperti a non
pensare soltanto a sè. Papà e mamma a servizio dei figli, e quanto
più son piccoli, tanto più voi vi prendete totalmente cura di
loro.
Le
parole di Gesù si applicano a tutti; si aprono anche a noi. Questa
è la vita di Gesù: non vivere per se stessi ma per gli altri, non
essere per se stessi ma per gli altri.
Oggi,
ancora una volta, avete messo a tema la ministerialità e avete
aperto i grandi spazi dei bisogni che sono sia accanto a voi che
lontano da voi; apprezzate questa chiamata che il Signore vi ha
fatto a non pensare soltanto a voi stessi! Chi si è sposato non
pensa più soltanto a se stesso, chi ha una famiglia non pensa più
soltanto a se stesso. È dono.
Questa
è la vita di Gesù, questa è la vita stessa di Dio.
Non
preoccupatevi se vi costa sacrificio, non dite: «Ma
se è vita divina dovrebbe darmi gioia!» Ci darà gioia piena
quando saremo in Paradiso. Adesso la gioia passa attraverso la
strettoia della sofferenza. Non lamentatevi se sentirete qualche
giorno, in maniera anche violenta, la fatica della vostra condizione
di dover sempre pensare agli altri, di non poter riservare un po’
di tempo, un po’ di pensiero a voi stessi. Sappiate che questa è
la vita di Gesù, di cui voi siete i testimoni, il sacramento nella
storia degli uomini.
Che il Signore vi aiuti a capire che la pagina del vangelo di
oggi parla proprio di voi; parla di Gesù e parla di voi. Com’è
bello rendersi consapevoli che, riflettendo sulla vostra vita,
riuscite a capire meglio la vita del Signore.
ÌÌÌÌÌ
Moderatori dell’Assemblea e membri della Commissione diocesana
della Pastorale degli Sposi e della Famiglia
cfr. sussidi della Commissione rispettivamente n. 23 (Novembre
1994), n. 30 (Novembre 1995) e n. 35 (Dicembre 1996)
cfr. sussidio della Commissione n. 41 (Ottobre 1997)
Sindaco di Quarto d’Altino
cfr Mt 4,1; Mc 1,12; Lc 4,1;
cfr Mt 3,36; Mc 1,10; Lc 3,22; Gv 1,32
dalla preghiera dell’Angelus
del 21 Settembre per il Convegno mondiale delle Famiglie a Rio
De Janeiro in Ottobre 1997
Membri della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e
della Famiglia
cfr. sussidio della Commissione n. 39 (Luglio 1997)
dialettale. Letteralmente: “bella prova!” con significato di
“troppo facile” (N.d.R.)
cfr. “Il profeta”
di Kahlil Gibran, Mondadori, Milano 1990, pag. 17
Membri della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e
della Famiglia
Apostolicam Actuositatem,
8
cfr. sussidi della Commissione n. 34 (Ottobre 1996) e n. 35
(Dicembre 1996)
Membri della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e
della Famiglia
Direttorio di Pastorale familiare, 179
cfr. “La Centesimus Annus, studi sull’enciclica sociale di Giovanni Paolo II”,
a cura di M. Toso, Elle Di Ci, 1991, pag. 50 ss
cfr. “La Centesimus Annus, studi sull’enciclica sociale di Giovanni Paolo II”,op.
cit. pag. 53
cfr. “La famiglia nella
società del benessere”, CET 1994
La replica è stata fatta da Piero Martin a nome di tutte le
coppie relatrici
Responsabile diocesano della Commissione della Pastorale degli
Sposi e della Famiglia
“Cari sposi, care
famiglie...”, EDB 1995
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