PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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ATTI DELLA 

XIII ASSEMBLEA DEGLI SPOSI

S. MARIA CONCETTA DI ERACLEA

  18 ottobre 1998

 

SIGNORE, MOSTRACI IL PADRE

E CI BASTA

(GV 14,8)

 

SOMMARIO

      Presentazione                                                                

     Articolazione dell’assemblea                        

       Presentazione dell’assemblea                        

di Anna e Renzo Berton

        Saluti all’assemblea                          

        “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8)             

del Card. Patriarca Marco Cè

        Dialogo del Patriarca con l’assemblea                             

        Presentazione di iniziative diocesane                

a cura degli Uffici diocesani

        Dalla paternità di Dio alla maternità e paternità

degli sposi nella famiglia, nella Chiesa e nella società    

Gesù Cristo affida agli sposi il loro ministero

Ministero coniugale profetico-educativo

Ministero coniugale sacerdotale-caritativo

Ministero coniugale regale-politico

        Postfazione                                                                    

di mons. Silvio Zardon

        Celebrazione Eucaristica                     

Introduzione

Omelia del Patriarca

 

 

 PRESENTAZIONE

di Don Silvio Zardon

 

L'Assemblea diocesana degli sposi è un appuntamento giunto ormai alla XIII edizione. Gli sposi si ritrovano per un'intera giornata con il Patriarca a pregare, dialogare e concertare iniziative pastorali per il prossimo futuro della nostra comunità ecclesiale in sintonia con il suo cammino che si ispira ai grandi temi e mete del bimillenario della nascita di Gesù.

Lo scopo dell'Assemblea è mettere sempre più a fuoco il ministero coniugale affidato da Gesù agli sposi con la celebrazione del sacramento del matrimonio, che è "rivelazione", profezia", "segno” dell'amore di Dio per l’uomo, per tutta l'umanità, di quell'amore di Dio che Gesù per mezzo dello Spirito Santo porta a compimento sulla Croce. Il “ministero” specifico degli sposi sta precisamente qui:. essi stessi sono “chiamati” ad essere "segno" che annuncia e proclama - proprio nella loro relazione interpersonale - che Gesù Cristo, quale Figlio che viene dal Padre, nello Spirito Santo, si dona tutto e per sempre agli uomini di ogni tempo. Per questo Gesù affida ai coniugi, in quanto sposati nel Signore e quindi partecipi del suo "ministero grande" (Ef 5,32) questo ministero specifico. È il suo stesso ministero!

Il ministero degli sposi viene, dunque, in continuità col triplice ministero di Cristo, profetico, sacerdotale e regale e si esprime, di conseguenza, in queste modulazioni:

1) Il "ministero profetico", profezia-rivelazione del progetto dell'Amore trinitario per, gli uomini nelle sue principali attualizzazioni: la fecondità e la procreazione, e l'educazione.

2)    Il "ministero sacerdotale", attraverso l'"accoglienza" del dono dell'amore (magari, dopo averlo riscoperto), che si esprimerà anche nella liturgia di adorazione e di ringraziamento per questo dono dell'amore di Dio.

3) Il "ministero regale", da attuare nel sociale e nel politico, come ministero dell'amore "donato" a tutti, ad ogni uomo e alla società". Anche questo ministero nasce dal sacramento del matrimonio, che dona agli sposi una "grazia politica", e non deriva ad essi da un'autorità o da particolari circostanze storiche, ma dal "cuore nuovo” creato in loro dallo Spirito (cf FC 47).

Nello svolgimento dell'Assemblea, sono emersi alcuni dei principali problemi, che saranno oggetto dell'attenzione della Commissione e dei Gruppi sposi delle parrocchie per il prossimo futuro, nel quadro di ciascuno dei tre ministeri coniugali e che negli Atti vengono puntualmente segnalati e raccomandati.

  Per il ministero profetico-procreativo-educativo:

Dalla paternità di Dio alla maternità e paternità degli sposi nella famiglia, nella Chiesa e nella Società; il discernimento evangelico da parte degli sposi; la nuzialità; l'immigrazione; l'essere madre e padre non soltanto come un fatto biologico, ma soprattutto come un fatto affettivo, culturale e spirituale; le trasformazioni antropologiche e tecnologiche in atto; la biogenetica; la natalità; la "procreazione assistita”; Internet, un’avventura per tutta la famiglia; una Scuola per genitori: aiutarsi fra genitori ad essere meglio genitori; gli sposi e la "scuola autonoma".

Per il ministero sacerdotale-caritatívo:

"La settimana biblica” per aiutare gli sposi (sono finora 432 le coppie, che hanno ricevuto la Bibbia dal Patriarca, durante le ultime cinque Feste della Famiglia), a pregare in casa con la S. Scrittura"; "La famiglia per le famiglie" si apre per ora a tre realtà nella prospettiva della "Civiltà dell'Amore": la Casa Famiglia S. Pio X alla Giudecca per l'accoglienza di donne in difficoltà, con figli minori, gestita su invito del Patriarca da alcune coppie di sposi e da "consacrate" della nostra Chiesi, con la collaborazione di "operatori professionali'” e con 1a "carità" concreta anche economica di molte famiglie; le famiglie sofferenti a causa di un loro membro debilitato psichicamente, a cominciare dalle numerose famiglie delle nostre parrocchie che hanno ospiti presso l'istituto Gris di Mogliano; la pastorale dei divorziati risposati.

Per il ministero regale-sociale-politico:

L'impegno da parte degli sposi di realizzare la "Civiltà dell'Amore" si apre per ora a questi intenti: ricerca dei "segni" del Regno nell'ambito della famiglia in quanto società e in quanto comunità; comportamenti alternativi secondo, la "Centesimus annus" (36‑39) e la proposta dell'operazione "Bilanci di giustizia"; umanizzare e democratizzare l'economia.

In queste e in altre problematiche, dunque, è impegnata per gli anni avvenire la pastorale diocesana degli sposi e della famiglia. Su questi campi hanno il loro compito o ministero originale gli sposi cristiani.

Qui essi, soprattutto nel gruppo sposi parrocchiale, possono desumere la traccia per rendere storico e concreto il loro apporto alla costruzione della Chiesa e della società umana già nel "territorio" loro proprio. È la traccia che il nostro Patriarca Marco Cè propone da sempre.

Del resto, è la prospettiva del Concilio Vaticano II e precisamente nella Costituzione "Gaudium et Spes” (33‑37).

Con una radicale attenzione e propensione, però.

Gli sposi, nell'impegno di questo triplice ministero di Cristo, sanno di essere chiamati a costruire, nel "quotidiano” della loro vita coniugale, con Gesù, la "storia della salvezza del mondo".

Ciò esige negli sposi una specifica "imitazione di Cristo" a due, proprio come comunità sponsale. Imitazione di Cristo, per far di loro la “memoria” di Cristo - attraverso la “conoscenza” e la "contemplazione" di Lui, della sua amabile Persona -; "memoria” che è innanzitutto rivelazione-profezia del progetto del Padre, quindi accoglienza stupita e gioiosa, e lode e liturgia di adorazione e di rendimento di grazie per il mistero d'amore di cui Dio li ha fatti partecipi, e di conseguenza, esperienza di comunione, vincolo profondo di unità con tutti e servizio d'amore ad ogni uomo e alla comunità umana.

Il "ministero coniugale", allora, è autentico e cresce, solo se ha il suo fondamento nell'"imitazione di Cristo", perché, essendo lo stesso ministero di Cristo, solo Lui può rivelarne il "senso" e la "modalità" di incarnazione nella Storia, solo e sempre in sintonia e in comunione con lo Spirito di Gesù.

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ARTICOLAZIONE DELL’ASSEMBLEA  

Presidenza :             S. Em. Card. Patriarca MARCO CÈ

Moderatori :               Coniugi Anna e Renzo BERTON

Relatori sul tema :        ð   S. Em. Card. Patriarca MARCO CÈ

                        ð Commissione diocesana degli sposi e della famiglia

Svolgimento :

ore  9,15        arrivi alla sede dell’assemblea ed accoglienza

ore  9,45        preghiera delle Lodi, saluti e presentazione dell’assemblea

ore 10,30        meditazione contemplativa e dialogo con il Patriarca

ore 11,00        meditazione personale o di coppia

ore 12,30  pausa per il pranzo (“poenta e costa” offerte dalla comunità di S. Maria Concetta)

ore 14,30  assemblea pastorale: piste ed interrogativi proposti dagli sposi della Commissione per il dialogo

ore 16,30        conclusioni all’assemblea

ore 17,00        S. Messa con la comunità parrocchiale

Luogo :      Parrocchia di S. Maria Concetta, via F. Bandiera, 5 – 30020 Eraclea (VE)

                        Assemblea liturgica nella chiesa di S. Maria Concetta

                        Assemblea pastorale in Aula Magna parrocchiale e nella nuova sala del patronato

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PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA

di Anna e Renzo Berton

Carissimi, è con gioia che a nome della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia vi diamo il benvenuto a questa nostra XIII Assemblea diocesana e vi ringraziamo per essere presenti così numerosi.

Il nostro saluto e il nostro ringraziamento vanno inoltre al Patriarca Marco che ci onora e ci incoraggia con la sua presenza e con la sua parola sempre così preziosa per tutti noi che camminiamo, non senza difficoltà, alla riscoperta dei doni del Signore, specialmente nel sacramento del Matrimonio. Salutiamo con affetto anche i sacerdoti, i diaconi , i religiosi e le religiose che rappresentano con noi i diversi carismi e i diversi ministeri che arricchiscono la Chiesa per mezzo dell’azione dello Spirito Santo.

Grazie anche alla Comunità parrocchiale di S. Maria Concetta, a tutto il Vicariato di Eraclea e a don Mario Liviero parroco e Vicario foraneo, (che in questo momento è in chiesa per la celebrazione dell’Eucaristia) veramente generosi nell’accoglienza (come già avvenuto cinque anni fa per l’allora nostro ottavo appuntamento) e per la splendida organizzazione. Grazie al Sindaco Alberto Argentoni, (fino a qualche tempo fa membro con la moglie Rosella della Commissione diocesana) e a tutta l’Amministrazione comunale per la sensibilità dimostrata verso quest’appuntamento per noi molto significativo.

Il tema dell’Assemblea è: “«SIGNORE, MOSTRACI IL PADRE E CI BASTA». Dalla paternità di Dio alla maternità e paternità degli sposi nella famiglia, nella Chiesa e nella società”. Non avremmo potuto non essere in sintonia con i grandi temi che fermentano l’attività di tutta la Chiesa in questo ultimo anno di preparazione al Giubileo del 2000 o, meglio, al bimillenario della nascita di Gesù, e in particolare con quanto proposto dal magistero del Papa nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente del 1994, che ha inaugurato il cammino triennale verso l’appuntamento del 2000.

Il cammino della pastorale familiare in questi ultimi anni ha avuto una grossa spinta specialmente per la sensibilità del Patriarca che nel 1990, con la lettera pastorale Il granello di senapa ci spronava a «costruire una comunità adulta nella fede» (GdS 2) che per noi sposi voleva e vuole dire «riannunziare con libertà e grande fiducia l’evangelo del matrimonio e della famiglia» (GdS 60). In questa linea ci siamo sempre mossi ponendo sempre più attenzione all’aspetto umano della famiglia nelle situazioni contingenti in cui si trova a vivere oggi.

Nell’Assemblea del 1996, l’XI, che aveva per slogan “La famiglia per le famiglie”, abbiamo cominciato a concretizzare gli studi, le riflessioni, gli approfondimenti fino ad allora fatti, in qualche piccolo gesto che fosse però concreto e finalizzato all’esercizio della solidarietà e della condivisione umana e cristiana, dove la famiglia è soggetto e nello stesso tempo oggetto della carità, cioè dell’amore.

Lo scorso anno nella XII Assemblea la nostra riflessione continuava: “Sposi in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo nella Chiesa e dentro la storia”. Un titolo che voleva essere sintesi tra l’umano e il divino, tra la debolezza dei due sposi impauriti dalla vastità dei problemi e dalle difficoltà, e l’azione dello Spirito Santo, dono promesso e donato da Gesù, che dà il coraggio di esporsi e di prendere iniziative a favore dell’uomo, nella realtà dove si trova, nella famiglia dove e con la quale egli vive.

Oggi, aiutati dalla riflessione del Patriarca, avremo l’opportunità di comprendere meglio il concetto meraviglioso rivelatoci da Gesù che è la paternità di Dio, dalla quale nasce ogni paternità e maternità nella Chiesa. Questo concetto, infatti, non appartiene esclusivamente alla sfera del matrimonio o alla realtà biologica del generare ma, come vedremo, è un dono che dà la capacità ad ogni cristiano di accostarsi come farebbero un padre o una madre soprattutto ai più deboli: ai bambini e ai ragazzi, ma anche agli anziani in difficoltà, agli ammalati, agli extracomunitari, ai carcerati, agli emarginati, alle vittime delle nuove forme di schiavitù.

Ricordiamo inoltre la grande “Missione del 2000” che il Patriarca ha descritto nella sua lettera La comunità cristiana in missione nell’Anno di grazia del Signore che ben riassume lo sforzo che una Chiesa locale deve sostenere per attualizzare la grazia di un Giubileo unico come quello che ci prepariamo a vivere e che traccia di conseguenza le linee comuni anche alla pastorale familiare dei prossimi anni.

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SALUTI ALL’ASSEMBLEA  

Francesco Manzini (a nome della Comunità parrocchiale di Eraclea)

Con gioia saluto e do il benvenuto al Patriarca e a tutti voi sposi. Lo faccio a nome di tutta la comunità parrocchiale di Eraclea che è a conoscenza di questa Assemblea diocesana degli sposi e che ha cercato di predisporre ogni cosa al meglio perché la giornata che vivrete qui ad Eraclea sia per tutti gradita e fruttuosa. Naturalmente abbiamo anche pregato per il buon esito di questo incontro.

Questa è la seconda volta che l’Assemblea diocesana degli sposi si svolge nella nostra parrocchia! La prima fu cinque anni fa e praticamente inaugurammo questa sala. So che molti ricordano con piacere quell’avvenimento che fu bello ed importante anche per noi. Questa volta, per accogliere gli sposi previsti in numero elevato, sarà “imprimata”[1] [1] , come usiamo dire noi, la nuova sala riunioni del ristrutturato e ampliato patronato. Le sale sono collegate con un maxischermo... L’Assemblea degli sposi ci porta fortuna.... Ci scusiamo comunque se non tutto sarà perfetto: si è molto lavorato in questi giorni per fare un po’ di ordine.

Ci auguriamo adesso un buon lavoro: quel Dio che è papà e mamma, sposo ed amico, brilli nella paternità e maternità di noi sposi.

 

Alberto Argentoni - sindaco di Eraclea

Buon giorno a tutti e, in primo luogo, un benvenuto al Patriarca che ci onora ancora una volta della sua presenza, agli amici della Commissione che anche quest’anno hanno scelto Eraclea per questo appuntamento, a tutti voi, laici e consacrati, che siete qui oggi.

Credo che la comunità di Eraclea stia facendo uno sforzo per convincere don Silvio Zardon e la Commissione a rendere la nostra Comunità la sede permanente dell’Assemblea, in quanto devo riconoscere che, in questi giorni, è stato fatto un grosso lavoro per mettere tutte le cose in ordine, e arrivare oggi ad una organizzazione adeguata. Valga per tutto il fatto che soltanto lunedì non c’era il pavimento nell’altra sala, e che l’impianto elettrico è stato ultimato venerdì assieme agli infissi. Il fuoco per la grigliata è acceso dalle sei di stamattina e tutto procede bene, per cui pensiamo di riuscire a sfamarvi tranquillamente.

Come amministratore posso dirvi che, come si espresse il mio collega di Quarto d’Altino lo scorso anno, un’Amministrazione comunale non può non essere attenta alla famiglia; ritengo anzi che la famiglia sia la prima entità che si avvicina nel momento in cui c’è un disagio, una situazione particolare.

Come è stato affermato da Anna e Renzo Berton nella presentazione iniziale, i problemi principali di una comunità sicuramente riguardano i giovani, i bambini, i disagi determinati dalle malattie, gli anziani ed è con le loro specifiche realtà che ci si deve misurare. Una Amministrazione comunale cerca sempre di incontrarsi con queste persone e con queste realtà. Ritengo che si stia facendo, a questo livello, quanto è possibile.

Non ci si può nascondere però come ci sia bisogno ancora di lavorare molto relativamente ad un discorso programmatico più complesso, a livello legislativo: molto spesso le amministrazioni locali soffrono per questa situazione di vuoto legislativo. È importante per noi amministratori essere vicini a voi e sicuramente oggi, in quanto amministratore, mi nutrirò di quanto dirà il Patriarca, farò tesoro delle vostre riflessioni, per porre la maggiore attenzione e sensibilità ai problemi della famiglia.

Per concludere voglio proporre una riflessione personale che nasce dall’Assemblea dello scorso anno alla quale ho potuto partecipare solo nella parte pomeridiana dove ci sono stati tre interventi sulla politica; essi rappresentavano un po’ il modo di pensare comune che circola oggi su questo argomento.

Il primo intervento rivelava un po’ di indifferenza e superficialità, esprimendo la difficoltà di parlare di politica in questo contesto. Un secondo intervento metteva in evidenza la problematica della scelta di uno schieramento piuttosto che di un altro, da parte del cristiano. Il terzo intervento manifestava infine il timore che un approccio a un certo tipo di politica potesse far più danni che bene. Non ho potuto allora fare una mia riflessione sull’argomento e la propongo ora, in anticipo sugli interventi che verranno fatti.

Credo che stiamo vivendo un periodo di grandi scelte, amministrative e politiche. Alcune realtà - che sono molto grosse e rimarranno reali e concrete per molto tempo - vengono fate passare, molto spesso, come scelte temporanee, occasionali, come soluzioni parziali. Ad altre scelte viene dato un significato prevalentemente amministrativo in riferimento a certe urgenze, a delle necessità di equilibri di bilancio, all’adeguamento all’Europa.

In realtà credo che questo sia un momento di grandi valutazioni in cui può non bastare la tradizione o un certo tipo di condivisione di valori per poter ritenere che i nostri valori, che le nostre ragioni vengano portate avanti. Ritengo pertanto che il cristiano non possa eludere questo impegno, e che ci voglia molta forza per riuscire a comprendere che in politica spesso non è tanto importante aver ragione, ma quanto far valere le proprie ragioni. La comunità cristiana ha queste ragioni nei valori spirituali e umani che tutti noi riteniamo importanti per la società.

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PRESENTAZIONE DI INIZIATIVE DIOCESANE

 

Commissione per le comunicazioni sociali

Anna e Renzo Berton (a nome di)

Come di consueto nel pomeriggio, alla riapertura dei lavori, diamo spazio alle eventuali comunicazioni delle Associazioni, dei Gruppi e degli Uffici diocesani.

Prima di passare la parola a Gianni Leonardi, della segreteria per la formazione degli evangelizzatori e a don Walter Perini, direttore dell’Ufficio Catechistico, siamo stati incaricati in prima persona, dall’Ufficio per le Comunicazioni Sociali, di presentare il nostro settimanale diocesano Gente Veneta.

Nel numero 36 di questa settimana, possiamo subito mettere in risalto un’inchiesta che ci riguarda in modo particolare come sposi, come famiglie e come genitori. Nelle pagine 4 e 5, a firma di Paolo Fusco, viene affrontata e sviluppata la problematica dell’essere genitori oggi. I titoli principali sono: «Di genitori, comunque, ne servono due» - «E attenti, perché c’è anche un modo di “uccidere” un papà assenteista» ai quali rispondono le testimonianze: «Bimbo mio, ci vediamo poco, ma alla sera poi ci coccoliamo…» - «Genitore assente, il caso estremo: “Papà è con noi, ci vede da lassù”». Per chi non fosse abbonato o non acquistasse regolarmente il settimanale diocesano, Gente Veneta oggi mette a disposizione gratuitamente il numero di questa settimana che viene distribuito dal “servizio cortesia”.

Questo non è solo un incoraggiamento a conoscere ed apprezzare questo importante organo di comunicazione per la nostra Chiesa di Venezia, ma anche il tentativo di offrire, ai gruppi sposi parrocchiali e vicariali, l’opportunità di affrontare i temi di attualità inerenti gli sposi e la famiglia, partendo anche da inchieste come questa per poi integrarle con il proprio vissuto ed, eventualmente, iniziare un dialogo diocesano tramite il giornale.  

Commissione per la formazione degli animatori dei Gruppi di Ascolto

Gianni Leonardi

Molti di voi sanno che nella nostra diocesi, a partire dal 1997, è iniziato un percorso formativo per evangelizzatori e che, nell’anno pastorale 1999/2000, inizieranno la missione indetta dal nostro Patriarca in concomitanza con il bimillenario della nascita di Gesù. Circa seicento persone hanno fatto il primo anno di preparazione, divise in quattro zone pastorali. Con quest’anno inizierà la seconda parte della preparazione e si svolgerà a livello vicariale.

Nel frattempo nelle parrocchie, sotto la guida dei parroci, si dovranno individuare le famiglie che ospiteranno nelle loro case i Gruppi di Ascolto della Parola, gli animatori di caseggiato o di via che avranno il compito principale di intessere una rete di rapporti, di conoscenze, di attese e di disponibilità verso questa attività di evangelizzazione.

Le famiglie qui presenti, che si interrogano sul sacramento del Matrimonio e che tendono ad essere aperte e generose, sono invitate a rendersi disponibili ai propri parroci per formarsi come evangelizzatori, per aprire la propria casa e ospitare i Gruppi di Ascolto, per diventare animatori di caseggiato e per elevare preghiere quotidiane affinché lo Spirito che soffia con dolce insistenza verso l’evangelizzazione - essenza stessa della Chiesa - porti frutti copiosi alla nostra Chiesa locale e alla Chiesa universale.

In questa prospettiva assume un significato tutto particolare la quinta consegna della Bibbia alle famiglie, che la Commissione della Pastorale degli Sposi da tempo organizza nell’ambito della Festa diocesana della Famiglia in Cattedrale di S. Marco. Pertanto, per meglio predisporre le famiglie all’accoglienza della Missione, può essere utile la partecipazione alla consegna della Bibbia, per la quale potete lasciare il vostro nome in calce alla scheda bianca di partecipazione.

Va da sé che le coppie che hanno già ricevuto la Bibbia dalle mani del Patriarca, e sono circa quattrocento, sono invitate a mettersi a disposizione del proprio parroco per collaborare fattivamente all’avvio e allo svolgimento dei Gruppi d’Ascolto.  

Ufficio Catechistico diocesano

don Walter Perini

Vi presento le schede “Abbà, Padre”: un sussidio molto semplice per un itinerario di fede di tutti gli adulti. Esse sono il frutto di una collaborazione tra rappresentanti dell’Ufficio Catechistico, della Commissione Sposi e Famiglie, della Commissione Sociale, dell’ODERS e, quindi, sono uno strumento rappresentativo di tutta la diocesi.

La prima caratteristica di queste schede è che abbiamo cercato di sviluppare alcuni aspetti della catechesi su Dio Padre, contenuta nelle prime due parti del programma pastorale, che non hanno potuto essere approfonditi in quella sede.

La seconda particolarità è che le prime due schede sono una “lectio divina” dei brani neotestamentari, rispettivamente di san Paolo (Gal 4), e di san Matteo (cap. 11). La scelta è motivata dal fatto che stiamo iniziando, con i Gruppi di Ascolto, la lettura della Bibbia secondo questo metodo, e desidereremmo che l’accostamento alla sacra Scrittura avvenisse secondo questa metodologia che ci sembra particolarmente indovinata per l’uomo contemporaneo. La “lectio divina” coinvolge l’uomo in modo totale e globale. Vi abbiamo dedicato soltanto due schede, però desidereremmo diventasse un modo sempre più diffuso per accostare la sacra Scrittura.

C’è anche una scheda che illustra il dipinto del Bassano - rappresentazione iconografica del programma pastorale di quest’anno - e che avrete visto nelle locandine appese alle porte delle chiese: anche attraverso le ricchezze d’arte, di cui la nostra Chiesa abbonda, ci si può accostare alla Parola di Dio. Abbiamo aggiunto, infine, anche la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” perché quest’anno ne ricorre il cinquantesimo anniversario e ci pareva potesse inserirsi bene nella tematica del Padre che richiama le creature, quindi l’uomo fatto a immagine di Dio.

C’è inoltre una catechesi, sviluppata in sei schede, su Dio Padre: sono tutti temi che troviamo anche nella terza parte della Tertio Millennio Adveniente. Le altre schede, poi, ripercorrono tematiche riprese dal programma pastorale, ma affrontano anche i temi fondamentali del convegno di Palermo e quindi vogliono farci presente i grandi problemi a cui dobbiamo rispondere.

 

Dalla paternità di Dio alla maternità e paternità degli sposi 

nella famiglia, nella Chiesa e nella socie

 

Premessa della commissione sposi e famiglia

Gesù Cristo affida agli sposi il loro ministero

Il Matrimonio cristiano è rivelazione, profezia, segno dell’amore di Dio per l’uomo, per tutta l’umanità, di quell’amore di Dio che Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo porta a compimento  sulla Croce.

Il ministero specifico dei coniugi sta precisamente qui: essi stessi sono chiamati ad essere segno che annuncia e proclama - proprio nella loro relazione interpersonale -  che Gesù Cristo, quale Figlio che viene dal Padre nello Spirito Santo, si dona tutto e per sempre agli uomini di ogni tempo.

Infatti, la storia personale di due sposi è considerata fondamentale nella parola della Bibbia, come dice il Papa nella Lettera alle famiglie: “Il Figlio Unigenito, consostanziale al Padre, Dio da Dio e Luce da Luce, è entrato nel mondo degli uomini attraverso la famiglia... Il mistero divino dell’Incarnazione è dunque in stretto rapporto con la famiglia umana” (2); e conclude: “La realtà naturale del Matrimonio diventa, per volontà di Cristo, vero e proprio sacramento della Nuova Alleanza, segnato dal sigillo del sangue redentore di Cristo. Sposi e famiglie, ricordatevi a quale prezzo siete stati comprati! (cfr 1 Cor 6,20)” (18).

Per questo Gesù affida ai coniugi, in quanto sposati nel Signore, e quindi partecipi del suo «mistero grande» (Ef 5,32), questo ministero specifico, che è il suo stesso ministero.

A questo proposito don Germano Pattaro, parlando nel 1985 alla nostra Commissione diocesana, della quale faceva parte, fra l’altro sottolineava: “Si tratta di approfondire, almeno con intuizione e con qualche linea di orientamento, il significato del Ministero Coniugale, collocandolo sulla linea portante con cui Gesù ha realizzato l’Alleanza definitiva del Padre. Sulle linee, quindi, della sua Regalità, del suo Sacerdozio, della sua Profezia. Terremo presenti le tre linee che hanno guidato l’essere e l’agire di Gesù: l’annuncio della Parola, la lode al Padre, la convocazione della chiesa sua sposa, il servizio a tutti gli uomini. Le applicheremo, rispettivamente, all’autocoscienza con cui i coniugi devono progettare sia i contenuti che i metodi del ministero coniugale”. Questa, come è noto, è la prospettiva disegnata dal Concilio Vaticano II e precisamente nella Costituzione Lumen Gentium (33-37).

Di conseguenza, compito degli sposi è modulare la propria vita coniugale sul modello di questa Alleanza d’amore, chiamati come sono a costruire, nel quotidiano della loro vita coniugale, con Gesù Cristo nello Spirito, la storia della salvezza del mondo.

Sant’Agostino scrive nel suo “Commento al Vangelo di Giovanni” (51,13):

“Sicché, o fratelli, quando sentite il Signore che dice: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, non vogliate pensare solamente ai vescovi e sacerdoti degni. Anche voi, ciascuno a suo modo, potete servire Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, facendo conoscere a quanti vi è possibile il suo nome e il suo insegnamento. E così ogni padre di famiglia si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quei di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga, con benevolenza e con autorità. Egli eserciterà così nella sua casa una funzione sacerdotale e in qualche modo episcopale, servendo Cristo per essere con lui in eterno. Molti come voi, infatti, hanno compiuto il supremo sacrificio, offrendo la propria vita. Tanti che non erano né vescovi né chierici, tanti fanciulli e vergini, giovani e anziani, sposi e spose, padri e madri di famiglia, hanno servito il Cristo fino alla suprema testimonianza del sangue; e poiché il Padre onora chi serve il Cristo, hanno ricevuto fulgidissime corone”.

Ciò evidentemente esige negli sposi l’impegno di una specifica imitazione di Cristo a due, cioè proprio come  comunità sponsale. Imitazione di Cristo per far di loro la memoria di Cristo - attraverso la conoscenza e la contemplazione -  che è innanzi tutto rivelazione-profezia del progetto del Padre, quindi accoglienza stupita e gioiosa, e lode e liturgia di adorazione e di rendimento di grazie per il mistero d’amore di cui Dio li ha fatti partecipi; e, di conseguenza, esperienza di comunione, vincolo profondo di unità con tutti, e servizio d’amore ad ogni uomo e alla comunità umana.

Il ministero coniugale, allora, è autentico e cresce solo se ha il suo fondamento nell’imitazione di Cristo, perché, essendo lo stesso ministero di Cristo, solo lui può rivelarne il senso e la modalità di incarnazione nella storia, solo e sempre in sintonia, in comunione con lo Spirito di Gesù.

In conclusione, diremo che il ministero coniugale è il ministero dell’Amore di Dio per l’uomo, che gli sposi e la loro famiglia svolgeranno nelle tre modulazioni del ministero di Gesù: il ministero profetico – creativo - educativo; il ministero sacerdotale – caritativo - eucaristico; il ministero regale – sociale - politico.  

    AL SOMMARIO

 

ministero profetico-procreativo-educativo

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Sposi, famiglia e bioetica

Nel corso della sua breve storia, la bioetica ha esplorato  temi sempre più vasti e comprensivi. Sono quattro, sotto la spinta delle nuove applicazioni dell’ingegneria genetica, le fasi della sua evoluzione:

1.       interesse per i problemi dell’equilibrio della biosfera e della difesa dell’ambiente in ordine al futuro dell’umanità;

2.       avvio di una riflessione sui problemi anche della procreazione (contraccezione,  procreazione artificiale, politiche di pianificazione familiare); 

3.       viene ricompresa nella bioetica, anche l’etica medica e l’etica della ricerca e della sperimentazione biomedica (attenzione alla deontologia  e promozione dei diritti umani; 

4.       infine attenzione, sempre da parte degli studiosi, sui problemi della meta-bioetica. La domanda che essi si pongono è: esiste un criterio di giudizio assoluto e universale per distinguere ciò che è lecito da ciò che non è lecito?

Attorno al tema della famiglia si concentrano i problemi più delicati e rilevanti della bioetica: la contraccezione e la pianificazione familiare; la procreazione artificiale e la possibile connessione con l’eugenismo; la diagnosi prenatale, l’ingegneria genetica; l’identità e lo statuto del nascituro, la specificità e la natura dell’atto procreativo; l’assistenza al morente e l’eutanasia, il trapianto degli organi; l’AIDS nell’ambito coniugale, la droga e la sua prevenzione; il malato tumorale, l’anziano in famiglia… Non c’è tema di bioetica, dunque, che non tocchi la vita della persona e che, quindi, non riguardi direttamente o indirettamente  la famiglia.

È tutta una lunga serie di sfide, che richiedono delle risposte. Non basta, perciò, la denuncia del male così come si presenta e dichiararne l’inaccettabilità; nella convinzione che siano possibili delle alternative, fondate sulla verità, sulla forza del vangelo, sulla ricerca instancabile dell’accordo vero, e non fittizio, - afferma mons. Sgreccia, segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia – “tra la scienza e la morale, tra la ragione e la rivelazione”.

È in questa linea e per questa prospettiva che dobbiamo lavorare con coraggio, non solo per risolvere i singoli problemi, ma anche per ristabilire e chiarire quali sono i fondamenti antropologici del matrimonio e della famiglia, della sessualità  e della procreazione. Ecco lo spazio prezioso per il Consultorio diocesano, come conferma con autorevolezza il nostro Patriarca.

 

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Nuzialità e natalità

Per la quasi totalità degli italiani il matrimonio rappresenta ancora il modello di rapporto di coppia largamente preferito (80,5%, mentre il 15% preferisce la convivenza non matrimoniale e il 4% sceglie di vivere da solo).

Nell’opinione comune sembra che si sia veramente famiglia soltanto quando ci sono figli, e il matrimonio è il passaggio necessario per avere il figlio (il 35% dichiara che lo scopo del matrimonio è la procreazione, per quanto ridotta a 1/2 figli). Il posto che hanno i figli nel corso della vita di una famiglia, dice che cosa sia una famiglia in un determinato periodo: è la cultura della famiglia, dell’infanzia, il valore e il senso del figlio. Questa famiglia risulta così una famiglia genitoriale educante, prima che come coppia coniugale che si ama. La famiglia moderna come famiglia affettiva nasce, prima che dalle relazioni di coppia, a partire dai piccoli.

Questo fatto è accompagnato da una diminuzione del numero dei figli per famiglia man mano che la loro importanza affettiva umana cresce. Ciò ha modificato in modo sostanziale non solo l’esperienza di essere figli, ma anche quella di essere genitori e la stessa cultura: l’immagine  sociale della sessualità di coppia, la maternità-paternità e la procreazione, le attese costruite attorno al figlio, le logiche che stanno sotto a situazioni come quelle di “sterili per scelta” e “genitori a ogni costo” o come quelle del “figlio programmato” come un oggetto e non accettato come persona. Il figlio programmato è un oggetto fatto a propria immagine e somiglianza perché deve rispondere ad attese, che devono soddisfare da subito i desideri e le ambizioni della coppia carica di molteplici attese. Di seguito sono riportate alcune conseguenze.

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Internet: un’avventura per tutta la famiglia

Il mondo sta diventando teatro di una profonda rivoluzione, innescata e alimentata dall’uso di nuove tecnologie, di cui non siamo ancora pienamente consapevoli, ma che stanno già trasformando radicalmente il nostro modo di vivere. Si pone ora, in termini assolutamente più incisivi e radicali di quanto sia successo finora, il grossissimo problema della gestione di questa ricchezza, e anche i genitori devono essere pronti a far fronte a questi cambiamenti.

Prendiamo ad esempio la rete Internet: sta diffondendosi sempre di più. Negli Stati Uniti l’applicazione ha superato il limite, tecnicamente chiamato di “massa critica”, oltre il quale diventa un vero e proprio servizio pubblico di utilità sociale. Questo avverrà tra breve anche da noi, soprattutto dopo che sarà portato a termine il massiccio programma di sviluppo delle tecnologie didattiche e della multimedialità in cui sono coinvolte praticamente molte scuole italiane.

Quando inevitabilmente dalla scuola si passerà alla famiglia, sarà utile per i genitori avere una preparazione per gestire proficuamente e senza pericoli l’utilizzo di Internet da parte dei figli; col dire che “prevenire è meglio che curare”. È un principio generalmente acquisito, anche se poi non sempre è tradotto in pratica: questo almeno da noi, potrebbe essere vero anche per la navigazione in Internet da parte dei giovani.

Clinton, presidente USA, ha manifestato apertamente l’intenzione di fare della scuola statunitense la migliore del mondo, mettendo entro l’anno 2000 in ogni classe un computer collegato alla rete Internet nella consapevolezza che in questo modo tutti i ragazzi avranno accesso allo stesso universo di conoscenze. Pur di fronte a queste enormi opportunità, il presidente USA è consapevole dei pericoli in cui i giovani possono incorrere in una navigazione incontrollata in Internet, e su questo chiede la collaborazione dei genitori, in base anche ai suggerimenti offerti dalla “guida ad Internet per genitori”.

Sono segnalazioni che i genitori anche da noi non possono ignorare perché situazione analoga sarà anche in Italia in tempi brevi, se non già attuali in alcuni contesti. In questa guida (ma esistono anche in Italia indicazioni analoghe), dopo alcune nozioni riguardanti le autostrade telematiche e alcune nozioni base di informativa si offrono alcuni suggerimenti ai genitori relativamente all’acquisto di un computer per la famiglia e alla scelta di un “Provider”, cioè di una ditta con cui stipulare un contratto di abbonamento per l’accesso ad Internet.

Seguono naturalmente le istruzioni su come genitori e figli possono “navigare” sicuri nella rete evitando di imbattersi in siti non adatti. Più che un’azione semplicemente di controllo, per il quale sono comunque dati ai genitori utili suggerimenti, lo spirito è quello di una serena collaborazione con i figli, facendo della navigazione un’interessante attività che può coinvolgere tutta la famiglia, oltre che di aiuto allo studio; il tutto naturalmente in modi e tempi opportunamente concordati. Per esempio collocando il computer connesso ad Internet in soggiorno, per poter essere usato e visto da tutta la famiglia.

Oltre all’immancabile glossario, è infine offerto anche un elenco di siti di sicuro interesse sia per i giovani sia per i genitori; in particolare, superato lo scoglio della lingua inglese, da alcuni di questi si può capire quanto attive siano negli USA le associazioni di genitori, soprattutto dei rapporti con la scuola dei loro figli. Tale situazione dovrebbe far riflettere i genitori da noi, che da molti anni sono abituati a delegare il loro compito educativo alle istituzioni,

 

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Quando sono stato invitato a presentare queste schede ho espresso la perplessità derivante dal fatto che in queste occasioni c’è già tanta carne al fuoco e si rischia di stancare la gente. Attraverso queste schede non abbiamo voluto dare altre cose da fare, ma abbiamo voluto unire le forze per non disperdere la nostra identità e compiere tutti quanti insieme - famiglie, catechisti e altri - quello che è assolutamente essenziale per una vera vita di fede. Questo è lo spirito con il quale abbiamo fatto le schede catechistiche e questo, spero, sia anche lo spirito con il quale le accogliete.

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    AL SOMMARIO

La famiglia genitoriale educante

Nell’opinione comune sembra che si sia veramente famiglia soltanto quando ci sono figli, dove il matrimonio è il passaggio per dar corso ad una catena generazionale (in un’indagine CISF del 1993, il 35,8 % ha dichiarato che lo scopo del matrimonio è la procreazione, per quanto ridotta a due figli).

Infatti, studi condotti nel 1968 sul posto dei figli nelle famiglie dell’occidente europeo indicano che la famiglia moderna come relazione di affetti privati sia nata anzitutto come “famiglia genitoriale educante”, prima che come “coppia coniugale amorosa”. La famiglia moderna come famiglia affettiva nasce da una ridefinizione del posto dei figli, prima che dalle relazioni di coppia, a partire dai piccoli: da anelli della catena generazionale che perpetua un lignaggio, o da una risorsa di forza lavoro a fini in sé, a centro affettivo e simbolo dell’affettività familiare stessa.

Questo processo è accompagnato da una trasformazione quantitativa della presenza dei figli nella famiglia, che vede diminuire progressivamente il numero dei figli per famiglia man mano che la loro importanza affettiva umana affievolisce.

Ciò ha modificato in modo sostanziale non solo l’esperienza d’essere figli, ma anche quella d’essere genitori e la stessa cultura: immagine e rappresentazione sociale della sessualità della coppia, la maternità e la procreazione, le attese costruite attorno al figlio, le logiche sottostanti a situazioni come quelle “sterili per scelta” e “genitori ad ogni costo”, o come quelle del figlio programmato come un oggetto e non accettato come persona.

Difatti il significato del figlio programmato è che è un oggetto fatto a propria immagine e somiglianza, perché deve rispondere ad attese, che devono soddisfare i desideri e le ambizioni della coppia, carica di molteplici attese.

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Gli sposi e la famiglia e il discernimento evangelico della storia

All’interno del mondo cristiano si è avviato il passaggio da un’esperienza sociologica della fede (cristianità) ad un’esperienza evangelica della fede. Questo è il grande movimento storico che attualmente la Chiesa vive per opera dello Spirito Santo.

È stato il Concilio ad avviare lo spostamento dell’asse della coscienza ecclesiale da una polarizzazione di tipo socio-culturale ad una polarizzazione di tipo messianico. Questo movimento è dovuto, da un lato alle trasformazioni antropologiche che si manifestano nella civiltà tecnologica in cui viviamo, dall’altro alla necessità della coscienza cristiana di discernere i segni di fecondità del regno di Dio presenti dentro la storia. Un compito di discernimento che è fondamentale; anzi è l’esercizio comunitario della sapienza cristiana.

A proposito del discernimento, fa fede la Nota Pastorale dopo Palermo della CEI (cfr. Np 21), eco autorevole dell’insegnamento di Giovanni Paolo II espresso nella Familiaris Consortio ove si dichiara che per discernimento evangelico significa conoscere la situazione socio-culturale; vuol dire, da parte della Chiesa e degli sposi cristiani, saper cogliere le richieste e gli appelli dello Spirito Santo che risuonano negli stessi avvenimenti della storia (cfr. FC 4; 5).

Oggi noi cristiani stiamo scoprendo - certamente per l’azione dello Spirito Santo - che il vangelo della salvezza, manifestatosi in modo compiuto in Gesù Cristo, investe la totalità della vita, abbraccia la totalità delle attese umane nella concretezza della quotidianità. La riscoperta del messaggio messianico riporta l’uomo all’adempimento della creazione come storia della salvezza. Lo spostamento della coscienza cristiana dall’asse religioso all’asse messianico suscita il bisogno di cogliere l’appello che scaturisce dalla situazione contingente e di rispondergli con creatività. Non semplicemente appellandosi ai modelli esistenti, ma inventando modelli nuovi.

Questo contesto magisteriale conferma che la risposta di fede alle provocazioni del tempo non può essere delegabile: è di tutti i cristiani, che sono la Chiesa di Cristo, il corpo del Signore; certo guidati dal ministero apostolico. L’autorità magisteriale della Chiesa, infatti, non sostituisce la Chiesa come sposa di Cristo, ma ne provoca e favorisce il discernimento sapienziale del tempo, la coraggiosa risposta ai segni del tempo, perché il regno di Dio venga.

La generalizzata competenza profetica dei cristiani si specifica poi a seconda dei personali carismi ma anche della singola, particolare esperienza. Nel caso, poi, degli sposi la competenza profetica è addirittura sorretta da un segno sacramentale: quello del matrimonio.

Giampaolo e Marina Salvador – Madonna dell’Orto – Venezia

Come appartenenti alla Commissione abbiamo potuto meditare per tempo i temi della maternità e paternità degli sposi a partire dalla paternità di Dio e ci sono venute in mente delle domande che vi sottoporremo come stimolo e provocazione: ci siamo fatti, cioè, una piccola assemblea in casa.

Finora abbiamo parlato della paternità di Dio; ora parliamo un po’ della maternità e paternità degli sposi. La prima cosa che ci è venuto in mente è che quando si parla da papà e mamma ci si dimentica di tutto il resto. Innanzitutto ci si dimentica anche di essere marito e moglie, cioè di essere sposi. E ci siamo detti - è stato ribadito anche in altre Assemblee - che questo è da evitare, perché la cosa più bella che si può dare ai figli è proprio l’amore tra marito e moglie. Finché questo dimenticarsi di essere marito e moglie è dovuto ad un momento, ad una situazione di particolare impegno, ciò rientra forse un po’ nell’economia della vita della famiglia.

Ci sembra però che in questo momento storico - culturale, l’essere papà e mamma da soli, non sia più tipico di un momento particolarmente faticoso, ma sia invece lo specchio di un’idea, di un progetto di maternità e di paternità.

Due settimane fa sul Corriere della Sera è stato pubblicata un’indagine da cui emerge che l’11% di papà e mamme in Italia sono singoli. E in Europa addirittura il 14%. Inoltre, in un’intervista apparsa in un giornale, leggiamo delle affermazioni molto forti al riguardo. Ne cito una, fatta da Ornella Muti qualche anno fa: “I figli sono amori indissolubili, carnali, mentre gli altri, mariti, fidanzati, amanti, amici, sono compagni di viaggio, che salgono ad una stazione, scendono ad un’altra, ma non arrivano mai al capolinea”. Capite che questa è una visione un po’ particolare, della maternità.

Personalmente mi hanno fatto sempre un certo stupore quei casi estremi, esasperati, tipo Jodi Foster, che forse ha fatto ricorso all’inseminazione artificiale per fare la mamma da sola, oppure la rockstar Madonna, che per fare la mamma, anche lei da sola, ha scelto un compagno biologico che avesse solo questa funzione, non per avere un padre vero, un marito tra i piedi.

Ci siamo allora chiesto: ma questi sono solo casi estremi o questi personaggi, che sono dei miti specialmente per i giovani, possono diventare anche dei modelli?

Quasi una fatalità, proprio questa settimana il Corriere della Sera riportava un’inchiesta di un settimanale femminile da cui risultava che al 41% delle giovani donne intervistate non dispiaceva poter essere madre come Jodi Foster e Madonna. Questi segnali fanno pensare, forse, che si stia affacciando in questo momento una diversa idea di essere padre e madre, quella cioè di essere padre e madre da soli, indipendentemente dalla relazione di amore tra uomo e donna, e tra marito e moglie. Se è vero che l’idea sta entrando nella normalità del nostro modo di pensare, allora è irrinunciabile parlare di matrimonio e di sposi. Per la Chiesa, per tutti i cristiani il matrimonio,  - quante volte ce lo siamo detti - è un sacramento.

La relazione uomo - donna è un sacramento, non la relazione padre - figlio, madre - figlio, per quanto auspicate, per quanto nobili. È sacramento perché è segno dell’amore di Dio. Mi pare sia citato in Evangelizzazione e Sacramento del Matrimonio, che gli sposi sono segno e strumento dell’amore di Gesù, sono imitatori e partecipi dell’amore di Gesù. E, dalle parole di oggi del Patriarca, possiamo dire che sono continuatori di Gesù stesso, dell’amore di Gesù. E l’amore di Gesù è il volto del Padre.

In questo contesto e in questa esperienza di amore tra i due, così formidabile da essere assunta a sacramento, direi quasi da questa sovrabbondanza di amore, c’è tanto e tanto amore, che ce n’è tanto per tutti, anche per altre persone che non sono loro due, anche per i figli, anche per qualcun altro.

Ci piace pensare allora alla paternità e maternità degli sposi che scaturisce e nasce da questo contesto, da questa formidabile esperienza che non è l’esperienza di papà e mamma, da soli, non è neanche l’esperienza di due persone che sommano le forze, ma è l’esperienza di due persone che si sono incontrate e che fanno il papà e la mamma. Questo incontro le ha fatte rinascere e ha fatto scaturire in loro forze e energie nuove, tanto che si possono anche permettere di occuparsi di qualcun altro, anzi forse non ne possono fare a meno.

In questa visione il matrimonio è l’ambito giusto per esercitare la paternità e maternità, anche di Dio, perché è la continuazione dell’esperienza di amore di Gesù. Come diceva stamattina il Patriarca, il battesimo e l’eucaristia e così anche il matrimonio ci introducono sempre di più nella continuazione dell’emanazione del volto del Padre.

Credo che all’interno di questa esperienza di amore traboccante, esagerato, sia più facile e naturale anche pensarsi genitori e pensare ad avere un figlio per far crescere una persona libera, autonoma, indipendente, non per avere qualcuno per sé, non per cercare di compensare qualche nostra carenza. Oppure pensare a come essere padre e madre per poi accettare che un domani quel figlio, come è stato per noi, abbandoni suo padre e sua madre e si unisca a sua moglie.

La paternità e la maternità, sotto questa ottica, assume ancora più significato, è ancora più bella e più ricca. Riteniamo, allora, sia stimolante parlarne e sia utile tenerlo presente nel prosieguo dell’Assemblea.

don Mario Liviero - S. Maria Concetta - Eraclea

Continuo nella riflessione che faceva Giampaolo Nella Commissione ci premeva portare all’attenzione dell’Assemblea il valore, la bellezza, il significato dell’essere padre e madre. La Commissione è composta anche di tanti sposi e quindi si sono sentiti coinvolti in prima persona e la loro riflessione ha voluto essere una riflessione da credenti. Innanzitutto a me pare sia ovvio, lo devo dare per scontato, che l’essere padre e madre non è un fatto soltanto biologico: è soprattutto un fatto affettivo, culturale, un fatto  spirituale.

Io non sono un teologo e quindi mi esprimerò in maniera un po’ rozza, ma parto dicendo che sono portato a considerare la paternità e la maternità anche come un fatto sacramentale, in senso lato. Un fatto sacramentale innanzitutto per la propria natura perché la paternità e maternità umana sono sempre un segno della paternità di Dio, sempre, anche nei casi più disperati . È solo Dio la fonte della vita, la sorgente di tutto quello che esiste; il dare la vita è una prerogativa di Dio e Dio la partecipa anche alle creature e la partecipa in maniera particolarissima a quella creatura prediletta, amata, che è l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza.

Sappiamo che la paternità e la maternità sono due modalità, anche se non le uniche, di esprimere in modo umano l’amore di Dio: l’amore di Dio che è l’unico completo, che è l’unico che contiene in se ogni perfezione. Per questo invitiamo proprio a guardare ad ogni papà e ad ogni mamma con uno sguardo di stupore, uno stupore incantato. Direi proprio che il solo loro esserci, già ci parla della paternità di Dio.

In secondo luogo chiamo ancora la paternità e la maternità un fatto sacramentale proprio per l’origine. Per noi cristiani, l’origine è il matrimonio sacramento, l’amore sponsale che rende visibile, nell’esperienza umana, quel patto indissolubile di amore di Dio con l’umanità, attuato, realizzato attraverso la croce di Gesù Cristo. L’amore sponsale diventa allora il contesto naturale della vita, della crescita della vita e qui vorrei proprio sottolineare che l’essere padre e madre è un dono, è un dono che innanzitutto voi ricevete.

Dare la vita è un dono che gli sposi ricevono dal Signore, ed è, prima di tutto, una risposta alla chiamata di Dio che è amante della vita e, poi, diventa anche parte della missione, del compito degli sposi. Noi usiamo chiamarlo ministero coniugale: dare la vita, farla crescere, custodirla, accompagnarla, educare fa parte proprio del ministero, del compito, della missione, della vocazione degli sposi, ed in particolare del loro ministero profetico.

Usiamo anche questa espressione. Penso che tutti sappiamo chi è il profeta: è colui che parla in nome di Dio e che dice la Parola di Dio, sappiamo che il primo profeta è Gesù Cristo. È lui, Gesù, che ci parla nella maniera più completa ed esaustiva di Dio, del Padre; ce lo rivela: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Gesù ci dice tutte le cose che stanno a cuore al Padre. La sua parola ci educa, ci plasma, è luce ai nostri passi, ci indica il cammino da percorrere che è poi imitazione sua, comunione con lui: «Io sono la via». Siamo chiamati ad essere figli nel Figlio, vivendo appunto in profonda e vitale comunione con Gesù, formando quasi un tutt’uno con lui, il suo corpo.

La Chiesa, nel suo insieme, ha avuto la missione di essere profeta di Dio annunciando il Vangelo che è Gesù. E nella Chiesa, ciascuno di noi, a seconda della propria vocazione, è profeta: è chiamato ad annunciare il Signore, a raccontare le meraviglie del Signore con la vita e con la parola. Siamo un popolo di profeti: esistiamo per annunciare il Signore.

Anche gli sposi quindi: prima di tutto gli sposi l’uno all’altro e insieme ai propri figli annunciano Gesù: è quello che noi chiamiamo ministero profetico-creativo-educativo, parte del più ampio ministero coniugale.

Specifico degli sposi è l’essere profeti del Vangelo del Matrimonio e dell’amore coniugale. Ne sono debitori alla Chiesa e al mondo. Annunciano e testimoniano che il Matrimonio è un dono di Dio, viverlo è grazia sua e li colloca nel cuore della Trinità, mistero di amore perfetto e di comunione meravigliosa. Vivere l’amore fedele, per sempre, l’amore che fa definitivamente dei due una carne sola è grazia di Dio per noi così poveri e tentati.

È guardando a Gesù che l’amore sponsale si converte. Decidere di dare vita, in un mondo tanto avaro di vita e ostile alla vita, è certamente un atto di grande coraggio e responsabilità: si tratta di creature umane, di persone. Il Signore dia a tutti gli sposi e in particolare agli sposi cristiani la grazia di queste scelte serene, responsabili, generose e fiduciose in lui.

Educare oggi è compito particolarmente difficile, e non solo per i genitori. Ma educare significa continuare a dare la vita, ad alimentare la vita che si è generata, a dare motivazioni e valori per vivere, a far scoprire la propria vocazione. Per educare bisognerà continuare ad educare se stessi, ad essere aperti alle lezioni della vita. Il come aspetta ad altre competenze. Il Signore dia agli sposi cristiani la grazia di saper educare e di lasciarsi loro per primi educare da lui.  

Card. Ersilio Tonini

La famiglia: unica speranza

Sapete bene come i tempi stiano cambiando e i problemi siano enormi; l’unica speranza ormai riconosciuta non soltanto dalla Chiesa, dal Papa, dai Vescovi ma anche dai più grandi uomini politici, è la famiglia.

Il paese che forse può servire da esempio è l’Inghilterra, perché il suo più grosso problema politico è la delinquenza minorile. Si pensi che è uscito un decreto in forza del quale, in venti città, viene stabilito il coprifuoco per i bambini sotto i dieci anni, in quanto accadeva che i ragazzetti dai sette ai dieci anni combinavano guai fino alla delinquenza peggiore. Il motivo di questo comportamento sta nel numero di famiglie spaccate che, in Inghilterra, è otto volte maggiore che in Italia.

Voglio offrirvi alcune considerazioni. È ormai inesorabile che l’Europa a fronte di un basso tasso di natalità, sarà ripopolata dal mondo afroasiatico. Basti un esempio per l’Italia: Pordenone, una delle provincie più ricche d’Italia, ha la più bassa natalità del mondo: 0,7 per mille. L’Europa quindi si va svuotando, ma ha bisogno di braccia e di teste e sarà ripopolata dal mondo afroasiatico, in gran parte islamico o buddista. Il problema che si pone per la Chiesa è come prepararsi a ricevere una comunità che ha una fede e una civiltà diverse.

Nei parlamenti si parlerà di Cristo

Si apre quindi il discorso di una chiesa tutta missionaria. I bambini delle scuole materne cominciano ad essere i primi testimoni della fede per i loro compagni. Alla periferia di Ravenna c’è un asilo con trenta bambini di cinque religioni diverse. Si pone allora il problema del bambino di quattro - cinque anni, che, tornato a casa, chiede al papà: “Papà, chi è Gesù Cristo; chi è Maometto; chi è Buddha; chi è Krisna”.

Si offre quindi questa opportunità, inesorabile ormai, di parlare di Gesù Cristo Signore. La celebrazione del grande Giubileo coincide con questa novità incredibile. Si discuterà di Gesù Cristo nelle famiglie ed anche nei parlamenti, perché fra poco, in quei luoghi, arriveranno le grandi questioni della bioetica: fecondazione artificiale sì o no? Il vero papà è il papà genetico, oppure anche il papà artificiale è da considerarsi tale? Che si fa degli embrioni? In Francia c’è un gruppo di parlamentari e di scienziati che ha proposto di consentire l’utilizzo degli embrioni per la sperimentazione, per far progredire la scienza.

Consideriamo il tranello che è insito. Nella legge del ’94 si era acconsentito alla fecondazione artificiale eterologa, cioè con il trasferimento dei gameti di un’altra persona, a condizione che gli embrioni venissero rispettati perché il bene finale è il bene dell’embrione. Nella medicina vale il principio che il bene del malato è il bene della norma. Adesso abbiamo scoperto che si può fare un bene più grande: il bene della ricerca scientifica, il bene delle generazioni future e in nome di questo si pensa che valga la pena straziare, rompere, rovinare la vita.

A questo punto viene meno un principio formidabile della nostra civiltà che stabilisce l’uguaglianza di tutti gli uomini nella dignità: nessun uomo può fare da mezzo per l’altro uomo. Fra poco arriva l’eutanasia e anche lì si dirà: perché no? Se uno vuole.

L’uomo: tesoro di Dio

Ci sono poi i grandi temi dell’ingegneria genetica, dove si profilano delle cose stupende dinanzi ai nostri occhi. I morbi di Alzheimer, di Parkinson, di Down potranno essere sconfitti per sempre fra trenta-quaranta anni, però sarà possibile fare delle aberrazioni.

A questo punto cosa si può fare? Tutti questi problemi arriveranno al Parlamento. Non voglio fare politica ma, a cominciare dalle prossime elezioni, queste sono cose che noi vescovi dobbiamo dire chiarissimamente perché porteremo la responsabilità di quello che il Parlamento deciderà prossimamente sull’embrione, sull’eutanasia, ecc. Poi arriveranno le generazioni future: i ragazzi che adesso hanno dai dieci ai venti anni decideranno il futuro dell’umanità, del tesoro di Dio che è l’uomo.

Nei parlamenti si discuterà di Gesù Cristo, perché bisognerà scegliere tra il modello di vita che offre il messaggio cristiano e quello proposto da questa visuale etica.

Qui ci sono molte donne, e anche la donna costituirà il grande tema di cui si discuterà in Parlamento. Chi è la donna, quale tipo di donna bisogna scegliere. Il mondo afroasiatico porterà anche le sue convinzioni che considerano la donna una povera piccolissima cosa, un niente che si può rimpiazzare. Accade spessissimo già in Inghilterra e in Francia che i tribunali si trovino di fronte a casi di donne cristiane, fattesi mussulmane, che si presentano scusandosi perché hanno operato sul corpo delle loro bambine quella mutilazione ginecologica che si chiama infibulazione (la cucitura dell’organo femminile), perché la ragazza possa presentarsi e dire: «Sono intatta». I tribunali quindi si trovano di fronte a questo dilemma: rispettare la libertà di scelta religiosa o della loro civiltà, o dire: «No, questa è un’infamia». I tribunali francesi dicono che questo è un’infamia che non possono tutelare.

Prossimamente in Parlamento dovranno decidere se permettere la famiglia monogamica o la famiglia poligamica. Dovranno decidere se l’uomo, come succede nel mondo afroasiatico, può dare alla moglie il libello di ripudio. Lo scorso anno il Ministero degli Esteri ha fatto sapere che trecentocinquanta giovani spose sono tornate nei loro paesi d’origine perché il marito le aveva ripudiate.

Non voglio spaventarvi perché, invece, questo è un momento splendido. Pensate: tutti missionari. Accade nelle scuole materne, negli ospedali. A Roma accade spessissimo che donne islamiche, vista la carità della comunità cristiana, cominciano a interrogarsi su Gesù Cristo Signore. Questa nostra comunità cristiana sta compiendo un miracolo.

Questo secolo finisce con una delle più grandi testimonianze che la Chiesa abbia mai dato: l’accoglienza del mondo afroasiatico in casa nostra. Mentre il potere politico tenta un equilibrio, la comunità cristiana è insorta a difesa degli immigrati. C’è quindi qualche cosa di sicuro, ma basterà? Basterà la carità o non dovremo anche offrire la verità?

Vicino agli altri ci siete voi

Io penso sempre alla vergine Maria. La Madonna è quella creatura a cui Dio Creatore ha mandato un angelo per dire: «Accetti il mio Figlio, a nome di tutta l’umanità, come Salvatore?». Lei ha detto di sì. Si era spaventata, poi ha capito che era volontà di Dio e si è fidata.

Noi vescovi dovremmo inginocchiarci vicino ad ogni cristiano e dire: «Tu vuoi accettare nostro Signore Gesù Cristo per le generazioni che verranno?». Perché vicino ai bambini non ci siamo noi vescovi, non c’è il Papa. Quando i bambini nascono, vicino ai ragazzi che si sposano, quando l’uomo invecchia, vicino agli extra comunitari che chiedono un alloggio ci siete voi!

Alla conclusione del Sinodo del 1987, una proposizione rivolta ai cristiani laici diceva, tra l’altro, che le grandi sfide del domani si giocano tutte nella zona di loro competenza: politica, finanza, economia, mass media, cultura, arte. Ecco perché ritengo che noi vescovi abbiamo il compito di annunciare che il Signore ci aspetta.

Faccio una confidenza. Alla preghiera di mia madre: «Mio Dio ti ringrazio perché mi hai creato e fatto cristiano», aggiungo: «di avermi fatto nascere e fatto vivere questa fine di secolo», perché forse non c’è mai stato un tempo così sul quale si concentrano i disegni e le attese del Signore e della Vergine. Posso permettermi di ringraziarvi per l’accoglienza di Nostro Signore, per quel che farete in vista delle prossime generazioni

Piero Martin - S. Francesco della Vigna – Venezia

Non sono esperto di bioetica, né uno studioso di etica, volevo però, a nome della Commissione, proporre all’Assemblea alcuni interrogativi utili per progettare poi un cammino insieme.

Quando si parla di bioetica, o di bioingegneria, e dei problemi ad esse connessi, pensiamo che in queste parole sono insite moltissime potenzialità positive e anche negative. Molte sono state ricordate anche poco fa, certamente un denominatore comune di molte di queste potenzialità è il coinvolgimento della famiglia dove il rapporto tra gli sposi e il rapporto parentale è al centro di molte di queste vicissitudini. Dobbiamo considerare quindi la famiglia al centro della questione e anche il fatto che non possiamo ritenere che in questi temi si debba fare una catalogazione o tutto bene o tutto male.

È importante perciò essere consapevoli della complessità della situazione e anche del fatto che, come cittadini e come cristiani soprattutto, entriamo di fatto in un percorso che in qualche maniera è già stato tracciato. Nessuno, credo, può illudersi di poter bloccare lo sviluppo della conoscenza umana, ed è altrettanto illusorio pensare che l’uomo dimentichi quello che sa già, sia nel bene che nel male.

Certamente non si possono cancellare per decreto le ricerche sia che piacciano o che non piacciano. Certamente però si può far crescere una consapevolezza che porti ad un maggiore controllo e soprattutto allo sviluppo di uno spirito critico, di uno spirito attento, che poi può tradursi anche in una partecipazione concreta, sia a livello di base ma anche a livelli decisionali.

Vista la complessità della situazione odierna in merito a questi argomenti, c’è la necessità di sviluppare degli strumenti critici, a partire dalla famiglia stessa, che è il primo nucleo in cui queste cose debbono essere dibattute, che ciascuno di noi possa costruirsi degli strumenti interpretativi della realtà che ci permettano, per quanto possibile, di essere soprattutto informati, di capire cosa sta succedendo. Ci sarà allora una maggiore attenzione nel dare le nostre deleghe e nel far prendere le nostre decisioni.

Credo che a questo riguardo sia necessario senz’altro una grande alleanza fra tutte le fedi, fra la fede cristiana ma anche in generale della fede dell’umanità, non in senso astratto ma degli uomini, delle persone che sono in sala, delle persone che vivono nelle nostre città. In questa maniera si può tentare di contribuire a favorire un cambio di mentalità, o comunque a una maggiore attenzione a questi problemi.

Per concludere vorrei, a nome della Commissione, richiamare la vostra attenzione su alcuni fogli che illustrano alcune delle attività svolte dal Centro S. Maria Mater Domini contenuti nella cartellina che è stata distribuita. Il nostro Patriarca ci ha fatto un grande dono in questi anni, uno dei tanti, tra cui la nascita di questo Consultorio Diocesano che assieme ad altri nella diocesi si pone un po’ come aiuto, come un possibile aiuto, anche per quanti volessero appunto approfondire meglio questi argomenti insieme a molti altri.

Sandra e Paolo Sambo   - Frari – Venezia

Abbiamo riflettuto su cosa significhi per noi cristiani essere figli e sul significato del termine obbedienza. La meditazione del Patriarca di stamani ci ha spiazzati un po’ perché ha detto praticamente quasi tutto quello che volevamo dire, per cui cercherò di essere sintetico.

Noi siamo chiamati figli di Dio per  uno stupendo atto di amore grazie al quale il Padre ha pensato e voluto Gesù come il primogenito di molti fratelli. Pensando a suo figlio e rendendolo poi uomo, ha pensato anche a noi come suoi figli nel suo Figlio. San Paolo ci dice che noi siamo “figli adottivi”, cioè figli per regalo. Partecipiamo alla stessa natura di suo Figlio Gesù, che è di natura divina, grazie soltanto ad un immenso atto di amore.

A noi spetta pertanto il compito di continuare quella che è stata l’opera di Gesù proseguendo sulla terra quello che Gesù ci ha insegnato. Questo possiamo farlo grazie ai Sacramenti che ci sono stati donati. Pertanto essere figli di Dio non è una condizione statica già acquisita, ma un compito che consiste proprio nel continuare e comportarci come l’esempio di Gesù ci ha indicato. Più ci comportiamo secondo il suo esempio più possiamo essere considerati “figli di Dio”.

Questo possiamo farlo solo ascoltando e compiendo la volontà dello Spirito Santo come ha fatto Gesù nella sua vita terrena. Questo lasciarci guidare dallo Spirito Santo nel compimento della volontà di Dio, ci porta al tema dell’obbedienza su cui volevamo riflettere. Rifacendoci sempre all’esempio di Gesù possiamo dire che lui è stato il prototipo dell’obbedienza avendo vissuto tutta la sua vita terrena nell’obbedienza al Padre celeste.

Il Patriarca, nelle meditazioni agli esercizi spirituali per sposi, aveva esteso questo concetto al rapporto genitori - figli, dicendo che il figlio può essere definito tale se obbedisce al suo papà e alla sua mamma. L’obbedienza, pertanto, non è un fatto esteriore, ma qualcosa di profondo e di innato nel rapporto genitori – figli. Dovremo, quindi, far capire ai nostri figli che l’obbedienza è qualcosa che li aiuta a crescere e li aiuta nella loro formazione. Il nostro rapporto con i figli non deve essere dispotico o basato sull’arbitrio, ma, come dice il Patriarca “Dobbiamo assumere tutta la responsabilità del comando e dell’obbedienza che conforma il figlio a noi e, conformandolo a noi, lo fa assomigliare a Dio”.

Volendo fare un esempio, come la vite viene potata per farla crescere più rigogliosa, anche noi dovremmo limitare o andare contro ai desideri dei nostri figli facendo loro capire, magari in un secondo momento, che questo l’abbiamo fatto per il loro bene. I nostri figli capiranno che obbedendo a noi possono crescere meglio, però non possiamo essere credibili se anche noi non ci comportiamo come figli, obbedendo alla legge del Padre e, pertanto, mostrandoci suoi testimoni.

Dilvia e Virgilio Rossi   - S. Maria della Pace - Mestre

Vogliamo riallacciarci al discorso di Paolo e Sandra sull’obbedienza, associandolo al concetto di libertà. Spesso questi due concetti sono ritenuti in opposizione, e lo stesso termine di padre è collegato all’idea dell’esercizio del potere, per cui anche l’idea di Dio Padre è vista con disagio, il messaggio evangelico fa fatica a farsi strada e c’è la tentazione di liberarsi di Dio in nome di una presunta libertà dell’uomo. Perciò l’idea di una libertà che si realizza nella comunione con Dio e con i fratelli crediamo non appartenga alla cultura corrente.

E allora, che idea abbiamo noi cristiani, della libertà, e particolarmente del concetto della libertà di figli? Nel preparare questo intervento, ci è sembrata illuminante una lettura fra le righe della parabola del Padre misericordioso (ovvero il Figliol prodigo) di Luca 15,11-32 - anche se in parte ci ha anticipato il Patriarca nella contemplazione di stamattina (non ci eravamo messi d’accordo) - dove troviamo due figure di figli che dimostrano entrambi di non sapere cosa significhi essere figli ed apprezzare la comunione col Padre e i doni che essa comporta.

Il figlio minore, quello dissoluto, che rappresenta l’uomo che non è più in comunione con Dio, crede di essere libero quando finalmente, con la sua parte di eredità, si sottrae allo sguardo del Padre per agire come gli pare. Egli identifica il padre nei beni materiali ereditati e vive una libertà illusoria poiché non si rende conto di non poter evitarne la dipendenza perché è proprio con i mezzi ricevuti dal genitore che può permettersi di vivere in quel modo, diventando così schiavo delle proprie passioni.

Anche l’altro figlio, rimasto col padre, non vive un rapporto di comunione ma un rapporto servile. Egli non si sente figlio, ma servo, e non sente il lavoro che svolge come un qualche cosa che è determinato dal desiderio di fare il bene comune, ma come un’imposizione della quale l’unico effetto positivo sarà che un giorno potrà goderne i benefici ereditando. Non comprende che ciò che è del Padre è, comunque e sempre, anche suo, anche ora se solo fosse capace di viverlo in comunione con il Padre.

Proprio riflettendo con Sandra e Paolo nel formulare queste riflessioni ci siamo chiesti come funzionano le cose nelle nostre famiglie, su come i nostri figli interpretino il concetto di libertà. La ragazzina che invidia il fratello perché prossimo ai diciotto anni, pure il ragazzo che crede di poter vedere tranquillamente “Trainspotting” o qualsiasi altra cosa diano per televisione dal momento che ha compiuto i 14 anni, ci fanno interrogare se per caso non abbiamo sbagliato qualcosa o se loro faticano a capire, nonostante i nostri sforzi.

Ci siamo chiesti se nonostante il nostro predicare e tentare di spiegare, non prevalga il modello del mondo che è esattamente il modello di libertà illusorio del figlio prima che divenisse prodigo. In fin dei conti anche i nostri figli vogliono ciò che gli spetta, perché vedono che il mondo lo concede ai figli degli altri genitori: non ci chiedono la parte di eredità, ma il motorino, il vestito firmato, la scelta di uscire con chi gli pare, la scelta di non andare più a messa o in parrocchia, o la libertà di fare all’amore, la libertà di fare senza di noi..

Le situazioni ci mettono sempre di fronte al dilemma: fino a quanto essere inflessibili senza temere la ribellione, l’atto di sfida che a volte può sfociare anche in conseguenze dolorose per tutti. In questo gioco delle parti non dobbiamo dimenticare che anche noi siamo “figli” e figli dello stesso Padre con la “P” maiuscola. S’impone una domanda: siamo sempre coerenti, nei confronti del Padre con il modello di libertà che vogliamo per i nostri figli? O non ci sentiamo anche noi condizionati da quest’idea di Dio e quindi limitati nella propria libertà di scelta?

Dobbiamo in realtà testimoniare ai nostri figli che essere uomini liberi significa aver capito che la libertà donataci da Dio consiste nel condividere con tutti ciò abbiamo perché il dono è per tutti. La nostra libertà di figli di Dio la dobbiamo mostrare ai nostri figli essenzialmente con il servizio, con il rendere le nostre famiglie spazi aperti agli altri, con esempi concreti di solidarietà, anche con i discorsi e le valutazioni che essi ci sentono fare sulla situazione politica e sociale.

Daniela e Sandro Giantin – Ss. Gervasio e Protasio - Mestre

Una delle “consegne” che il Patriarca ci ha indicato nel corso della sua meditazione di stamattina riguardava i modi possibili con cui rivelare il volto del Padre. Una delle urgenze su cui ci troviamo spesso a discutere in famiglia (poiché oltre che genitori siamo anche insegnanti), è quella relativa alla scuola.

Solitamente, quando i cattolici affrontano il mondo della scuola, vanno a discutere sull’ora di religione oppure sulla parità scolastica e sul finanziamento delle scuole non statali. Problemi, questi ultimi, sicuramente importantissimi, sui quali torneremo tra qualche istante.

Ma prima ci sembra doveroso, oltre che utile, richiamare alcune delle riflessioni che abbiamo tratto dalla scorsa Assemblea degli Sposi di Quarto d’Altino. In particolare la nostra attenzione va al triplice ministero di Cristo (profetico, sacerdotale, regale) che irradia, rispettivamente, i ministeri educativo, caritativo e politico degli sposi. Certo, si deve fare attenzione affinché questi tre ministeri non vengano visti disgiuntamente come fossero tre “settori d’intervento” distinti, mentre piuttosto li si deve concepire come modi d’essere, prima ancora che modi di intervenire in questo o quel campo.

Scuola, quindi, si diceva, come tentativo di sintesi tra famiglia e società, come terra d’incontro e di confronto collaborativo principalmente tra genitori e insegnanti. In questa prospettiva, pertanto, il ministero politico degli sposi non può non essere investito - come si diceva poco fa - dal problema della religione o della parità scolastica, ma anche da una necessità di maggiore partecipazione della famiglia nella scuola a partire dai “decreti delegati” sino alla recentissima legge sull’autonomia della scuola.

Analogamente, il ministero educativo richiederà agli sposi un confronto con gli insegnanti, non solo sulle materie d’insegnamento, sull’inserimento dell’inglese e/o dell’uso del computer, quanto, piuttosto, un dialogo franco sullo stile e sui valori di accoglienza, tolleranza, rispetto, vita comunitaria...

Da ultimo, ma non meno importante, l’esercizio della propria ministerialità con accento caritativo consentirà agli sposi di instaurare con gli insegnanti un dialogo, senza alcun “scaricabarili” reciproco tra coloro che si debbono reciprocamente relazionare con i ragazzi, dimostrando vicendevole stima e collaborazione solidale. In questa prospettiva, gli insegnanti cattolici da un lato e i genitori cattolici dal medesimo lato, potrebbero essere i primi testimoni e i più efficaci enzimi di un ritrovato di interpretare la sintesi culturale richiesta nella scuola, dalla società e dalle famiglie dei nostri giorni.

Così facendo, insegnanti e genitori cattolici potranno forse contribuire a rivelare qualche traccia del volto del Padre così come ce lo ha presentato stamattina il nostro Patriarca.

Fiorella Muresu - S. Giovanni Evangelista - Mestre

Come giustamente rilevava nel suo intervento Giampaolo Salvador, in una famiglia cristiana si crescono i figli che, ad un certo momento, come abbiamo fatto noi genitori, lasciano la casa per formarsi a loro volta una famiglia. È giustissimo considerare questa vocazione dei figli al Matrimonio, però è molto importante mettere nel conto anche le altre vocazioni che il Signore può mettere nel cuore dei nostri figli. E lo dico per esperienza personale.

All’interno di una famiglia cristiana è importante saper discernere se i nostri figli chiamati o al servizio sacerdotale o alla vita religiosa,  sono in grado di sentire e accogliere questa chiamata: il luogo più importante per coltivarla è la famiglia. È importante per una famiglia cristiana saper vagliare la vocazione del figlio.

Paola E Filippo De Perini

Ci siamo domandati come mai, proprio in Italia, c’è il più basso livello di natalità del mondo. Le cause possono essere molteplici: sterilità in aumento, contraccezione, riduzione della figura della casalinga, ma questa mattina il Patriarca ci ha dato una traccia che potrebbe essere rivelatrice del problema:  l’allontanamento dell’uomo dalla casa del Padre.

L’uomo si allontana volontariamente, si fa orfano e si stacca dalla sua principale fonte di amore e di speranza e si crea i suoi idoli!

Ma se manca l’amore, manca anche la voglia di fare l’amore di dare amore puro.

Le altre sono tutte cause che concorrono a potenziare il problema della denatalità ma da sole non sarebbero in grado di renderlo così evidente.

Gesù ci indica la via per uscire da questa palude e che consiste proprio nel ritorno al Padre che ci aspetta sempre a braccia aperte, un viaggio di ritorno che noi dobbiamo percorrere da soli, anche se stretta è la porta e angusta la via.  

    AL SOMMARIO

ministero sacerdotale-caritativo-eucaristico

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Gesù unisce  al suo ministero sacerdotale il ministero  degli sposi

L’amore coniugale, elevato a “segno” di grazia, deve essere radicalmente vissuto come “dono” di Dio. La logica del donarsi di Dio chiede a chi lo riceve in dono di ridonarsi continuamente a lui per dirgli grazie: è il suo rendimento di grazie eucaristico.

È un’attitudine richiesta vocativamente agli sposi, perché essi stiano nello stupore gioioso di Dio che è entrato nel loro cuore  e si aprano all’adorazione della sua presenza attiva ed efficace. È proprio questo l’atteggiamento sacerdotale di Gesù che, oltre che “adorazione”, è perenne “rendimento di grazie”.

Per lo stesso motivo, il ministero coniugale sollecita chi è sposato nel Signore ad assumere questo atteggiamento profondo e a farne il filtro portante dell’intera sua esistenza. Di conseguenza, gli sposi, quando dialogano tra di loro del loro amore, dialogano con il Signore della loro Alleanza. “Il loro dialogo, perciò - diceva don Germano - è un parlarsi a tre. Questa è  preghiera ‘sacerdotale’, perché si realizza nell’apertura radicale del cuore, in modo che l’esistenza intera ne venga avvolta nell’estensione del quotidiano”. È la preghiera sacrificio spirituale, di cui scrive Paolo: « Vi esorto, fratelli, ad offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente a Lui dedicato e a Lui gradito. È questo il vero culto che gli dovete » (Rm 12,1).

Il ministero coniugale è fondamentalmente eucaristico-sacerdotale perché “L’Eucaristia - dice il nostro  Patriarca agli sposi - sta nel cuore della famiglia. È al centro perché l’amore cristiano e l’amore sponsale scaturiscono dalla pasqua di Cristo di cui è sacramento. L’Eucaristia è la pasqua della Chiesa, celebrata dalla Chiesa, che diventa la vita della Chiesa. L’Eucaristia è la sorgente del nostro vivere quotidiano: dall’Eucaristia celebrata nel giorno del Signore scaturisce una cultura della convivenza umana vissuta da cristiani all’insegna della solidarietà e dell’amore. Dall’Eucaristia scaturisce il sogno, che vuole diventare realtà, di una ‘Civiltà dell’amore’, di cui voi siete i testimoni, capace di cambiare la storia e di cambiare il mondo.

E - continua  il Patriarca - noi viviamo una cultura, che marginalizza, estrania sempre più il Matrimonio cristiano. Vivere il Matrimonio cristiano diventa sempre più una testimonianza resa alla pasqua, non più l’inserirsi in una cultura a cui il Matrimonio cristiano è omogeneo e in qualche modo organico, come poteva essere trenta a quaranta anni fa. Di fronte a questa situazione, che potrebbe portarci a pensare che vivere la famiglia con al centro l’Eucaristia, come modello di famiglia, sia soltanto un’utopia, c’è la parola del Signore: « Io apro i vostri sepolcri e io vi risuscito » (Ez 3, 12b). Dio, come ha aperto il sepolcro di Cristo, è capace di aprire la situazione in cui viviamo e di risuscitarla, anche se ci sembra disperata, totalmente estranea nei confronti della fede”.

Tutto ciò mette in gioco la fede degli sposi nell’Eucaristia, espressione massima dell’amore che Gesù ha lasciato alla sua Chiesa. È il “rendimento di grazie” che la Chiesa con Cristo, per Cristo, in Cristo eleva al Padre e, con la Chiesa, tutto l’universo. È nel sacrificio eucaristico che i coniugi trovano la sorgente e l’alimento della loro “alleanza” sponsale e sono chiamati a scoprire il “mistero grande”,  fonte della “comunione” e della “missione”, che in Cristo unico sacerdote del Padre, diventa il loro ministero (cfr  FC 57).

Di ogni evento di salvezza, che l’Eucaristia attualizza, il sacramento del Matrimonio fa memoria ai figli, alla Chiesa e al mondo. È negli sposi che il ministero coniugale sacerdotale-eucaristico viene messo in piena evidenza. Qui e non altrove gli sposi cristiani trovano le radici del loro essere in Cristo sacerdoti della nuova alleanza, continuatori dell’opera del Signore, raccordo fra la parola di Dio e la storia, coloro, cioè, che raggiungono l’uomo nella sua concreta situazione per introdurlo nella novità del vangelo.

La coppia e la famiglia sono chiamate a rivelare la realtà e la grandezza del “bell’amore”. La storia del “bell’amore” prende inizio dall’Annunciazione. Con il sì di Maria “Dio da Dio e Luce da Luce” diventa Figlio dell’uomo. Maria è sua Madre, Madre del “bell’amore”. Questa verità prende pieno significato man mano che Maria segue il Figlio nel pellegrinaggio della Fede. La Madre del “bell’amore” viene accolta da Giuseppe, suo sposo: « Non temere di prendere con te Maria, ciò che è generato in lei viene dallo Spirito Santo » . Il reciproco amore sponsale, per essere pienamente il “bell’amore”, esige che Giuseppe accolga Maria e il figlio di lei.

Si può dire, anche, che la storia del “bell’amore” inizia con Adamo ed Eva. Il peccato non li priva completamente della capacità del “bell’amore” perché Cristo non viene per condannare il primo Adamo e la prima Eva, ma per redimerli; viene a rinnovare “il bell’amore”. L’evento, quindi, del “bell’amore” è l’evento della salvezza dell’uomo. Nella creazione Eva si rivela ad Adamo, come Adamo si rivela ad Eva. Inizia così la narrazione del “bell’amore”. Oggi come ieri le nuove coppie umane si dicono reciprocamente: “Cammineremo insieme nella vita”. Da questa realtà inizia la famiglia, che in forza del sacramento del Matrimonio, diventa nuova comunità in Cristo.

L’amore, perché sia realmente bello, deve essere dono di Dio. La Chiesa nel sacramento del Matrimonio domanda allo Spirito Santo di visitare i cuori umani e perché sia veramente il “bell’amore”, dono della persona alla persona, deve provenire da Colui che è dono egli stesso.

Il vangelo delicatamente colloca il “bell’amore” nel contesto “del grande mistero” (Ef 5, 32). Quando si parla del “bell’amore” si parla della bellezza. Bellezza dell’amore e bellezza umana che, in virtù dello Spirito Santo, è capace di tale amore. L’uomo e la donna sono persone chiamate da Dio a diventare dono reciproco. Dal dono originario dello Spirito “che dà la vita” scaturisce il dono vicendevole di essere marito e moglie.

Nel mistero dell’Incarnazione Gesù rivela l’uomo all’uomo ed è qui che si trova la fonte di una bellezza nuova. Alla luce di questo mistero si scopre che la famiglia può essere la grande “rivelazione”: la vicendevole scoperta degli sposi e, poi, di ogni figlio o figlia che nasce da loro. Il futuro, quindi, di ogni famiglia dipende da questo “bell’amore”, fonte della sua unità e della sua forza. (cfr  Lettera alle famiglie).  

Al ministero coniugale Gesù chiede anche di rivelare che l’amore umano è retto e sorretto dall’Amore di Dio che si è riversato su di noi. La Carità di Dio ci precede, siamo immersi in essa. C’è un processo storico dell’amore: ogni atto di amore non emerge dal nulla; ogni persona che ama non parte da zero.

È la Bibbia che insiste nel ricordarci che c’è una Carità che ci precede, quella di Dio; non siamo noi che per primi amiamo, bensì veniamo da una lunga catena di Carità. Siamo amati e perciò possiamo amare. C’è dunque un cosmo di amore, un universo di effetti e di doni prodotti dalla Carità di altri che ci hanno preceduto (Dio e le altre generazioni prima di noi), un cosmo che chiede a noi che il nostro amore attinga sempre alle fonti già aperte, per progredire in avanti.

L’amore di Dio, dunque, è più grande di noi, siamo immersi in esso. Il già donato, il già frutto dell’amore, il cosmo già creato dall’amore, deve diventare punto di partenza, presupposto per la nuova creatività dell’amore. Rispetto dunque per l’esistente, valorizzazione del dono già costruito e messo a disposizione.

Ogni cosa che esiste essenzialmente è un dono di Dio e di altri soggetti che, nel piano di Dio, sono intervenuti da intermediari. Se pretendessi di amare come se l’amore cominciasse da me, e come se io fossi il creatore libero e autonomo di un mio cosmo, mostrerei di amare me solo stesso. Questa “rivelazione” sull’amore che ci precede e ci avvolge, da sempre, è oggetto del ministero coniugale.

Altro oggetto del ministero degli coniugi sposati nel Signore è fare proprio l’impegno di Paolo: « Ebbene, vi mostrerò io la via più sublime » (1 Cor 12, 31): « ...è la via della carità » (1 Cor 13). Questo capitolo, con l’inno all’Amore, è la pagina più celebre delle lettere di Paolo: la carità non si identifica con la donazione dei beni o di se stessi; la carità anima tutta l’esistenza, essa sta alla radice della fede e della speranza. La carità anticipa nel tempo la piena e definitiva comunione con Dio. Essa rimane per sempre. « Se non ho l’amore, non sono nulla » , in questo passaggio dall’avere all’essere sta la radicalità del discorso di Paolo. Qui c’è un avere che è un essere e un non-avere che è un non-essere.  Chi ama è; chi non ama non esiste.

La testimonianza di amore sincero degli sposi dovrebbe convincere gli uomini, le famiglie, la comunità cristiana e la società, che il vero loro essere è solo l’amore. Nulla può sostituirlo. Solo chi ama è uno che esiste. 

Il Dio, che ci ha rivelato Gesù Cristo, pienezza dell’essere, ha nell’amore la sua massima realtà. Nel mondo non c’è nessuna storia che ci narri la storia di un Dio  che si dona all’uomo, come il nostro Dio si dona a noi nel Cristo. Se questo è il progetto di Dio per l’uomo, l’amore, vuol dire che l’uomo non ha altra scelta se vuole vivere e salvarsi.

L’amore degli sposi nel Signore è da Gesù “chiamato” a rivelare il significato del suo comando: « Amatevi come io vi ho amato » (Gv 13, 34). Specifico del vangelo non è l’amore; questo è un comandamento antico, è di sempre e per tutta l’umanità. Peculiare del vangelo è il “come” si deve amare. In questo sta la diversità assoluta del cristianesimo. Cristo è il modello “nuovo” e “unico” per tutta l’umanità. « Come » io mi sono donato a voi, così voi donatevi ai fratelli. E Gesù si è donato fino « alla morte di Croce » .

È nella concreta e quotidiana vita familiare che si fa esperienza del passaggio faticoso dall’io al noi, da “gli altri per me” a “l’io per gli altri”. Per questo la famiglia è scuola di comunione e d’amore. In essa si impara a porsi la domanda: “chi è l’altro per me?”; a conoscere se stessi e ad assumere le responsabilità dell’altro, fino a “portare i pesi gli uni degli altri”, a consegnarsi l’uno all’altro, non solo lo sposo alla sposa, ma i figli ai genitori e viceversa. In essa ciascuno impara ad affidarsi al Signore.

La coppia e la famiglia sono chiamate ad aprirsi e consacrarsi al bene di tutti gli uomini, a partire dalle altre coppie e dalle altre famiglie, rivelando l’“immagine ridente e dolce della Chiesa” proprio della “chiesa domestica” (S. G. Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, e cfr  LG 11). 

Sono sempre più frequenti i matrimoni “misti” e “interreligiosi”, che richiedono discernimento e preparazione, in particolare sulla concezione del Matrimonio e sulla  famiglia. Hanno bisogno di un’attenzione particolare i coniugi separati, che pur essendo ammessi ai sacramenti, devono trovare nella comunità stima, solidarietà, comprensione ed aiuto per conservare la fedeltà e la disponibilità all’eventuale ripresa della vita coniugale (cfr  FC 83).

I divorziati non risposati, i divorziati risposati, gli sposati solo civilmente, i conviventi. Queste situazioni, certamente le più gravi per cui, coloro che si trovano in una di esse, non sono in piena comunione con Chiesa (non sono ammessi alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica). Però, poiché, in forza del Battesimo, sono membri di essa, possono unirsi alla sua preghiera e alla sua carità, all’ascolto della Parola di Dio e alla celebrazione eucaristica, ed a educare cristianamente i figli. Gli sposi insieme con la loro comunità siano loro vicini con l’amicizia e il rispetto, con la preghiera e con la fiducia nella benevolenza e misericordia del Signore, senza giudicare le coscienze, perché amore alla verità e amore alle persone devono andare insieme (cfr La verità vi farà liberi 737; FC 79-84; Lettera ai Vescovi della Congr. Dottrina della Fede; Il granello di senapa; Vademecum per i confessori; Direttorio di Pastorale familiare). 

È ancora proprio del ministero coniugale l’amore degli sposi impegnato a guardare anche alle infermità umane, a tenere conto soprattutto della debolezza e della fragilità degli ultimi, delle vittime dell’oppressione.

Amare veramente tutti acquista sincerità e autenticità solo se di fatto si amano coloro che rischiano di essere lasciati o cacciati fuori dal banchetto della vita, fuori dal cosmo dei doni dell’amore. Voler amare tutti in genere, senza privilegiare i deboli e gli emarginati, equivale a rafforzare solo i potenti e ad aiutarli a diventare prepotenti. L’amore al “fratello universale” è menzogna.

In ogni caso, si rimane sempre dentro un contesto di amore: l’amore di Dio, che precede tutto e tutti, e che ha offerto in dono a ciascuno tutto intero l’universo; e l’amore finale di Dio che accoglierà al termine della storia, non solo i doni sparsi da lui, ma anche i doni prodotti dall’amore umano suscitato da Dio. Questo vuol dire “ricapitolazione universale in Cristo”: Cristo è la rivelazione massima della Carità di Dio.

Gesù chiama l’amore coniugale, divenuto “grazia” sacramentale, ad un “nuovo” atteggiamento di fronte ai sofferenti, che sono la maggioranza degli uomini e delle donne nella storia. Costretti su lettighe, handicappati, gente lacerata da mille sofferenze fisiche prodotte da un tumore selvaggio, (“il drago che ti rode dentro”, diceva D. M. Turoldo). Gente stritolata da un male congenito, dalla nascita: ciechi, sordomuti, poveri, handicappati. Gente schiacciata dalle conseguenze nefaste di un incidente stradale, oppure mutilata sul lavoro, che ti ha stroncato  i progetti nei quali avevi riposte mille speranze e tante attese. E i vecchi nelle cosiddette case di riposo, che una volta contavano in casa, in chiesa, nella società, ora aspettano la morte. Che stanno a fare? Hanno uno scopo, un ruolo da giocare? Sono mendicanti in cerca di pietà? Poveri in cerca di surrogati di speranza?

Partiamo da questa considerazione: il mondo corre sui binari dell’efficienza. Se non produci, se non riesci a costruire qualcosa nella società, a che servi da ammalato? Che cosa stanno a fare gli ammalati di fronte a questa meccanismo che stritola i più deboli? 

Generalmente gli sposi e le famiglie conoscono e vivono queste situazioni, alle quali essi di volta in volta danno delle risposte. Ora si potrebbero considerare alla luce della testimonianza di mons. Tonino Bello: “Se noi dovessimo lasciare la croce su cui siamo confitti, il mondo si scompenserebbe... La sofferenza tiene spiritualmente in piedi il mondo nella stessa misura in cui la passione di Gesù sorregge il cammino dell’universo verso il traguardo del Regno. In questo, Gesù è il nostro capo. Lui confitto su un versante della croce e noi confitti, non sconfitti, sull’altro versante della croce.... la nostra malattia è quella parte della nostra identità che ci fa rassomigliare di più a Gesù Cristo. È una tessera di riconoscimento incredibile, straordinaria. Certo, dobbiamo lottare contro la malattia... mai rassegnarci, come non si è mai rassegnato Gesù. ...Il Signore è con noi. Tanti amici sono con noi. Ci vogliono bene” (Coraggio, Lettera agli ammalati).

La Famiglia Per Le Famiglie

Questi appunti sono un riassunto ragionato delle riflessioni fatte da 44 coppie di sposi che si sono riunite per tre volte dopo la XVI Festa della Famiglia, per riflettere sull’iniziativa e dare, quindi, una risposta consapevole al Patriarca.

Premessa

La X Assemblea diocesana degli sposi che si è svolta a Venezia il 15 Ottobre 1995, aveva come titolo “Sposi, siate testimoni dell’amore di Dio dentro la storia e darete speranza al mondo”. In quell’occasione, i partecipanti hanno sottolineato la necessità di dar vita a qualche iniziativa di comunione degli sposi a favore di altri sposi e di altre famiglie meno fortunate ed in difficoltà.

Questa necessità è naturalmente il frutto del lavoro svolto non solo nell’ultima assemblea, ma anche nelle assemblee precedenti, delle esperienze maturate in questi anni, della sempre maggior presa di coscienza del ruolo degli sposi nella Chiesa e nasce dalla consapevolezza che è urgente un forte recupero di un’etica della solidarietà, innanzitutto all’interno della famiglia, ma anche nelle relazioni sociali. Questo affinché la famiglia diventi testimone dell’amore di Dio con la propria vita, nei normali gesti di tutti i giorni, e contribuisca così a costruire la civiltà dell’amore.

Significato e finalità dell’iniziativa

Durante la XVI Festa della Famiglia del 28 Gennaio 1996, per la prima volta nella storia della Chiesa in Venezia - e forse non solo di essa - il Patriarca ha chiesto espressamente agli sposi ed alle famiglie cristiane di impegnarsi pubblicamente in iniziative concrete per promuovere altri sposi ed altre famiglie.

Questa richiesta del nostro vescovo (successore degli Apostoli e con l’autorità di Cristo) ci fa uscire dal modo tradizionale in cui troppo spesso si è intesa la vita matrimoniale e familiare, per dilatare le dimensioni della sponsalità fino a coinvolgere - quasi conglobare - altre realtà sponsali e familiari (siano o no di persone credenti) che convivono con le difficoltà e con la sofferenza.

L’iniziativa non ha intenzione di entrare in competizione o di sovrapporsi ad altre realtà (Gruppi, Movimenti, Associazioni) che già operano nei vari campi della promozione umana, proprio per la diversità degli ambiti di intervento.

A questo punto è importante capire il tipo di collaborazione apostolica che il Patriarca ci chiede, caricandoci di una responsabilità che finora sembravano avere solo i consacrati. Nella sua omelia l’invito è esplicito: “Gli apostoli potete essere tutti voi... io vi dico «Date loro voi stessi da mangiare»”.  

Soggetti dell’iniziativa

Dalle parole del Patriarca, risulta chiaramente che il soggetto di questa carità non è più la singola persona, il singolo componente della famiglia, ma la famiglia nella sua globalità; cioè la famiglia come «chiesa domestica».

Egli ci chiama a superare gli schemi di partecipazione alla vita della Chiesa tradizionalmente seguiti: ci chiede di passare da uno stile di impegno personale - più che altro conseguente ad una convocazione del parroco e mirante a “far funzionare” la parrocchia - ad un coinvolgimento sponsale e familiare, dove viene privilegiato il ritmo di vita della famiglia e viene chiesto di mettere a disposizione tutto il suo tessuto relazionale ed i suoi carismi.

Non dobbiamo però dimenticare che la fonte del nostro operare è da ricercare solamente nell’amore di Cristo che vive in noi. Cristo ha affidato il suo amore alla Chiesa come comunità e la carità è rivelatrice dell’amore di Cristo solo se è realizzata “a nome della comunità”. La carità della comunità, infatti, rende efficace la carità dei singoli ed è segno che noi siamo solo strumenti nelle mani dello Spirito Santo. Quindi il primo e vero soggetto della carità, della promozione umana, rimane la Chiesa, intesa come comunità di credenti.

Destinatari dell’iniziativa

L’altra novità rilevante dell’iniziativa, come già detto, sta nell’individuazione dei destinatari. Anche l’oggetto della carità non è tanto una singola persona, un fratello nel bisogno (anche se non si può mai dimenticare l’emergenza), ma la totalità della sua famiglia. È chiaro che qui il termine famiglia va inteso in modo molto ampio e che la carità non può venir limitata solo alle famiglie cristiane, ma va estesa a tutto il tessuto sociale.

Ancora una volta il Patriarca ribadisce l’urgente necessità che si viva il cristianesimo non come fatto intimistico, personale, chiudendosi nella piccola realtà domestica ma come realtà comunitaria concreta che costruisce la storia creando una cultura della condivisione, una società dell’amore.

La richiesta fatta alla Festa della Famiglia ci dà anche la gioia di riscoprire la figura del vescovo quale padre non solo dei suoi presbiteri e diaconi, ma anche di tutti gli sposi e di tutte le famiglie a lui affidate (anche quelle dei non credenti).

Metodi e strumenti

Il Patriarca ci invita ad impegnarci pubblicamente, ma soprattutto ci sollecita a prendere coscienza del nostro ruolo ecclesiale e sociale, a capire che il nostro amore è potente (non per merito nostro ma per dono di Dio) e che dobbiamo metterlo a servizio dei fratelli. Dobbiamo prendere consapevolezza del nostro ruolo di «custodire, rivelare, comunicare l’amore di Dio» (FC 17) attraverso il nostro matrimonio, non cercando i grandi gesti, l’eroismo, ma partendo dal nostro vivere quotidiano che si può arricchire di piccole attenzioni per chi ci sta accanto.

Fare “carità” non significa tanto fare del “bene” all’uomo, ma rispondere alla vera esigenza del cuore umano che ha bisogno di essere amato da Dio; ed il Sacramento del Matrimonio rivela l’amore di Dio. A confortare questa nostra riflessione intervengono le parole del Patriarca: “...nella nostra povertà spirituale, nella fatica, nella debolezza sentiamoci amati da Dio. Proprio perché poveri e deboli, Dio vi ha consegnato il sacramento grande del suo amore, la grazia... di narrarlo al mondo... con la vostra vita quotidiana... Perché siete poveri, piccoli, umili, mansueti, Dio vi chiama alla santità più grande... di essere “eroicamente” fedeli alla vita di tutti i giorni”

Questa è la “sapienza” della coppia cristiana, non solo teologica, e neanche solo antropologica e sociologica, ma teologale: consapevolezza cioè di essere testimoni dell’amore di Dio. Solo questa consapevolezza può aiutarci a superare i limiti di non riuscire a capire, di non riuscire a fare. Impariamo a leggere tutte le possibilità che lo Spirito Santo suscita nel mondo; c’è una miniera da esplorare e da far fruttare.

È necessaria anche l’acquisizione di una competenza delle situazioni di sofferenza e di disagio per poter concretizzare il nostro servizio. Il pericolo è quello di lasciarsi trasportare dall’emotività, senza pensare che l’improvvisazione, anche nel campo ecclesiale, difficilmente può essere fruttuosa. Il vero progetto di promozione umana è di ricreare un tessuto relazionale caratterizzato da accoglienza, rispetto, servizio.

Campi d’intervento

Si tratta di individuare i campi in cui esprimere concretamente la nostra potenzialità-volontà di interventi di solidarietà. Non è pensabile, difatti, che ci si possa impegnare tutti per la risoluzione di grandi problemi umani e sociali, ognuno però può trovare il proprio spazio.

È senz’altro immediatamente realizzabile “allenare” i nostri occhi a vedere le difficoltà quotidiane all’interno della nostra famiglia e nelle famiglie di chi ci sta vicino, e farci “compagni di strada” per dare e ricevere sostegno. Questo ci sembra un passaggio obbligato mentre allarghiamo il nostro operare nella comunità alla quale apparteniamo, coinvolgendo altre famiglie ed i presbiteri, magari dopo un periodo di formazione e di sensibilizzazione (meglio se permanente).

Va ricordato che le situazioni di sofferenza derivano principalmente da disagi di tipo sociale, medico-sanitario, economico e giuridico e che quindi le risposte a tali disagi richiedono competenza (acquisibile con una formazione) e cooperazione tra famiglie e strutture esistenti sul territorio (che vanno ugualmente conosciute).

Infine va ricordato che ogni nostro gesto, ogni nostro comportamento ha una rilevanza sociale, politica e culturale e, quindi, riveste sempre un duplice significato: quello privato e quello pubblico. Nel nostro operare, non possiamo perciò prescindere da questo contesto.

Centro “S. Valentino”, 9 Maggio 1996

  Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Ricerca dei segni del Regno nell’ambito della famiglia in quanto società e in quanto comunità

Il fatto singolare è che, mentre la società ha dei fini nel tempo, la comunità non ha fini nel tempo. Essa è ai confini del tempo e dell’eterno. La comunità si giustifica da sé ed ha ragione di esistere perché è nella comunità che i membri trovano la pienezza, la dinamica della propria creazione, e quindi il superamento di ogni egoismo.

Nel linguaggio religioso diciamo che questo spazio comunitario procede da Dio e va a Dio; ma se si dovesse parlare a non-credenti, diremmo che la loro esperienza è comunitaria, non societaria, perché ha in sé un riferimento a ciò che è oltre il tempo (come dimostra l’esperienza antropologica di tutti i luoghi).

Le persone che si amano e vivono insieme, postulano il superamento del tempo, non trovano il loro senso pieno nella società, in cui pure sono immersi e che fornisce loro solo il contenitore giuridico alla sopravvivenza, il sostegno alla propria autonomia, ma mai il contenuto.

Certamente la Chiesa ha riguardo particolare alla famiglia in quanto comunità. La famiglia come società appartiene all’ordine subordinato alla logica del tempo, alle necessità economiche, a ciò che fa storia, è sostanza della storia; e l’ordine è necessario. I cristiani devono garantire, per esempio attraverso le discussioni politiche, che ci sia un diritto di famiglia tale da garantire, ai soggetti che vivono l’esperienza familiare, la possibilità di realizzare una comunità vera, autentica. Però la famiglia-comunità non appartiene all’ordine, appartiene al miracolo, cioè al possibile, al gratuito, a ciò che c’è ma potrebbe non esserci, a ciò che al nostro occhio di cristiani prefigura una realtà ultima, che è appunto il regno di Dio.

Dio è tutto in tutti, e ciascuno è totalmente aperto agli altri in una profonda comunione di spiriti, senza ostacoli e senza limiti. Questa visione ultima di una comunione universale è il limite evangelico, messianico verso cui ci muoviamo.

Nell’esperienza familiare noi notiamo, da una parte, il legame con la storia, l’inserimento nella società, che è il nostro essere nel tempo orientato ad obiettivi temporali; ma, insieme, nella vita familiare osserviamo la comunione gratuita, che nessuna legge può provocare né produrre.

Questa dualità ci permette di capire anche qual è la nostra responsabilità di cristiani: lottare perché lo Stato garantisca leggi secondo giustizia; ma tanto di giustizia non dà l’amore. Nella giustizia i rapporti fra i membri sono visti esteriormente, nella delimitazione degli ambiti di autonomia, mentre nella comunità queste delimitazioni scompaiono,  perché c'è la compresenza degli uni negli altri, degli uni per gli altri. Quindi un’esperienza superiore alla giustizia, perché laddove la giustizia è assicurata, la comunità può rivelarsi fragilissima. Anzi come comunità la famiglia normalmente non sopravvive con la sola giustizia.

Il compito dei cristiani è testimoniare la “comunità coniugale familiare”; il modello societario di famiglia è un prodotto dell’uomo, della storia, della società messa insieme.

La Chiesa in una società civile deve essere la presenza tangibile e visibile della comunità degli uomini, della comunità universale. Essa è il segno profetico di una comunione ultima. A livello ecclesiologico vuol dire che la Chiesa deve svestirsi delle forme societarie, per essere sempre più una comunità senza ragioni di necessità, una congregazione ecclesiale di tipo libero. Attraverso la libertà dobbiamo realizzare la comunità eucaristica, che è il segno più alto della Chiesa.

Cosa ci spinge quando spezziamo il pane? La fede. E cosa diciamo in quel momento? Niente che appartenga all’ordine della necessità storica. Non siamo un modello di società giuridica. Siamo un’anticipazione del regno. Diciamo che il Signore viene e che la venuta del Signore è la liberazione dell’uomo da ogni schiavitù. E quindi collochiamo dentro il tempo la fine del tempo, nel provvisorio il definitivo.

Ma non in una specie di sintesi manichea, come se noi, dandoci il bacio della pace, potessimo dichiarare che la fraternità è arrivata. Sappiamo che il nostro bacio della pace è un simbolo della nostra tensione, anche se poi viene contraddetto dai fatti della vita. Certamente non si può essere fratelli mezz’ora e poi andare a litigare in una società competitiva come la nostra.

È chiaro che questa esperienza di fraternità comunitaria si pone in una specie di distacco critico nei confronti del mondo presente, ci dispone a delle scelte politiche (per altro non deducibili da nessuna eucaristia), che inducono alla capacità di creare un ordine nel quale è possibile la fraternità, in cui la libertà dell’uomo è aperta il più possibile ad un’esperienza ulteriore che è quella della comunità ecclesiale.

La Chiesa deve essere sempre più Eucaristia. È in questo senso che la comunità coniugale e familiare vive con una sua densità ecclesiale: davvero nella famiglia il radicamento tra l’evento ultimo e la realtà “carnale” è costitutivo. Nella famiglia si parte dalle radici della terra e si anticipa l’ultimo evento.

C’è una struttura umana, il crogiolo delle speranze che è la famiglia, e dentro s’innesta la celebrazione eucaristica, la “memoria” del Signore attraverso l’ascolto della Parola e la frazione del Pane.

Piero Martinengo – S. Paolo - Mestre

Vorrei rifarmi ad alcune riflessioni del Patriarca di stamattina, e precisamente che la contemplazione della paternità e maternità di Dio, per essere vera, ci deve riportare al volto del fratello. Inoltre ci ha esortato: «Questo dovete farlo voi, e non solo all’interno della vostra famiglia, della vostra parrocchia, nell’ambito parentale, ma nei confronti di chi ha bisogno». Si chiedeva anche se «Sappiamo rivelare nella nostra vita questo amore, questo abbraccio di dolcezza di Dio». Il Patriarca ci diceva infine che l’amore coniugale deve essere esuberante, deve essere dilatato e tracimare; deve essere cioè qualcosa che non si riesce a contenere, che è diffusivo per se stesso.

A partire da ciò mi sembra che una presenza nella nostra Diocesi che esprime concretamente le parole del Patriarca sia rappresentata da “Casa Famiglia S. Pio X”. Per chi non la conosce è una casa di accoglienza per donne in difficoltà, e per i loro eventuali bambini, che si trova nell’isola della Giudecca, a Venezia e che il Patriarca ha affidato agli sposi della nostra diocesi.

Dopo la gestione della Comunità di Sammartini, attualmente la Casa è retta da alcune famiglie della diocesi,  in particolare da Olga e Gianni Belloni; il presidente è Mario Spezzamonte con la moglie Titina, che sono oggi presenti qui; anch’io partecipo alla sua conduzione. Noi cerchiamo di far vivere all’interno di questa Casa la coniugalità, questo amore coniugale che deve essere offerto anche e soprattutto a chi ha avuto esperienze negative di questo amore, e pensa sia difficile ipotizzare una convivenza, un rapporto fondato sul dono reciproco.

Lo scopo di “Casa Famiglia”, quindi, non è solo di dare un aiuto concreto materiale, ma quello di costituire un progetto affettivo, di soluzione concreta di casa e di lavoro, per far ritornare, nella vita, queste persone autonome.

In questo momento rinnovo l’appello fatto l’anno scorso a Quarto d’Altino per qualche coppia che ci aiuti anche con una permanenza all’interno della Casa; stiamo cercando qualche famiglia, qualche mamma che aiuti queste donne ad essere mamme perché loro hanno difficoltà a educare i loro figli: perciò mamme che aiutino altre mamme. Cerchiamo anche delle persone sole o apparentemente sole, che possano e che vogliano dedicare la loro vita a queste persone, non in un atteggiamento di volontariato, ma di condivisione e di comunione in relazione alla coniugalità.

I componenti del gruppo che segue Casa Famiglia stanno facendo una esperienza molto bella che vi sintetizzo con le parole di un inno di padre Turoldo: “Amore che mi formasti a immagine dell’Iddio che non ha volto, amore che sì teneramente mi ricomponesti dopo la rovina, amore, ecco mi arrendo. Sarò il tuo possesso eterno”.

Coloro i quali si sono accostati a Casa Famiglia hanno fatto questa esperienza concreta d’amore.

Fiorella Ferrari - Gesù Lavoratore - Marghera

Sono sposata da dieci anni, e ho un bambino di nove. Mio figlio è convinto di essere nato non perché l’abbiamo voluto noi, ma perché Dio, in un certo punto della sua vita, gli ha detto: «Vai, Matteo, ti hanno chiamato».

Da due anni sente il bisogno di avere un fratello o una sorella che però non arriva. Allora, alla sera, quando si corica nella sua cameretta dove ci sono due lettini, dice: «Mamma, papà, questo lettino è sempre vuoto. Vuol dire che io non sono buono, perché Dio non mi manda un altro fratello o un’altra sorella?». Allora gli rispondo: «No, Matteo, non è che tu non sia buono, o ti comporti male, evidentemente non è il momento che arrivi». Allora mi ribatte: «Ma tu sei sempre impegnata con la scuola, con la parrocchia, aiuta questo, aiuta quell’altro, non hai tempo per me. Se io ti chiedo di fermarti cinque minuti, mi dici sempre che devi andare di qua o di là».

Tempo fa mons. Silvio Zardon, durante una riunione vicariale, mi ha fatto riflettere dicendo che la prima cosa di cui bisogna ricordarsi è la famiglia. Non esiste famiglia se non c’è unità, e la famiglia comincia a scricchiolare un po’ se un bambino chiede alla mamma di fermarsi cinque minuti per giocare, o al papà di guardargli i compiti. Non possiamo rispondere sempre  di no perché dobbiamo andare in parrocchia o perché dobbiamo aiutare un’altra persona. Allora ci siamo rivisti un po’ e ci siamo detti che è giusto aiutare il prossimo, ma prima di tutto deve venire la famiglia.

Anna e Marino Moretti – S. Michele Arcangelo – Quarto d’Altino  

Nella nostra esperienza di famiglia, il Signore ci ha educato con dolcezza e amore, ma solo da poco ce ne siamo accorti.

Tutto quello che siamo o facciamo lo dobbiamo a Lui; non abbiamo niente di nostro da donare. Di questo non siamo ancora pienamente consapevoli, ma ciò non significa che Dio Padre non si serva già di noi. Vogliamo perciò prendere sempre più coscienza di quanto e come il Signore ci ama, di cosa ci chiede di fare per Lui e per i fratelli.

Ci siamo avvicinati a Lui attraverso la preghiera e il discernimento appresi nell’esperienza EVO (Esercizi spirituali Vita Ordinaria). Il nostro modo di rivelare il volto amorevole di Dio ci sembra  possa consistere nel “prenderci cura” (l’uno dell’altra, dei figli, dei genitori, degli amici, di chiunque ha bisogno di aiuto umano e spirituale, di chi è nella sofferenza).

Questa si sta delineando come la nostra missione, il modo unico che il Padre ci affida per continuare e portare a compimento, nel nostro piccolo, il suo Regno. Particolarmente importante è il compito di accompagnare spiritualmente le persone, facendo fare loro esperienza dell’amore del Padre e gustando le meraviglie e i cambiamenti che esso opera.

Sandra e Piero Santostefano – S. Cuore - Ca’ Vio

Ci è particolarmente piaciuta la lettura della parabola del “Padre misericordioso” nei due momenti chiave sottolineati dal Patriarca.

Illuminante ci sembra la definizione del concetto di peccato insita nelle parole iniziali con cui si descrive l’allontanamento del figlio dalla casa paterna (e, supponiamo, materna).

L’altra citazione che ha acquistato nuovo valore è relativa all’incontro tra padre e figlio tornato a casa.

Troppe volte ci siamo dimenticati che anche noi, come il Padre, dobbiamo andare incontro a chi ha deciso di cambiare, pur reduce da situazioni riprovevoli.

Gruppo Sposi Altobello

Noi credenti spesso ci identifichiamo nel figlio maggiore; aspettiamo sempre dal Padre una gratificazione per il nostro essere credenti, facciamo fatica ad essere umili e riconosciamo che noi non diamo niente ma siamo sempre più elargiti di grazia da parte del Padre.

Un’altra riflessione: noi diciamo di “credere in Dio” ma non ci abbandoniamo a Lui totalmente; vogliamo avere sempre il controllo, quindi ci fidiamo più di noi che di Dio, non ci “fidiamo di quello che vediamo”.

Nella preghiera dobbiamo imparare a saper “ascoltare Dio” più che parlare a Dio perché ascoltando sapremo sempre più interiorizzare ciò che Dio vuole da noi per poterlo vivere nella vita quotidiana ed essere più attenti ai bisogni degli altri.

Marilena e Vincenzo Nappi – S. Nicolò  - Mira Taglio

Abbiamo ricordato un fatto accaduto una di queste sere nella nostra famiglia quando sembrava che si stesse avvicinando una vera bufera con nostro figlio: c’erano tutte le condizioni perché la serata finisse male ed invece mio marito ed io abbiamo invitato Claudio a non chiudersi nella propria stanza; lo abbiamo pregato vivamente di tentare un colloquio.

È stata una chiacchierata intensa e coinvolgente e il nostro ragazzo ci ha assicurato che si sentiva ascoltato e capito, che stava bene con noi e diceva queste cose con gli occhi velati di lacrime.

In quei momenti forse siamo riusciti a rivelare il volto e l’amore di Dio a nostro figlio e viceversa.

È finito con un abbraccio ed una buona notte e ne eravamo tutti e tre felici.  

ministero regale-sociale-politico

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Gli sposi e la famiglia devono avere un peso politico

1. La famiglia, la società e lo Stato sono chiamati a vivere in pienezza. La famiglia è il “luogo” di amore, di promozione e di difesa della vita, di comunicazione, di creazione di “senso personale e comunitario”, di “servizi” anche alla società e alla democrazia.

La famiglia “solidale” è quella che ha coscienza di sé e del suo valore, tiene vivo il circuito delle relazioni primarie al suo interno, vive la solidarietà con le altre famiglie e si colloca nella società civile come protagonista. Non basta che una famiglia sia una convivenza “funzionale” a solo vantaggio individuale dei singoli componenti, dove i pesi non vengono condivisi ma scaricati.

Una famiglia “solidale” al suo interno, nel riconoscimento dei diritti personali di tutti i suoi componenti, diventa una scuola di vita dove si compongono realizzazione personale e responsabilità, soggettività e coscienza del limite, esperienza di “accoglienza” accolta e data.

Il senso di appartenenza che nasce nel vissuto della quotidianità familiare è il presupposto per la maturazione di un senso di appartenenza sociale e politica più ampio. Sta qui il vero motivo per cui la famiglia è “soggetto politico” e come tale va promosso. Di questo principio parlano la “Familiaris consortio” e la “Carta dei Diritti della Famiglia”: deve realizzarsi sì, una politica “per” la famiglia, ma sempre “con” la famiglia e “della” famiglia.

Allora le famiglie hanno il diritto e il dovere di intervenire in ogni ambito della politica, in forza del principio di “sussidiarietà” - fondamentale nella dottrina sociale della Chiesa -, che pone questi punti fermi:

·       la società e lo Stato non devono intervenire là dove le famiglie hanno la capacità di intervenire e di fatto intervengono;

·       la società e lo Stato hanno il dovere di aiutare le famiglie ad autorealizzarsi all’interno della società e dello Stato;

·       in modo specifico, le famiglie hanno il diritto di intervenire nell’ambito propriamente coniugale e familiare.

2. Ma l’intervento delle famiglie nell’ambito sociale e politico, è possibile ad una duplice condizione:

·       l’unione delle forze, come indica la Familiaris Consortio;

·       e puntando decisamente sull’originale funzione educativa della famiglia.

Infatti, l’influsso sociale e culturale delle famiglie può e deve svilupparsi a partire da qualcosa di originale, di proprio: educare i componenti della famiglia, in particolare i figli, al “senso” della vita, alla “ragione” della vita. Ciò ha una forza singolare per modificare, e in profondità, gli atteggiamenti e i comportamenti della vita personale e sociale.

E qual è il contenuto del “senso” della vita umana?

“Annunciare” il progetto della vita umana come “dono che si fa dono”: la persona è un essere “con” gli altri, e “per” gli altri, e matura come persona nella misura in cui, coscientemente e liberamente, si apre agli altri e si dona agli altri.

Il possedere perciò, in modo lucido e responsabile, il “senso” della vita, consente di affrontare i più diversi e difficili problemi dell’esistenza umana propria ed altrui. Chi conosce il senso della vita, sta in “comunione-donazione”, sa ritrovare questo stesso senso anche nella vita degli altri, in quella vita provata dalla sofferenza, dall’handicap, dalle varie forme di povertà e di emarginazione, che, secondo i parametri dell’attuale cultura dominante, non conta, non vale.

Il peso sociale e politico delle famiglie nasce unicamente da qui: educare al vero senso del vivere umano.

3. Il compito della famiglia cristiana. La famiglia è cristiana, quando è nata con il Sacramento del Matrimonio. Di conseguenza, si deve ricercare proprio nel Sacramento del Matrimonio “la specificità cristiana della sua responsabilità politica”.

È questo stesso sacramento il “luogo” nel quale viene proclamata l’istanza etica dell’impegno politico della coppia e delle famiglie cristiane. E’ dal sacramento che deriva ed è sostenuto il “comandamento” rivolto ai coniugi di impegnarsi politicamente.

Possiamo parlare di una “grazia politica” donata dal Sacramento del Matrimonio, una grazia che costituisce la risorsa interiore e l’impulso continuo per assumere e vivere la responsabilità sociale.

È assolutamente necessario che le famiglie cristiane conoscano e vivano questa grazia che il Sacramento del Matrimonio offre loro. In tal modo l’impulso all’impegno sociale e politico non deriva alla famiglia da nessuna autorità esterna o dalle circostanze storiche entro le quali è inserita, ma le deriva da quel “cuore nuovo” che è stato creato dallo Spirito Santo effuso mediante la celebrazione del Sacramento del Matrimonio:

“Il compito sociale proprio di ogni famiglia compete, ad un titolo nuovo ed originale, alla famiglia cristiana, fondata sul Sacramento del Matrimonio. Assumendo la realtà umana dell’amore coniugale in tutte le implicazioni, il sacramento abilita e impegna i coniugi e i genitori cristiani a vivere la loro vocazione di laici, e pertanto a «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (LG 31). Il compito sociale e politico rientra in quella missione regale o di servizio, alla quale gli sposi cristiani partecipano in forza del Sacramento del Matrimonio, ricevendo ad un tempo un comandamento al quale non possono sottrarsi ed una grazia che li sostiene e li stimola. In tal modo la famiglia cristiana è chiamata ad offrire a tutti la testimonianza di una dedizione generosa e disinteressata ai problemi sociali, mediante la scelta “preferenziale” dei poveri e degli emarginati. Perciò essa, progredendo nella sequela del Signore mediante una speciale dilezione verso i poveri, deve avere a cuore specialmente gli affamati, gli indigenti, gli anziani, gli ammalati, i drogati, i senza famiglia” [1] [4] .

La questione della “responsabilità politica” della famiglia, prima che essere questione di iniziative concrete e precise, è questione “culturale”, ossia questione di “mentalità”. Ma l’identità cristiana della famiglia comporta la conoscenza e la valorizzazione di questa “grazia” e di questo “comandamento”, che derivano dal “sacramento celebrato”: celebrato e quotidianamente vissuto!

Si, è il dono sacramentale del “cuore nuovo” la ragione più forte e la sorgente più stimolante perché le famiglie - le famiglie cristiane per prime - escano da quella latitanza che spesso e volentieri sono solite addebitare alla società e allo Stato.

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Comportamenti alternativi nella Centesimus Annus (36-39).

Solo dentro a un contesto e un disegno consapevole di una economia civile assumono un significato singoli comportamenti, come il risparmio solidale gestito attraverso una banca etica, l’acquisto di merce come quella del commercio solidale, l’operazione “Bilanci di giustizia” proposta per le famiglie, le varie forme di consumo, le varie forme di consumo critico e di boicottaggio di certi prodotti, gli itinerari di turismo responsabile, le adozioni a distanza di bambini come modalità diretta di cooperazione e di solidarietà, le reti territoriali di aiuto reciproco e le cosiddette “banche del tempo”, l’organizzazione dell’azionariato popolare per una informazione più controllata e rispettosa della verità

Che cosa hanno in comune tutte queste forme e altre di cittadinanza attiva e solidale? Essenzialmente tre dimensioni:    

a. il coinvolgimento diretto delle persone,

b. la centralità della realtà economica,

c. l’organizzazione dell’azione sociale.

E l’obiettivo operativo è: giungere ai comportamenti economici alternativi, a scelte di economia “leggera” che sono alla portata di ogni cittadino. È forse questo il modo migliore per avviare un processo che coinvolga un numero ampio di persone e che sia finalizzato, attraverso azioni sociali, a introdurre elementi di giustizia, equità e solidarietà nel mondo dell’economia.

È quanto appunto afferma il Papa: “È, perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda  l’educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche autorità. ... Non è male desiderare di viver meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume migliore, quando è orientato all’avere e non all’essere e vuole avere di più non per essere di più, ma per consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso. È necessario, perciò, adoperarsi per costruire stili di vita, nei quali la ricerca del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti. In proposito, non posso ricordare solo il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio “superfluo” e, talora, anche col proprio “necessario” per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero. Alludo al fatto che anche la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una «scelta morale e culturale». Poste certe condizioni economiche e di stabilità politica assolutamente imprescindibili, la decisione di investire, cioè di offrire ad un popolo l’occasione di valorizzare il proprio lavoro è anche determinata da un atteggiamento di simpatia e di fiducia nella provvidenza, che rivelano la qualità umana di colui che decide" (36).

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Umanizzare l’economia

Non c’è dubbio che tanta parte della conflittualità di­lagante nella società è dovuta ad un sistema economico strutturalmente iniquo. Nella Centesimus Annus (33) il Papa lo conferma con forza: “Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggio­ranza, non dispongono di strumenti che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all’interno di un si­stema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base, che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di en­trare nella rete di conoscenze e di intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate e utilizzate le loro qualità..." l

“... queste critiche sono rivolte non tanto contro un siste­ma economico, quanto contro un sistema etico- culturale. L’economia, infatti, è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l’oc­cupare il centro della vita sociale e diventano l’unico va­lore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi” (39).

Cosa può fare il singolo cittadino, da solo o insieme alla sua famiglia, alla comunità, alle associazioni per cambiare questo sistema non sostenibile di economia, per renderlo più umano o almeno per ridurre la propria complicità con i meccanismi perversi di un modello economico che non si cura dei diritti dell’uomo e appare lontano dai fondamentali principi dell’etica?

La cittadinanza attiva si esprime oggi non solo sottoscrivendo dichiarazioni e documenti, ma soprattutto organizzando la solidarietà e la democrazia in comportamenti da realizzare in prima persona, nella famiglia e nel gruppo, così come in grandi movimenti e organismi sociali. Piccoli gesti di un’economia “leggera” che si iscrivono però in grandi orizzonti.

Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

Democratizzare l’economia

Questi comportamenti scendono a suscitare un processo di democratizzazione dell’economia a partire dal cittadino e dal territorio. Il valore-guida adatto a svolgere le funzioni di orientamento complessivo della vita economica non può che essere individuato nella libertà coniugata con la “solidarietà” e con la “giustizia”.

Non che i parametri economici siano da trascurare - che anzi restano alla base di un reale miglioramento delle condizioni materiali della vita - ma è necessario che vengano integrati da parametri antropologici ed ecologici.

Sicché se un modello di sviluppo assicura un incremento di ricchezza, ma contemporaneamente produce un generale impoverimento antropologico, o un danno ecologico, questo modello è da ritenere non sostenibile, in quanto intrinsecamente violento, non orientato a un’economia di pace, di giustizia e salvaguardia del creato. Oggi però la gravità della situazione è tale che non basta più insistere unicamente sull’etica dei singoli comportamenti economici dei cittadini: occorre anche intervenire a livello di ETICA DELLE ISTITUZIONI ECONOMICHE.

Tuttavia, se non si modificano certe regole del gioco, se non si interviene sui meccanismi generatori di distorsioni e di ineguaglianze strutturali, l’aspetto a comportamenti individuali, eticamente ispirati, rischia di essere inefficace e di andare incontro a pericolose frustrazioni.

In definitiva, occorre prendere atto che un’economia dal volto umano richiede che si ripensino ex novo le relazioni tra  mercato, Stato e società civile, quest’ultima intesa come insieme articolato di soggetti collettivi intermedi, il cosiddetto terzo settore.

Rosella Cerchier – S. Maria Concetta - Eraclea

Faccio parte con Alberto Argentoni dell’Associazione Amici del Consultorio del Litorale, un’emanazione del Consultorio S. Maria Mater Domini di Venezia. Il mio intervento si pone soprattutto per ricordare l’esistenza, anche qui a Eraclea, di questo servizio, che si rivolge a tutto il litorale e quindi anche a Jesolo e Caorle.

È un servizio molto importante per le coppie, per le famiglie, anche per i singoli e interviene in due settori. Il primo ambito è la consulenza, offerta a tutti rispetto alle tematiche e problematiche che normalmente possono incontrare le famiglie. L’altra attività è la formazione che si espleta nell’organizzazione di corsi, per parrocchie, per scuole, dove vengono coinvolti gli adulti educatori, siano essi genitori, insegnanti o educatori.

Con Alberto si rifletteva che l’esperienza del Consultorio è sicuramente una proposta con cui si esprime in maniera concreta, e in modo forse diverso, la maternità e la paternità anche a livello comunitario.

Giuliano Roma - S. Tiziano di Stretti - Eraclea

Assieme ad un gruppo di persone qui presenti ci siamo chiesti se questa nostra voglia di conoscere il Padre, non rispecchi in definitiva il desiderio di cercare dei modelli in cui specchiarsi e quindi poter realizzare in questa società i valori cristiani, cattolici e sociali, che oggi ci sono.  

  AL SOMMARIO

Prima della conclusione dell’Assemblea, i coniugi Giantin, a nome della  Commissione, hanno consegnato al Patriarca un segno di riconoscenza consistente nella copia dell’icona russa del XVI secolo rappresentante s. Luca, opera dell’artista triestina Annamaria Del Pra Temperini.

 

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POSTFAZIONE

di Mons. Silvio Zardon[2] [5]

Gli sposi soggetti di pastorale

Siamo arrivati alla XIII Assemblea diocesana degli Sposi. Abbiamo cominciato nel 1986 e poi siamo stati incoraggiati a proseguire nel proporre questi incontri dalla lettera pastorale Il granello di senapa, in cui il Patriarca diceva a tutta la diocesi: “Bisogna che ci decidiamo a passare da una pastorale prevalentemente - ed a volte esclusivamente - per i bambini, ad una pastorale degli adulti nella quale essi devono diventare soggetti della pastorale”.

Ci è sembrato ovvio, allora, che gli sposi, per il sacramento del Matrimonio e per il ministero che hanno (parola grossa, ma vera), prendessero sempre più coscienza che nella Chiesa non possono essere trainati ma possiedono delle grandi responsabilità. Oggi è inconcepibile, per esempio, una comunità parrocchiale che non sia guidata dal parroco insieme ai battezzati, in modo particolare insieme agli sposi.

Questo è un tema molto impegnativo ma da sostenere. La chiesa locale, che si raduna sotto la guida del vescovo, trova la sua ragione d’essere proprio nel veder collocati i vari carismi e ministeri al suo interno, perché la loro efficacia è garantita nella misura in cui si vivono insieme le esigenze pastorali e le “sfide” che il mondo d’oggi propone alla Chiesa. Quindi trovarsi una volta all’anno vuol dire proprio fare il punto della situazione, cercare di prendere maggiormente coscienza delle proprie potenzialità e fissare delle prospettive concrete in “Assemblea pastorale”.

Credo anche che vi sentiate partecipi dell’Assemblea e non semplici invitati; ne è testimone il fatto che a questo appuntamento aderite sempre numerosi. È vero che non c’è una grande crescita, ma è anche vero che non c’è un calo: vuol dire che lo Spirito ci sta guidando.

Gli sposi devono essere soggetti della pastorale. Le argomentazioni che sono emerse oggi, a partire proprio dalla paternità di Dio che fonda la paternità e maternità degli sposi, fanno capire ancora di più la collocazione degli sposi nella Chiesa e nel mondo. Occorrerà riflettere molto attentamente che la partecipazione nella Chiesa è un discorso per battezzati, e, quindi, dovrebbe essere determinata da una scelta personale, dalla volontà di prendere parte alla vita della Chiesa. Che posto occupo, secondo il progetto di Dio, nella chiesa a partire dalla mia chiesa domestica, dalla mia famiglia? Si viene qui anche per rispondere a questa domanda.

La ministerialità degli sposi

In secondo luogo desidererei confermare che la riflessione del Patriarca merita sempre ampia attenzione, anche nel tempo. Le cose, specialmente a questo livello, vanno colte con calma, nel silenzio, nei luoghi e nei momenti giusti della nostra vita. In casa, in parrocchia e anche nella comunità degli uomini. Perciò l’incontro di oggi non può essere concepito se non aperto. A quali traguardi? Il Signore solo lo sa. Però i traguardi ci saranno nella misura in cui ci sentiremo responsabili di quello che il Signore ci ha donato oggi: è una ricchezza immensa come avete affermato negli interventi.

Direi che in questo giorno abbiamo incontrato il Signore. Ogni pastorale infatti deve essere un tentativo di incontrare il Signore. E l’abbiamo incontrato attraverso il nostro vescovo e attraverso i volti di ognuno di noi quando si è ritrovato insieme agli altri. In quello che stiamo facendo c’è un’apertura che richiederà sempre maggiori attenzioni. Abbiamo capito che nei temi della paternità e maternità degli sposi, a partire dalla paternità di Dio, troviamo il senso vero, nodale della pastorale degli sposi nella Chiesa e nel mondo. Nel senso che abbiamo cercato di vedere la ministerialità dei coniugi in tre articolazioni: profetica, sacerdotale, regale. 

I ministeri profetico, sacerdotale, regale

Il ministero profetico è annunciare Dio e il progetto di Dio nella storia attraverso gli sposi. Per questo oggi siamo stati richiamati alla necessità di guardare molto attentamente al tema della paternità e maternità rispetto alla natalità, alla fecondità che non è soltanto quella biologica. Il tema educativo – oggi appena sfiorato - è implicito. Su questo grosso tema dovremmo cercare di orientarci. Tra l’altro più di qualche sposo e sposa mi dicevano: “Si dice che siamo educatori e cerchiamo anche di farlo, però spesso ci troviamo svantaggiati, inadeguati, anacronistici. Ci vorrebbe qualcosa che ci aiutasse a diventare migliori educatori dei nostri figli, cioè dell’umanità”. Occorrerà impegnarci a fare qualcosa per cui gli sposi imparino sempre di più con l’aiuto di altri sposi (e magari anche del Consultorio) a diventare degli ottimi educatori, perché poi è inutile piangere sulle situazioni di disagio di cui soffrono i nostri bambini.

Nel ministero sacerdotale emerge profondamente la nota dell’amore di Dio che vuole riversarsi continuamente nell’umanità. Allora per gli sposi qual è il compito sacerdotale? Poiché godono di un particolare dono dell’amore di Dio e di questo ne sono sacramento, essi dovrebbero dire agli uomini con la loro vita che questo amore di Dio esiste. E così facendo esercitano il ministero sacerdotale. Per questo vi siete impegnati, su raccomandazione del Patriarca, per La Famiglia per le Famiglie. Ci sono famiglie che stanno soffrendo a causa delle difficoltà coniugali, delle difficoltà prodotte dalla presenza di malati nella casa. Queste situazioni possono provocare difficoltà alla convinzione che il Signore ami ancora e che sia possibile amarsi.

Il terzo ministero è quello regale, o sociale - politico. Come dire che tutti i cristiani sono impegnati a costruire insieme con tutte le persone la città degli uomini, come ci è stato ricordato. Ebbene questo impegno sociale, politico e culturale è una mansione che svolgete già nelle vostre case, con i vostri figli e tra di voi. Questa assunzione di responsabilità per la costruzione della civiltà dell’amore, però, non può essere pensata se non si collabora, se non si vive una esperienza cristiana insieme per poter dare una testimonianza persuasiva all’uomo d’oggi.

Ecco quello che cerchiamo di fare in proiezione futura. Prossimamente dovremmo convocarci come sposi insieme con i preti per prendere in mano questi problemi. Basta ricordare solo, per esempio, due temi: quello della biogenetica e il problema delle famiglie che stanno soffrendo. Il caso di Casa Famiglia ricordato da Piero Martinengo è emblematico, per dire che ci sono molte persone che hanno bisogno di essere costruite interiormente e di capire il senso dell’amore nella vita: perciò ci vogliono dei testimoni. Non andate a casa senza l’intenzione di dire al vostro parroco che ci sono moltissime cose che potrebbero impegnare il gruppo sposi parrocchiale e la realtà coniugale di ciascuno di noi.

Un impegno continuo nel cammino di fede

Oggi è la festa di s. Luca e ho abbandonato la mia parrocchia per amore della Pastorale Familiare: è una cosa che merita un applauso! Però anche questa è una bella famiglia; ci conosciamo tutti e ci incontriamo volentieri. C’è un bel clima oggi, come molti di voi mi hanno detto; forse favorito anche da “poenta e costa”? Grazie don Mario e grazie al gruppo numerosissimo che ha collaborato per questo riuscito appuntamento. Non è detto che non vi sfrutteremo ancora per altri incontri di questo livello, perché effettivamente ci siamo trovati bene.

Se permettete devo dire grazie anche alla Commissione della Pastorale degli Sposi e delle Famiglie, perché io sono un prete e combino poco, ma loro fanno tutto; non si tratta di portare avanti solo una organizzazione ma dei valori e questi costano fatica. Però dobbiamo riconoscere che questo lavoro sta producendo degli effetti.

A questo proposito vorrei concludere segnalandovi che ci sono in diocesi delle esperienze di sposi che stanno facendo un cammino di fede; chissà che si incrementino. Quando si accenna alla formazione al Matrimonio, il Patriarca ci dice sempre: “Che bello sarebbe se i corsi diventassero sempre più cammini di fede!”. Occorre fatica per realizzare il clima propizio ai cammini di fede. Però esistono.

Mi piace dirvi che il mese scorso un gruppo di coniugi, che sta compiendo questa esperienza, ha trovato come meta del loro cammino di fede il pellegrinaggio in Terra Santa. Se gli sposi comprendono e realizzano il cammino di fede, allora diventa possibile ogni tappa. Il viaggio l’abbiamo fatto assieme ai bambini: è stata un’esperienza di famiglia unica, ricca, almeno per noi.

Questo non tanto per invogliarvi ad andare in Terra Santa, ma per dire che è necessario che gli sposi, specialmente quando si trovano di fronte ad impegni così forti che il Signore offre, contemplino il Signore. Ma la contemplazione avviene soltanto se ci si impegna continuamente in un cammino di fede.

CONCLUSIONE DEL PATRIARCA

Poiché fra poco andremo a celebrare l’Eucaristia, durante la quale avrò modo di parlarvi ancora, mi astengo dall’aggiungere qui altre cose. Desidero, però, ribadire brevemente tutti i ringraziamenti che sono stati fatti.

Voglio esprimere la mia profonda gratitudine al Signore, ma anche a tutti coloro che hanno lavorato per preparare questa giornata, a don Silvio, alla Commissione; questo appuntamento nel nostro anno pastorale è stato ancora una volta molto significativo per tutti quanti noi. Non ritorno sulle cose che sono già state dette ma mi piacerebbe andaste via con la certezza che anche per me questo è un appuntamento importante.

Nel pomeriggio vi ho ascoltato, sempre con la gioia di imparare qualcosa di veramente bello e di godere per la crescita dei laici nella Chiesa che il Signore mi ha donato: il dono più grande che vado ogni giorno scoprendo. Quindi grazie proprio di cuore, a tutti.

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA

Introduzione alla celebrazione Eucaristica - don Mario Liviero

Padre carissimo e carissimi sposi rinnovo la mia gioia di avervi ospitato; mi pare sia stata una giornata bella e fruttuosa. C’era in me qualche trepidazione sia come membro della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia, sia come parroco di questa comunità. Se siete stati contenti della nostra ospitalità dovete ringraziare - ma del resto l’avete già fatto - le tante persone che hanno offerto la loro disponibilità e la loro opera.

Siamo contenti se l’Assemblea ha raggiunto i suoi obiettivi e se gli sposi partono da qui incoraggiati a vivere la loro impegnativa vocazione di padri e di madri radicata nella paternità di Dio. Ci consenta, Padre, di dire che noi tutti siamo riconoscenti a Dio perché facciamo esperienza della sua Paternità divina anche attraverso la sua paternità di Patriarca.

L’Assemblea degli sposi ha sempre lanciato dei ponti verso il Seminario per esprimere che le vocazioni sacerdotali sono tanto condizionate dalla qualità della fede delle famiglie. Abbiamo celebrato anche un’Assemblea straordinaria degli Sposi per richiamare tutto questo. Eraclea ha dato parecchi sacerdoti alla diocesi, attualmente ha seminaristi a studi inoltrati e vicini a momenti importanti nella loro preparazione. Non mancano neanche le speranze concrete di averne altri, anche religiosi, religiose ancora.... in formazione.

Anche qui vogliamo riaffermare lo stretto legame tra famiglia e vocazioni sacerdotali e religiose onorando, per questa volta, i genitori o qualche familiare dei sacerdoti di Eraclea, sia diocesani che religiosi. Sono presenti nelle prime file. Abbiamo una sorella di padre Cristoforo Pasqual;  la mamma di padre Agostino Piovesan; la nonna di Mirco, un diacono qui presente, che diventerà prete l’anno prossimo; il papà e la mamma di don Alessandro Manfrè. C’è anche la mia mamma.

Ci sono anche i genitori di don Gianni Antoniazzi; la mamma e la sorella di don Alico; la mamma di Cristian, che tra poco presenteremo perché sia accolto tra i candidati al sacerdozio. Sono presenti la mamma di don Vittorio Scomparin; il papà e mamma di don Fabio, il nostro nuovo cappellano; una delle tante sorelle di don Roberto e don Armando Trevisiol; il papà e la mamma di don Sandro Vigani e la cugina di padre Fabrizio Emanueli, salesiano, che Lei ha ordinato alcuni anni fa. Manca la sorella di don Antonio Moro, che per la sua età non può muoversi.

Ecco, questi sono i nostri preti.

Patriarca Marco

Grazie a te don Mario e in te a tutta la tua comunità per l’accoglienza non soltanto veramente generosa ma anche di estrema cordialità che oggi ci avete riservato. Grazie anche per le parole belle che ci hai rivolto in questo momento e grazie per aver portato qui i familiari più stretti dei sacerdoti, religiosi e missionari di questa comunità, che sono veramente tanti, e questo è un segno della benedizione di Dio su questa comunità. Che il Signore veramente la conservi.

OMELIA DEL PATRIARCA

Per il Papa e per le missioni

Fratelli e sorelle carissimi, vorrei ricordare a tutti sia il ventennale dell’elezione al supremo pontificato del nostro Papa Giovanni Paolo II, che la diocesi di Roma festeggia oggi, sia la Giornata Mondiale per le Missioni. Due motivazioni che devono essere fortemente presenti nella nostra preghiera, perché ci danno la vera dimensione dell’Eucaristia che stiamo celebrando, una dimensione che va al di là delle nostre persone e delle nostre stesse comunità, ma che deve aprire il cuore a tutta quanta l’umanità.

Vorrei meditare molto brevemente con voi sulle letture che sono state proclamate.

La preghiera mobilita la potenza di Dio

La prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, ci presenta la bellissima figura di Mosè, che diventa intercessore per il suo popolo che deve combattere contro i propri nemici, contro Amalek. Le forze del popolo di cui Mosè è a capo sono esigue ed allora egli mette in moto la potenza stessa di Dio.

Infatti, la preghiera mobilita, attiva la potenza di Dio. Forse mi esprimo in modo troppo semplicistico, troppo banale, ma quando preghiamo, noi mettiamo in gioco l’infinito amore di Dio e la sua stessa potenza. Mosè quindi è intercessore per il suo popolo.

Vorrei allora dire a voi, cari sposi, di prendere coscienza che nonostante la nostra pochezza, ciascuno per le proprie responsabilità, noi siamo intercessori. Voi per le vostre famiglie, io per la comunità che il Signore mi ha affidato, tutti insieme per le famiglie e per gli sposi che sono in difficoltà. Quando preghiamo, ad agire non è più soltanto la nostra povera preghiera, ma infallibilmente con noi agisce l’infinita potenza di Dio. Ricordiamocelo: è un atto di fede.

Potreste obiettare di avere pregato tante volte il Signore, ma di non essere stati ascoltati, ma vi rispondo che già Gesù qualche volta ha pregato il Padre e sembra non sia stato ascoltato. In realtà il Padre gli ha dato infinitamente di più di quanto Gesù chiedeva, poiché gli ha dato la salvezza di tutti noi. Il Padre ci ascolta sempre. La preghiera è sempre una supplica che sale a Dio e non ritorna sulla terra senza che Dio l’abbia ascoltata.

E siete intercessori per le vostre famiglie, per le nostre comunità, per gli sposi e per le famiglie che hanno bisogno di un aiuto particolare del Signore.

Pregare senza stancarsi

Il Vangelo ci presenta questa vedova, che insiste senza stancarsi, finché il giudice l’ascolta, non perché sia convinto delle sue ragioni o perché ne sia intenerito, ma perché non ne può assolutamente più e vuol levarsela dai piedi. Gesù, con questa parabola, vuole dirci che dobbiamo avere il coraggio della preghiera perseverante, il coraggio di chiedere e di confidare nel Signore, di fidarci di Lui, di bussare alla porta del suo cuore anche quando abbiamo l’impressione che dall’interno della casa non ci venga una risposta.

Desidero sottolineare due espressioni che compaiono nel brano del Vangelo che è stato proclamato.

La prima è “senza stancarsi”. Come Mosè, tante volte anche noi siamo stanchi e la preghiera non esce dalla bocca; pregare è come mangiare la stoppa. Siamo stanchi per il lavoro, per la giornata faticosa, perché siamo pieni di preoccupazioni. Il cuore è stanco, ma dobbiamo pregare lo stesso. Dobbiamo pregare anche se non sentiamo nessuna spinta, anche se dobbiamo tirare fuori le parole con tutta la forza della nostra volontà. Dobbiamo pregare, senza stancarci, senza lasciarci sopraffare dalla stanchezza.

Dio vede la nostra stanchezza, è commosso dalla nostra stanchezza; Dio ascolta la nostra stanchezza. Si può pregare bene anche quando si è stanchi. Non si ha più neanche la forza di dire le parole: ne bastano una, due, una formula, un’Ave Maria, un Padre Nostro, perché li abbiamo imparati a memoria, ma diciamoli lo stesso. Dio ci ascolta. Papà e mamme, quando siete stanchi non c’è bisogno che i vostri figli parlino, vi guardate in faccia e li capite.

Pregare di notte

L’altra espressione è: “di notte”. Gesù ci chiede di pregare giorno e notte, ma voglio sottolineare il termine “notte”, non per dire che dovete pregare di notte quando dovete dormire perché siete stanchi, ma per richiamarvi alla mente quel buio in cui ci troviamo quando non capiamo più niente; cosa sta capitando in famiglia, nella vita, con i nostri figli? E qualche volta vi sarete chiesti: cosa sta capitando fra me e mio marito, o fra me e mia moglie? «Ci vogliamo bene, cosa sta capitando?».

La notte. Dobbiamo pregare anche in questa “notte”, anzi pregare con il coraggio della fiducia in Dio. Che non sia mai la notte ad affievolire la nostra preghiera, né la stanchezza, né il fatto che non riuscite più a pronunciare le parole, perché non si prega con le parole, si prega perché il nostro cuore si apre a Dio. Non si affievolisca la nostra preghiera; anzi, nella notte, cioè nelle difficoltà, dobbiamo maggiormente pregare.

Le sante Scritture aiutano la famiglia a crescere

Nella seconda lettura l’Apostolo Paolo – ormai vecchio e vicino alla morte - scrive al discepolo Timoteo, che lascia vescovo della comunità di Efeso, solo, pieno di preoccupazioni, raccomandandogli l’amore alle Scritture. Gli dice “rimani saldo in quello che hai imparato, di cui sei convinto, sapendo che l’hai appreso fin dall’infanzia. Cioè tu, le Scritture, le hai imparate sulle ginocchia di tua madre”.

Timoteo era cresciuto in una famiglia che gli aveva insegnato, fin da bambino, le sante Scritture. Paolo dice al discepolo che la Bibbia può istruirlo per la salvezza, la quale si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù.

Tutta la Scrittura, infatti, è ispirata da Dio ed è utile per insegnare, per convincere, per correggere - anche per correggere i figli -, con le parole stesse di Dio, con dolcezza, con bontà, per formare alla giustizia. La giustizia di Dio qui è la santità, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato ad ogni opera buona. Ecco da dove deriva l’importanza delle sante Scritture, della conoscenza della Parola di Dio nella nostra vita di sposi, nella nostra famiglia!

Nella Festa diocesana della Famiglia, che celebreremo il prossimo 24 gennaio, c’è sempre la consegna della Bibbia. L’amore fra la famiglia e la Bibbia deve diventare qualcosa di quotidiano, di abituale per tutti e lo diventerà  un po’ per volta, ma questa è una strada sicura.

Vi raccomando anch’io l’amore alle sante Scritture, l’abitudine di leggerne qualche versetto, almeno del Vangelo, di leggere il più frequentemente possibile, stavo per dire tutti i giorni. Come sarei contento se qualcuno accogliesse questo invito; deve essere una caratteristica della famiglia cristiana.

Il Signore ci conceda il senso di quanto è bello pregare, anche quando si è stanchi, anche quando non si vede più nulla e pare che Dio si sia dimenticato di noi; e di quanto è bello avere in casa questo tesoro, che è la Parola di Dio, che è fatta per accompagnarci a crescere nella santità e nella rettitudine.

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[2] [5] Responsabile della Pastorale diocesana degli Sposi e della Famiglia