PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

Home ] Su ] PROGRAMMA ] Gli Uffici ] La Commissione ] Formazione al Matrimonio ] Casa Famiglia Pio X ] Assemblea animatori ] La festa della Famiglia ] I  Fidanzati a S. Marco ] Ass. Centro S. Maria M. Domini ]

 

 

 

ATTI DELLA XVI ASSEMBLEA DEGLI SPOSI

S. GIORGIO DI CHIRIGNAGO

7 OTTOBRE 2001

Sposi in Cristo, servi per amore

Il ministero regale degli sposi

 

 

SOMMARIO  

q     Obiettivi pastorali della Commissione

di mons. Silvio Zardon                                               

q     Articolazione dell’assemblea                                

q     Veglia di preghiera                                                          

q     Presentazione dell’assemblea                                

di Maria Giovanna e Luca Casagrande                     

q     I saluti della Comunità di Chirignago        

di Mario Vettorelli                                          

q     Meditazione alle Lodi                                               

di S.E. Card. Patriarca Marco Cè                         

q     Il Dialogo con l’Assemblea                                                   

q     Le “finestre” del pomeriggio                                      

§         “Sposi in Cristo, servi per amore”                                     

di Daniele Garota                                             

+      Casa Famiglia “S. Pio X”

di Anna e Libero Majer                                       

+ §      L’Istituto “Gris”

di don Davide Giabardo                                  

+     L’associazione “Centro S. Maria Mater Domini”

di Anna Del Bel Belluz Martin                              

+     Gli interventi dell’Assemblea                                                         

 

q      Gli interventi conclusivi

del Patriarca

di Mons Silvio Zardon  

                       

q     “Estemporanea”

Sei vecchio quando?                                               

q     Celebrazione Eucaristica                                       

Omelia del Patriarca Card. Marco Cè                    

 

OBIETTIVI PASTORALI DELLA COMMISSIONE

di Mons. Silvio Zardon[1]

 

È sembrato opportuno alla Redazione collocare l’intervento di monsignor Zardon all’inizio di questo fascicolo con la funzione di presentazione degli “Atti”, anche se in realtà è avvenuto all’interno dell’Assemblea, prima delle “Finestre del pomeriggio”. Questo per la semplice ragione che esso anticipa e sintetizza il tema della giornata e illustra tutto il lavoro fatto dalla Commissione in questi ultimi anni in relazione al triplice aspetto del Ministero degli Sposi. (N.d.R.)

 

 

 

Mi sembra opportuno mettere in luce l’obiettivo che la Commissione in questi anni si sta prefiggendo, naturalmente  stimolata, incoraggiata, illuminata dal Patriarca.

Il Signore ha donato agli sposi grandi potenzialità, delle quali non abbiamo forse ancora piena consapevolezza, ma che sono state volute da Dio perché attraverso di esse si rendesse palese il suo amore per l’umanità. 

Ci stiamo allora impegnando fortemente per scoprire quali strade gli sposi possono percorrere per realizzare un amore coniugale senza confini, che possa raggiungere spazi di umanità, che hanno bisogno di scoprire di essere assolutamente amati da Dio.  

Riflettendo sul matrimonio come sacramento abbiamo preso coscienza che il Signore ha voluto, attraverso l’amore degli sposi, far comprendere agli uomini di essere oggetto del suo amore.

L’intento della “Pastorale” è quindi di raggiungere l’uomo e scoprire che vale la pena vivere perché l’amore di Dio è già nel suo cuore, anche se spesso l’uomo non se ne accorge: ecco perché Gesù chiede agli sposi una mano perché gli uomini capiscano che il mondo è molto bello perché amato da Dio.

In questa ricerca di strade concrete per scoprire questo amore di Dio nel cuore dell’uomo, ne abbiamo individuate tre, ma ce ne sono moltissime altre.

La prima pista percorribile è quella porta le coppie ad aiutare quelle famiglie che vivono il disagio a causa della presenza di un loro congiunto sofferente, con particolare riferimento ai malati psichici. È questo un ambito in cui gli sposi possono dare un aiuto molto concreto ad altre coppie in difficoltà. Per avere idee chiare su questo, ci avvaliamo della presenza di don Davide, assistente spirituale dell’Istituto “Gris” di Mogliano, che ospita ammalati anche provenienti da ben 250 famiglie della nostra Diocesi. Don Davide collabora con la Commissione ormai da alcuni anni e sta svolgendo un’opera di sensibilizzazione tra gli sposi, su questo problema che ha dimensioni considerevoli. Abbiamo stimato che nella nostra Diocesi ci sono almeno tremila famiglie toccate da questo disagio e nelle nostre Comunità parrocchiali non ci rendiamo conto del bisogno d’amore di queste famiglie. Occuparsi di loro è un impegno molto concreto e molto bello ed è urgente che ci si muova.

La seconda realtà è quella del Centro “S. Maria Mater Domini” che opera in un contesto ben preciso: l’apertura ai bisogni dell’uomo.

Il Concilio Vaticano II ha aperto orizzonti importantissimi per la pastorale, per cui è inconcepibile proporre la fede a prescindere dall’umanità, che perciò noi siamo chiamati a conoscere.

I sacramenti sono presenza del Signore nella vita dell’uomo e in particolare il sacramento del matrimonio tocca proprio l’essenza della vita umana fino alla corporeità. (E perché questo sacramento sia accolto e vissuto, è necessario che questa umanità sia prorompente, sia quella che vuole il Signore).

Acquista allora fondamentale importanza utilizzare le scienze umane per comprendere a fondo i caratteri di questa umanità. Il Patriarca ha voluto perciò istituire ormai da quasi quindici anni il Centro S. Maria Mater Domini che dispone di tre consultori - a Venezia, Marghera e Eraclea - e due centri: per la tutela del bambino e il centro antiabuso.

Sono dunque cinque opere per l’umanità, che il Patriarca ha voluto, sostenute dai laici, in modo particolare dall’Associazione di sposi (ma non solo) affinché questa umanità sia conosciuta in modo che l’evangelizzazione possa tenere conto delle specificità di colui al quale viene rivolta. E di questo sarà opportuno tenere conto nelle nostre realtà pastorali.

  La terza realtà è “Casa Famiglia” che ormai da due anni è affidata dal Patriarca ad un gruppo di nove coppie, che hanno preso il posto delle religiose che hanno dovuto lasciare.

Abbiamo trovato questa strada ed è preziosa. Ancora una volta gli sposi, consapevoli del grande dono dell’amore che il Signore ha dato loro consacrandolo con un sacramento, hanno scoperto che quest’amore senza confini può arrivare anche ad aprirsi a quelle giovani, e sono molte, che hanno bisogno di  rendersi conto che è ancora possibile amare, che è possibile essere amati, che è possibile riscoprire anche una nuova vita nell’amore.

AL SOMMARIO

 

ARTICOLAZIONE DELL’ASSEMBLEA

Presidenza :                            S. Em. Card. Patriarca Marco Cè

Moderatori al tavolo :            Maria Giovanna e Luca Casagrande      

Moderatori in sala :                Daniela e Sandro Giantin

Meditazione sul tema :         S. Em. Card. Patriarca Marco Cè

Stimolazioni sul tema :         Daniele GAROTA

Esperienze di impegno :     ð Anna e Libero Majer

ð don Davide Giabardo

ð Anna Del Bel Belluz

        

 

LA VEGLIA DI PREGHIERA

 

Vogliamo oggi pregare assieme per meglio predisporci a questa XVI Assemblea diocesana degli sposi, a questo importante appuntamento con il nostro Vescovo.

Ringraziamo il Signore per le grandi cose che quotidianamente si compiono nella Storia.

In particolare lo ringraziamo di averci condotto sin qui e invochiamo sin d’ora la benedizione sugli sposi e sulle famiglie della nostra Chiesa.

 

Prima di iniziare vorremmo accoglierci reciprocamente, riconoscendo di essere qui stasera (così lo saremo domani in Assemblea, e come sempre quando ci ritroviamo nel nome di Gesù), per rispondere ad una chiamata nominale.

Ci pare perciò bello dire – ciascuno – il proprio nome, poiché nella Chiesa nessuno è anonimo.

Dal Vangelo secondo Luca (17,5-10)  

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?

Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

 

Facciamo risuonare ora questa Parola.

Quale passaggio sottolineerei, evidenzierei, rileggerei a voce alta per condividerlo con gli altri?

Ed eventualmente, perché?

Perché lo sento vicino alla mia esperienza, oppure perché lontano dal mio vissuto?

Perché possa pensarlo come una meta alla mia portata, oppure perché legato alla mia esperienza coniugale?

Perché.....

 

I coniugi sono di Dio

Chi si sposa, “si sposi nel Signore”.

L’invito dl Paolo riflette una consapevolezza di lode.

Per i cristiani il matrimonio non è in alcun modo una sistemazione di tipo morale e sociale.

Esso è, innanzi tutto, un appuntamento con Dio, un luogo dove incontrarlo, un tempo di grazia.

Una scadenza, quindi, per una comunione, dove Egli celebra e manifesta unità-amore con due cristiani che si amano di un amore sponsale.

La decisione al matrimonio è, perciò, risposta ad una vocazione che viene dall’alto.

I coniugi, allora, devono vincere l’instaurarsi di una ovvietà, dovuta al fatto che tutti si sposano, così che il matrimonio sembra appartenere solo a se stesso e alle scadenze usuali, scontate e – forse -   meccaniche delta vita.

Non a  caso la  sorpresa dl Dio raggiunge l’uomo dove egli sta: e gli dà di incontrarlo da dentro l’esistenza che egli vive.

La grandezza dell’intervento di Dio si riflette in questa economia di lui: poter vivere di Dio con Dio, al suo servizio, lì dove la vita dell'uomo è umana.

Nello stile determinante dal Vangelo, secondo il quale Cristo si dispone all'uomo che Egli visita, raggiungendolo nelle situazioni datate della sua condizione civile. morale, religiosa.

La “sorpresa” di Dio è “nuova” anche per questa ragione.

Dio non distrae mai l’uomo dagli obblighi della vita, perché Egli ama abitare dove gli uomini abitano, a non altrove.

Il che vuol dire che Egli va incontro all’uomo. per essere con l’uomo nel cuore stesso della storia, che Egli pratica.

Ciò accade anche per il matrimonio.

I coniugi devono entrare in questa prospettiva, per avvertire fino in fondo la visita di Dio che accade loro nel matrimonio.

Devono, cioè, portare loro stessi e il loro progetto a questo appuntamento per offrirlo, in obbedienza, al Signore della vita.       

Per fedeltà alla vocazione battesimale, che passa attraverso al loro amore, per compiersi nel matrimonio di grazia.

Il matrimonio, di conseguenza, chiede loro di essere innanzi tutto uomini di fede, così che in questo matrimonio essi renderanno evidente che la volontà di Dio è decisiva per il loro amore.

L'amore coniugale dove diventare segno e profezia di Lui, così che, quanto più esso è modesto, tanto più risalterà la grandezza dl Dio e dell'opera sua.

Per questo gli sposi si impegneranno nel loro amore con l’onestà tranquilla che viene dalla consapevolezza umile delta vita, stupiti – loro per primi - che in  questo amore Dio si faccia strada verso di loro e verso gli uomini tutti.

Con una sorpresa discreta, che mai, però, si illude sulla misura sempre minore del loro amore, se misurato con l’amore di Dio.

Certi, al tempo stesso, però, che questi due amori si incontrano nel luogo fragile (e tremulo) dell’amore umano. Non altrove.

 

 

Una certezza, quindi, che viene dalla fede, che sta nella meraviglia dl questo curvarsi di Dio su questa possibilità della sua creatura. Secondo l’economia del “servo inutile” che, riferita al matrimonio, mette gli sposi in grado di sapere che il loro amore, che è “inutile” a causa loro, diventa servizio di grazia e salvezza a causa del Cristo della croce.

(don Germano Pattaro) 

AL SOMMARIO

   

LA PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA

 

  di Maria Giovanna e Luca Casagrande[2]

 

Benvenuti alla XVI Assemblea diocesana degli sposi.

A nome della Commissione diocesana per la pastorale degli sposi e della famiglia  salutiamo tutti gli sposi venuti da ogni parte della Chiesa veneziana.

Siamo lieti di avere qui con noi il Patriarca Marco Cè: ha sempre partecipato alle nostre Assemblee, e oggi resterà con noi per l’intera giornata.

Salutiamo il parroco don Roberto Trevisiol con tutta la comunità parrocchiale di S. Giorgio di Chirignago che ha lavorato tanto per accoglierci in questa giornata.

Qui con noi c’è oggi anche Daniele Garota, che con la moglie Ornella nei due anni scorsi ci avevano introdotto, con ricchezza di esperienze di vita vissuta e profonda spiritualità, ai temi del ministero profetico e di quello sacerdotale degli sposi.

Veniamo all’assemblea di oggi. Il tema di quest’anno, il ministero regale di Gesù Cristo partecipato agli sposi, riassunto nello slogan "Sposi in Cristo, servi per amore", rientra in un percorso che si va sviluppando nelle assemblee degli sposi da diversi anni.

Dall’aver posto inizialmente l’attenzione sull’Eucaristia e sulla Parola di Dio, è scaturita l’esigenza di scoprire il ministero di Gesù che è stato dato alla coppia. Ecco che nell’assemblea di Quarto d’Altino, nel ‘97 abbiamo riflettuto, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, sul ministero degli sposi, con una prima considerazione dei suoi tre aspetti profetico, sacerdotale e regale; questi poi li abbiamo affrontati uno per uno nelle ultime assemblee, quello profetico-educativo-creativo due anni fa a Santa Barbara, quello sacerdotale-eucaristico-caritativo l’anno scorso a Venezia in Seminario patriarcale, per giungere ad oggi con quello regale-sociale-politico .

Ma prima di dare inizio alla giornata con le Lodi che avranno il loro momento culminante nella Meditazione del Patriarca sul Ministero Regale di Gesù, diamo la parola ad un rappresentante della Comunità che ci ospita per un breve saluto.

 

  AL SOMMARIO

 

IL SALUTO DELLA COMUNITÀ

 

di S. Giorgio Di Chirignago  

di Mario Vettorelli  

La comunità di S. Giorgio di Chirignago dà il benvenuto a voi tutti e desidera salutare ciascuno personalmente.

Questo incontro ha richiesto tempo e anche qualche sacrificio in modo particolare da parte di coloro che più direttamente vi si sono dedicati sia per l’organizzazione che per l’ospitalità. È stato però pensato e preparato con disponibilità e nella preghiera. È una ulteriore grazia che Dio ha riversato su di noi.

Un grazie anche ai responsabili diocesani della pastorale degli sposi e della famiglia. Dedicano tempo ed energie non solo per l’assemblea annuale, ma anche per un impegno quotidiano più nascosto. Il loro lavoro è sicuramente apprezzato. Auguriamo sia sempre buon seme che cade in terreno fertile.

E infine un pensiero per il nostro Patriarca.

Da ultimo. Non perché marginale a questo incontro di sposi, quanto invece perché segno di unione di tante diverse esperienze che convergono e si verificano sulla parola del Signore.

Perciò: attenzione e cuore si concentrano su di te che sei per noi punto di riferimento e testimone del nostro credere.

Ti stimiamo e a te è rivolto il nostro affetto perché sei sempre stato e continui ad essere padre amorevole che sa indicare con autorevolezza e chiarezza il sentiero sul quale camminare per seguire le orme di nostro Signore Gesù.

Così sarà anche oggi.

Per tutto noi ti benediciamo applicandoti le parole che S. Paolo dice di sé ai Galati (2,20):

“Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”.

 

  AL SOMMARIO

 

MEDITAZIONE ALLE LODI

 

di S. E. Card. Patriarca Marco Cè  

Innanzitutto voglio esprimere un ringraziamento vivissimo e sincero alla Comunità parrocchiale di Chirignago che ci ha accolti con tanta cordialità fin da questi primi momenti, spalancandoci veramente il cuore e mettendoci completamente a nostro agio.  

 

Contempliamo il “Mistero Gesù”

È fondamentale il fatto che da qualche anno stiamo sostando assieme in contemplazione di Cristo. Stiamo guardando al “mistero” Gesù Cristo, poiché la sua è una figura complessa, che spalanca orizzonti infiniti che ci superano e ci aprono alla realtà di Dio, una realtà che non riusciamo a comprendere, a misurare con il nostro metro umano.

Ebbene, in questi anni, stiamo contemplando il mistero di Gesù, non soltanto per un “piacere intellettuale”: vogliamo conoscerlo per poterlo amare, per lasciarci prendere dal suo fascino e poi seguirlo, perché lui è l’unico nostro salvatore, al di fuori del quale non c’è salvezza. E questo è molto bello. Al di là di quanto ci siamo già detti e potremmo dirci, il fatto che più ci sta a cuore è proprio capire sempre di più Gesù, perché ci è stata data la grazia di intuire che niente è più bello, niente ci spalanca gli spazi della felicità, più che conoscere ed amare Gesù Cristo per poi seguirlo e realizzare così un autentico incontro personale con lui. Egli, infatti, è il “tu” della nostra vita, l’unico nostro salvatore.

Gli anni scorsi avete riflettuto su alcuni attributi di Gesù, secondo una catalogazione un po’ convenzionale, però ricca: Cristo Sacerdote, Cristo Profeta, Cristo Re. Potremmo aggiungere altre peculiarità del Cristo, ma in queste riusciamo a cogliere bene e con sufficiente completezza la persona del Signore Gesù (anche se non sarà mai ultimata la conoscenza di Cristo). 

Quest’anno indugiamo su Cristo Re, sulla regalità di Cristo. Ci sceglieremo un criterio per poterlo fare e poi voi, nel seguito della mattinata e nel pomeriggio, avrete il compito di concretizzare nella vita. Chiediamoci, però, la ragione per la quale lo facciamo.

  

La vita in Cristo è seguire Gesù

Nel battesimo noi siamo stati innestati in Cristo, uniti a lui ma non al modo di chi è seduto l’uno vicino all’altro. La nostra unità con Cristo non è soltanto vicinanza, amicizia - cosa c’è di più bello dell’amicizia? – ma è qualcosa di più, anche della più stretta amicizia. La nostra unione con Cristo è esprimibile con un paragone che ha usato Gesù stesso: l’unicità che esiste tra la pianta ed un suo ramo, tra la vite e i tralci. Quando il ramo viene tagliato non è più unito alla vite e non scorrendo più la linfa vitale, esso secca.

L’unità che il battesimo ha stabilito tra noi e Cristo si può esprimere quindi con un rapporto ancora più profondo del legame amicale: è un rapporto vitale. Sembra un’espressione audace ed eccessiva, ma l’ha detta Gesù e quindi dobbiamo crederci. Il battesimo fa di noi e Cristo una sola vita. Con una definizione breve, ma che è anche la più bella, la più espressiva, la più profonda, si può dire che la vita cristiana è “vita in Cristo”.

  Ma se noi viviamo in Cristo, se siamo stati uniti vitalmente a Lui - continuando il paragone tra la vite, i tralci e le foglie -, dobbiamo far spuntare da noi i suoi fiori e i suoi frutti. Cioè chi vive in Cristo deve anche comportarsi secondo Cristo. Gesù usa un’espressione di questo tipo: «Seguimi. Se vivi in me devi agire come agisco io. Vieni a vivere con me, metti i tuoi passi sulle mie orme, comportati come mi sono comportato io».

Ed ecco che qui si inserisce il nostro tema. La vita in Cristo comporta necessariamente il seguire Cristo, vivere come viveva lui e tutto questo può essere in qualche modo descritto con queste tre espressioni:

·       Gesù è il religioso del Padre, l’adoratore del Padre (Sacerdote)

·       Gesù è la parola del Padre (Profeta)

·       Gesù è colui che afferma la signoria del Padre su se stesso, sul mondo e sulle cose (Re).

Per affermare ciò non dobbiamo fare dei ragionamenti, ma sostare un momento a contemplare Gesù e vedere se è vero che, nella sua vita, si è proclamato Re in questo senso. Concluderemo dando forza al tema della vostra giornata: “Sposi in Cristo - ecco la vita in Cristo -, servi per amore”.  

 

“Il Regno di Dio è vicino”

Contempliamo ora la regalità di Cristo per poter poi concludere che Gesù ha vissuto la sua regalità nell’amore che ci fa servi dei nostri fratelli. Nei testi che abbiamo appena proclamato è proprio affermata questo tipo di regalità di Cristo. Il termine Regno era una metafora che apparteneva molto alla cultura nella quale Gesù è vissuto, per cui è molto usato nei vangeli (soprattutto dall’evangelista Matteo), quasi un centinaio di volte e novanta volte ricorre sulla bocca stessa di Gesù.

Ma noi dobbiamo cercare di capire cosa vuol dire la regalità di Cristo e lo facciamo guardando e ascoltando Gesù, a cominciare dal modo in cui si è introdotto sulla scena del mondo, nella storia. Gesù, a trent’anni circa, si presenta alla sua gente, esce dalla solitudine di Nazareth e affronta il pubblico della Galilea proclamando: «Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino». Questo termine vicino vuol dire “è presente, è in mezzo a voi”. E poi dice: «Convertitevi e credete al Vangelo» (cfr. Mc 1,15).

Con questa affermazione Gesù vuol farci capire che sta portando il lieto annuncio, che si è concluso il tempo della speranza, che è venuto il tempo stabilito da Dio perché si compisse il suo disegno di salvezza per l’uomo. Con la venuta di Gesù il regno di Dio è presente e da questo sgorga allora l’esortazione a spalancargli il cuore, a credere. Convertirsi significa proprio spalancare il cuore e la vita per accogliere Gesù e seguirlo con quel grande atto di fiducia che è il consegnargli la nostra esistenza, perché seguire Gesù vuol dire andare con lui verso la croce.

«Il Regno di Dio è vicino». Che significato ha questa espressione di Gesù e cosa dobbiamo intendere per “Regno di Dio”? Il Regno di Dio è un modo per esprimere la signoria di Dio sul mondo e sulle cose, in altre parole è il suo disegno di salvezza.  

 

Gesù ricostruisce un progetto

Come ha fatto Dio a creare il mondo? Usando un linguaggio molto semplice ma vero, possiamo affermare che Dio ha creato il mondo guardando alla realtà più cara che aveva: suo figlio. Suo Figlio incarnato: Gesù! Gesù riempie tutta la vita di Dio e allora, volendo fare qualcosa al di fuori di sé, Dio non ha fatto altro che guardare a suo Figlio e, guardandolo, ha creato il mondo mettendo in ogni cosa una scintilla della somiglianza a Gesù. Il mondo è fatto tutto a immagine di Cristo, è un dono che il Padre ha fatto a suo Figlio.

Il mondo deve comprendere che la propria salvezza sta proprio in questo accettare su se stesso la signoria del suo creatore e riconoscere in se stesso il volto di Gesù, impressogli dal Padre. Ma il peccato ha scombinato tutto. L’uomo, uscito dalle mani di Dio ad immagine della realtà più bella che Dio aveva, il Figlio, ha scombinato tutto con la rivendicazione della sua indipendenza, della sua autonomia da Dio.

Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, è venuto proprio per restaurare sul creato la signoria del Padre (unica garanzia della felicità del mondo e dell’uomo) e per ricostruire, in maniera ancora più grande, il progetto di Dio. Affermo “in maniera ancora più grande” perché, se Gesù avesse soltanto ripristinato ciò che il peccato aveva infranto, in fondo, il peccato avrebbe dato scacco a Dio, almeno per un certo tempo. Ma Gesù, con la sua opera, ha restituito pienamente la signoria del Padre sull’uomo e l’ha fatto in maniera ancora più grande e più bella, in modo che si potesse dire che Dio ha stravinto sul peccato. Il mondo restaurato da Dio è persino più bello di quello distrutto dal peccato.

È questo il significato di Regno: la restaurazione della signoria di Dio sull’uomo e su tutto il creato, cioè la salvezza. Il tempo è compiuto e il regno di Dio è ormai presente, aprite il cuore al Regno di Dio. Credete e consegnatevi a questo amore salvatore.

 

  

Nel “Sì, Padre” l’accoglienza della paternità di Dio

Ma in quale modo Gesù compie questa azione di liberazione dell’uomo dal male per restituirlo alla signoria di Dio? Lo fa innanzitutto rovesciando la situazione del peccato. Il peccato è rivendicazione di autonomia rispetto al Padre, è sottrazione dall’amore del Padre. Un po’ come ha fatto quel ragazzo scapestrato di cui ci parla Gesù nella parabola che Luca riporta nel capitolo XV (“Il Padre misericordioso”). Quel giovane dice a suo Padre di volersene andare da casa, e se ne và. Il vangelo dice che andò lontano e in questa lontananza dal Padre sta proprio il senso profondo del peccato. Il Padre è la felicità, il Padre è l’amore: il peccato è lontananza dall’amore. Gesù viene a restituire la capacità di dire sì al Padre, cioè a ristabilire la vicinanza, a ripristinare il ponte dell’amore.

Il “Sì, Padre” che riempie la vita di Gesù, e di cui sono pieni i vangeli, è la grande liberazione del mondo dal peccato, è la grande restaurazione della signoria di Dio sul volto dell’uomo, compiuta da Gesù. Questo costituisce la felicità dell’uomo stesso, perché Dio, quando afferma la sua paternità - noi usiamo la metafora della signoria - non umilia mai la sua creatura, non la mortifica, ma la esalta, perché la fa figlio.

Signoria di Dio vuol dire quindi paternità di Dio, vuol dire accoglienza del dono della filiazione divina nella nostra vita, che si esprime nel “Sì, Padre”. Gesù è venuto a restituire all’uomo la capacità di dire “Sì, Padre”. La preghiera del Padre nostro, è la sintesi di questo “Sì, Padre”; ma proprio perché noi lo potessimo pronunciare, lo ha detto Gesù prima di noi. Se volessimo sintetizzare i vangeli in due parole, basterebbero proprio queste due: “Sì, Padre”.

Tutto quello che Gesù fa, è finalizzato alla realizzazione del piano di salvezza voluto dal Padre. La frase ricorrente nei vangeli “questo avvenne perché si adempisse la scrittura …”, vuol significare proprio che Gesù si muove sempre condotto dalla Parola del Padre, al quale guarda prima di fare qualsiasi cosa. Mentre si sta incamminando verso la tomba di Lazzaro, Gesù, ad un certo momento, si ferma, si commuove, piange, e dice: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto ».(cfr Gv 11,41-42). Egli sta per compiere un grande gesto di potenza, guarda il Padre ed pronuncia questa bellissima espressione, come a dirci che, prima di compiere qualunque atto di salvezza, lui guarda al Padre. Tutta la vita di Gesù è un “Sì, Padre”; sì alla santità, s’intende.

Dire “Sì, Padre”, in ogni istante della vita, è la nostra santità. Non c’è altra definizione della santità se non pronunciare “Sì, Padre” in ogni circostanza: quando lavoriamo, quando gioiamo, quando soffriamo, quando le cose vanno bene, quando le cose vanno storte e vorremmo andassero diversamente. “Sì, Padre” nell’impegno a far andar meglio le cose, ma “Sì, Padre” anche nell’accettazione del disagio, della sofferenza, della realtà che ci fa tanto soffrire. Questa consegna totale di noi stessi al Padre, è la grande liberazione dell’uomo che Gesù compie.

Se non l’avesse detto Gesù, noi non saremmo capaci di dire sì a Dio, di affermare la sua signoria, la sua paternità/maternità sull’uomo. Gesù predica e pratica la paternità di Dio.  

 

La liberazione dell’uomo nei gesti di Gesù  

Pranza con i peccatori : Quando Gesù va a pranzo con i peccatori, sta predicando la misericordia tenerissima di Dio Padre. In altre parole, egli compie il gesto del Padre misericordioso che, da quando il figlio ha abbandonato la casa e se ne è andato lontano, non ha più chiuso l’uscio, ma è stato sempre là, sulla porta, ad aspettarlo, per andargli incontro ed abbracciarlo.

Il gesto di Gesù che mangia con i peccatori (e scandalizza tutti), rivela questa proclamazione dell’amore misericordioso del Padre che gode del ritorno del figlio, ora capace di dirgli la parola che rende felici: “Sì, Padre”. Non c’è felicità se non nell’incontro con la volontà del Padre.  

Libera gli ossessi : Gesù compie la liberazione dell’uomo e del creato e la restituzione della signoria di Dio anche quando scaccia i demoni. Egli salva i figli di Dio i quali, dopo il peccato, spesso sono violentati dal principe di questo mondo. Gesù quando libera gli ossessi, è veramente un esorcista. La sua è una vera guerra di liberazione, nella quale deve lottare contro i demoni che, riconoscendolo, gridano. Essi gridano la loro costernazione nel vederlo, ben sapendo che è venuto a liberare il mondo e l’uomo dalle oscure potenze del male.  

Guarisce i malati : Siamo soliti interpretare le guarigioni di Gesù unicamente come suoi gesti di potenza; in realtà con queste azioni egli afferma e realizza, sì, la sua signoria, ma anche restituisce l’uomo al progetto di Dio che vuole l’uomo come un essere non malato, non soggetto al dolore e alla sofferenza. Nel progetto di Dio, l’uomo è una persona felice: è suo figlio! La guarigione dei malati è una piccola anticipazione della risurrezione, è l’annuncio che lui è venuto a liberare il mondo da tutte le sofferenze, da tutto il male.  

Mette pace tra l’uomo e il creato : Gesù esprime la sua regalità, cioè il suo impegno a restituire sul mondo la signoria del Padre, anche quando mette pace tra l’uomo e il creato. Quando Gesù moltiplica i pani ed i pesci, combatte la fame ed afferma, nel contempo, che il mondo è stato creato per la felicità dell’uomo. Quando Gesù placa la tempesta, ergendosi sulla barca sconquassata dal vento e dalle onde e dice al mare: «Taci!» di fronte agli apostoli spaventati, egli mette pace tra l’uomo e la natura. Dio, infatti, ha creato il mondo per l’uomo e in pace con l’uomo, perché questi realizzasse su di esso una signoria buona, piena di rispetto e di amore, perché trasmettesse questo giardino di generazione in generazione; poiché anche il creato è profezia della felicità che Dio ci darà quando sarà la pienezza dei tempi.   

 

Una regalità che si esprime nel servizio

Quindi, Gesù è venuto e si è proclamato Re ma nel senso appena illustrato: per instaurare la signoria del Padre sul mondo, per restituire il mondo al Padre. Gesù lo dice esplicitamente nelle letture che sono state proclamate[3] . Ma dobbiamo fare due forti chiarificazioni.

Quando si parla della regalità di Gesù – Gesù si è proclamato Re – dobbiamo sempre ricordare il brano di Mt 20, 25-28, dove Gesù dice: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti». La signoria di Gesù, la sua regalità si esprime, quindi, nel mettersi al servizio dei propri fratelli, in un modo totale, fino al punto di dare la propria vita.

Poi dobbiamo ricordare un altro testo che non ho citato, ma che è noto a tutti: l’episodio della “lavanda dei piedi” al cap. 13 del vangelo secondo s. Giovanni. Gesù tiene molto a quel gesto, compiuto soltanto dai servi pagani; i servi ebrei non erano tenuti a lavare i piedi agli ospiti del loro padrone perché era ritenuto un servizio troppo umile. Gesù lo fa e Pietro se ne scandalizza e lo rifiuta - Pietro era un bellissimo tipo, impetuoso, focoso, direi profondamente pulito anche se sbaglia -. Pietro non capisce l’estrema importanza del gesto: con esso Gesù vuole mostrare qual è il Regno che è venuto a portare, in quale modo afferma la regalità del Padre.

Gesù vuole che Pietro capisca che la sua regalità si sta realizzando nel farsi servo, donando la vita (dopo poche ore l’avrebbe proprio data). E quando Pietro si ribella, Gesù lo ammonisce: «Guarda Pietro che se vai avanti con il tuo rifiuto, con me non avrai niente da spartire perché non capisci la mia realtà più profonda. Tu mi pensi liberatore? Io sono liberatore! Tu mi pensi re? Io sono re! Ma sbagli quando mi pensi re e liberatore alla tua maniera, come il capo di un esercito che scaccia gli occupanti romani e ristabilisce il regno d’Israele». Gesù vuol far comprendere con quel gesto che la sua signoria è una regalità di servizio. Come quella del Padre che si esprime in tutta la sua paternità/maternità.

Oggi siete presenti in tanti, quasi tutti papà e mamme. Chi comanda in casa, voi o vostro figlio? Vostro figlio, naturalmente. Siete forse serviti da vostro figlio? No, siete voi che soddisfatte le sue richieste. È così o no? E quanto più uno è piccolo, tanto più papà e mamma sono al suo servizio. Essere madri e padri vuol dire anche imporsi, ma inteso come servizio. Proprio per questo il comandare non deve essere fatto al modo del mondo, bensì al modo del Figlio di Dio che, amandoci, ci traccia le strade su cui camminare. Egli ce le indica con intensità ma nello stesso tempo con infinito amore, perché quando sbagliamo lui ci tira su, ci dà la forza per reagire e, se ci allontaniamo, non ci dimenticherà mai e sarà sempre sulle strade della nostra lontananza, a cercarci.

Questi due brani evangelici li dobbiamo proprio tenere a mente. Potreste dirmi che nella “lavanda dei piedi” non si allude al Regno: invece se ne parla, perché Gesù dice: «Avete visto quello che vi ho fatto. Voi mi chiamate Signore e Maestro, ed è vero: io lo sono Signore e Maestro, però se io che sono Signore e Maestro vi ho lavato i piedi, anche voi dovete fare altrettanto».  

Come vivere la regalità di Cristo?

Nel rispondere a questa domanda vi do alcune linee che poi voi tradurrete in azioni concrete. 

In primo luogo vivendo il “Sì, Padre” come lo ha fatto lui: vivendo da figli, facendo la volontà del Padre, consegnandosi con fiducia al Padre. Il “Sì, Padre” è il modo per affermare la regalità di Cristo nella nostra esistenza. Il clima che ne consegue fa sì che Dio e Gesù regnino nella nostra famiglia.

Secondariamente facendosi servi per amore dei fratelli. L’amore cristiano è indisgiungibile dalla parola servizio. Ho detto l’amore cristiano, non l’amore e basta. Qualunque vocabolario usiate, nella definizione di amore non trovate la parola servo. Ma l’amore cristiano, cioè l’amore che si impara guardando Gesù, ha dentro la realtà del servizio. Giustamente avete titolato l’assemblea: “Sposi in Cristo, servi per amore”.

In terzo luogo servendo la giustizia tra tutti i figli di Dio. C’è un rapporto tra giustizia e pace e chi è figlio di Dio serve la giustizia e serve la pace, a tutti i livelli: familiare, sociale e, per quanto ci è possibile, internazionale.

Infine la quarta linea è: portando pace tra l’uomo e il creato. Ci pensiamo poco, ma è così. Nei vangeli sono descritti alcuni grandi miracoli che Gesù fa per costruire un buon rapporto tra l’uomo e le cose. Gesù compie una lettura del creato straordinaria: lo vede come sacramento. È difficile parlare di Dio, direi impossibile; occorre usare dei paragoni. Gesù, per parlarci di Dio, usa immagini che prende dalla natura: il giglio, gli uccelli, il seme, i campi, il fico, l’acqua, il fuoco… Gesù vede nel creato quella somiglianza divina, il volto di Dio che noi facciamo fatica a riconoscere; per lui tutto il creato parla di Dio. Noi esprimiamo questo concetto con l’ecologia, ma l’ecologia è i primi capitoli della Genesi. Dio fa il mondo a propria immagine e somiglianza, Gesù legge questa somiglianza e parla sempre di Dio usando le immagini tratte dal creato, perché solo così noi riusciamo a capire. Per spiegarci la realtà profonda della nostra unione vitale con lui, sceglie l’esempio della vite ed i tralci e allora noi capiamo qualcosa: se avesse fatto un discorso astratto, non avremmo compreso nulla. Gesù coglie questo linguaggio di Dio in tutte le cose e con i suoi miracoli restituisce la pace tra l’uomo e il creato.

Adesso c’è da sviluppare la concretizzazione di queste cose nella vita di tutti i giorni. Ma questo, cari sposi, lo dovete fare voi. Io potrei tentare di vedere come si realizza la regalità di Cristo nella vita dei vescovi e dei preti, ma siccome oggi vi chiedete come si attua nella vostra vita di sposi, dovete proprio farlo voi.

 

 

    AL SOMMARIO

 

  IL DIALOGO CON L’ASSEMBLEA

 

Il Patriarca ci ha fatto fissare lo sguardo su Gesù che è re sulla Croce e già ci ha fatto intravedere su quali strade possiamo anche noi vivere la regalità di Cristo.

Con questa immagine molto chiara e inequivocabile, impressa negli occhi e nel cuore, di un Gesù Cristo che  manifesta il suo essere "re" proprio quando si fa servo e si dona totalmente fino a morire, iniziamo ora il dialogo sul nostro tema "Sposi in Cristo servi per amore", per tentare di scoprire insieme che cosa sia questa "regalità" a cui gli sposi sono chiamati in Gesù Cristo. Quest’anno abbiamo pensato di non proporre una relazione di tipo tradizionale, ma di lavorare tutti insieme attorno al tema in una grande tavola rotonda, portando ciascuno il proprio contributo.

 

Tutti gli sposi presenti oggi in Assemblea sono invitati dunque a  dialogare insieme al Patriarca e insieme alla Commissione diocesana degli sposi e della famiglia, scambiandosi le proprie intuizioni, gli interrogativi, le esperienze maturate nella vita di ogni giorno. Da parte sua, la Commissione, che in questi mesi ha lavorato attorno al ministero regale-sociale-politico degli sposi, pur consapevole che su questo tema si è ancora all’inizio, tenterà di condividere alcune riflessioni con gli sposi della nostra Chiesa, cogliendo oggi anche l’occasione dell’aiuto del nostro Vescovo.

Partecipiamo al dialogo con grande libertà e generosità, certi che ogni contributo sarà prezioso per tutti.

   

Giampaolo Salvador  - Madonna dell’Orto  - Venezia  

In questa discussione non ci sono interventi programmati, tranne il mio, che ha solo lo scopo di contribuire all’avvio del dialogo. Quest’anno non c’è una vera e propria relazione sistematica che risponda all’importante questione che ci siamo posti oggi: come vivere l’aspetto regale del ministero coniugale. Le risposte dovrebbero emergere spontaneamente ora. Siamo fiduciosi che ciò accada perché abbiamo già fatto una prova con un numero ristretto di persone, in commissione, ed è risultata davvero incoraggiante. Infatti è uscita una bellissima discussione, arricchente per tutti. Allora ci siamo detti: se la discussione è andata bene con 30 persone, con 300 andrà ancora meglio! Ripeto, la discussione non è organizzata, la facciamo davvero qui in questo momento.

Oggi vorremmo tutti insieme capire meglio come innestarci in Gesù, per partecipare alla sua regalità e -  direi - quasi per estendere la sua regalità.

Mi permetto per ora di proporre solo alcune domande, oltre a quelle che ci ha posto il Patriarca; poi anch’io mi impegnerò a pensare alle risposte.

Il Patriarca ci ha indicato come vivere la regalità in quanto sposi: non solo cioè come cristiani che hanno ricevuto il Battesimo, ma specialmente come cristiani che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio, dotati quindi di un titolo particolare e specifico.

Ricordo brevemente le domande del Patriarca: Come vivere da figli, consegnandosi con fiducia al Padre, facendosi servi per amore? (È da sottolineare il “per amore” che non significa “per obbligo” o “per forza”).

Come servire la giustizia e la pace tra tutti i figli di Dio, non soltanto in casa ma anche fuori, nei nostri ambienti di vita?

Come portare la pace tra l’uomo e il creato, poiché tutto il creato parla di Dio?

Per cercare altri interrogativi per avviare la nostra riflessione su come vivere il ministero regale, spulcerei ancora la bellissima riflessione del nostro Patriarca. Riguardando gli appunti che ho preso poco fa, trovo alcune espressioni che possiamo trasformare in domande.

Gesù, quando libera l’uomo dalla paura e dall’ossessione, si dimostra re. Cosa possiamo fare per liberare noi e gli altri dalle paure e dalle ossessioni che oggi condizionano così tanto la vita e la felicità?

Gesù, nell’ora in cui deve dare prova di essere il Figlio di Dio, prende un asciugamano e lava i piedi degli apostoli. Gesù fa il gesto più umile. Come fare affinché i gesti più umili e più semplici, quei gesti che sicuramente si fanno tutti i giorni in casa, siano espressione di regalità?

Poche ore dopo quel gesto di grande umiltà, Gesù ne fa uno ancor più grande: si consegna al Padre dando la vita per la salvezza degli uomini, dimostrando così la sua regalità in modo definitivo. Come possiamo vivere la regalità di Gesù dedicando la nostra vita al servizio degli altri?

Comunque, in effetti, è già così. La vita di coppia e di famiglia porta a vivere al servizio per gli altri. Ma come percepire la regalità in tutto questo? Come accorgersi di essere inseriti, anzi innestati in Cristo?

Per finire lancio una provocazione. Quando si parla di donare la vita, di essere al servizio degli altri, vengono in mente tante cose da fare, e ci si accorge che bisogna farne sempre di più. Ma regalità è fare tante cose o è anche qualcos’altro? Riguarda solo il fare o anche l’essere?

 

 

Paolo – S. Giovanni Evangelista –  Mestre  

Da nove anni aiutiamo il nostro parroco nella pastorale dei battesimi e abbiamo l’occasione di incontrare tante persone e tante tipologie di situazioni famigliari, regolari e non, matrimoni falliti alle spalle, convivenze e disagi.

Si tratta comunque di famiglie di sposi giovani e meno giovani in cui i figli sono uno o due e questo ci porta a considerare che un aspetto della regalità degli sposi è mettersi al servizio della vita, che si esprime da una parte nell’accoglienza dei figli e dall’altra nel promuovere una visione della vita basata sulla generosità e sulla condivisione, sull’accettazione dell’altro.

Questa è una cultura che il mondo d’oggi sembra non avere.

È diffusa tra gli sposi una paura terribile della sofferenza e della privazione, anche nei riguardi dei propri figli, per cui perdono l’opportunità di essere sposi nel senso pieno, non mettendosi nella disposizione di accogliere i figli.

Come sposi cristiani dovremmo avere quindi una particolare attenzione verso questo aspetto della nostra ministerialità, cercando di infondere fiducia negli altri incoraggiandoli a sconfiggere l’egoismo che pervade la mentalità di questa società.

Anna Maria  – S. Maria della Pace - Mestre

Volevo fare due riflessioni sul servizio di una coppia cristiana. Prima di tutto ribadire che non può restare circoscritto agli sposi stessi, ma deve espandersi; a volte può passare inosservato, ma lascia sempre una traccia. In secondo luogo il servizio deve fondarsi soprattutto su un continuo e profondo confronto con la Parola di Dio, che a volte ci lascia anche sconquassati, disorientati, ma che ci dà la forza per andare avanti.

 

 

Marco e Albertina - San Giovanni Evangelista - Mestre  

C’è un’immagine che io e mia moglie “ci portiamo dietro” da quando abbiamo fatto il corso per fidanzati in preparazione al matrimonio e che ci accompagna nella nostra vita di sposi. Il sacerdote che a quel tempo ci aveva preparato nel corso, ci aveva detto che gli sposi sono come il cuore; il cuore ha infatti due movimenti: un movimento di contrazione e poi un movimento di espansione con il quale manda il sangue in circolo per tutto il corpo. Ebbene quel sacerdote ci ricordava che, come il cuore, anche gli sposi sono caratterizzati da un "duplice movimento": essi infatti vivono all’interno della coppia un’esperienza intensa d’amore e di unione (movimento di contrazione), ma poi proprio questa esperienza dà loro la forza e la spinta ad aprirsi al servizio degli altri facendoli partecipi dell’amore  proprio della coppia (movimento di espansione).  

Secondo noi questa immagine, che accomuna gli sposi al cuore, ci aiuta a capire quella che deve essere la regalità a cui gli sposi sono chiamati.

Questa è un’immagine che ci è di stimolo nella nostra vita quotidiana; come coppia di sposi ci siamo, ad esempio, posti l’obiettivo di pregare insieme ed abbiamo constatato che pregare insieme, anche se richiede sacrificio e costanza nella quotidianità, ci aiuta molto all’interno della coppia, ci aiuta ad essere più uniti, a condividere le scelte familiari, dalle più banali alle più importanti.

La preghiera insieme, che appartiene al “movimento di contrazione”, ci spinge poi a quello che è il “movimento di espansione” che come sposi siamo chiamati a fare nel mondo e cioè dare testimonianza e manifestare la nostra regalità. Quello di pregare insieme come sposi, è uno strumento utilissimo da consigliare ad ogni coppia di sposi. L’esperienza quotidiana ci mostra comunque quanto sia difficile mantenere viva la costanza nella preghiera ed essere testimoni significativi all’ ‘esterno della coppia.

A volte abbiamo la sensazione di svolgere solo un po’ di attivismo invece di essere testimoni. Però quando ciò accade e ce ne rendiamo conto, constatiamo che in realtà è divenuto sterile il movimento di contrazione all’interno della coppia: o perché stiamo pregando poco e male, o perché stiamo condividendo poco insieme.

Pensiamo che per gli sposi l’esperienza di preghiera insieme, sia una esigenza prioritaria, fondamentale ed è il consiglio che diamo un po’ a tutti, perché è questo il motore da cui parte anche il  movimento che ci porta ad essere testimoni, prima di tutto nella quotidianità, con i bambini in casa, poi nei posti di lavoro, con gli estranei, quelli che non conosciamo ma che fanno parte della nostra grande famiglia.

Adriana - SS. Apostoli – Venezia

Noi due, io e mio marito, siamo tentati a volte di pensare che dovremmo fare qualcosa di diverso e in più di quello che siamo chiamati a fare in famiglia. Invece mi rendo conto ora che il nostro essere “sposi servi” passa attraverso la semplicità del quotidiano, che non è così tanto facile da vivere ed affrontare.

Stiamo ora facendo l’esperienza dell’adozione di un bambino piccolo, down che riteniamo un dono del Signore, perché ci permette il contatto con tante persone che vivono il dramma di situazioni di sofferenza analoghe alla nostra. Con loro siamo chiamati ad usare il linguaggio dell’amore di Dio piuttosto che il linguaggio della convivenza sociale.

I bambini diversi, speciali, al pari di quelli normali hanno anch’essi una ragione di essere, pur nella difficoltà: sono chiamati alla vita da Dio.

Ma questo lo dobbiamo trasmettere con forza ai nostri figli – ne abbiamo anche di più grandi, già adolescenti - che vengono a contatto con il mondo che dice quasi sempre il contrario di ciò che noi insegniamo loro: mettere al centro della nostra vita di tutti i giorni Gesù Cristo, a volte con fatica, a volte con contraddizioni.  

 

Renato - S. Giorgio - Chirignago  

Preparandomi a questa Assemblea, attraverso gli incontri fatti sul tema della regalità, mi sono soffermato a riflettere sul fatto che nella nostra società, gli sposi, ciascuno preso singolarmente, tendono a vivere la propria regalità in senso negativo, dove prevale di fondo un velato desiderio di comando, di esprimere un certo potere, anche se mitigato dall’amore. Di qui la domanda che mi sono posto: qual è per me e mia moglie la regalità che viviamo tra noi?

Sono state per me illuminanti le parole del Patriarca quando, nella sua meditazione, ha affermato che le parole “Sì, Padre” sintetizzano tutti i vangeli. Questa è la strada per la santità, non c’è altra felicità che l’incontro nostro con il Padre.

Riandando al “sì” di Pietro, che alla domanda di Gesù: “Tu mi ami, Pietro?” risponde “Si, Signore”, e confrontandolo con il suo tradimento, è consolante pensare che il riconoscimento di Gesù come il nostro Signore, è la condizione che ci permette la salvezza.

Questo riconoscere il Cristo come colui che tutto può in noi e che è tutto in tutto, trasforma il nostro desiderio di potenza, di affermazione, in vero servizio, sempre però ricordandoci che il tradimento, le difficoltà fanno parte della nostra natura.

Non ci dobbiamo quindi spaventare ma creare dei modi, dei luoghi dove sia possibilità affermare una fraternità tra di noi, dove poterci ripetere la Parola di Dio, ribadire la bellezza dell’incontro con il Padre, perché è la memoria di questo che ci salva.  

 

senza nome    

Il “servizio” ai figli è comune a tutti i genitori, che abbiano o no contratto un matrimonio cristiano. Dove sta allora la differenza?

Dai discorsi di oggi e soprattutto dalla meditazione del Patriarca, emerge che all’inizio c’è la frase di Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo” e di qui la consapevolezza che  questa esperienza deve essere portata agli altri. In questa coscienza sta tutta la differenza tra un matrimonio di “sposi in Cristo, sposi per amore” e un matrimonio come tutti gli altri.

Tutti servono i figli e amano la propria famiglia, ma per essere veramente al suo servizio, gli sposi cristiani devono far capire ai figli che questo consiste essenzialmente nell’annunciare loro il progetto di salvezza del Padre.  

 

Mary Lisa Bonaldi - S. Pietro Orseolo - Mestre

 

Voglio fare una confessione scaturita dall’ascolto delle riflessioni espresse dall’assemblea: ho una certa difficoltà, come sposa e come madre, ad essere “serva per amore”, quando, confrontando le mie stanchezze e le mie delusioni, il mio servizio all’interno della famiglia, troppo spesso mi ritrovo in credito.

Mi dimentico così che Cristo è sempre stato a credito, e ha sempre dato.

È difficile uscire dalla logica del mondo per entrare in quella di Cristo, soprattutto nei confronti dei figli che vorremmo veder crescere in un certo modo, fare scelte con garanzie di un domani brillante, dimenticandoci di affidarci a Dio e di capire quello che Lui vuole dai nostri figli.   

 

Roberto - S. Giorgio - Chirignago

 

Volevo semplicemente ringraziare il Signore per avermi dato l’opportunità di esser qui, oggi. Abbiamo quattro bambini piccoli e già ci rendiamo conto che non è facile educare i figli in modo da permettergli di camminare con sicurezza nella società.

Essi ci portano via molto tempo e ne resta poco per il nostro dialogo di coppia, ma confidiamo nell’aiuto di Dio che è sempre pronto a sostenerci e a ravvivare la fiamma dell’amore che ci ha donato.

Ringrazio anche tutti voi perché con le vostre testimonianze ci siete di grande consolazione.

 

 

Ugo  - S. Giorgio – Chirignago

 

Vorrei portare il mio piccolo contributo con questa riflessione: penso che la regalità di Cristo si esprima negli sposi attraverso l’unione dei corpi nel segno dell’accoglienza della vita. Questa prospettiva è fondamentale per una coppia cristiana che si sforza di educare i figli seguendo la propria fede, nella speranza che  questi accolgano il messaggio che viene dalla loro testimonianza e lo sappiano, a loro volta, portare nel mondo.

 

 

Marisa Biancardi  - S. Luca – Venezia

 

Fa piacere vedere tante belle famiglie con tanti bambini, ma vorrei attirare l’attenzione dell’Assemblea sull’attività che viene svolta nel Centro Antiabuso a favore di tanti bambini che, vivendo una situazione di disagio, hanno bisogno di una famiglia pronta ad accoglierli[4] .

Questa nostra urgenza era stata fatta circolare anche nell’Assemblea dell’anno scorso, ma non abbiamo ottenuto risposta. A quelle urgenze, fortunatamente risolte, ne subentrano oggi della altre.

Dalla nostra esperienza possiamo testimoniare che la famiglia possiede veramente energie formidabili, capaci – come dice Giovanni Paolo II nella “Familiaris Consortio” al n. 43 – di togliere l’uomo e il bambini dall’anonimato, di restituirgli una intelligenza appannata, una capacità di amare e di godere l’amore.

C’è quindi una strada percorribile per chi pensa che nella regalità della coppia e della famiglia ci debba essere il posto anche per una genitorialità che non sia legata esclusivamente alla legge del sangue. Naturalmente sono necessari certi requisiti e certe condizioni, c’è anche un percorso da fare, ma lancio egualmente questa proposta.

Piergiorgio Dri - S. Salvador - Venezia

Rileggendo il titolo dell’Assemblea, ho fatto la considerazione che esso racchiude una affermazione: “gli sposi sono partecipi del ministero regale di Cristo in quanto tali”. Ciò implica riconoscere al matrimonio una sua specificità e non appiccicargli un’etichetta.

Perché agli sposi è donato ciò? Nel tentativo di darmi una risposta seppure limitata, mi è venuto spontaneo accostare  l’atteggiamento di servizio reciproco degli sposi a quello totale di Gesù  che si dona e serve gli uomini fino a morire in croce.

Servire i figli può essere anche naturale, poiché vengono dalla nostra carne, ma è una cosa grande il servire il proprio sposo o la propria sposa in quanto persona perché questo significa anteporre l’altro a noi stessi.

Michele – SS. Apostoli – Venezia

Sono il marito di Adriana che ha parlato prima. Volevo fare una considerazione con riferimento alla regalità di Gesù messa in relazione con i beni materiali.

Io lavoro a Venezia, in Piazza S. Marco, dove constato che tutta l’attività è svolta in funzione dei soldi. Di conseguenza il maggior guadagno richiede maggior lavoro e quindi si sacrificano festività e domeniche sull’altare del profitto.

Penso che la regalità consista anche nel fare delle scelte orientate al rispetto del “Giorno del Signore”.

Per un certo tempo, fino ad undici anni fa, ho sempre lavorato anche di domenica, finché ho fatto la scelta di non rinnovare il contratto di lavoro che mi costringeva a ciò. Dopo tre mesi mi è stato offerto un lavoro, in piazza san Marco, in un esercizio che di domenica rimane chiuso. In questo io vedo la mano del Signore che è venuto incontro alla mia scelta.

Il lavoro, lo studio, i soldi sono tutte cose essenziali, ma non devono essere messe al primo posto. Esprimere la nostra regalità consiste anche nel trasmettere questi valori ai figli.

Sono scelte che, se testimoniate con convinzione, non passano inosservate alle persone con cui ci confrontiamo e ciò lo constato tutte le volte in cui, nel mio lavoro, con semplicità dico che domenica è chiuso non solo perché è giorno di riposo, ma perché soprattutto giorno del Signore.

 

 

Patriarca Marco  

Non intendo riprendere tutti gli interventi anche perché io, ascoltando, imparo molte cose e non intendo dare delle risposte, perché siete voi che arricchite continuamente il discorso.

Non finisco di stupirmi di questa comunità che il Signore mi ha affidato e mi viene voglia di imitare Gesù quando, pregando il Padre, si meraviglia di quanto accade attorno a se e lo ringrazia per aver messo in bocca ai piccoli delle cose molto belle.

Anch’io provo lo stesso sentimento per le cose belle che andate dicendo e che il Signore ha messo nel vostro cuore; di questo lo dovete ringraziare. Pregate il Signore, perché vi faccia rendere conto che questo vostro ritrovarvi insieme come famiglie, come sposi, vi arricchisce e vi aiuta a capire cose che forse da soli non riuscivate a comprendere.

Quindi, faccio solo alcune, spero rapidissime, sottolineature.

Stiamo parliamo della regalità, come uno degli attributi di Gesù Cristo, però rendiamoci conto che, oggi questa è una parola difficile, incomprensibile, che  va tradotta. I termini “regalità”, “regno”, non trovano nella realtà riferimenti esaltanti, mentre il vostro accostamento di questa parola all’espressione “servi per amore”, che esprime profondamente il senso della regalità di Cristo, è capito tutti.

Quindi, fuori di qui, non  parlate tanto di regalità perché non capisce niente nessuno, ma traducete questa parola in quest’altra, servizio, che è bellissima, tipicamente cristiana, perché l’interpretazione dell’amore come servizio è soltanto di Dio. Infatti, fare del servizio l’espressione suprema dell’amore è qualcosa che appartiene soltanto alla vita di Dio e che Gesù ci ha rivelato.

Fuori di questo ambito il servizio è brutto, il servire è rifiutato, ritenuto una cosa indegna. Gesù ci rivela invece questo mistero del cuore di Dio nella cui profondità c’è il servizio che si confronta anche con la fatica. Io faccio fatica a fare il vescovo, e so che anche il vostro essere sposi e essere padri e madri è gioia grande, ma è anche faticoso.

Anche Gesù ha penato a servire per amore, eccome se ha penato! Quello che mi stupisce di più è che se Gesù ha vissuto l’amore in questo modo, significa che anche per Dio Padre è così. È difficile capire come si realizzi in Dio Padre il servire per amore, però se Gesù è il rivelatore del Padre e Gesù ha interpretato il suo amore come un servizio, vuol dire che questo è Dio.

Non avrei mai pensato che Dio Padre fosse il mio servo, ma lo capisco quando penso a voi, papà e mamme. Papà e mamma (due persone, un’unica entità) non è un padrone, papà e mamma è un servo. I piccoli comandano e quanto sono più piccoli, tanto più comandano, e tanto più papà e mamma sono al loro servizio. Vedendo voi capisco le cose di Dio: certo un mistero, ma un Dio così è solo il Dio di Gesù Cristo, il Dio cristiano.

Quando parlate fuori di chiesa, quindi, non abusate della parola regalità, perché non sareste capiti. Se però voi dite “servo per amore” capiscono tutti e questa è la cosa più preziosa del cristianesimo che voi custodite con la vostra vita.

Un altro concetto bello che avete espresso riguarda la necessità di pregare. Da soli non si è servi per amore. Da soli si comanda e si comanda con arroganza, perché ci appartiene, l’abbiamo stampata nel cuore e soltanto nella preghiera riusciamo a vivere l’un con l’altro.

Piergiorgio diceva di considerare l’altro più grande di se stessi e questo è tipicamente cristiano. Soltanto se considero l’altro più grande di me posso mettermi in atteggiamento di servire per amore. Ma per vivere questo, occorre pregare, possibilmente insieme.

Gesù ha sempre fatto la nostra stessa fatica a vivere l’obbedienza, il al Padre, però ha vissuto con grande intensità l’esperienza di consegnarsi nelle mani del Padre e in quelle mani ci è rimasto anche nei momenti della sofferenza più grande, in cui non vedeva più niente: “Padre nelle tue mani consegno me stesso”.

Gesù, nelle sue fatiche, nelle sue ribellioni interne, si è sempre consegnato al Padre. Questo deve valere anche per noi; questa è una grazia grande che si ottiene soltanto pregando insieme.

Annamaria – San Marco Evangelista - Mestre

Mi è piaciuta l’immagine di Marco – della parrocchia di S. Giovanni Evangelista - del cuore che si contrae per poi espandersi. Stavo proprio pensando che noi siamo veramente fortunati ad essere  coscienti di questa regalità, ad avere uno sposo o una sposa che ci ama, una famiglia cara: ma c’è chi non vive questa realtà.

Allora dobbiamo farci veramente servi di quei fratelli che ora non sono con noi. Già lo facciamo nell’ambito delle nostre comunità, nei vari ambiti pastorali, ma dobbiamo dare testimonianza di questa nostra regalità, di questo nostro servizio impegnandoci anche negli ambiti del sociale, cioè nei consultori, nella scuola, nel lavoro e nella politica.

Penso questo impegno come un servizio, sia di coppia che personale. L’impegno del singolo, all’interno della coppia può anche non essere vissuto fisicamente assieme al compagno o alla compagna, ma ugualmente condiviso e sostenuto dalla sua preghiera.

 

 

Piero Martinengo – S. Paolo - Mestre

 

Il Patriarca, ricordandoci che il servizio non è cosa semplice, né facile, ci ha dato la misura di come si riesca a servire quando l’amore che unisce due persone è tale da consentire a queste di modulare ognuna il proprio passo su quello dell’altro, riconoscendo che il Signore conduce la coppia nel rispetto e nella promozione di ciascuno; quando l’amore è tale da saper anche discernere la ragione dell’altro e avere il coraggio di riconoscerlo non solo nel segreto dei nostri pensieri, ma apertamente.

Noi sposi, in quanto genitori, vorremmo, per i nostri figli che tutto fosse risolto con un certo anticipo ed è una sofferenza se ciò non avviene: fidarsi di Dio allora significa saper concedere ai figli il giusto tempo per la loro progressione, per la loro crescita; significa confidare nella loro capacità di ripresa anche quando sono nell’errore.

Inoltre questo amore non può essere trattenuto all’interno della coppia. L’amore è creativo, e non si può contenere; l’amore ha bisogno di svilupparsi, e quindi invadere  non solo gli ambiti della famiglia e della comunità, ma del mondo intero. Questo amore deve saper fare spazio a quella “civiltà dell’amore” di cui parlava Paolo VI e diventare così un sevizio che si fa carico della giustizia e della pace.

Il Cristo si è incarnato assumendo su di sé tutte queste realtà e se noi lo seguiamo in questa dimensione d’amore, riusciamo non solo a soddisfare le esigenze famigliari o della comunità, ma anche a farci carico di problemi più grandi, anche se qualche volta sono di  difficile comprensione, senza delegare ad altri in continuazione.

 

 

Marina Ticozzi - Ss. Gervasio e Protasio - Carpenedo  

Ho riflettuto anch’io su quanto in qualche modo già espresso dai due interventi precedenti in connessione al tema di quest’anno: la servitù per amore come vera regalità. Da un lato, come sposi cristiani, questo annuncio mi ha un po’ sollevato. Infatti, quando leggi la Parola di Dio o l’ascolti proclamata, risulta talmente esigente e talmente radicale che ti pare sempre di non essere mai del tutto sulla sua strada, di non esserti lasciato salvare mai abbastanza, di non rispondere mai abbastanza; quando, invece, come oggi, senti affermare la priorità del servizio per gli sposi cristiani, cioè che sta lì la regalità, allora, in fondo, per quanto poco, ti pare che il tuo, il nostro matrimonio, sia già sulla strada di questo servizio. Noi sposi, in questo, siamo anche fortunati, perché ci è stato donato l’amore, di sposarci, e in fondo già sposandoci e facendo quello che desideriamo, cioè servire lo sposo e la sposa reciprocamente, servire i figli, servire i nonni, siamo già in questa logica di chiamata.

Questo allora, non dico che ci dia serenità, giustificazioni, assicurazioni per la vita eterna, ma ci fa sentire su un cammino pur faticoso, ma in cui, comunque, ci pare di essere dentro ed è bello sentircelo dire e dircelo in tanti oggi.

La seconda riflessione parte da un’affermazione del Patriarca che ha definito così una delle linee possibili di attuazione della regalità: “servendo la giustizia tra tutti i figli di Dio”. Sottolineo tutti ! Sono quelli che hanno i tempi diversi di camminare, sono i bambini speciali, sono - adesso non voglio fare esempi troppo attualizzanti - tutti i figli di Dio, in Afghanistan, negli Stati Uniti, in Turchia, gli Armeni. Tutti sono figli di Dio. E allora o ci lasciamo interrogare da questa servitù d’amore che va anche fuori dalle mura della nostra famiglia, dell’affetto e della preghiera della nostra coppia, ma diventa una preghiera, un impegno, un servizio per il mondo, altrimenti alla fine rischiamo solo di gridare: “Signore, Signore”, e di ringraziarlo esclusivamente per questi doni che abbiamo.

Noi siamo figli di questi tempi, viviamo ora; forse volevamo un mondo migliore, ma abbiamo solo questo dove vivere. E allora? O ci impegniamo per una giustizia radicale (non perché abbiamo chissà quali risposte, ma perché dobbiamo portare un servizio per amore) oppure si rischia che anche il nostro matrimonio si faccia piccolo piccolo, intimistico, chiuso.

Forse questi sono i segni dei tempi che chiedono di essere interrogati; forse in altri momenti c’era bisogno di riscoprire la dimensione del sacramento del matrimonio degli sposi nella sua realtà peculiare, quasi ristretta. Adesso mi pare che i segni dei tempi chiedano un respiro di partecipazione e di servizio alla costruzione della casa di tutti che è la politica, alla costruzione di un mondo più onesto, più giusto, dove la politica sia servizio, non arrivismo, e dove si rispettino gli altri. Questo lo dobbiamo anche per i nostri figli  

 

Franco – S. Maria Ausiliatrice – Gazzera

 

Partendo dalla considerazione che Gesù Cristo è servo e al contempo maestro, vorrei porre l’attenzione sul fatto che il nostro modo di essere servi nei confronti dei figli può diventare nocivo se non è accompagnato da una opportuna parallela educazione al servizio.

Quando il servizio non educa il bambino o il ragazzo ad essere servo a sua volta, ma solo ad essere “principino”, ci troviamo poi di fronte ad un circolo vizioso del quale io stesso ho fatto esperienza e che ora riconosco nella mia paura di educare mio figlio ad un livello che non sia solo avere, ma imparare a dare e a sacrificarsi almeno un po’.

Questo mi fa capire che devo essere servo con intelligenza, servo “maestro” e non servo e basta: questa dimensione diseduca e rende una società che solo domanda e non dà.

 

 

Michele Testolina - Ss. Gervasio e Protasio - Carpenedo

 

Mia moglie ed io, in questo periodo, spesso ci chiediamo cosa possiamo fare per le coppie in difficoltà e che sono sempre più numerose, anche nella cerchia delle nostre conoscenze. Persone che all’improvviso non superano più gli “impasse” che si sono sempre saputi affrontare. Di fronte a queste realtà, cosa ci chiede il Signore?

Un’altra riflessione riguarda i figli. Noi tentiamo di aiutarli dando loro una educazione, offrendo delle opportunità affinché da adulti siano fedeli alla loro chiamata. Ma come genitori abbiamo anche un’altra responsabilità, in rapporto alla qualità del mondo che noi consegniamo al loro futuro. Dobbiamo interrogarci su quale ambiente, quale società, quali leggi e cultura abbiamo costruito o stiamo costruendo e con cui i nostri figli dovranno fare i conti.  

 

Giuseppe – S. Giorgio – Chirignago

 

Sono sposato da venticinque anni con Gabriella che è qui con me. Quando abbiamo deciso di sposarci, siamo andati davanti a Dio per porre nelle sue mani il nostro matrimonio; venticinque anni dopo siamo tornati a rinnovare le stesse promesse di allora.

Quando ci siamo trovati qualche tempo fa per preparare questa assemblea, ci hanno parlato di “servi per amore” e di carità. La considerazione fatta poco fa circa l’essere servi intelligenti mi ha fatto interrogare.

È facile servire i figli se ci fermiamo a soddisfare i loro bisogni naturali. 

Mi sono chiesto allora se in ogni occasione della mia vita o anche solo in parte, sono stato servo nei confronti di mia moglie e dei miei figli, se ho fatto capire l’obiettivo del mio essere servo in Cristo e servo per amore. Me lo sono chiesto anche nei riguardi della gente che mi vive attorno. Sono stato abbastanza servo da fargli capire che sto tentando di testimoniare la mia fede in Dio e in Cristo?

 

 

Nadia Fiorese – S. Maria Maddalena - Oriago  

Faccio molta fatica a essere a servizio nella coppia, perché, come diceva il Patriarca, sento di avere dentro proprio l’aggressività, il comando.

Vi racconto però un piccolo episodio: negli anni ho visto che il servizio entra nella casa, nelle piccole cose che si fanno quotidianamente. Quando avevamo i figli piccoli c’è stato bisogno per noi di mettere delle regole, per esempio i turni per lavare i piatti. Ad un certo punto i primi che sono diventati grandi hanno capito e non c’è stato più bisogno di avere l’obbligo del turno perché hanno cominciato a farlo normalmente. In questa cosa semplicissima (voi ne avrete tante altre), abbiamo constatato che in loro era entrata la capacità di servizio. Spero che poi la traducano in altre cose, nel mondo e nei rapporti con gli altri.

A proposito della sollecitazione di Marina siamo anche fortunati. Ieri sera cantavo una ninna nanna al nostro nipotino, la solita: “Ninna oh!, ninna oh!, questo bimbo a chi lo do, lo darò all’uomo nero..”. Ma l’uomo nero è il babbo perché nostro genero è della Costa d’Avorio! Questo mescolamento è oramai nel nostro vivere normale, dei ragazzi a scuola, di famiglie ed occorre vivere normalmente anche Gesù Cristo, metterlo vicino al Dio dei musulmani, di cui sappiamo poco. Anche questa è una cosa da provare, portando con umiltà la regalità di Cristo.

Ferruccio – S. Maria della Pace – Mestre

Porgo la mia testimonianza solo per dire che personalmente ho trovato tutte le risposte ai miei dubbi sul Calvario di nostro Signore, dall’inizio alla fine.

Ho trovato risposta nel suo amore, in nome del quale non si è mai lamentato durante il suo cammino di passione, dalla flagellazione che ha subito all’aceto che gli hanno dato da bere. La sua voce si è levata solo per rimettersi nelle mani del Padre. Egli ha sofferto come uno di noi. Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo sofferto, ma difficilmente siamo capaci a sopportare il nostro dolore.

Se siamo capaci di pregare veramente, con forza interiore, dal dolore viene anche l’amore, il dolore se ne va’. Ma se non sappiamo pregare, quel dolore rimane: potrà andarsene con una medicina, ma nel nostro intimo esso rimane, non riusciremo a levarcelo d’attorno.

 

 

Sandra Sambo  – Frari - Venezia  

La cosa che mi ha stupito oggi è che nessuno ha ancora parlato dei giovani che si preparano al matrimonio. In alcune occasioni sono state presenti in Assemblea anche coppie di fidanzati, forse oggi non ce ne sono. È indispensabile che le coppie che animano i corsi per fidanzati lancino il messaggio del servizio reciproco: mettersi l’uno al servizio dell’altro. Oggi molti matrimoni finiscono e non solo dopo pochi mesi, ma anche dopo molti anni. Perché? Spesso la motivazione è questa: ho trascurato me stesso, non  mi sono realizzato/a.

È indispensabile perciò portare il messaggio del servizio che è l’opposto del prevalere dell’uno sull’altro; questo anche nelle banalità del quotidiano, cercando di aiutare l’altro ad essere se stesso.

Questa è una piccola cosa che però può segnare profondamente il nostro essere coppia.

 

 

Patriarca Marco  

Mi pare abbiate detto tante cose belle che vanno solo sottolineate. Vorrei evidenziare con forza la raccomandazione all’impegno sociale e politico. Non tutti sono chiamati allo stesso compito nella società e nella Chiesa, però vorrei ribadire quello che è stato detto in due o tre interventi. Questo è il mondo che vogliamo trasmettere ai nostri figli e dobbiamo contribuire anche noi alla sua costruzione.

Quindi l’impegno nella società, l’impegno politico, sono cose che devono entrare nei nostri discorsi, è un mondo nuovo che si apre davanti a noi. Non rifiutiamo questi argomenti. Anche se la politica può averci disgustati, proprio per questo dobbiamo farcene carico per creare, per testimoniare qualcosa di meglio nella società.

È stato poi fatto accenno all’educazione dei figli che non devono essere trattati come dei “principini”. Lo ritengo importante. Sono cresciuto in un ambiente molto modesto e porto tutti i segni di una fanciullezza e di una giovinezza non dico povera, ma molto, molto modesta. I vostri ragazzi hanno infinite cose in più di quante ne abbia avuto io, però a me ne hanno dato una, educandomi: mi hanno educato al sacrificio.

Ma sapeste come mi aiuta ciò adesso che sono maturo e con le responsabilità di vescovo. Se voi non educate i vostri figli al sacrificio, li private di qualche cosa di cui avranno assolutamente bisogno e domani potrebbero rimproverarvi per questo.

   

  AL SOMMARIO  

 

LE “FINESTRE” DEL POMERIGGIO

 

INTRODUZIONE AI LAVORI  

Riprendiamo il nostro lavoro dopo il pranzo preparato con tanta generosità e simpatia dalla Parrocchia di San Giorgio. La mattina abbiamo fissato la nostra attenzione sulla regalità di Cristo che è re sulla Croce, con la meditazione del Patriarca, e su che cosa significhi per gli sposi essere chiamati a vivere questa regalità come servizio e come amore durante il dialogo tra Assemblea, Patriarca e Commissione, dialogo che è stato denso di stimoli e speriamo molto fruttuoso.

Ora  apriremo sul ministero regale, sociale e politico degli sposi tre finestre che ci permetteranno di vedere come in altrettante esperienze di impegno, sostenute anche da sposi della nostra diocesi, in risposta alle necessità e alle sofferenze delle persone e delle famiglie del territorio, si possa concretizzare il ministero regale degli sposi. Ascolteremo le testimonianze di una delle coppie che si occupano della conduzione di Casa famiglia “S. Pio X” alla Giudecca in favore delle mamme in difficoltà; di alcuni rappresentanti dell’Istituto "Gris" di Mogliano che opera in favore delle famiglie che hanno un malato psichico; di un responsabile del Centro di formazione e consulenza alla coppia e alla famiglia “S. Maria Mater Domini”.

Si tratta di realtà che da diversi anni sono affidate dal Patriarca all’attenzione degli sposi nell’ambito del progetto denominato "Famiglia per le famiglie".

Sono esempi di tre realtà che per continuare ad andare avanti hanno grande bisogno di coppie di sposi che si impegnino con generosità in una forma di servizio che proprio la Chiesa diocesana affida a loro, e in questo senso ricordiamo agli sposi che è giusto che tutti vi si sentano chiamati in causa, almeno come consapevolezza di una necessità.  Speriamo che, anche oggi, in molte coppie possa nascere la domanda attorno ad un possibile impegno in queste realtà. D’altra parte,questa presentazione vorrebbe non solo invitare gli sposi ad una disponibilità di servizio, che pure ci si augura possa nascere con generosità, ma soprattutto far crescere negli sposi la sensibilità e la coscienza che il ministero regale, che hanno in forza del sacramento stesso del matrimonio, li chiama ad aprirsi al mondo esterno e a portare anche lì il loro amore, in particolare laddove la persona umana  ha problemi e sofferenze.

Prima però di aprire queste tre finestre, ci sarà proposta una breve introduzione ad esse da Daniele Garota con alcune sollecitazioni e spunti concreti sulla dimensione sociale e politica del ministero regale degli sposi.

Abbiamo già abbiamo conosciuto e apprezzato Daniele e Ornella Garota nelle due scorse assemblee sui ministeri profetico e sacerdotale. Sono amici che ormai consideriamo quasi come membri effettivi e "affettivi" della Commissione sposi, e anche quest’anno ci hanno aiutato nella preparazione di questa assemblea. Tra parentesi, per chi non è venuto alle scorse assemblee, Daniele con la moglie Ornella ha quattro figli, vive nei pressi di Urbino dove ha un agriturismo, ed è autore di libri preziosi sulla fede vissuta in famiglia e sulla spiritualità coniugale, fra cui ricordiamo "Credere con un figlio", e l’ultimo pubblicato: “L’onnipotenza povera di Dio".

   

  AL SOMMARIO  

SPOSI IN CRISTO, SERVI PER AMORE

di Daniele Garota  

 

 

UNA SFIDA CULTURALE  

Prima di tutto permettetemi di ringraziarvi per avermi invitato ancora una volta e per questo calore di amicizia con cui mi accogliete.

Vorrei iniziare dicendo che mi ha particolarmente toccato, come credo un po’ tutti, quello che è accaduto l’11 settembre e che ha messo in evidenza i gravi problemi in cui versa l’umanità. Credo che i cristiani si trovino di fronte a due grandi sfide, una culturale e una sociale, che devono avere origine fin dall’interno delle nostre mura domestiche, per poi estendersi il più possibile verso l’esterno.

Ho avuto modo di leggere alcuni documenti della chiesa veneziana, e in essi ho trovato una frase, che non so se detta dal Patriarca o ripresa altrove, ma che ritengo comunque fondamentale: “La fede è a rischio di irrilevanza quando non diventa cultura, perché non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”.

È necessario affrontare innanzitutto una sfida culturale perché l’esperienza vera del fare può nascere solo se a monte esiste una presa di coscienza profonda. Non c’è avvenimento che non consegua o per lo meno non assuma significato e senso da una parola che lo precede.

I figli possono fare qualcosa di significativo se gli viene trasmessa una cultura, altrimenti quello che fanno non ha senso, non ha cuore. E così avviene anche per i cristiani.

Come diceva Gianpaolo stamattina, non c’è un vero fare senza un essere, però bisogna fare attenzione che la fede non diventi troppo “cultura”, che non si stacchi troppo cioè dalla concretezza. La cultura deve  incarnarsi nella concretezza del vissuto, allora sì che ha senso.

Per un cristiano la parola che precede il “fare” è innanzitutto quel Cristo che si è presentato come “Parola”, “Verbo”. Di Lui stamattina si è parlato parecchio e il Patriarca ci ha detto con molta chiarezza in che modo egli ci ha insegnato a operare, ad essere responsabili del nostro dire e del nostro fare. Senza una conoscenza piena di Gesù e di quello che ha fatto e detto non ci può essere cristianesimo: e questo può e deve avvenire a cominciare dalle nostra quotidianità, dalle nostre case, dalle nostre famiglie. Dobbiamo avere il coraggio di aprire il Vangelo, di sentirlo nostro, di leggerlo, di volere bene a questa Parola.

 

 

UN SERVIRE CHE LIBERA  

Si è parlato molto anche di servizio questa mattina. “Servire per amore”: non ci vuole niente a dire una frase come questa, ma temo che non ne comprenderemo mai abbastanza la portata..

C’è quell’episodio di Marta e Maria nel Vangelo in cui c’è scritto che Marta era presa “dai molti servizi” (cfr. Lc 10,38-42), perché si dava molto da fare a servire…, però è detto che non si era scelta la parte migliore, quella che si era invece presa Maria mettendosi ai piedi della Parola, ascoltandola.

Prima, allora, ci deve essere l’ascolto della Parola e poi ci può essere il servizio.

Sottoscrivo tutto quello che ha detto uno di voi stamattina riguardo al fatto che non bisogna trattare i figli come dei principini: ho una certa esperienza avendo quattro figli, cinque anni il più piccolo, ventidue il più grande.

Infatti, c’è un servire che libera e c’è un servire che rende schiavo colui che è servito: si tratta di capire dove sta la differenza. C’è un troppo fare che rende pigro il prossimo e che persino lo infastidisce. Ci sono donne che servono i mariti a tal punto da renderli schiavi di quella pigrizia che poi li fa inciampare anche sulle minime cose, perché non sono poi in grado di affrontare nulla da soli. Servire i figli come se fossero dei principini è dannoso perché così essi vengono resi schiavi di questa facilità, di questi vizi, di questi capricci e si troveranno sempre male.

Anch’io, come il Patriarca, devo ringraziare mio padre e mia madre perché mi hanno insegnato il senso del sacrificio, e della rinuncia.

Si può riassumere il concetto dicendo che il servizio che non insegna a servire è un cattivo servizio. Quando Gesù lava i piedi ai discepoli, servendo, dice: “Anche voi dovete fare così”. Se uno serve, deve insegnare a servire e se fossimo davvero bravi, dovremmo trasmettere la gioia del servire. C’è una frase di Gesù, riportata negli Atti degli Apostoli, che dice così: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35). Sarebbe molto importante riuscire ad entrare in questa dinamica, sarebbe un vero regalo per le persone che noi serviamo.

In quest’ottica si inserisce una battuta di Eduardo de Filippo il quale a chi gli chiedeva: “Che cosa possiamo fare a questi giovani?” rispondeva: “Nei confronti dei giovani abbiamo un preciso dovere: rendergli la vita difficile”. C’è un eccesso di protezione materna, - “faccio io, faccio io…” - ma quando i figli poi dovranno affrontare la vita in prima persona, cosa faranno? Non c’è più il babbo, non c’è più la mamma e loro sono lì, rammolliti, senza spina dorsale per reggere.

Ma la vita difficile si può rendere ai giovani soltanto se i rapporti sono basati sulla solidità e sulla reciproca fiducia, altrimenti non ci si comprende, non si comprende cioè che quella durezza quasi imposta è dettata dall’amore anziché dall’egoismo, come in superficie potrebbe apparire.

E c’è un altro elemento importante: il luogo di appartenenza. Senza un luogo di appartenenza, senza riferimenti precisi, non c’è identità. Ma anche qui bisogna stare molto attenti a che questi luoghi e queste appartenenze non diventino a loro volta cappe soffocanti anziché fonti di libertà e di spinta creativa. Si deve perciò fare di tutto pur di contenersi quando ci vengono da fare domande del tipo: dove sei andato? Con chi? Cosa avete fatto? Chi è stato il più bravo? Sono domande che danno fastidio, che non lasciano spazio alla fiducia e alla libera creatività. Non si deve indagare troppo, serve molta discrezione, soprattutto in certe età. E anche quando si tratta di dare indicazioni concrete, non si può insistere troppo, particolareggiare troppo, quasi fossimo noi a stabilire e dirigere il futuro dei nostri figli. Troveranno loro stessi - da soli, vincendo difficoltà, lottando in prima persona - ciò che gli occorre.

A noi spetta creare in casa un’atmosfera di libertà e di ascolto dove la creatività abbia libero corso, dove i valori si respirano in silenzio, come si respira l’aria. Educare i figli alla sobrietà, alla semplicità, è il più bel regalo che gli si possa fare in un mondo come quello di oggi. Ma tutto deve essere fatto con leggerezza e gioia, non con quell’aria cupa, paternalistica e frustrante che avrebbe sicuramente messo in fuga anche il giovane Gesù.

Noi abbiamo avuto qualche mese fa in Italia una vicenda drammatica che ci ha scossi tutti, un po’ come ora il crollo delle Torri gemelle: il delitto di Novi Ligure. Anche allora siamo rimasti senza fiato, increduli. Ci siamo resi conto che uno spettro invisibile e terribile si aggira nelle nostre società, uno spettro che può nascondersi dentro la normale quotidianità dei nostri figli, dei nostri adolescenti, una potenza di male inimmaginabile. Era una famiglia come le nostre quella, erano ragazzi come i nostri quelli, non “sporchi extracomunitari”. Era forse una famiglia migliore delle nostre. Cercate delle colpe lì se ne avete il coraggio. Io non ce l’ho.

Io so che c’è una forza di male che si può scatenare al di là delle nostre migliori intenzioni, inaspettata e improvvisa. Ma so anche che una società che porta scene di violenza quotidiana anche nelle stanze da letto dei bambini, che gli riempie le tasche di soldi insegnandogli a far soldi e ad arrivare sempre prima degli altri, al di sopra degli altri, caricandoli di aspettative esagerate, non può produrre nulla di buono. 

Anche quando si tratta di spingere alla fede, alla parola che ci fa maturi nella fede, guai assumere quegli atteggiamenti forzati e bigotti che finirebbero solo con l’esasperare i figli. Il giogo di Gesù è dolce e leggero, lascia molta libertà, molto spazio di pensiero, molto spazio di partecipazione. Non c’è solo il contenuto nel messaggio, c’è anche una maniera di trasmetterlo.

   

... MA SE NON C’È FEDELTÀ  

Vorrei dire qualcosa anche sulla fedeltà, giacché non può esserci servizio senza l’umile agire con fedeltà.

Qualcuno diceva stamattina che le coppie si sfasciano, perché c’è qualcuno che dice: “non mi sono realizzato”. Si sta insieme per compiacimento, per realizzazione personale, perché piace, perché si sta bene insieme, perché il partner è bello, perché si è innamorati: tutto è basato sull’emotività, ma così il rapporto non può reggere.

Davanti all’altare gli sposi sono chiamati a dire: “Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, di amarti e onorarti per tutti i giorni della mia vita”. Questa fedeltà è venuta meno e non abbiamo saputo trasmettere nelle nuove generazioni il valore della fedeltà.

Ma se non c’è fedeltà, soprattutto nelle giovani coppie, basta un nulla e tutto si sfascia. I giovani oggi si sposano, o decidono di convivere, guardando soltanto le componenti affettive, gratificanti, facili e immediate, come se il rapporto dovesse durare fin quando si sta bene insieme. La componente della fedeltà è come scomparsa, la responsabilità è come tradita, il rapporto è come costruito sulla sabbia anziché sulla roccia, come dice anche il Vangelo. Dio è fedele e mantiene le sue promesse. Dio ha mantenuto la sua parola, nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte. Mantenersi fedeli, mantenere la parola, può comportare anche di finire sulla croce. E Dio lo ha fatto fino in fondo.

Dio ha avuto bisogno dell’uomo, ha avuto bisogno di noi. Adamo che ha bisogno di Eva assomiglia a Dio. Non scaturisce l’amore se non c’è questo bisogno dell’altro. Amore significa legarsi indissolubilmente a qualcuno con fedeltà. Colui che se ne sta tutto solo nel suo cantuccio, che non ha bisogno di nessuno e che di nessuno si occupa, non sa cos’è amore.

C’è un narcisismo diffuso che è veleno per i nostri figli, perché gli insegna ad essere soltanto parassiti in casa, tra gli amici. Senza affetti profondi, senza legami forti e duraturi non si costruisce granché e si resta in balia della banalità e dell’indifferenza. A volte si ha l’impressione di avere davanti giovani paffuti e in buona salute ma già cadaverici nell’animo: sparito ogni fremito di coscienza, ogni ansia di curiosità e domanda, di apertura serena alla novità, sparita la voglia di vivere e di stupirsi. Di lì il qualunquismo morale, lo sparire di una qualsiasi idea e, conseguentemente, di una qualsiasi gioia, di una qualsiasi soddisfazione.

Amore è possibile legandosi a qualcuno, a una sposa, a dei figli, a degli amici con fedeltà, fino a dare la vita per essi se occorre. Così ha fatto Dio. Così il Signore ci ha insegnato a essere re, contro quelle manie di essere re che ha l’uomo nel mondo.

Il “re” deve essere fedele, sempre, perché Dio è stato fedele fino in fondo, fino all’ultimo, anche quando gli costava la vita. Questa fedeltà conta molto, soprattutto là dove arriva la malattia, perché è lì che arriva il vero bisogno dell’altro, della fedeltà dell’altro che ti accarezza, che ti rifà il letto. È scritto che Dio ha cura del debole e che lo sostiene “sul letto del dolore” (Sal 41,4).

 

 

C’ERA UNA VOLTA UN RE...  

“In quel tempo non c’era un re in Israele, e ciascuno faceva ciò che sembrava giusto ai suoi occhi” (Gdc 21,25). Oggi potremmo dire che non c’è più un re in casa e i figli si regolano ciascuno come gli sembra più gradito ai loro occhi. Dentro casa ci vuole la presenza di un re, nel senso della presenza di qualcuno che sia autorevole. Se una volta c’era il pericolo del padre - padrone, oggi c’è quello contrario, dell’assenza di figure forti che stabiliscano cosa sia bene, cosa sia male, cosa sia giusto, cosa sia sbagliato.

Cosa può pensare alla fine un bambino quando, crescendo, vede i genitori che sanno solo gettarsi a capofitto nel lavoro, senza avere mai il tempo per parlare per stare insieme? Come fanno ad essere attratti dalla fede quando vedono il papà e la mamma frequentare la chiesa, ma in maniera cupa, con acidità, bigottismo, senza gioia; se non gli si trasmette la gioia del credere, se non vedono i volti che ascoltano leggeri, trasformati, delicati. Non possono seguirli. Mettiamoci nei loro panni: seguiremmo noi questo modo di essere? Temo di no. Spesso i giovani, i ragazzi ci insegnano ad essere più leggeri. Gesù amava molto i bambini, i ragazzi, questa leggerezza.

Come dice la Lettera a Diogneto, il cristiano è come tutti gli altri, eppure è radicalmente diverso. Il cristiano testimonia qualcosa soltanto se fa sentire agli altri di essere diverso nei suoi comportamenti; la sua vita è tale che gli altri sono costretti a chiedersi: ma perché lui fa così?

Il cristiano deve far sentire qualcosa che non è il mondo, di avere intravisto qualcosa che va oltre le cose che possiamo sperimentare ora, il cristiano sa rendere visibile l’invisibile. È sale della terra, è luce del mondo.

 

 

LA STRADA STRETTA, LA STRADA LARGA  

Ma il cristiano oggi è soprattutto chiamato ad avere antenne sensibili anche verso l’esterno: un cuore che si concentra, ma anche un cuore che si espande. Anche qui incontra subito, attraverso le due sfide di cui parlavo all’inizio, la grande responsabilità di essere uomo integro, fino in fondo.

“Politica” è una parola ambigua, perché oggi è sinonimo di partiti. Invece “politica”, nel senso più elevato del termine, necessita di impegno coraggioso, di servizio coraggioso, leale, fedele.

I capi delle nazioni ... esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi si farà vostro servo”, dice Gesù ai discepoli (Mt 20,25-26).

Se vuoi essere grande, essere il primo, diventa servo, fatti schiavo.

I cristiani che vogliono mettersi nell’impegno politico, hanno due strade davanti: quella della religione civile – li abbiamo visti i cristiani in politica – dove la porta è larga, la strada facile; tutti vogliono vincere, tutti vogliono andare lì. Poi c’è l’altra strada, che è invece quella del Vangelo: stretta e nessuno ci vuole andare, perché nella strada grande si diventa visibili, si entra nelle stanze del potere, si maneggiano soldi, tutti vengono ai tuoi piedi a chiedere favori. Lì io comando, ho il potere, decido cos’è giusto, cos’è sbagliato, cos’è bene, cos’è male, qual è la civiltà migliore, qual è la civiltà inferiore, io decido tutto.

Il Vangelo dice  una cosa diversa, dice che quando sei debole è allora che sei forte; tu devi servire, devi lavare i piedi; se qualcuno vuole farti re, metterti sul trono, tu devi fuggire, devi essere disponibile verso gli ultimi e i bisognosi, devi essere disponibile a pulire i gabinetti. Tu devi servire quelli che non hanno da ricambiarti, devi rimanere a tasche vuote, e se ti crocifiggono devi arrivare anche a farti crocifiggere.

Non credo siamo in grado di percorrere questa via politica. Credo anche che san Francesco non sarebbe stato un buon parlamentare e neanche Gesù sarebbe mai entrato in Parlamento. Possiamo però decidere di tenerla a riferimento, scegliendo l’impegno politico come luogo intermedio, come luogo di attesa del vero Re che deve tornare (Lc 19,12). E lo si può fare scegliendo quella mitezza che non cerca mai il proprio interesse, e sapendo bene di essere stranieri e pellegrini sulla terra (Sal 118,19). Sta bene politica se essa è apertura di cuore rivolta ai bisogni dei fratelli meno fortunati, apertura e impegno verso il bene comune. Il “buon samaritano” fa politica. Lui scende da cavallo e dice al poveraccio: non ti  preoccupare ci sono qua io.

 

 

L’EMERGENZA DELLA INGIUSTIZIA SOCIALE  

Ieri pomeriggio sono stato a fare un giretto all’Istituto “Gris” di Mogliano. Ho passato due ore lì dentro. Credo tutti conoscano questa struttura, dove ci sono centinaia di creature costrette a vivere al limite della decenza. Avevo sentito parlare di questi luoghi ma non c’ero mai entrato prima.

È un’esperienza da fare.

Ho incontrato questi ragazzi, che mi fermavano dicendo “casa, casa, casa…”, “come ti chiami?”, “io mi chiamo…”

Sono costretti a stare lì tutta la vita, come dei reclusi. Questo deve farci riflettere, perché noi a casa abbiamo tutto e non diamo più valore a niente, mentre loro non hanno più niente e danno valore a tutto. Se avessero anche una briciola di quello che abbiamo noi impazzirebbero di gioia e invece a noi non ci basta mai. Ma la povertà e la miseria è sconfinata.

Una signora fra di voi, mi parlava prima di una bambina che ne ha viste tante: violentata a nove anni, abbandonata, sola, incapace anche di dire le cose, e non ha più nessuno. Ma si fatica a trovare una famiglia che dica: “vieni da noi, qui abbiamo spazio anche per te…”. Non c’è.

I cristiani devono sentire questa emergenza dell’ingiustizia sociale, come devono prestare attenzione al mondo del creato, perché ne stiamo facendo di cotte e di crude, e si dice che le prossime generazioni non avranno acqua da bere né aria da respirare.

Il ruolo della politica si gioca proprio qui.

C’è una frase del profeta Baruc, che parla di “Pace della giustizia e gloria della pietà” (5,4). Facciamo presto a dire pace, a sfilare… ma la giustizia dov’è? Noi possiamo chiedere la pace per Israele, ma se un israeliano dice a un palestinese: io mi tengo sette litri d’acqua, tu accontentati di un litro, il palestinese si arrabbia è evidente. Che si dicesse almeno: tu tre e io cinque, e invece no: sette a uno. E allora questa è la pace che sta bene a chi ha tutto, non la pace di chi non ha niente.

È la sofferenza di chi non ha niente, perché manca la giustizia. Se non c’è pace nella giustizia non è vera pace.

Noi ci dimentichiamo dei poveri, ma certamente i poveri non si dimenticano di noi. Non ci si può più nascondere dietro il dito: come noi sappiamo come vivono loro, loro sanno come viviamo noi, hanno la TV. Per questo rischiano la vita per arrivare sulle nostre coste, e danno tutto agli scafisti: sanno che qui abbiamo tutto e loro non hanno niente; abbiamo sette litri di acqua, loro uno. Noi abbiamo sette parti di tutto e loro fanno fatica ad averne una. Loro sono tanti, sono giovani.

Il cardinale Martini ha ricordato nei giorni scorsi del “rischio di una pericolosa rivolta mondiale”, ma anche San Vincenzo de Paoli, il prete dei galeotti, affermava che: “l’ira dei poveri è terribile”.

Avevo un amico prete operaio, don Cesare Sommariva, impegnato molto nel sociale, in mezzo agli operai: Mirafiori, Arese, aveva seguito anche la scuola di don Milani per gli analfabeti che venivano dal Sud.

Con lui sono stato in Brasile quindici anni fa: era la prima volta che arrivava in America Latina ed era impressionato da queste masse di poveri, tutti giovani, non c’è un anziano, le mamme tutte incinte. Lui è tornato lì a lavorare e questo mi scriveva tre o quattro anni fa:

“Guardarli ed essere guardati da loro è insopportabile, soprattutto se ti guardano con speranza, con amicizia fraterna, profonda. C’è una vergogna del privilegio che può annientarci dentro. Essi non ti guardano. Guardano solo. Il loro sguardo fisso nel vuoto. Gli occhi fermi, gonfi, vitrei. I loro piccoli muoiono perché non hanno nulla... Essi sono stati nutriti di fame, di rabbia, di relazioni violente, di disordine. Questo è insopportabile e riempie di paura. Queste masse di poveri fanno paura”.

Mi scriveva ancora che le persone si suddividono in classi. Ci sono anche i ricchi, un ceto medio, anche se sono minoranza , poi ci sono i poveri, i più poveri e infine i marginali, che si chiamano “desechables”, cioè quelli che si possono anche gettare via come rifiuti, tanto nessuno s’accorge. Non sappiamo nemmeno che esistono, sono invisibili, sono masse, milioni, questi poveri tra i poveri, vermi schiacciati.

Mentre noi buttiamo via tutto, mentre noi non facciamo mancare mai niente ai nostri figli, a quelli manca tutto. Se manca un niente ai nostri figli, dobbiamo fare i salti mortali perché devono avere tutto, essere dei principini, i primi della classe; i più bravi a giocare a pallone. “Sa, mio figlio è all’università, andrà in Inghilterra, diventerà chissà chi…”.

E così, questi bambini, che vorrebbero semplicemente giocare e non possono perché non ci basta mai, sono schiacciati dalle aspettative dei loro genitori che vogliono, vogliono...

Ma se fuori della porta c’è un bambino che ha bisogno, non vogliamo saperne. Quando veniamo a sapere delle grandi povertà in cui versa la gran parte dell’umanità ci giustifichiamo in genere dicendo: perché mai dovremmo preoccuparcene più di tanto? Non sono forse cause tutte interne ai loro paesi che li portano a quello? Eppure, se cominciamo a pensarci, pesano grosse responsabilità sulle nostre spalle. Andiamo un poco indietro nella storia e cominciamo a vedere cosa abbiamo fatto in quei paesi negli ultimi secoli. Le grandi colonizzazioni. E poi guardiamo anche quello che continuiamo a fare oggi. Leggevo di recente che se accettassimo di pagare la tazzina di caffè 1.800 lire anziché 1.500 e venissero effettivamente date quelle 300 lire ai contadini e agli operai che coltivano e lavorano il caffè, in Africa e in America Latina, essi si vedrebbero di colpo aumentare il reddito giornaliero di due o tre volte. Questo per dire che anche nel nostro più modesto piacere quotidiano potrebbe nascondersi la causa della povertà del mondo. Quello che avanza dai ristoranti, i cibi che vengono buttati nelle pattumiere di New York ogni giorno, basterebbero per sfamare tutta l’Africa ogni giorno.

Non ce ne siamo resi conto fin qui e continueremo a far finta di niente lo so. Non ci dicono più nulla questi discorsi. Ma non erano forse questi i discorsi che facevano i profeti? Non andava fin da allora a mettere il naso in mezzo ai mercati il Signore? Non si occupava forse di bilance false, di orge di bontemponi mentre là il povero gridava, come leggiamo in Amos?

Il peggiore peccato nei confronti dei nostri simili oggi non è più l’odio ma l’indifferenza: il povero è più offeso dall’indifferenza che dall’odio. Domenica scorsa abbiamo letto la parabola del ricco epulone che ci dice proprio questo. In fondo il ricco epulone non ha mai odiato Lazzaro, ma gli è mancata la compassione. I cani andavano a leccare le ferite di Lazzaro, ma il ricco epulone non le ha mai toccate. I cani hanno superato in compassione il ricco. Se noi non ritroviamo la forza di sentire l’orrore per il tanto male che viene commesso, la rabbia contro le ingiustizie a danno dei più piccoli e dei più deboli tra noi, cercando di fare il possibile per arginarle, il male e le ingiustizie dilagheranno a vista d’occhio.

 

Enzo Bianchi, un monaco che stimo molto, fondatore della Comunità di Bose, a chi gli  chiedeva di dire “qualche cosa sull’inferno”, rispose  (e condivido):

“lo Yom Adonaj, il Giorno del Giudizio del Signore, ci sarà eccome, guai se così non fosse: significherebbe l’indifferenza di Dio di fronte al bene e al male; ma non verterà sulla confessione religiosa, bensì sul rapporto con gli altri; e se come monaco invoco il giudizio finale è solo per rispetto delle vittime, sapendo bene che - in quanto occidentale privilegiato - io appartengo ai carnefici”.

Credo che dobbiamo riflettere su queste cose.

Vi ringrazio.

   

Nota della Redazione:  

Al termine della conversazione di Daniele Garota sono pervenute dall’Assemblea due sollecitazioni allo stesso Garota e al Patriarca.

Rilevato da Bernardo (Chirignago) il grosso contrasto tra quanto espresso da questa Assemblea e la cultura del mondo, veniva chiesto al Patriarca se c’è ancora spazio per la speranza in un cambiamento.

A Daniele Gianluigi ha chiesto in che modo si possono equilibrare le ricchezze tra i popoli superando il dislivello tra i paesi in cui c’è l’abbondanza e i paesi poveri.

Ecco le loro risposte.  

 

Daniele Garota  

Prima di dare la parola al Patriarca vorrei solo riportare lapidariamente una citazione che avevo preparato per la mia relazione ma che ho dovuto tralasciare per rispettare il tempo concessomi.

È una brevissima frase di Eli Wiesel, premio Nobel per la pace di una quindicina d’anni fa, sopravvissuto al campo di sterminio. In un’intervista uscita in un libro[5] che si trova ora in libreria, dice così: “Se crediamo di aiutare tutto il mondo in una sola volta finiamo col non aiutare nessuno, in nessun luogo. Ma se iniziamo con una sola persona, un parente, un amico o un vicino, possiamo in seguito avvicinarci agli altri”.

 

 

Patriarca Marco  

Da parte mia rispondo citando una espressione del papa che mi ha tanto confortato, e che è contenuta nell’ultimo documento che introduce i cristiani nel nuovo millennio e dice così: «noi vediamo che tante cose vanno male, ma noi cristiani, noi credenti abbiamo una certezza: che questo mondo che a nostro avviso va tanto male, questo mondo però, è nelle mani di Gesù Cristo»[6] Credo non ci sia altro fondamento per la speranza più grande di questo: Gesù Cristo ha già vinto il male e questo mondo  non è nelle mani del male. Questo mondo è tenuto stretto nelle mani di Gesù Cristo.

Più tardi celebreremo l’Eucaristia, durante la quale proclameremo un brano del Vangelo in cui gli apostoli chiedono al Signore quello che anch’io chiedo un po’ tutti i giorni: «Signore, aumenta la nostra fede». Gesù risponde: «Se voi aveste fede come un granello di senapa, potreste dire a questo gelso buttati in mare e questo avverrebbe»[7] .

Ecco, noi possiamo sperare. Noi cristiani che crediamo alla croce e alla risurrezione di Cristo, dobbiamo sperare perché questo mondo non è nelle mani del male. Questo nostro mondo, la mia vita, la vostra vita, la vita dei vostri figli è nelle mani di Gesù Cristo che è il rivelatore del Padre, di un amore che non si lascerà mai sconfiggere, che avrà sempre l’ultima parola.

Questo e solo questo è il fondamento della nostra speranza

 

    AL SOMMARIO

   

 

CASA FAMIGLIA S. PIO X  

di Anna e Libero Majer[8]  

Siamo Anna e Libero Majer della parrocchia di S. Trovaso e facciamo parte del gruppo di coppie che coopera nella gestione di Casa Famiglia

Non è la prima volta che si parla di Casa Famiglia in Assemblea, ma l’occasione più opportuna per parlarne è proprio questa, perché il servizio prestato a Casa Famiglia e la compartecipazione di alcune coppie nella gestione e nella vita della Casa è senz’altro una espressione di quello che è il ministero regale che è insito nel nostro amore di coppia e di cui oggi ci troviamo a parlare.

Ci è stato chiesto di portare la nostra testimonianza e di presentare la Casa oggi; quanto vi stiamo per dire è condiviso anche dalle altre otto coppie che si rendono disponibili nella conduzione della Casa con una presenza turnificata, assieme all’Assistente sociale e alle operatrici. Vi esporremo anche le problematiche e i metodi di comportamento che riteniamo comuni a tutti quelli che, come noi, sono coinvolti in questa “avventura”.

Il cammino che noi abbiamo percorso all’interno della Casa è incominciato con un primo approccio “distaccato”, attraverso il contatto con le persone che a suo tempo gestivano con competenza la struttura[9] , in un rapporto di interessamento e condivisione, sia a livello individuale personale, sia a livello di “gruppo sposi” del quale facevamo parte.

Inizialmente il nostro intervento era limitato ad un aiuto alle ospiti nella compilazione di documenti nella ricerca di lavoro o nel reperimento di persone che aiutassero i bambini nei loro impegni scolastici. Ma il salto di qualità si è verificato quando si è manifestata l’esigenza di trovare una persona da affiancare ad un bambino assumendo la figura di “zio” o di “nonno”. Sono cinque anni che “nonno” Sergio svolge questa “funzione” non solo per quel bambino ma anche per tutti i piccoli ospiti Casa Famiglia, risultando per essi una figura molto importante, in situazioni dove manca la figura maschile.

La nostra attenzione per l’Istituto era comunque allora sempre volta più che altro ad acquisire una conoscenza e un approfondimento delle problematiche, con una disponibilità personale e del “Gruppo Sposi” a far fronte ad esigenze specifiche senza, tuttavia, una particolare sistematicità.

La prima motivazione che ci ha portati a relazionarci con l’Istituzione è stata la presenza dei bambini e la loro esigenza di rapportarsi con una figura di riferimento, materna e paterna, che in vario modo a loro è mancata.

Poi, attraverso i piccoli, conquistandone la fiducia e simpatia, si è riusciti ad allargare il  rapporto anche alle mamme, che manifestano in definitiva gli stessi bisogni dei figli. Anch’esse hanno bisogno di questo “amore di famiglia” la cui mancanza sta sempre alla base delle loro situazioni di disagio.

Dopo questo approccio, è successo qualche cosa che ci ha “costretti” a riflettere, ad   assumere delle responsabilità in prima persona. L’occasione ci è stata data – più di tre anni fa - dal fatto che le sorelle di Sammartini sono state richiamate a Bologna a svolgere altri incarichi per cui, a fronte della esistenza di una situazione venutasi a creare di fatto nel tempo, non c’era nessuno che portasse avanti l’iniziativa di assolvere l’esigenza di mamme e bambini di essere accolti pur essendoci la struttura adatta.

Guardandoci attorno e anche accogliendo il pressante invito di don Silvio, abbiamo deciso di farci carico della gestione della Casa in modo collegiale, con altre coppie.

La partenza è stata un po’ sofferta: ci siamo presto resi conto che l’amore coniugale e genitoriale, pur essendo fondante per l’andamento della Casa, necessitava di specifiche competenze professionali, per poter far fronte in maniera adeguata alle esigenze diversificate delle ospiti.

C’è stata quindi una presa di coscienza e di responsabilità, incoraggiati in questo anche dalle parole del Patriarca che ci ha invitati più volte a proseguire sulla strada tracciata e che può essere condensata nella indicazione “vogliate bene a queste ragazze”, e quindi ci siamo “strutturati” in modo da garantire la presenza di una assistente sociale e di tre operatrici.

Una volta costatato che l’attività della Casa aveva preso avvio siamo andati alla ricerca di quelli che sono stati i motivi di fondo che ci hanno portato ad agire in tal modo, affiancando agli impegni per le nostre famiglie anche una particolare attenzione per questa realtà, non priva di problematiche e comunque molto coinvolgente; infatti ciò che succede all’interno della Casa non rimane circoscritto ad essa ma viene portato nelle nostre famiglie perché diventa parte del nostro vivere quotidiano.

Abbiamo preso coscienza che come sposi siamo chiamati a compiere un servizio evangelico, a nome e testimonianza della comunità ecclesiale di Venezia, con la quale ci sentiamo in sintonia. Crediamo infatti di aver risposto ad una chiamata a rivestire un compito, nell’ambito della chiesa diocesana, che compete alla ministerialità degli sposi.

Abbiamo ritenuto che questo fosse il modo più giusto per dilatare oltre le nostre case l’amore con cui Cristo aveva sigillato il nostro matrimonio.

Abbiamo approfondita e fatta nostra la necessità di comprendere quanto di positivo c’è nell’altro e accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio; abbiamo capito che la presenza delle ospiti è innanzi tutto un dono per noi e lo abbiamo sperimentato nella gioia di servire gli altri e di vedere crescere e rifiorire i bambini sotto tutti i punti di vista.

Abbiamo trovato conforto e conferma del nostro operare nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II “Novo Millenio Ineunte” laddove si parla di una “spiritualità di comunione” che ci invita a riconoscere ogni nostro fratello nell’unità del Corpo Mistico, quindi “come uno che ci “appartiene”  e con il quale dobbiamo saper condividere gioie e sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia.[10]

Una volta assodati quali erano i fondamenti del nostro operare, ci siamo dati anche delle metodologie per un lavoro con le ospiti, improntate ad alcuni principi di base, quali l’accoglienza, l’ascolto, l’accettazione degli altri.

Il gruppo deve essere fortemente coeso per assicurare la migliore operatività all’interno della Casa. In primo luogo ci deve perciò essere uno scambio di informazioni reciproco e continuo; per questo ci si incontra ogni settimana, il giovedì, e ci si confronta su quelle che sono le problematiche emerse; c’è anche un momento di verifica sui progetti educativi delle ospiti.

Ci siamo riservato anche lo spazio per un momento formativo: ogni quindici giorni ci incontriamo con una psicologa la quale, sulla scorta dei dati storici dei comportamenti oggettivamente osservati e delle reazioni riscontrate in situazioni ordinarie e non, ci aiuta a far chiarezza sulle personalità delle mamme e dei bambini dandoci anche utili indicazioni su come rapportarci con loro.

La Casa oggi, intesa come immobile, arredi, attrezzature, è un bene appartenente alla Chiesa veneziana e costituisce un concreto segno della carità della Chiesa di Venezia, che ne sostiene anche l’onere economico.

Attualmente accoglie sei mamme e sette bambini, mentre complessivamente, dal dicembre del 1999 ad oggi, sono passate nella Casa undici mamme e quindici bambini.

Abbiamo visto entrare piccoli che non riuscivano a staccarsi dalle gonne della mamma o che piangevano quando questa si allontanava: col tempo abbiamo conquistato l’affetto e la fiducia sia dei bambini che delle mamme e oggi è una grande gioia vederli sorridere anche quando sono soli con noi.

Negli ultimi dieci mesi abbiamo avuto quattro nascite, sono stati celebrati due battesimi e la cresima di una mamma. Sono state cerimonie molto sentite, che si sono svolte nella vicina chiesa di S. Eufemia, allo scopo di coinvolgere in qualche modo anche la Comunità Parrocchiale in cui è inserita territorialmente la struttura.

Il centro della Casa è la cappellina, da cui parte ciò che ci sostiene nel nostro vivere e nel nostro operare. Don Silvio vi celebra l’Eucaristia una volta al mese; nostra aspirazione sarebbe che la vita della Casa venisse scandita in modo “ufficiale” da momenti dedicati alla preghiera, ma ci rendiamo conto che anche questo è traguardo da  raggiungere con pazienza.

Come accennato all’inizio, dobbiamo riconoscere che la carità della Diocesi ci ha permesso di fare sempre fronte alle esigenze di tipo economico, che sono quelle tipiche di una famiglia, ma che qui vengono amplificate, anche le più banali. 

Dobbiamo risolvere problemi di approvvigionamento, gestione e manutenzione, cura e attenzione per utilizzare al meglio quanto viene offerto alla Casa: abiti, giocattoli, lettini, carrozzine. Ci sono ovviamente anche problemi di manutenzione sia dell’immobile che delle infrastrutture, elettrodomestici compresi.

Non bisogna trascurare infine l’aspetto dell’accudienza ai bambini, specialmente nel caso in cui le mamme lavorano.

Va chiarito un aspetto che riguardo la permanenza della ragazze a Casa Famiglia. La permanenza nella Casa, per le ospiti e per i bambini, è una situazione transitoria, durante la quale viene loro offerta chiarezza, stabilità, sicurezza, modo di ritrovare fiducia in se stesse; in pratica tutto ciò che in una famiglia dove regna l’amore tra gli sposi si può trovare.

La prospettiva del soggiorno a Casa Famiglia è perciò rivolta ad offrire alla madre il bagaglio necessario per affrontare al più presto una vita autonoma con il proprio bambino, e favorire il reinserimento nel tessuto sociale cittadino e ciò nel minor tempo possibile.

Ma uno dei problemi più grossi che si devono affrontare nella fase del ritorno alla normalità di una vita civile autonoma è costituito dal reperimento di un alloggio dignitoso. Infatti, oltre alle normali difficoltà che vengono incontrate da chiunque cerchi casa sia a Venezia che a Mestre, per noi si aggiunge la diffidenza dei proprietari ad affittare appartamenti alle nostre ospiti, specie quando si tratti di ragazze straniere.

Come molti di voi sanno per avervi aderito, nel 1995, nel corso della Festa della Famiglia in San Marco, la Commissione lanciò un’iniziativa dando vita ad un fondo,  chiamato “Fondo Casa Lavoro”, e che aveva come scopo quello di aiutare le ospiti di Casa Famiglia in questo difficile momento di passaggio.

Nel corso di questi sei anni, grazie all’adesione di circa un centinaio di coppie, sono stati finanziati diciannove progetti con contributi differenziati a seconda delle esigenze e dei bisogni, e qualcuno di questi è ancora in fase di attuazione.

Con gioia possiamo ora riferire che la nostra richiesta di aiuto ha trovato risposta anche in termini di disponibilità di appartamenti sia da parte di alcune parrocchie della nostra Diocesi, che di un paio di coppie.

La comunità San Nicolò di Mira, a titolo di esempio, ha messo a disposizione due appartamentini che hanno consentito l’uscita da Casa Famiglia di una ragazza e prossimamente di una seconda.

Ci ha fatto maggiormente piacere il fatto che in questa operazione è coinvolto anche il Gruppo Sposi parrocchiale in modo che le nostre ospiti, quando lasciano la Casa per il nuovo alloggio, sanno di avere un punto di riferimento cui basarsi per ricominciare questo loro cammino.

In conclusione vorremmo osservare che certamente Casa Famiglia non è l’unico modo per esprimere il ministero del servizio, tipico del matrimonio cristiano, però noi lo sentiamo nostro in modo particolare, perché è stato affidato dal Patriarca alla Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia e vorremmo diventasse, almeno a livello di attenzione, una struttura che appartiene a tutti gli sposi della Diocesi di Venezia.

   

  AL SOMMARIO

 

L’ISTITUTO “GRIS”  

di Don Davide Giabardo[11]

 

Vi ringrazio di cuore per la simpatia con cui da parecchi anni guardate all’Istituto “Gris” e ai suoi ospiti.

Qualcuno di voi si ricorderà di quando, cinque anni fa, all’Assemblea di Mira, sono stato chiamato per proporvi di lasciarvi coinvolgere in questa problematica della ferita mentale. Il tema di quel giorno, indicato dal Patriarca, era “Siate testimoni della Provvidenza amorosa di Dio dentro la storia, per dare speranza al mondo”, concretizzato nell’iniziativa titolata con la bella espressione  “La Famiglia per le famiglie” che sintetizza quanto detto duemila anni fa da s. Paolo nella Lettera ai Romani (12,15): «Siate pronti ad aiutare i vostri fratelli quando hanno bisogno, e fate di tutto per essere ospitali. Siate felici con chi è nella gioia, piangete con chi piange».

Questa è l’anima del cristiano, lasciarsi coinvolgere. Tonino Bello diceva che la parola "coinvolgimento" è un sinonimo di incarnazione. Cristo si è incarnato, si è lasciato coinvolgere nelle situazioni di duemila anni fa; noi continuiamo nel nostro piccolo.

Allora, vi ringrazio, perché quel piccolo seme, granello di senapa, ha prodotto dei frutti.

Prima di tutto parecchie famiglie hanno accolto l’invito di invitare soprattutto a Natale alcuni nostri ragazzi cercando di infondere in loro il senso della famiglia (Su seicento ospiti, duecento non hanno famiglia).

In secondo luogo molte famiglie son venute a trovarci anche di domenica, a pregare con noi; parecchie classi di terza media, in occasione della preparazione alla cresima, ci hanno chiamato a parlare, sono venuti a visitarci, creando una specie di simpatia, di conoscenza della realtà. Di questo sono venuto oggi a ringraziarvi, e a chiedervi di continuare a volerci bene, però sono venuto anche per dirvi qualcosa in più.

Ci sono delle situazioni ancor più gravi, ancor più problematiche. In gennaio ho letto in alcuni giornali un’intervista all’allora ministro Veronesi in cui diceva che nevrosi, ansia, panico, depressione, colpiscono in modo più o meno grave e dichiarato dieci milioni di italiani, coinvolgendo una famiglia ogni due e costringendo a un calvario quotidiano che spesso dura tutta una vita, fatto di emarginazione, vergogna, problemi economici.

Continuate a volerci bene, a noi del “Gris”, ma lasciatevi coinvolgere. Durante l’anno giubilare, una mamma ha scritto alla commissione che ha organizzato la giornata dell’handicappato:

«quante volte a noi genitori di figli disabili è scappata la frase: perché proprio a me, Signore, un figlio in difficoltà? Col tempo io e mio marito abbiamo imparato a fare un’altra preghiera: questo nostro figlio, Signore, è la tua volontà, per la nostra famiglia, per i compagni di scuola e per le altre famiglie, così la fatica distribuita su tante spalle è sopportabile».

La fatica su una spalla sola è come quel fiore che sta sbocciando, sta venendo fuori, quel seme che sta spuntando e se ci mettete un sasso, non viene. Togliete il sasso.

Quante coppie, il cui amore coniugale è stato sopraffatto, soffocato da un peso troppo grande.

Nel mese di gennaio di quest’anno è comparso sul “Gazzettino” un articolo: “Una coppia di Chioggia ha deciso di non riconoscere la figlia down appena nata, lasciandola all’ospedale. Tutore sarà nominato probabilmente il Sindaco”.

Qualcuno di voi l’avrà letta. Io ci ho riflettuto sopra: quella bambina, (i down sono i più simpatici), troverà una coppia, una famiglia che la adotta. Ma chi adotta questa coppia che si porterà dietro questo peso dell’abbandono, e che ogni qualvolta vedrà una bambina down si chiederà….? E mi son chiesto: dov’erano i testimoni del matrimonio, i vicini di casa di quei due sposi?

Scommetto la mia vita che se una coppia si fosse presentata all’ospedale dicendo alla mamma: «Signora, io e mio marito facciamo i padrini di questa creatura», quei due avrebbero accettata la bambina, ma da soli è un peso troppo grande.

Ecco cosa sono venuto a dirvi oggi: lasciatevi coinvolgere come coppia da una famiglia col disagio psichico, continuate l’incarnazione di Cristo.

Certi problemi io, celibe, non posso risolverli, ma una coppia sì (e voi mi capite). Una coppia è in grado di aiutare un’altra non solo a risolvere il problema contingente del figlio col disagio, ma soprattutto a risolvere il proprio problema di coppia derivante da quella situazione, dando a quegli sposi l’opportunità di rifiorire, di rinsaldare il loro amore.

«Signora, è un anno che non vedo più suo marito. Prima eravate in due a venire a trovare…».

«Don Davide, a forza di guardare tutti due verso Samuele, ci siamo dimenticati di guardarci in faccia tra di noi. E quando ci siamo guardati in faccia ci siamo trovati due stranieri».

Questo mi ha fatto riflettere.

Voi coppie, allora, non aiutate il disabile, ma aiutate la famiglia a rifiorire, togliete quel sasso che è sulla sorgente della vita. Cosa vi costerebbe dire a una coppia: «Andate via tre giorni, portatemi il bambino, sono il padrino della futura cresima che farà. Voi andate fuori, guardatevi negli occhi». È far rifiorire l’amore dentro a una coppia.

Voglio dirvi un’altra cosa. Proprio perché avete una bella famiglia, non chiudetevi dentro a gustarvi da soli questo ben di Dio; imitate la Trinità. Quel novantenne ha detto che la famiglia è l’immagine più bella della Trinità; è vero. Imitate la Trinità che è un amore fecondo, fate partecipare anche gli altri, incarnatevi nelle situazioni del vicino, continuate a dare un volto, come coppia, alla tenerezza di Dio.

E allora vi propongo un’inventiva pastorale. Ho l’impressione che la chiesa perda un po’ quella che è la sua fantasia. Studiate un po’ la storia della chiesa: cento anni fa a Milano lo Spirito ha suscitato s. Giovanni Bosco; la chiesa ha inventato iniziative per i tossicodipendenti, comunità per prostitute.

Come coppie inventate una novità pastorale: sono sicuro che se ci mettete, riuscirete a inventare. La chiesa è sempre stata fervida nell’inventare forme di assistenza.

Ora vorrei che vi dicesse qualcosa Pietro Parentin, che viene da Sistiana. Vorrei che dicesse cosa si sarebbe aspettato dalle famiglie lui, padre, con la moglie in ospedale che stava salutando la vita e con Alessandro in difficoltà.

 

 

TESTIMONIANZE  

 

Pietro Parentin – papà di Alessandro, ospite dell’Istituto Gris  

Eravamo una famiglia normalissima e nel periodo più bello, dopo aver superato tante difficoltà, il Signore ci ha visitato prima con la malattia di mia moglie, e poi con quella di Alessandro. La malattia è costata a mia moglie tredici mesi di sofferenza per il cancro, ma con la malattia di Alessandro è subentrata anche una sofferenza di altro tipo, perché era consapevole di lasciare il marito con due figli in quella situazione. A distanza di tempo, però, posso affermare che l’anno di malattia è stato il periodo di più intenso amore fra noi.

Ed ora voglio fare due osservazioni.

Durante la malattia di mia moglie, malata di cancro, la nostra casa era visitata continuamente da persone che venivano a dare una mano, quando sono rimasto senza di lei, con Alessandro, un po’ alla volta sono spariti tutti. Non si tratta di mancanza di generosità, ma si evidenzia piuttosto una nostra impreparazione, una inefficienza proprio di fronte alla malattia psichica; non sappiamo aiutare questi casi difficili.

Inoltre le famiglie che si trovano in difficoltà non riescono ad elevare le loro richieste di aiuto. In realtà, se chiedete ad una famiglia in difficoltà di cosa ha bisogno, vi dirà di niente, perché non si rende conto di niente. Quando c’è la malattia psichica in una famiglia, tutta la famiglia ne risente.

Concludo con un invito. Prendete conoscenza di questa realtà fintantoché avete la fortuna di star bene. Io ci sono stato tirato per i capelli dal Signore, attraverso la sofferenza, altrimenti probabilmente non mi sarei avvicinato a questo mondo. Invece è bene prendere contatto con queste realtà,  andando a visitare il “Gris”, a visitare persone che non hanno nessuno.

È bene proprio anche per noi perché così ci rendiamo consapevoli di quello che possiamo fare, riusciamo a sentire quelli che non parlano, e il loro silenzio diventa eloquente. Ci accorgiamo allora che attorno a noi ci sono realtà che hanno bisogno di noi.

Don Silvio accennava alle tante famiglie, anche nella vostra diocesi, che vivono il disagio del malato psichico, e delle quali non ci si occupa. Ciò succede perché manca l’empatia, manca la capacità di aprire gli occhi e di stare ad ascoltare. Anche nel nostro subconscio probabilmente c’è quell’atteggiamento per cui di certe malattie è meglio non parlare, perché così si sta più tranquilli. Ecco, io vi scuoto, proprio vi invito a non star tranquilli. Andate a visitare questa realtà per conoscerla, capirla perché solo conoscendola e capendola riuscirete a essere utili  intorno a voi.  

 

Ermanno Tagliapietra – Vicepresidente Associazione Famiglie Ospiti dell’Istituto Gris  

Con mia moglie Paola faccio parte della Commissione diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia, ma oggi voglio parlarvi soprattutto come vicepresidente dell’Associazione Famiglie Ospiti del Gris, carica che ricopro da giugno di quest’anno.

Nell’Istituto “Gris” ci sono 580 ospiti, di cui 260 della nostra Diocesi e vi lavorano 600 operatori:  siamo quindi di fronte quasi ad un intero quartiere, tutto dedicato ai nostri cari.

Ieri abbiamo visitato con Daniele Garota alcuni reparti; abbiamo fatto un cammino che forse poteva sembrare un cammino di dolore ma era anche un cammino nella gioia, perché è incredibile la capacità di gioire di questi nostri ragazzi. Abbiamo forse trovato più gioia lì che non nelle nostre case.

Mi fa molto piacere che bisogna dedicarsi agli altri, aprirsi alle famiglie, essere famiglia per le famiglie. Però mi preme dire che è anche necessario cercare di recuperare un po’ di quello che è il senso politico del nostro essere sposi, perché certe cose non si riescono a fare.

Non è ammissibile che ci siano ancora dei reparti all’interno dell’Istituto con 22 ospiti gravissimi e due soli infermieri, come non è tollerabile che tanti ragazzi non riescano a vedere la luce del sole, quasi avessero ucciso qualcuno e ciò perché manca personale.

Quando c’è qualcosa che non va, infatti, i primi tagli vengono fatti sulla salute e sulla pelle di chi non può parlare.

Quindi c’è veramente il bisogno, da parte di noi sposi, di prendere coscienza dei problemi e di fare politica, nel senso di far sentire il nostro peso politico, di farci portavoce di quelli che non hanno la possibilità di parlare ed aprire gli occhi per controllare, per capire se vengono rispettati i diritti dei nostri ultimi, di quelli che non possono decidere.

Qualcuno ha detto che il grado di civiltà di una società si vede proprio da come viene gestito il problema degli ultimi. Da ciò dipende veramente il nostro essere cristiani, il nostro essere cittadini  presenti nella società.

 

    AL SOMMARIO

 

   

ASSOCIAZIONE CENTRO S. MARIA MATER DOMINI  

per la formazione e la consulenza alla coppia  

e alla famiglia O.N.L.U.S.

   

di Anna Del Bel Belluz Martin[12]

 

Nel 1988 un gruppo di coppie, accogliendo la proposta del Patriarca di istituire un consultorio familiare a sostegno delle numerose situazioni di difficoltà e di disagio esistenti nel territorio, ha dato vita alla “Associazione Centro S. Maria Mater Domini per la formazione e la consulenza alla coppia e alla famiglia”, che potesse costituirne la base sociale e giuridica.

Il consultorio è stato pensato, nelle intenzioni del Patriarca e quindi dei soci, come una forma di intervento a favore  della promozione umana, attraverso l’apporto delle scienze umane, quali la psicologia, la pedagogia, la medicina, la giurisprudenza, … ; un consultorio aperto a tutti, ma che fosse anche in grado di affiancare le attività pastorali, aiutando la comunità ecclesiale nell’approfondimento della conoscenza dell’uomo, sotto l’aspetto antropologico, nelle sue dimensioni individuale, coniugale, familiare.

Infatti, come è stato sottolineato da mons. Silvio Zardon e da vari interventi in questa Assemblea, nel mettersi a servizio dell’uomo, non si può prescindere da una sua profonda conoscenza.

La Pastorale si propone l’evangelizzazione dell’uomo, ma cosa significa? Quali sono le sue caratteristiche, quali i suoi bisogni? E ancora, cosa possiamo fare per valorizzarlo?

  Nel  “Direttorio di Pastorale Familiare” e nella stessa lettera di S.E. il Card. Patriarca Marco Cè “Il granello di senapa” viene affermato che gli operatori di un consultorio familiare diocesano, nell’ottica di un’ antropologia coerente con la visione cristiana dell’uomo, possono dare un contributo concreto alla ricerca di risposte a tali interrogativi.

Le scienze umane possono offrire chiavi di lettura, conoscenze e competenze per una adeguata comprensione della realtà umana e per la diffusione di una cultura adeguata alla prevenzione di gravi difficoltà che possono insorgere nel percorso di vita del singolo e delle coppie.

Ma se la prevenzione è l’intento principale, si deve intervenire anche quando il disagio è già conclamato; da qui l’impegno per individuare e mettere in opera strumenti volti alla riduzione della sofferenza.

Spesso, di fronte a certe situazioni non si riesce ad andare oltre la percezione dell’esistenza di una condizione di bisogno, senza però comprendere le reali esigenze e la risposta che si può dare. In questi frangenti, il buon senso e la buona volontà, cui comunemente si fa ricorso, non bastano e devono essere integrate dalla disponibilità a mettersi in discussione, a confrontarsi  con le scienze umane, nelle quali trovare un sostegno ed una guida.

Queste considerazioni stavano alla base di quanto quel gruppo di coppie, di cui si è accennato all’inizio, aveva in mente ed è anche contenuto nello statuto dell’Associazione, frutto di un confronto e di un accordo con il nostro Patriarca.

Nel 1988 nascono quindi l’Associazione e il Consultorio Familiare, che ha iniziato l’attività di consulenza con la diretta assunzione in carico di situazioni di bisogno.

Viene data però priorità anche all’attività formativa con la realizzazione di percorsi rivolti a diverse categorie di destinatari: giovani, coppie, ecc.; in modo particolare si è sempre cercato, di privilegiare le categorie degli educatori: genitori, animatori, insegnanti, perché attraverso la formazione di queste persone – e quindi di tutti noi! - si riesce a rendere quella continuità e quotidianità nell’educazione che sono caratteristiche fondamentali per rendere adeguato un percorso di crescita e quindi prevenire l’insorgenza di "intoppi".

Se ci si riferisce ai giovani, agli adolescenti, per esempio, può venir spontaneo pensare di chiamare un esperto con cui essi possano affrontare tematiche importanti per il loro sviluppo. Questa modalità può essere senz’altro utile, ma in un contesto in cui tali ragazzi possano elaborare lentamente e quotidianamente gli spunti forniti, con l’aiuto e la testimonianza di adulti capaci ed attenti, anche se non "professionisti". Il processo di elaborazione nelle informazioni e delle esperienze merita tempo, dedizione, capacità di ascolto, gestione delle emozioni, … e non si esaurisce in uno o due incontri.

In particolare oggi, non basta la disponibilità, ci vuole una sempre maggiore competenza. Ciò non significa che tutti si debba diventare psicologi e pedagogisti, ma che tutti gli adulti si dovrebbero sentire impegnati e quindi interrogarsi e prepararsi, anche con il sostegno fornito da operatori con determinate competenze, per il loro ruolo di educatori.

  Lavorare per la formazione significa fare prevenzione rispetto a situazioni di cui oggi, per esempio, è stato fatto accenno nei diversi interventi; una maternità, una paternità difficile, come è appunto quella dei genitori di ragazzi ospiti al “Gris”,  le situazioni ritrovate in “Casa Famiglia”; in questo senso allora si può pensare che l’Associazione Centro S. Maria Mater Domini venga a completare i servizi effettuati da chi mi ha preceduto.

Le problematiche che il Consultorio ha affrontato fin da subito, sono state in particolare: la vita di coppia, la genitorialità, i rapporti all’interno della famiglia in tutte le sue diverse fasi, lo sviluppo dell’affettività, della sessualità, delle competenze relazionali dei giovani e non solo dei giovani.

Tornando a ripercorrere la storia dell’Associazione si rende noto come, data la richiesta di intervento, siano sorti altri due Consultori, uno sul Litorale, a Eraclea, e uno in Terraferma, a Marghera.

L’attività dei Consultori ha portato ad entrare in contatto con un crescente disagio di cui erano vittime soprattutto i bambini. Il disagio degli adulti crea sofferenza nei più piccoli, pone ostacoli alla loro promozione, per cui è stata avvertita la necessità di possedere e mettere in uso strumenti più specifici per individuare questi ostacoli e poter intervenire in modo concreto e producente per rimuoverli.

Sono nati così il “Centro per la Tutela del Bambino maltrattato”, che si occupa di situazioni di maltutela e maltrattamento a minori e, per ultimo, nel 1997, il “Centro Antiabuso” per la prevenzione e il trattamento dell’abuso sessuale sui minori. Queste sono strutture dove i minori che vivono situazioni familiari pregiudizievoli per la loro integrità psicofisica vengono ospitati e seguiti da educatori specializzati e dove vengono prese in carico le famiglie per procedere, su incarico dell’autorità giudiziaria, ad una loro valutazione per vedere se è possibile riattivare risorse che permettano il recupero di una genitorialità sufficientemente adeguata.

L’attività dell’Associazione Centro S. Maria Mater Domini raggiunge, con queste cinque strutture, la copertura di un largo raggio di problematiche, sulle quali si propone di intervenire attraverso le attività di:

  • prev , per la diffusione di una cultura di rispetto per l’uomo;

  • formazione , per rendere le persone maggiormente competenti nell’esercizio delle proprie funzioni, in particolare quella educativa;

  • consulenza , nella ricerca e attivazione delle risorse personali necessarie per limitare l’insorgenza di difficoltà o comunque per poterla gestire adeguatamente;

  • intervento riparativo e di presa in carico di situazioni che richiedono una serie di interventi in rete anche con altri Servizi e con l’autorità giudiziaria.

È doveroso ricordare che il “Centro per la Tutela del Bambino maltrattato” e il "Centro Antiabuso" sono nate e continuano ad operare anche grazie all’appoggio della Comunità civile e dell’Amministrazione pubblica che hanno creduto in questi progetti. In questo senso si può affermare che l’Associazione rappresenti anche un luogo di convergenza di strade ed impegni diversi con l’ obiettivo comune di ridare valore e dignità all’uomo.

Don Silvio ha affermato che l’evangelizzazione non può prescindere dalla promozione umana, che si può realizzare solo attraverso l’impegno di tutti. E per concretizzare questo impegno è necessario un confronto più serrato, una collaborazione tra le diverse realtà per poter integrare tutti gli sforzi che permettano di raggiungere anche gli ultimi. 

Il  pensiero va alle persone che non si rivolgeranno mai spontaneamente ai nostri consultori, per tanti e diversi motivi.

Ecco allora che la Commissione e gli sposi che assumono un atteggiamento disponibile e di accoglienza, sviluppando anche una certa sensibilità "competente", possono arrivare dove gli operatori non riescono, possono diffondere in modo capillare questa cultura del rispetto della dignità dell’altro. Come già affermato per fare questo ci si può avvalere della collaborazione e quindi del sostegno degli operatori dell’Associazione e delle scienze umane a cui essi fanno riferimento.

Per quanto riguarda l’Associazione, questa continuerà a porre attenzione, che deve essere “particolare”, al rapporto con la “Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia”, per poter individuare e condividere progetti.

Cosa possono fare gli sposi?.

Prima di tutto essi possono considerare l’Associazione Centro S. Maria Mater Domini come un interlocutore possibile, uno strumento da utilizzare sia per inviare persone in stato di sofferenza, sia per trovare occasioni di informazione e formazione; ma l’Associazione ha bisogno anche di essere aggiornata, rinvigorita attraverso suggerimenti, collaborazioni, contributi. 

L’Associazione Centro S. Maria Mater Domini è fatta di numerosi operatori: educatori, psicologi, segretari, volontari (questi ultimi sono preziosi in particolare per le comunità che ospitano i bambini!), ma è fatta anche di soci, di coppie di sposi che costituiscono la base sociale, e che possono essere sostenuti anche da nuovi ingressi.

Oggi si chiede alle coppie anche soltanto di pensare ad una eventuale disponibilità per sostenere l’Associazione; si può rimandare ad incontri successivi, chiesti anche da voi, il confronto su come far nascere frutti da questa disponibilità.

   

 

Indirizzo dell’Associazione Centro Santa Maria Mater Domini : S.Croce 2117, 30135 Venezia

Numero di telefono e fax: 041-5240711

e-mail: csmmd@libero.it

 

  AL SOMMARIO

 

GLI INTERVENTI DELL’ASSEMBLEA

   

Sandro Giantin – Ss. Gervasio e Protasio - Carpenedo  

Vorrei condividere con voi una riflessione che facevo poco fa ascoltando Anna e Libero e poi don Davide, Ermanno, mentre sullo sfondo vedevo campeggiare il cartellone con la scritta “Servi per amore”. E mi è balzata evidente l’ambivalenza di questo slogan: noi sposi siamo servi “a causa” dell’amore, e al tempo stesso servi “in funzione” dell’amore.

È per questo che Casa Famiglia è affidata ad una comunità di sposi, quando questo lavoro potrebbe essere svolto da specialisti, ma sarebbe solo assistenza: così è diventato invece un servizio fatto a causa dell’amore e perché in esso l’amore si incarnasse.

Così pure per il “Gris”, dove, come diceva prima don Davide, l’importante non è tanto provvedere ai bisogni dell’ammalato, quanto permettere che rifiorisca l’amore nella famiglia che vive questo disagio. Questo è il senso vero dell’iniziativa “La Famiglia per le famiglie”: far sì che gli sposi possano vivere l’amore in un modo più pieno, laddove questo amore è in pericolo.

 

 

Mary Lisa Bonaldi – S. Pietro Orseolo - Carpenedo  

Restando sullo slogan “servi per amore”, una breve riflessione sul significato della parola “amore”.

Finché noi ci limitiamo ad amare quelli che ci sono vicini, che conosciamo e che, tutto sommato, ci creano meno problemi, forse è un amore che è per noi stessi, perché sappiamo di essere, in qualche modo, ricambiati.

Ma non è sicuramente per amore del Cristo, per amore degli altri in generale, che non deve fare distinzioni, né di problemi mentali, di malattie, di pelle, di razza, di religione.

 

 

Luciano  

Ogni giorno si incontrano ovunque persone piegate su se stesse, ammutolite, avvilite. A loro dobbiamo dire di alzare pure la testa, perché nostro Signore è sopra di noi e ci vuole bene. Egli è venuto al mondo e si è caricato di tutte le nostre angosce. Dobbiamo dire alla gente: «State allegri perché il Signore vi ha preparato un posto, nel cielo, bello e gioioso».

 

 

Laura – S. Giorgio - Chirignago  

Premesso che esiste un servizio da fare anche in famiglia e cioè l’assistenza ai famigliari anziani, vorrei esprimere una riflessione sulla frase “servi per amore” alla quale si potrebbe affiancare anche la variante “servi con amore” e che ritengo di non facile applicazione.

La Sacra Scrittura ci dice, non ricordo bene dove, che il bene che facciamo, se non è fatto con amore non vale niente. Questo insegnamento mi mette addosso un po’ di paura perché sento il peso della mia inadeguatezza.  

     

 

Marco - SS. Redentore - Giudecca  

Abbiamo parlato di famiglie in crisi per la presenza di malati psichici, ma vorrei osservare come il disagio sia presente anche in moltissime famiglie cosiddette “normali”

I cristiani e in particolare modo noi sposi, siamo chiamati ad essere vicini a queste  situazioni; non è compito solo del sacerdote portare loro il conforto di uno scambio di esperienze che dia fiducia alle coppie in crisi. Dietro a certi disagi si nascondono spesso problemi molto profondi dai quali gli sposi non riescono ad uscire perché non sono capaci di farli emergere e di affrontarli da soli. E allora dobbiamo interrogarci come dobbiamo porci per essere loro di aiuto, con urgenza, poiché certe situazioni, se lasciate sedimentare, diventano col tempo irrisolvibili.

 

 

Paolo – S. Giovanni Evangelista –  Mestre  

Vorrei aggiungere qualcosa al mio intervento di questa mattina nel tentativo di farmi capire meglio.

Nella nostra attività in parrocchia abbiamo l’occasione di venire a contatto diretto con un gruppo di circa quindici giovani coppie, con figli piccoli. Ci rendiamo conto che in molti di queste, le nostre parole non trovano terreno fertile, mentre altri dimostrano una certa volontà di approfondire i temi, sentono che c’è una verità in Gesù Cristo e nella Chiesa, senza però impegnarsi, senza mettersi troppo in gioco.

E arriviamo a questa constatazione: dobbiamo avere il coraggio di fare a queste coppie delle proposte impegnative se non vogliamo che rimangano sempre ai margini.

Proporrei allora alla Commissione di studiare un modo per venire incontro a queste giovani coppie, (che sono dai 30 ai 40 anni), che non si sentono di impegnarsi troppo pur dimostrando di avere una certa attenzione per queste tematiche.

Offriamo loro qualche possibilità in più, perché è giusto avere attenzione per gli ultimi, ma  è necessario curare anche queste persone che avrebbero la possibilità di crescere loro e di far crescere anche gli altri.  

 

Psicologa Casa Famiglia  

Io sono psicologa e opero nella Casa Famiglia “S. Pio X” della Giudecca cui hanno fatto cenno Anna e Libero Majer.

Questa esperienza mi ha suggerito alcune considerazioni. Credo innanzitutto che l’esperienza della coppia all’interno di istituzioni come Casa Famiglia, dove si entra in contatto con delle giovani con un certo tipo di disagio, sia fondamentale.

Queste coppie, pur senza avere il supporto di una conoscenza specifica a livello teorico, possono mettere in gioco la propria esperienza del vissuto quotidiano, che si fonda sulla felice coesistenza di due elementi costitutivi il rapporto di coppia.

Da una parte c’è un elemento di passione, di attrattiva tra due persone che sono disposte a costruire un’unità mettendo reciprocamente a disposizione le proprie peculiarità; dall’altra c’è l’elemento dell’accettazione del partner nel rispetto di tutta la sua diversità.    

Le coppie che durano sono quelle che riescono a fare sintesi di questi due aspetti del rapporto di coppia: da una parte lo stimolo di poter incidere sull’altro, di poter cambiare qualcosa dell’altro; dall’altra invece il rispetto per quello che  il partner è e che ha diritto di restare, se vuole.

Questi sono gli elementi che ho trovato nella pratica di queste coppie e credo sia il più grande insegnamento che si possa dare a tutti quelli che nel mondo hanno patito l’esperienza di sciagure, di brutti incontri, di sofferenze.  

 

Roberto  - Carmini - Venezia

 

Mia moglie ed io siamo una delle ultime coppie entrate a Casa Famiglia.

Daniele Garota, terminando il proprio intervento, diceva che se volessimo risolvere i problemi del mondo, prendendoli tutti insieme, non ci riusciremmo mai. Se invece ci impegniamo a risolvere un problema alla volta, mettendoci in gioco personalmente, probabilmente qualcosa cambierà.

Allora voglio invitare tutti coloro che vogliono impegnarsi ma che non hanno il coraggio (e non soltanto quei giovani sposi titubanti cui si faceva riferimento poco fa); che credono di non avere il tempo, mentre poi basterebbe soltanto mezz’ora alla settimana; che hanno paura di confrontarsi con il malato psichico; a buttarsi nella mischia, così come abbiamo fatto noi due, pur non avendo nessuna esperienza professionale, se non quella della nostra unione che dura da diciassette anni.

Buttiamoci senza paura nell’esperienza del dono del nostro tempo, invitiamo gli altri a fare altrettanto, perché solo in questo modo riusciremo veramente a cambiare il mondo.

Se invece rimaniamo rinchiusi nel nostro particolare, tutto ciò di cui stiamo parlando oggi, rimane soltanto un progetto sulla carta.  

 

  AL SOMMARIO

 

 

INTERVENTI CONCLUSIVI  

del Patriarca Marco  

Innanzi tutto voglio esprimere la mia soddisfazione, interpretando il sentimento di tutti, per questa bellissima giornata che il Signore ci ha donato, che certamente è costata fatica a chi l’ha preparata: mi riferisco a don Silvio e a tutti i membri della Commissione.

Rivolgo anche un pensiero pieno di gratitudine alla parrocchia di Chirignago, che ci ha accolti e ha fatto in modo che ci trovassimo veramente bene, trattandoci con una generosità e una squisitezza straordinarie. Ringrazio molto sia don Roberto come tutta la sua comunità, in particolare quelli che hanno faticato per preparare questa giornata.

Vi consegno anche questa mia riflessione. Attraverso voi vedo una chiesa che cresce, e di questo ringrazio molto il Signore.

Penso a quando siamo partiti, oltre vent’anni fa, con il s. Valentino a Mestre,  e qualche esperienza di preparazione dei fidanzati al matrimonio qua e là.

Oggi la Pastorale degli sposi e della famiglia è una realtà molto significativa nella nostra diocesi e questo è molto bello. Come vecchio padre, vorrei proprio dirvi “bravi”,  sono contento di voi.

Ringrazio il Signore per questa realtà di un laicato degli sposi cresciuti nella consapevolezza del dono che hanno ricevuto, e nella consapevolezza che questo dono lo devono condividere e partecipare agli altri – credenti e non - ringraziandone il Signore: questo vuol dire essere Chiesa.

Il vostro Vescovo vi dice, con profondissima convinzione, che la Chiesa, ma non soltanto la Chiesa,  il mondo intero, hanno bisogno di voi e della vostra testimonianza:

Tutto ci fa pensare che la cultura pubblica corrente stia perdendo il senso del Matrimonio e della famiglia, almeno nei termini in cui ce l’ha consegnata il Vangelo. Voi ne siete i custodi e i testimoni.

Non voglio con questo caricarvi di paura: questa è una gioiosa responsabilità. Nella vostra fatica quotidiana di essere sposi e genitori, voi fate un grande servizio alla Chiesa, al mondo e alle generazioni che verranno dopo di voi, alle quali dovete consegnare la  testimonianza che è bello il sacramento del matrimonio, che è bello il modo cristiano di viverlo; come è bello e grande il dono della famiglia come il Signore ce l’ha consegnata.

   

di mons. Silvio Zardon  

Vi propongo alcune cose molto concrete.

Innanzitutto sentiamo il bisogno di ritrovarci quanto prima per continuare il discorso iniziato oggi. Sono stati fissati dei punti fermi che è necessario vengano radicati.

Per questo vi proponiamo due date:

-       martedì 6 novembre alle  18.30 a Venezia – parrocchia di San Luca per quanti risiedono a Venezia e isole;

-       mercoledì 7 novembre  alle 18.30 a Mestre nella sede della Commissione al Centro Luciani in via Querini per gli sposi della Terraferma.

Prima di concludere, due parole per fare sintesi sugli obiettivi che ci prefiggiamo.

È necessario che gli sposi acquisiscano una più ampia, profonda mentalità diocesana. È tempo che gli sposi rispondano all’invito rivolto dal Patriarca sei anni fa, durante la Festa della Famiglia, con il quale chiedeva di dare disponibilità all’apertura alle iniziative diocesane.

È tempo che gli sposi, giovani e meno giovani, comincino a chiedersi se stanno concretizzando la propria vocazione ad essere “chiesa domestica” dentro la chiesa locale, dentro alla diocesi.

La diocesi ha bisogno di energie per rispondere ai bisogni pastorali.

Questo costituisce un obiettivo, il cui raggiungimento richiede l’avere una maggiore chiarezza circa il ministero regale-sociale-politico degli sposi nella convinzione che esso deriva dal sacramento del matrimonio e non dalle situazioni contingenti della società, che pure sono reali e concrete.

È necessario quindi dare una svolta radicale al modo di concepire la nostra realtà dentro la Chiesa, altrimenti riesce difficile trovare motivazioni e spazi al proprio coinvolgimento nelle situazioni esemplificate oggi.

Il secondo obiettivo che ci preme raggiungere è avvertire che dentro questo ministero la finalità prima è promuovere l’uomo perché possa davvero aderire responsabilmente e liberamente al progetto del Signore.

   

  AL SOMMARIO  

 

 

“ESTEMPORANEA”  

SEI VECCHIO QUANDO?  

l’intervento di un ex combattente – classe 1911  

Il signor Baldan ha preso la parola dopo la “finestra” su “Casa Famiglia”, cogliendo di sorpresa un po’ tutti. Il suo intervento non è perfettamente in linea con il tema dell’Assemblea, ma abbiamo ritenuto opportuno e giusto inserirlo negli “Atti” perché costituisce innanzitutto una testimonianza di fede ed inoltre costituisce motivo di riflessione su un aspetto spesso trascurato che riguarda il ruolo dell’anziano nella pastorale della famiglia. (Nota della Redazione)

Ho novant’anni il prossimo 15 novembre e sono reduce di due guerre, quella in Abissinia e la campagna di Russia.

Questa mattina ho assistito in Piazza Ferretto alla s. messa in memoria dei  caduti della guerra di Russia alla quale partecipavano gli Alpini, con l’immagine della Madonna del Don. È stata una bella cerimonia celebrata da un sacerdote che fu cappellano militare in Russia.

Ho preso la parola perché voglio leggervi una poesia che abbiamo fatto all’Università della Terza Età, ma prima desidero fare un invito a tutti voi: fate sentire la vostra voce quando avete un problema o riscontrate qualche ingiustizia nelle vicende pubbliche. Io scrivo ai politici e ho sempre ricevuto risposta, da Scalfaro, da Ciampi, da D’Alema e da Berlusconi.  Lo so che è un battere contro il muro, ma qualcosa resta. Quando volete insegnare qualcosa al vostro bambino,  insistete, perché, anche se non sembra, il cervello registra il messaggio: il cervello è tutto il nostro universo.

L’altro giorno una mia conoscente, atea, colpita da quanto visto alla televisione durante un programma sui miracoli, mi ha chiesto perplessa cosa fare per ottenere un miracolo. Le ho risposto che è necessario pregare, che per ottenere qualcosa si devono fare anche sacrifici, rinunce. Alla sera io prego il Signore lo ringrazio per la salute e per la forza di volontà che mi sorregge grazie al dono della fede.

Ed ecco la poesia.

 

Sei vecchio quando?

Sei vecchio non quando hai una certa età,

ma quando hai certi pensieri.

Sei vecchio quando

ricordi le disgrazie e i torti subiti

dimenticando le gioie che hai gustato

e i doni che la vita ti ha dato.

Sei vecchio quando

ti danno fastidio i bambini

che giocano e corrono,

le ragazzine che cinguettano

i giovani che si baciano.

Sei vecchio quando

continui a dire che bisogna

tenere i piedi per terra

e hai cancellato dalla tua vita

la fantasia, il rischio e la poesia

e la musica.

Sei vecchio quando

non gusti più il canto degli uccelli,

l’azzurro del cielo, il sapore del pane

la freschezza dell’acqua e la bellezza dei fiori.

Se vecchio quando

pensi sia finita per te la stagione

della speranza e dell’amore

Sei vecchio quando

pensi alla morte come al calar nella tomba

invece che al salire verso il cielo

se invece ami, speri, ridi,

allora Dio allieta la tua giovinezza

anche quando hai novant’anni.

 

    AL SOMMARIO

 

 

 

OMELIA DEL PATRIARCA CARD. MARCO CÈ  

alla celebrazione Eucaristica  

 

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Dal Libro del profeta Abacuc 1,2-3;2,2-4; Salmo 94

Dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo 1,6-8.13-14

Dal Vangelo di Luca 17,5-10

 

UNA RICHIESTA CHE VIENE DAL CUORE  

Carissimi,

riflettiamo brevemente sulle Sante Scritture che sono state proclamate, cominciando dal vangelo, che raccoglie due detti di Gesù non in stretta continuità fra di loro.

Soffermiamoci sul primo, nel quale è narrato che gli apostoli si accostano a Gesù per fargli una richiesta che spesso sgorga anche dal nostro cuore: «Signore, aumenta la nostra fede!».

Gli apostoli volevano bene a Gesù, ma hanno sempre fatto tanta fatica a capirlo; anzi dovrei dire che non l’hanno mai capito se non dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo.

Quando Gesù è stato messo in croce ed è morto, gli apostoli sono rimasti profondamente delusi, sconcertati, scandalizzati e hanno perso la fede. Soltanto il Risorto ha aperto loro gli occhi ed hanno capito tante cose, ma durante la vita terrena di Gesù hanno fatto tanta fatica a seguirlo nei suoi discorsi, e direi a ragione: Gesù non era molto comprensibile.

Come potevano accettare un Salvatore che attribuiva a se stesso la facoltà di guarire gli ammalati, di placare le tempeste, di moltiplicare il pane e di aver risuscitato Lazzaro e la figlia della vedova di Naim e quindi implicitamente dimostrava di avere in sé una potenza assolutamente superiore e nel contempo affermava di essere destinato ad essere rifiutato, ad essere crocifisso, per poi risorgere il terzo giorno. Ma cosa voleva dire?

Gli apostoli erano sconcertati da quanto diceva Gesù, e per questo dal loro cuore uscì questa parola: «Signore, aumenta la nostra fede!».

Quante volte anch’io, anche voi, sposi, rimaniamo sconcertati di fronte a ciò che ci accade e facciamo fatica a credere e ci sgorga spontaneo dal cuore questa domanda: Signore, io vorrei tanto credere, ma faccio fatica; aumenta la mia fede!  

 

LA FATICA DELLA FEDE  

Gesù ci dà la grazia di credere, però dobbiamo accettare anche la fatica della fede.

È la fatica di credere del granello di senapa, che non pone molte domande a Dio, ma gli si consegna, è tutto sottoposto a Lui, e quando si è così predisposti, si è anche capaci di credere che un gelso possa spostarsi nel mare.

Quando Dio chiese a Mosè di percuotere la roccia per farne scaturire l’acqua, fece una richiesta assurda; Mosè ha creduto, e l’acqua è scaturita dalla roccia. Quando Dio chiese a Mosè di credere che avrebbe sfamato il popolo, dandogli il pane nel deserto, chiedeva una cosa assurda; Mosè credette, e scese la manna nel deserto.

A Dio bisogna credere, consegnarsi a Lui, come quel bambino che sta addormentandosi in braccio a sua madre e non ha più paura di nulla perché si è consegnato fiducioso a lei e al suo papà. La fede è questo, è consegnarsi come un bambino nelle braccia di Dio.

Guardiamoci in faccia. Tutti abbiamo nel cuore tanti pensieri, le nostre croci, le nostre tribolazioni. Vorremmo credere, ma non comprendiamo su quali strade Dio ci conduca e spesso domandiamo a Dio di farci luce, di indicarci la sua volontà, di insegnarci le strade sulle quali vuole ci incamminiamo.

La fede, invece, ci dice che non dobbiamo chiedere a Dio di mostrarci la strada ma che dobbiamo consegnarci come un bambino nelle braccia di Dio e credere che Lui ci porta.

Così è scritto nel Deuteronomio: «Il Signore, tuo Dio, ti ha portato per tutto il cammino che hai fatto, come un padre e una madre portano il proprio figlio».

Il Signore, oggi, ci chiede questo impegno, di credere in Lui. Chiediamo al Signore la grazia della fede, chiediamo al Signore la grazia di avere, in ogni situazione della nostra vita, in quella più quotidiana come in quella straordinaria, la fede del granello di senapa, la fede del bambino che si abbandona e si addormenta nelle braccia del papà e nelle braccia della mamma.  

 

RAVVIVIAMO IL DONO DELLA GRAZIA  

Vorrei fermare il pensiero sulla seconda lettura, tratta dalla lettera dell’apostolo Paolo al suo discepolo Timoteo, che lui aveva lasciato a capo della chiesa di Efeso. È quindi, per sé, un brano rivolto ai vescovi, ai presbiteri, però c’è una frase che è vera anche per voi sposi e io vorrei la applicaste a voi stessi.

Paolo dice a Timoteo: «ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te».

Cari sposi, nel giorno del vostro matrimonio vi è stato dato un dono di Dio, un dono assolutamente gratuito, un dono che non è finito con la fine della cerimonia del matrimonio, che non si è concluso neanche quel giorno delle vostre nozze; un dono che rimane sempre nel vostro cuore.

Anche se lo aveste dimenticato,  questo dono è sempre presente in voi: la grazia del matrimonio è sempre presente nel vostro cuore e Dio vi chiede di ravvivarla perché essa cresca nella vostra vita. Sposi carissimi, qualche volta vi si augura di amarvi come nel giorno delle vostre nozze, ma io vi dico che non basta.

La grazia che in quel giorno vi è stata data, cresce ogni giorno con voi, nelle vostre fatiche, nelle vostre sofferenze, nel vostro lavoro, nelle vostre responsabilità. Forse non c’è più in voi la passionalità del primo giorno, ma c’è un amore,   una carità che sgorga dal cuore di Cristo, c’è il dono dello Spirito Santo che in voi è cresciuto attraverso la fatica di ogni giorno. Questo dono non lo dovete mai dimenticare, anzi, lo dovete ravvivare. Ricordatevi che questo dono è sempre nella vostra vita, e quando s’affaccia la fatica, la stanchezza, la tentazione, ricordatevi che il dono di Dio è in voi. 

Rivolgetevi quindi al Signore con la preghiera, con l’invocazione, perché ravvivi in voi questo dono. E abbiate fiducia, perché Dio ama il vostro matrimonio e ne è il primo custode, lo conserverà con il suo amore.

Abbiate fiducia, pregate, credete che il dono che Dio vi ha dato non si appassisce mai, non si spegne mai ma attende soltanto il vostro sì, qualche volta gioioso, qualche volta faticoso, ma sempre il sì del vostro assenso, il sì dell’apertura del vostro cuore.

Quel Dio che non può smentirsi, - al contrario di quanto facciamo noi - sarà sempre presente alla vostra invocazione, e vi tenderà quella mano buona di cui voi avete bisogno.  

    AL SOMMARIO  

 

ALL'ELECO DELLE ULTIME ASSEMBLEE



[1] Responsabile diocesano della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

[2] Coppia moderatrice, membri della Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia di Venezia. Tutti i loro interventi in Assemblea sono evidenziati dal carattere corsivo.

[3] Alle Lodi sono state proclamate le seguenti letture: Mc 1,14; Mt 20,25-28; Gv 18,33-40; Gv 19,19; Ap 12,10 (N.d.R.)

[4] Marisa Biancardi è consulente scientifico del Centro Antiabuso (vedi intervento di Anna Del Bel Belluz Martin sul Consultorio “S. Maria Mater Domini” a pag. 50 )

[5] E. Wiesel – Il male e l’esilio

[6] cfr Novo millennio ineunte (35)

[7] cfr Luca 17,5 segg.

[8] Membri della Commissione per la Pastorale degli Sposi e della Famiglia e operatori nella struttura “Casa famiglia Pio X” della Giudecca.

[9] La Casa Famiglia “S. Pio X” è stata gestita per diversi anni dalle sorelle della Comunità di Sammartini (Bologna) di don Giovanni  Nicolini.

[10] Novo Millennio ineunte n. 43

[11] Assistente spirituale dell’Istituto “Gris”

[12] responsabile del consultorio Centro S. Maria Mater Domini di Venezia, con il marito Piero Martin fa parte della Commissione della Pastorale degli Sposi e della Famiglia

 

ALL'ELENCO DELLE ULTIME ASSEMBLEE