Programma
Mario Spezzamonte
– Presidente Istituto Casa Famiglia San Pio X
Giuseppe Caccia
– Assessore alle Politiche Sociali e Rapporti con il Volontariato
Piero Martinengo
– Responsabile Istituto Casa Famiglia San Pio X
Paola Fattor
– Assistente sociale, responsabile dei percorsi educativi
Annalisa Davanzo
– Psicologa, psicoanalista, supervisore esterno
Costanza Marzotto
– Psicologa, Responsabile Formazione, Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia Università Cattolica Milano
Vittorino Andreoli
– Psichiatra e scrittore
Maria Teresa Mutalipassi
– psicologa, componente dello staff di dirigenza dei Servizi dell’infanzia e dell’adolescenza del Comune di Venezia
Riflessioni ed ipotesi di lavoro
Gioia Greifenberg
– Pedagogista, educatrice Casa Famiglia San Pio X
Lucia Trivellato
– Assistente sociale del Comune di Venezia
Anna Del Bel Belluz
– Direttore Consultorio Familiare S.M.Materdomini
Patrizia Marcuzzo
– Assistente sociale Centro Antiviolenza di Venezia
Nicoletta De Lorenzi
– Presidente Associazione Mater Vitae di Lecco
Maria Teresa Mutalipassi
- Moderatrice
Libero Majer
– Coordinatore del Convegno, “Familiare” di Casa Famiglia San Pio X
Presentazione
Il convegno promosso da Casa Famiglia San Pio X aveva due
obiettivi: da un lato far conoscere la Casa che da ben 95 anni è
radicata nella città di Venezia dove ha svolto (e svolge) la sua
attività di accoglienza ed aiuto a donne gestanti o con bambini, i
criteri ispiratori e le modalità operative con cui si cerca di dare
una risposta alle situazioni di disagio esistenti, dall’altro interrogarsi,
organizzatori e pubblico, sulle condizioni necessarie affinché
il nucleo familiare, esaurita la sua permanenza in Casa,
possa mantenersi in autonomia nel contesto sociale.
I temi da svolgere sono costituiti, ovviamente, dalla donna, dalla
famiglia e dalla personalizzazione dei rapporti dove vanno ad
insediarsi questi piccoli nuclei.
Le donne e i bambini accolti sono, ordinariamente, persone ferite
da situazioni di grave disagio. Per le donne è determinato da:
violenza, abbandono, sfruttamento o labilità derivanti da famiglie
multiproblematiche. La famiglia, come luogo degli affetti,
cellula primaria di relazioni interpersonali e di solidarietà diffusa
di fatto è poco presente od ostile nel vissuto di queste persone.
Casa Famiglia si propone, nelle modalità che verranno
espresse, di far sperimentare, nella dimensione comunitaria, una
condizione di “famiglia estesa” che si fonda sulla tolleranza
nella accettazione delle diversità, ovviamente con tutte le parzialità
esistenti: la non scelta dei partner, la convivenza fra culture
diverse con tutte le varietà esistenti delle concrete espressioni di
vita, cercando, contemporaneamente, di aiutare le mamme a sviluppare
le loro potenzialità, genitoriali, di relazione, di promozione,
sociale nel vissuto di tutti giorni. Un ruolo importante a
questo riguardo viene svolto dall’èquipe delle operatrici, con competenze interdisciplinari, e da un gruppo di sposi ai quali è
stata affidata la responsabilità della Casa. L’integrazione delle
conoscenze scientifiche con l’esperienza di “famiglia concretamente
vissuta” (non ultimo la presenza maschile fattivamente
inserita) consentono di proporre, senza presunzione, per le
mamme e i loro bambini un futuro possibile.
Mentre il reperimento di un lavoro non costituisce un problema,
considerate le comuni aspettative medio-basse, utilizzando anche
gli strumenti che gli attuali Uffici Provinciali del Lavoro propongono,
cruciale è invece il rinvenimento dell’alloggio in una città
particolarissima come Venezia, senza provvidenze, per il caso in
specie, dell’Ente Pubblico. Rimane molto vago pertanto e sempre
affidato ad iniziative improvvisate da parte della Casa il problema
del reinserimento dopo le dimissioni. L’alloggio, appunto,
con un canone di affitto compatibile, le necessità del “primo
impatto” e della non atomizzazione del nucleo con conseguente
pericolo di emarginazione sono problemi aperti che devono essere
affrontati congiuntamente dalle strutture di accoglienza e dai
Servizi invianti pena l’inevitabile assistenzialismo o la cronicizzazione
nelle strutture con costi, anche economici, rilevanti per
la collettività.
Il Convegno ha avuto una introduzione significativa nella celebrazione
eucaristica di S.Em.Card. Angelo Scola Patriarca di
Venezia, la sera precedente a Casa Famiglia, di cui si riporta
l’omelia.
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VISITA A CASA FAMIGLIA SAN PIO X
Venezia, 5 maggio 2005
OMELIA DEL PATRIARCA CARD. ANGELO SCOLA*
Letture: At 18, 1-8; Gv 16, 16-20
Trascrizione da nastro – non rivista dall’autore.
Carissimi amici, mamme che siete in questa casa, papà e mamme che,
insieme a tutte le ospiti, animate questa Casa per il bene vostro e di questi nostri piccoli,
in un momento di riflessione all’interno di un gesto come quello che stiamo
vivendo e con cui rendiamo grazie a Dio per questa vostra Opera, così profonda
nel significato e nell’azione, credo che non ci sia parola più appropriata
di quella che ci ha fatto dire l’Orazione di Colletta:
«Tu, o Padre (in questo contesto la parola Padre è decisiva), che ci hai
reso partecipi dei doni della salvezza, fa che professiamo con la fede e testimoniamo
con le opere la gioia della risurrezione».
La vostra è un’opera che testimonia la gioia della Risurrezione!
Che cos’è, infatti, quest’opera? È una sovrabbondanza di affetto, di
amore che trabocca e in qualche modo “contagia” la ferita, il bisogno, la prova.
E lentamente, pazientemente, la trasforma in qualcosa di fecondo, perfino
liberandola, come succede a noi uomini che siamo tutti peccatori, dalle eventuali
scorie di peccato che l’hanno segnata.
Qui l’amore del Risorto vince. E la sua risurrezione si documenta nella
Sua forza di guarigione, di risanamento, di rigenerazione del nostro io. L’opera
di amore che qui si attua testimonia, quindi, la potenza della risurrezione generando
in mezzo a noi letizia.
Basta vedere la letizia con cui i bambini hanno accolto gli ospiti e il
Patriarca questa sera!
Loro stessi, infatti, percepiscono la festa. Partecipano al clima di festa che
emana dalla gioia grata per i novantacinque anni di vita di questa Casa.Una
gioia che sgorga dal vostro cuore e dal cuore magnanimo di tutti coloro che vi
hanno preceduto.
Penso anzitutto al nostro San Pio X che tanto ha dato a quest’opera; poi
alla schiera immensa di persone che hanno lavorato qui dentro, fino alla geniale
trasformazione che nel ’99 il Patriarca Marco Cè, con l’aiuto di don Silvio
e con l’aiuto vostro, ha voluto dare a questo luogo rendendolo veramente una
famiglia.
A documento e a testimonianza che il rapporto con Dio, che è un Padre,
è un rapporto familiare, quello di una nuova famiglia. E che nella Chiesa di
Cristo tutti - indistintamente - trovano l’autentica parentela. Trovano padri,
madri, fratelli e sorelle perché Lui per primo ha dato la vita perché fossimo
figli del Padre celeste. Egli infatti, chiamandoci a divenire figli nel Figlio suo
Gesù Cristo, ha voluto che tutti noi fossimo gli uni per gli altri fratelli, sorelle
e madri.
Le parole dell’Orazione di Colletta sono poi documentate in maniera
impressionante dal Santo Evangelo di oggi (Gv 16, 16-20) nel quale San
Giovanni ci presenta l’esperienza degli Apostoli smarriti di fronte al precipitare
degli eventi nella vita di Gesù; e Gesù stesso - Lui che in prima persona
stava per subire la grande prova – che, con grande magnanimità, in un certo
senso anticipa questo loro smarrimento, come per prepararli a sostenerlo.
«Ancora un poco e non mi vedrete, un po’ ancora e mi rivedrete». Con
questa famosa espressione “un poco”, Gesù si riferiva ovviamente alla sua
Passione e alla sua Morte («ancora un poco e non mi vedrete») e alla sua
Risurrezione («un altro poco e mi rivedrete»). In seguito la comunità primitiva
riferirà tutto questo alla Parusia, cioè alla venuta finale di Gesù.
Anche noi facciamo l’esperienza di questo «ancora un poco». Non lo
vediamo direttamente ma fra poco, quando Lui si manifesterà definitivamente,
lo rivedremo faccia a faccia; come i nostri cari che ci hanno preceduto
all’altra riva già, se sono nella gloria, lo vedono faccia a faccia.
Così gli Apostoli, smarriti, sono educati alla legge della vita, che - come
dice il grande poeta Claudel che io cito spesso - «sempre in parti uguali di
gioia e dolore è fatta» (da “L’annuncio a Maria” di Paul Claudel).
E qui, tra voi, dove si respira un clima di così intensa affezione in Gesù -
giacché l’affezione in Gesù è una affezione carica di gratuità - si capisce bene
che la vita è fatta di gioie e di dolori.
Siamo qui perché ognuno di noi, in grado e in maniera diversi, ha fatto
esperienza del dolore, della ferita, della prova; ma - in forza della potenza della
Risurrezione di Gesù - ha anche trovato uomini segnati dalla fede che gli hanno ridato la gioia.
Hanno rigenerato la gioia.
Allora anche noi, come gli apostoli, possiamo fare l’affascinante esperienza
proposta da Gesù e cominciare a capire: «Non piangete, non vi rattristate
perché sarete afflitti, ma temporaneamente, e la vostra afflizione si cambierà
in gioia».
Queste parole dicono qualcosa di molto reale che tutti noi abbiamo sperimentato,
che le nostre mamme hanno sperimentato in maniera cogente nella
loro vita.
È molto importante offrire ora a questi bambini una esperienza di gioia
intensa perché, quando verrà anche per loro il tempo della prova e della ferita,
possano ricordare questa Casa come il luogo della gioia del Risorto. Il
luogo in cui non viene mai meno la speranza del riscatto, della rigenerazione.
Da qui sgorga la conseguenza indicataci dalla Prima Lettura (At 18, 1-8).
Essa si riferisce al desiderio che vediamo ardere in Paolo che tutti i nostri fratelli
uomini (ogni uomo e ogni donna) possano fare questa esperienza profonda
dell’amore del Risorto. Così che anche l’uomo di oggi (il cosiddetto uomo
post moderno), segnato appunto dal travaglio del parto [nel Santo Evangelo
(Gv 16, 21) Gesù utilizzerà proprio questo esempio], possa pregustare la speranza
certa dell’esito buono di ogni sua fatica, anche la più lacerante e dolorosa.
Noi vorremmo che da un luogo come questo irradiasse per i tutti i nostri
fratelli uomini e donne che vivono a Venezia la stessa esperienza. Non c’è
dolore che non possa essere trasformato in gioia, se incontra l’amore. Se
incontra persone che amano gratuitamente, cioè vogliono il bene dell’altro. Il
suo vero bene, cioè un bene che libera, non un bene che lega. Non il bene che
chiude su di sé, ma che apre. Un bene che spalanca la famiglia cristiana, alla
generazione dei figli, a rapporti dal volto umano tra uomini e donne dello stesso
quartiere, a parentele risanate, a città in cui la vita buona possa vivere sostenuta
dal buon governo delle sue autorità.
Ecco, la società cambia in questo modo. Così come la Chiesa cresce
quando in essa ci sono modelli come questi in cui l’amore vince l’afflizione.
L’amore vince il dolore.
Perciò stiamo nella gioia, stiamo nella letizia! Lo ripeto a tutti voi, uno
per uno, - a cominciare da don Silvio, al Presidente, ai Consiglieri, agli operatori,
a tutti gli ospiti e soprattutto con una carezza lo dico ai nostri bimbi – state
nella gioia e abbiate la gratitudine del Patriarca e di tutta la nostra Chiesa diocesana
per quest’opera splendida perché, nei tempi e nei modi che il Signore
vuole (il bene, infatti, è silente ma diffusivo: nessuno lo può fermare. È come
un’acqua selvaggia: se tu cerchi di arginarla da una parte riemergerà dall’altra
e avanzerà sempre…) possa segnare ed irrigare i terreni aridi della nostra Venezia. E ridare speranza, ridare fisionomia, ridare volto a ciascun uomo, a
ciascuna donna, soprattutto ai bambini che vivono nella nostra terra.
Rendiamo grazie di cuore al Signore per tutto questo, continuando la
celebrazione eucaristica e portando sull’altare della nostra offerta tutto ciò – di
buono e di meno buono, di gioia e di dolore… - che ci preme sul cuore in questo
momento. Tutto offriamo al Signore che, come agli apostoli, ha detto anche
a noi: «Ora siete afflitti, ma la Vostra afflizione si cambierà in gioia».
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