periodico patrocinato dal Fronte Patriottico e "La Controvoce" [www.frontepatriottico.too.it] aperto a chiunque e indipendente

numero 1 anno 1 - aprile 2005

P a t r i a

sommario

 

 

EDITORIALE

Quello che state leggendo è il primo numero, sperimentale, del Bollettino telematico "Patria". Sperimentale perchè bisogna ancora trovarne la forma e la sostanza migliore: per quel che riguarda la forma, è chiaro che abbiamo bisogno di critiche e opinioni che speriamo arriveranno. Per la sostanza la questione è più spinosa, oppure più semplice; si tratta di capire come si svolgerà la "linea editoriale" (mettendo tutto fra virgolette visto il carattere senza pretese della "rivista"). In teoria, l'idea è di portare su questo strumento scaricabile liberamente dal web, articoli originali e non, così da facilitarne la lettura, contando sul fatto che in questo modo, i pezzi vengono salvati sul computer e quindi letti liberamente con calma. Gli articoli non originali sono chiaramente tratti dalle più varie e disparate fonti che verranno sempre citate accuratamente; molti di questi scritti forse saranno già noti al lettore, ma molti altri saranno sfuggiti ai più, per questo contiamo sull'utilità della "rivista". Proprio perchè c'è bisogno di sempre più attenzione su certi temi, e perchè il presente Bollettino non è la voce ufficiale di alcun movimento, tutti sono invitati a suggerire, scrivere, ideare, articoli e iniziative attinenti, insomma a Collaborare. Tramite il web potete spedirci o consigliare questioni e scritti, i quali avranno sempre evidenziate fonti e autori.

Non dovendo per fortuna sottostare ad un'ideologia precisa, "Patria", è aperto ad ogni tipo di concetto purchè sia di ribellione all'odierno ordine mondialista-capitalista. Patria appoggia apertamente la lotta Eurasista, è in linea di massima, per una concezione unitaria del popolo,per l'appoggio alle tradizioni dei popoli, socialista e popolare. Coerentemente con il suo spirito, la rivista, è per la mobilitazione ideologica permanente.

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Aleksandr Dugin PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA POLITICA EURASISTA

1. Tre modelli (sovietico, pro-occidentale, eurasista)

Nella Russia attuale esistono tre modelli basilari, reciprocamente in conflitto, di strategia per lo stato, sia per quanto riguarda la politica estera che quella interna. Questi tre modelli costituiscono il moderno sistema di coordinate politiche in cui si risolvono ogni decisione politica del governo russo, ogni passo internazionale, ogni serio problema sociale, economico o giuridico. Il primo modello rappresenta il cliché inerziale del periodo sovietico (principalmente tardo sovietico). In un modo o nell'altro esso ha posto le sue radici nella psicologia di alcuni sistemi organizzativi russi spingendoli, spesso inconsciamente, ad adottare tale o talaltra decisione sulla base delle precedenti. Questo modello è sostenuto con il "solido" argomento: "Si è lavorato prima e si lavorerà anche ora". Esso riguarda non solo quei leader politici che sfruttano coscientemente la complessione nostalgica dei cittadini russi. Il riferimento al modello sovietico è molto più ampio e profondo delle strutture del KPFR [Partito Comunista della Federazione Russa], che ora si trova ai margini del potere esecutivo, lontano dai centri decisionali. Ovunque, politici e ufficiali, che in alcun modo si identificano formalmente con il comunismo, sono guidati da questo modello. E' un effetto di educazione, esperienza di vita, formazione. Al fine di capire la sostanza dei processi che sottostanno alla politica russa, è necessario ammettere questo "sovietismo inconscio". Il secondo modello è quello liberal-democratico, filoamericano. Esso ha iniziato a prendere forma con l'inizio della "perestroyka" ed è diventato una sorta di ideologia dominante nella prima metà degli anni '90. Come regola, i cosiddetti liberal-riformisti e le forze politiche ad essi vicine si identificano con esso. Questo modello è basato sulla scelta, come sistema interpretativo, dell'apparato socio-politico americano, ricalcandolo sulla situazione russa e seguendo gli interessi nazionali Usa riguardo ai problemi internazionali. Un tale schema ha il vantaggio di permettere di appoggiarsi sul "presente straniero" completamente reale, contro il "passato nazionale" virtuale attorno al quale gravita il primo modello. Anche qui l'argomento è piuttosto semplice: "Si lavora per loro, si lavorerà anche per noi". Qui è importante insistere che non stiamo semplicemente parlando di "esperienza straniera", ma dell'orientamento verso gli USA, come punta avanzata del trionfante mondo occidentale capitalista. Questi due modelli (più le loro molteplici varianti) sono diffusamente rappresentati tra i politici russi. Dalla fine degli anni '80 tutti i conflitti sulla visione del mondo, tutte le discussioni e le lotte politiche hanno luogo tra i portatori di questi due punti di vista. Il terzo modello è molto meno noto. Esso può essere definito come "eurasista". Ci troviamo qui a trattare con procedimenti molto più complessi che non la semplice copiatura dell'esperienza sovietica o americana. Questo modello si rivolge sia al passato nazionale che al presente straniero in termini di differenziazione: esso deriva parte dalla nostra storia politica, parte dalla realtà delle società moderne. Il modello eurasista riconosce che la Russia (in quanto Stato, popolo, cultura) è un valore autonomo di civiltà, che essa dovrebbe salvaguardare la propria unicità, indipendenza e potenza in ciò che è diventata, dovendo mettere al servizio di questo proposito ogni dottrina, sistema, meccanismo e tecnica politica che possa incoraggiare a questo. L'eurasismo, in questo modo, è un originale "pragmatismo patriottico", libero da ogni dogmatismo - sia sovietico che liberale. Ma nel medesimo tempo, l'ampiezza e la flessibilità dell'approccio eurasista non deve impedire a questa teoria di essere concettualmente sistematica, essendo in possesso di tutte le caratteristiche di una visione del mondo organica, coerente e dai contenuti consistenti. Dal momento che i due vecchi modelli classici mostrano la loro debolezza, l'eurasismo diviene sempre più popolare. Il modello sovietico opera con realtà politiche, economiche e sociali obsolete, esso sfrutta la nostalgia e l'inerzia, manca di una sobria analisi della nuova situazione internazionale e dello sviluppo reale delle tendenze economiche mondiali. Lo schema liberale pro-americano, in crisi, per definizione non può essere realizzato in Russia, essendo componente organica di un'altra civiltà, estranea alla Russia stessa. Ciò è ben noto anche all'Occidente, dove nessuno dissimula la preferenza di vedere non una Russia prospera e sana, ma, al contrario, una Russia indebolita, sommersa nell'abisso del caos e della corruzione. Perciò oggi il modello eurasista diviene più urgente, più richiesto dalla società. Così noi dobbiamo rivolgere ad esso una maggiore attenzione.

2. Eurasismo e politica estera russa

Formuliamo i principi base del moderno eurasismo russo. Inizieremo dalla politica estera. Come in ogni settore politico, anche in politica estera l'eurasismo propone di seguire la terza via - né sovietismo, né americanismo. Ciò significa che la politica estera russa non dovrebbe ricostruire direttamente il profilo diplomatico del periodo sovietico (opposizione rigida all'Occidente, riscoprendo una partnership strategica con gli "stati canaglia" - Corea del Nord, Iraq, Cuba, etc.) mentre nello stesso tempo non deve seguire ciecamente i consiglieri americani. L'eurasismo offre la propria dottrina di politica estera. La sua essenza può essere riassunta nel modo seguente. La Russia contemporanea può essere salvaguardata come realtà politica autonoma ed indipendente, solo nelle condizioni di un mondo multipolare. Acconsentire ad un mondo unipolare che abbia per centro l'America è impossibile per la Russia, dal momento che in tale mondo essa sarebbe uno degli oggetti della globalizzazione, perdendo inevitabilmente la propria indipendenza e la propria originalità. L'opposizione alla globalizzazione unipolare, l'affermazione di un modello multipolare è il maggiore imperativo della politica estera russa contemporanea. Questa condizione non può essere messa in dubbio da nessuna forza politica: e da ciò ne consegue che i propagandisti della globalizzazione incentrata sull'America devono essere delegittimati (almeno moralmente) all'interno della Russia. La costruzione del mondo multipolare (vitale per la Russia) è realizzabile solo attraverso un sistema di alleanze strategiche. La Russia da sola non può affrontare questo problema, non disponendo di sufficienti risorse per una completa autarchia. Perciò il suo successo dipende sotto molti aspetti dall'adeguatezza e dalla vitalità della sua politica estera. Nel mondo moderno vi sono alcuni soggetti geopolitici che, sia per ragioni storiche che di civiltà, sono anch'essi per motivi vitali interessati alla multipolarità. Nella situazione che ora si sta profilando, questi soggetti rappresentano i partner naturali della Russia. Essi sono divisi in alcune categorie. Prima categoria: potenze regionali (paesi o gruppi di paesi), le cui relazioni con la Russia possono essere convenientemente espresse dal termine "complementari". Ciò significa che questi paesi possiedono qualcosa di vitale per la Russia, mentre la Russia è in possesso di qualcosa di estremamente indispensabile per essi. Come risultato, un tale scambio strategico di potenziali rafforza entrambe i soggetti geopolitici. A questa categoria (simmetricamente complementare) appartengono l'Unione Europea, il Giappone, l'Iran, l'India. Tutte queste realtà geopolitiche possono abbastanza ragionevolmente rivendicare un ruolo di soggetti autonomi in condizioni di multipolarità, mentre il centralismo americano li priva di questa possibilità, riducendoli a meri oggetti. Dal momento che la nuova Russia non può essere presentata come un nemico ideologico (condizione che assicurava agli Usa il loro maggiore argomento per attirare nella sua orbita l'Europa e il Giappone, e confondendo l'URSS nel suo essere sostenitrice dell'Iran islamico nel periodo della Guerra fredda), l'imperativo della completa subordinazione di questo paesi alla geopolitica americana non è più suffragato da nulla (al di fuori dell'inerzia storica). Dunque, le contraddizioni tra gli USA e le potenze reciprocamente complementari alla Russia si aggraveranno continuamente. Se la Russia dimostrerà di essere attiva e comproverà con il suo potenziale la tendenza multipolare, trovando per ognuna di queste formazioni politiche argomenti giusti e condizioni differenziate per un'alleanza strategica, il club dei sostenitori della multipolarità può diventare forte e influente abbastanza da ottenere in modo efficiente la realizzazione dei propri progetti di un futuro sistema mondiale. Ad ognuna di queste potenze la Russia ha qualcosa da offrire - risorse, potenziale strategico in armamenti, peso politico. In cambio la Russia riceverebbe, da un lato, sponsorizzazione economica e tecnologica da parte di Europa e Giappone, dall'altro - collaborazione politico-strategica a sud, da parte di Iran e India. L'eurasismo concettualizza tale corso in politica estera e lo comprova con la metodologia scientifica della geopolitica. Seconda categoria di potenze: formazioni geopolitiche interessate alla multipolarità, ma non simmetricamente complementari alla Russia. Sono queste, la Cina, il Pakistan, i Paesi Arabi. Le tradizionali politiche di questi soggetti geopolitici sono di carattere intermedio, ma una partnership strategica con la Russia non è la loro priorità maggiore. Inoltre, l'alleanza eurasista della Russia con i paesi della prima categoria rafforza i rivali tradizionali dei paesi della seconda categoria, a livello regionale. Ad esempio, Pakistan, Arabia Saudita ed Egitto hanno seri contrasti con l'Iran, come la Cina con il Giappone e l'India. Su una scala più ampia, le relazioni di Russia e Cina rappresentano un caso speciale, complicato da problemi demografici, dall'accresciuto interesse della Cina per gli scarsamente popolati territori della Siberia e anche dall'assenza in Cina di un serio potenziale tecnico e finanziario in grado di risolvere positivamente il maggiore problema della Russia dell'assimilazione tecnologica della Siberia. Tutti i paesi della seconda categoria sono destinati necessariamente a manovrare tra l'unipolarità incentrata sull'America (che non promette loro nulla di buono) e l'eurasismo. Nei confronti dei paesi di questa categoria la Russia deve agire con estrema attenzione - non includendoli nel progetto eurasista, ma nello stesso tempo mirando a neutralizzare per quanto possibile il potenziale negativo della loro reazione e contenendo attivamente la loro inclusione attiva nel processo della globalizzazione unipolare (per cui vi sono abbastanza motivazioni). La terza categoria rappresenta i paesi del Terzo Mondo che non possiedono abbastanza potenziale geopolitico da rivendicare anche lo stato di soggetti limitati. Nei confronti di questi paesi la Russia dovrebbe seguire politiche differenti, contribuendo alla loro integrazione geopolitica in zone di "prosperità comune", sotto il controllo dei più forti partner della Russia all'interno del blocco eurasiano. Ciò significa che nella zona del Pacifico è conveniente per la Russia favorire il rafforzamento della presenza giapponese. In Asia è necessario incoraggiare le ambizioni geopolitiche di India e Iran. E' anche necessario contribuire ad espandere l'influenza dell'Unione Europea nel Mondo Arabo e nell'intera Africa. Gli stessi stati che sono inclusi nella tradizionale orbita di influenza russa devono naturalmente rimanervi o esservi riportati. La politica di integrazione dei paesi della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) è diretta in questo senso. Quarta categoria: gli Usa e i paesi del continente americano che sono sotto il controllo degli Stati Uniti. Le politiche internazionali eurasiste della Russia devono essere orientate a mostrare in ogni senso agli USA l'inconsistenza del mondo unipolare, il carattere conflittuale e irresponsabile di tutto il processo di globalizzazione incentrato sull'America. Opponendosi rigidamente e attivamente (usando a questo scopo, innanzi tutto, lo strumento dell'alleanza eurasiana) a tale globalizzazione, la Russia dovrebbe al contrario sostenere la tendenza isolazionista negli USA, salutando con favore la limitazione degli interessi geopolitici USA al continente americano. Gli USA, come più forte potenza regionale, il cui circolo di interesse strategico è disposto tra gli oceani Atlantico e Pacifico, possono anche essere un partner strategico per la Russia eurasista. In più, una simile America sarà estremamente auspicabile per la Russia, in quanto delimiterà l'Europa, la Regione del Pacifico ed anche il mondo islamico e la Cina, nel caso in cui le loro aspirazioni seguissero il percorso di una globalizzazione unipolare sulla base del loro sistema geopolitico. E se la globalizzazione unipolare tornerà in scena, è interesse della Russia ritornare agli umori antiamericani del Centro e Sud America, usando comunque una visione del mondo e un dispositivo geopolitico molto più flessibile e più ampio del marxismo. Sulla stessa onda si trova la politica di lavoro prioritario con i circoli politici antiamericani in Canada e in Messico. Possibilmente anche usando a questo scopo l'attività lobbistica della diaspora eurasiana negli USA.

3. Eurasismo e politica interna

In politica interna Eurasismo vuol dire seguire alcune direttrici principali. L'integrazione dei paesi della CSI in un'Unione Eurasista è il maggiore imperativo strategico dell'Eurasismo. Il volume strategico minimo per avviare una seria attività internazionale per la creazione di un mondo multipolare non è la Federazione Russa, ma la CSI presa come singola unità strategica, saldata da una singola volontà e da un comune proposito di civiltà. Il sistema politico dell'Unione Eurasiana nella maniera più logica si fonda sulla "democrazia della partecipazione" (la "demotia" degli eurasisti classici), in cui l'accento cade non sull'aspetto quantitativo, ma su quello qualitativo della rappresentanza. L'autorità rappresentativa dovrebbe rispecchiare la struttura qualitativa della società eurasiana, invece degli indicatori statistici di quantità media basati sull'efficienza degli shows pre-elettorali. Dovrebbe essere rivolta una speciale attenzione alla rappresentanza delle etnìe e delle confessioni religiose. La "democrazia di partecipazione" deve essere integrata organicamente con una definita frazione di responsabilità individuale espressa quanto più possibile nelle aree strategiche. Il Leader supremo dell'Unione Eurasiana deve concentrare la comune volontà di ottenere la potenza e la prosperità dello stato. Il principio dell'imperativo sociale dovrebbe essere combinato con il principio della libertà personale in una proporzione essenzialmente diversa sia dalle ricette liberal-democratiche, sia dal collettivismo impersonale del marxisti. L'Eurasismo qui presuppone la tutela di un preciso equilibrio, con un ruolo significativo del fattore pubblico. In generale, lo sviluppo attivo del principio sociale è una caratteristica costante della storia eurasiana. Esso si è mostrato nella nostra psicologia, nella nostra etica, nella nostra religione. Ma in contrasto con i modelli marxisti, il principio sociale dovrebbe essere affermato come qualcosa di qualitativo, di differenziato, collegato con il concreto scenario nazionale, psicologico, culturale e religioso. Il principio sociale non deve soffocare, ma rafforzare il principio privato, fornendogli un retroterra qualitativo. La comprensione qualitativa del fattore sociale permette di definire con precisione il perfetto punto intermedio tra l'iperindividualismo dell'Occidente borghese e l'iper-collettivismo dell'Oriente socialista. Nel sistema amministrativo l'eurasismo si basa sul modello di "federalismo eurasista". Questo presuppone la scelta come categoria di base per la costruzione della Federazione, non dei territori, ma delle etnìe. Avendo separato il principio dell'autonomia etno-culturale dal principio territoriale, il federalismo eurasista vuole risolvere per sempre le ragioni stesse del separatismo. Così in compenso i popoli dell'Unione Eurasiana ricevono la possibilità di sviluppare al massimo l'indipendenza etnica, religiosa e anche, in certe questioni definite, giuridica. L'indubbia unità strategica si accompagna nel federalismo eurasista alla pluralità etnica, all'enfasi posta sull'elemento giuridico dei "diritti dei popoli". Il controllo strategico dello spazio dell'Unione Eurasiana è garantito dall'unità della gestione e dei distretti federali strategici, nella cui composizione possono entrare varie formazioni - da quelle etno-culturali a quelle territoriali. L'immediata differenziazione dei territori in livelli diversi aggiungerà flessibilità, adattabilità e pluralità al sistema dell'organizzazione amministrativa in combinazione con un rigido centralismo nella sfera strategica. La società eurasiana dovrebbe essere fondata sul principio di una recuperato morale che possieda sia valori comuni sia forme concrete collegate alla specificità del contesto etno-confessionale. I principi di semplicità, di purezza, di sobrietà, di rispetto per le regole, di responsabilità, di vita sana, di senso della giustizia e di sincerità sono comuni a tutte le fedi tradizionali dell'Eurasia. Questi innegabili valori morali devono ricevere la dignità di norme dello stato. I vizi sociali scandalosi, le violazioni impudenti e pubbliche dei fondamenti morali dovrebbero essere sradicati senza pietà. Le forze armate dell'Eurasia ed i ministeri e gli uffici del potere pubblico debbono essere considerati l'ossatura della civiltà. Dovrebbe incrementarsi il ruolo sociale dei militari, è necessario ripristinare il loro prestigio e pubblico rispetto. Sul piano demografico è indispensabile conseguire la "proliferazione della popolazione eurasiana", incoraggiando moralmente, materialmente e psicologicamente la natalità plurima, rendendola uno standard sociale eurasiano. Nel campo dell'educazione è necessario rafforzare l'educazione morale e scientifica della gioventù nello spirito di fedeltà alle radici storiche, di lealtà all'ideale eurasista, di responsabilità, di virilità, di attività creativa. L'attività del settore dell'informazione della società eurasista, nel fare luce sugli eventi interni ed esteri, deve essere basata sulla stretta osservanza delle priorità della civiltà. I principi di formazione ed educazione morale dovrebbero essere considerati al di sopra dei principi di divertimento e di utilità commerciale. Il principio della libertà di parola deve essere unito con l'imperativo della responsabilità di ciò che viene detto liberamente. L'eurasismo presuppone la creazione di una società di tipo mobilitante, in cui i principi di creatività e di ottimismo sociale dovrebbero essere la normalità della vita umana. Tale visione del mondo dovrebbe scoprire le potenziali possibilità dell'uomo, permettendo a ciascuno - superando l'inerzia e la limitazione (interiore ed esteriore) - di esprimere la propria personalità unica nel servizio della società. Alla base dell'approccio eurasista alla questione sociale sta il principio dell'equilibrio tra lo stato e il privato. Questo equilibrio è definito dalla seguente logica: tutta la scala, riferita alla sfera strategica (complesso militare-industriale, educazione, sanità, pace sociale, integrità morale e fisica della nazione, demografia, crescita economica, etc.) è controllata dallo Stato. La piccola e media produzione, la sfera dei servizi, la privacy personale, l'industria del divertimento, la sfera del tempo libero, etc. sono controllati non dallo Stato, ma al contrario, dall'iniziativa personale e privata (con esclusione dei casi in cui intervengano conflitti con gli imperativi strategici dell'Eurasismo nella sfera globale).

4. Eurasismo ed economia

Al contrario del liberalismo e del marxismo, l'eurasismo considera la sfera economica né autonoma né determinante per i processi socio-politici e dello stato. Secondo il pensiero "eurasista", le attività economiche sono solo una funzione di varie realtà culturali, sociali, politiche, psicologiche e storiche. Possiamo esprimere la relazione eurasista con l'economia, riprendendo il Vangelo: "non l'uomo per l'economia, ma l'economia per l'uomo". Tale rapporto con l'economia può essere chiamato qualitativo: il significato è costituito non da formali indici numerici di crescita economica, ma è consentito uno spettro significativamente più ampio di indici, in cui la forza economica è considerata in complesso con altre che hanno in prevalenza carattere sociale. Alcuni economisti (in particolare Joseph Schumpeter) cercarono già di introdurre parametri qualitativi nell'economia, separando il criterio di crescita economica da quello di sviluppo economico. L'Eurasismo regola il problema da una prospettiva ancora più ampia: quello che importa non è il solo sviluppo economico, ma lo sviluppo economico in combinazione con quello sociale. L'approccio eurasista all'economia può essere espresso come schema semplificato in questo modo: regolazione di stato per le branche strategiche (complesso militare-industriale, monopoli naturali e similari) e massima libertà economica per le piccole e medie imprese. Il principale elemento dell'accostamento eurasista all'economia è l'idea della decisione su di un numero significativo di problemi nazional-economici russi all'interno della struttura progettuale della politica estera eurasista. E' evidente in vista di che cosa. Alcuni soggetti geopolitici vitalmente interessati alla multipolarità del mondo - primi fra tutti, l'Unione Europea e il Giappone - hanno un enorme potenziale finanziario-tecnologico, il cui innesto può nettamente cambiare il clima economico in Russia. Allo stadio presente bisogna riconoscere a malincuore che non vi sono in Russia risorse sufficienti per una (sia pur relativa) autarchia. Perciò gli investimenti ed altri tipi di interazione con le regioni economiche avanzate sono per noi necessari in modo vitale. Questa interazione potrebbe essere inizialmente tracciata sulla logica per lo più volumetrica, piuttosto che su ristrette relazioni economiche - investimento, crediti, import-export, distribuzioni di energia, etc. Tutto questo potrebbe essere regolato in un più ampio contesto di comuni programmi strategici - come lo sfruttamento associato dei giacimenti o la creazione di sistemi eurasiani unificati di trasporto e di informazione. In qualche senso la Russia deve mettere il peso del rilancio del suo potenziale economico sui soci del "club dei sostenitori della multipolarità", usando attivamente a questo fine la possibilità di offrire progetti congiunti di trasporto estremamente convenienti (la "linea trans-eurasiana") o risorse energetiche basilari per l'Europa e il Giappone. Un problema rilevante è anche il ritorno di capitali in Russia. L'Eurasismo crea ragioni molto forti in questo senso. La confusa Russia del periodo delle riforme liberali (inizio degli anni '90), rivolta in modo completo all'Occidente, riferentesi a se stessa con disgusto, immersa nella psicosi della privatizzazione e della corruzione, e la Russia degli inizi del XXI secolo, eurasista, patriottica, incentrata sullo stato, sono realtà politiche diametralmente opposte. Il capitale è fuggito da una Russia indebolita e al collasso. In una Russia regolata, sulla via del rafforzamento e del recupero, il capitale deve ritornare. Nei paesi occidentali la maggior parte dei capitali portati fuori dalla Russia non possono essere né salvati né incrementati. All'inizio degli anni '90, l'Occidente vedeva con favore la fuga di capitali russi (principalmente di origine criminale), considerando - secondo la logica della "Guerra fredda"- che l'indebolimento della Russia post-comunista avrebbe giocato a favore dei paesi della NATO. Ora la situazione è nettamente cambiata e nelle presenti condizioni sorgeranno seri problemi (infatti già ce ne sono) per i proprietari di capitali illegali in Occidente. La logica eurasista ha il significato della creazione delle condizioni più favorevoli per il ritorno di questi capitali in Russia i quali, da se stessi, forniranno un serio impulso allo sviluppo dell'economia. Contrariamente a certi dogmi liberali puramente astratti, il capitale ritorna più velocemente verso uno stato con un'autorità forte, responsabile e con precisi punti di orientamento strategico, piuttosto che verso un paese incontrollabile, caotico e instabile.

5. Il percorso eurasiano

L'eurasismo è il modello più precisamente rispondente agli interessi strategici della Russia moderna. Esso dà le risposte alle questioni più difficoltose, offre un'uscita alle situazioni più incagliate. L'eurasismo combina apertura e attitudine al dialogo con fedeltà alle radici storiche e conseguente asserzione degli interessi nazionali. L'eurasismo offre un solido equilibrio tra l'ideale nazionale russo e i diritti dei numerosi popoli che abitano la Russia e più in grande l'Eurasia. Alcuni degli aspetti definiti dell'eurasismo sono già utilizzati dalle nuove autorità russe orientate ad una soluzione creativa dei difficili problemi storici che la Russia ha di fronte al nuovo secolo. Ed ogni volta che questo accade, l'efficienza, la concretezza, i seri risultati strategici parlano da soli. Il processo di integrazione nella CSI, la creazione di una Comunità Economica Eurasiana, i primi passi della nuova politica estera della Federazione Russa nei confronti dell'Europa, del Giappone, dell'Iran e dei paesi del Vicino Oriente, la creazione di un sistema di Distretti Federali, il rafforzamento della linea verticale del potere, l'indebolimento dei clan oligarchici, la politica del patriottismo e della statalità, l'aumento di responsabilità nel lavoro dei mass media - sono questi, tutti elementi rilevanti ed essenziali dell'eurasismo. Per il momento questi elementi sono intralciati dalle tendenze inerziali degli altri due modelli (il liberal-democratico e il sovietico). Ed è ancora perfettamente chiaro che l'eurasismo sta con regolarità raggiungendo il suo apice, mentre gli altri due modelli conducono solo una "lotta di retroguardia". La crescita del ruolo dell'eurasismo nella politica russa è un processo evolutivo e graduale. Ma già è giunto il momento per un più attento e considerevole apprendimento di questa teoria e filosofia realmente universale, la cui trasformazione in una prassi politica ed esistenziale è sotto i nostri occhi. Giugno 2001

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Ernest Sultanov LE PROSPETTIVE GEOPOLITICHE DELLA RUSSIA da "La Nazione Eurasia"

Verso l'alleanza con il mondo islamico

I. Le condizioni della catastrofe che si avvicina Il periodo 2005 - 2008 sarà molto intenso per la Russia. Diverrà più dura la concorrenza sui mercati mondiali, con un largo uso dei meccanismi politico-militari per incidere sulla situazione. Oltre a ciò, proprio in questo periodo terminerà la storia del patrimonio sociale, economico e militare dell'Unione Sovietica. A tale proposito, si possono notare le seguenti tendenze: 1. Diverrà più intensa la guerra per il petrolio, fino all'invasione statunitense del Venezuela. Negli interessi di Washington è anche la destabilizzazione dell'Arabia Saudita (tramite gli influssi che arriveranno sul Nord petrolifero del paese, confinante con l'Iraq) e l'Iran (tramite diversi fattori: politici filo-occidentali, esempio dell'Iraq "democratico", e altro). Tutto questo allo scopo di sottomettere la politica dell'OPEC ai propri interessi. In conseguenza i prezzi del greggio potrebbero calare fino al livello critico dal punto di vista degli interessi sociali del governo russo. 2. In questo periodo si completerà il declino dell'industria bellica russa e, in seguito, la crisi finale della stessa potenza militare russa. Gli Stati Uniti saliranno ad un nuovo livello: il sistema spaziale antimissilistico, gli aerei di quinta generazione, la base sulla Luna. La Cina e l'India raggiungeranno e sorpasseranno lo stato di sviluppo tecnico - militare della Russia. 3. Saranno ridimensionate (paragonandole con gli analoghi esteri) le industrie russe che fino ad ora erano competitive sul mercato interno: l'industria automobilistica e quella aerea. (Se nell'anno 2003 Boeing ha prodotto 281 aerei, la corporazione Ilushin, analogo russo, ne ha prodotti solo 6.) 4. L'intensificazione della concorrenza sui mercati mondiali e l'installazione di mezzi "contro dumping" si compierà con la stagnazione delle industrie orientate per l'esportazione: soprattutto la metallurgia. 5. Come risultato della concorrenza all'agricoltura russa dei prodotti transgenici (la concorrenza di questo tipo è un punto obbligatorio per la partecipazione russa nel WTO), la prima sarà in rovina. Come conseguenza avverrà la migrazione della popolazione contadina verso le città con tutti i lati negativi, dal punto di vista sociale e da quello della sicurezza. D'altra parte, come risultato di un vasto uso di tecnologie transgeniche, emergeranno i casi delle nuove malattie tipo SARS (nell'analogia con l'Asia sud-orientale, dove le tecnologie transgeniche sono largamente utilizzate). 6. Il livello d'arretratezza delle infrastrutture nei settori più importanti, come il rifornimento d'acqua e il riscaldamento, l'esportazione di petrolio e di gas, è al limite della sua capacità. In prospettiva la situazione può diventare fatale con il livello irreversibile delle catastrofi tecnogeniche.

II. La strategia significa la scelta dell'alleato. Le misure contro la crisi per il sostegno della stabilità economico-sociale permettono di rinviare, ma non di evitare la catastrofe. Per evitarla è necessaria una nuova strategia di sviluppo, basata su una delle due varianti. La prima variante - il modello staliniano della fortezza autosufficiente. Questo modello prevede la rinuncia all'ideologia "moderata" e alle libertà legate ad essa, le frontiere chiuse, l'accelerazione dell'economia negli interessi delle industrie di primaria importanza. Questa misura estrema è l'unica chance in caso d'intensificarsi del confronto globale e mancanza di sostegno esterno. La seconda variante - il modello che permette di risolvere i problemi interni in gran parte tramite "il fattore esterno". Cioè la strategia deve basarsi sull'alleanza internazionale. I primi quattro anni della presidenza di Putin erano legati alle speranze nel quadro del secondo modello, "più umano". Nella prima fase (più o meno fino all'"11 settembre") c'è stata la scelta della politica di alleanza con gli stati comunisti e ex filo-sovietici. Purtroppo, né Pechino, né Delhi hanno appoggiato questa iniziativa. Oltre a ciò la Cina, con il passare del tempo, sta rappresentando un pericolo sempre più grosso per la Russia, soprattutto con l'invasione migratoria nelle confinanti regioni della Siberia. Per quanto riguarda l'India, nel biennio 2000 - 2001 il governo indiano ha mostrato la volontà di collaborare in maniera più profonda con gli Stati Uniti, invece che con la Russia. Solo il corso degli eventi ha interrotto questo tentativo: dopo l'11 settembre il governo statunitense e' stato costretto a legittimare il regime del generale Musharraf e intensificare i rapporti con esso. Il Cremlino era costretto ad abbandonare questa variante. Sono indicative in tal senso la privatizzazione della compagnia petrolifera "Slavneft" e la scelta strategica del maggior acquirente di petrolio russo nell'Asia. Nel primo caso la compagnia privatizzata è stata venduta ad un consorzio "Sibneft" (Abramovich) e TNC (Fridman) e non alla compagnia cinese CNPC. E come destinatario principale non è stata scelta la Cina, ma il Giappone. Nella seconda fase Putin ha provato a creare un'alleanza con gli Stati Uniti. Questo prevedeva, nell'ottica del Cremlino, un aiuto economico allo stato sociale russo e la collaborazione geopolitica in nome della "guerra al terrorismo". Però anche qui la risposta era inadeguata: la Casa Bianca continuava a giudicare Mosca solo come uno degli elementi nella lotta contro l'OPEC. Considerando questo, gli Stati Uniti non solo hanno mancato di abolire le leggi di carattere discriminatorio, ma hanno continuato ad opporsi al Cremlino negli Stati dell'ex Unione Sovietica. Da parte sua il Cremlino ha giocato la carta petrolifera. La Russia si è espressa contrariamente ad una nuova guerra nel Golfo, non ha permesso all'oligarca Hodorkovskij di vendere la più grande compagnia petrolifera russa, UCOS, all'americana Exxon Mobil, e ha ritirato la licenza per il giacimento del greggio "Sahalin-3" al consorzio americano Exxon-Texaco. Nella terza fase e' stato preso un orientamento rivolto all'Europa. Però in questo momento si tratta solo di un'alleanza tattica, non di un'alleanza strategica. La cosiddetta triplice alleanza Mosca - Berlino - Parigi era fondata sull'occasione della guerra in Iraq, che adesso non è più all'ordine del giorno. Invece sono più amichevoli le relazioni tra Putin e Berlusconi, che ha sostenuto la causa della guerra. Per quanto riguarda il petrolio, sono più avvantaggiati gli inglesi. Quindi l'alleanza con l'Europa è molto vasta, però non molto sicura. Nonostante i buoni rapporti con i capi dei paesi europei, i nostri interessi economici sono molto diversi. Questo riguarda anche il settore energetico: i burocrati dell'UE costringono le autorità russe a riformare GAZPROM (livellare le tariffe del gas, che viene consumato dentro il paese e venduto all'estero). Questa proposta inaccettabile avrebbe conseguenze drammatiche nella sfera sociale russa e diminuirebbe i profitti ricavati dall'esportazione del gas destinato all'Europa. L'Europa è interessata al mercato russo per le proprie automobili e i propri aerei, e non al sostegno di questi settori della industria russa. L'UE è costretta a stabilire i limiti per i prodotti della metallurgia russa. La concorrenza tocca anche l'industria militare: stiamo lottando per i mercati asiatici e del Golfo. Quindi non ci sono tante condizioni per un'alleanza strategica nella dimensione prevalentemente economica. Ma neanche per l'alleanza politica Mosca - Berlino - Parigi c'è un grande futuro. La Russia non può oggi assumersi obblighi seri né in ambito economico, né in quello politico. La crisi irachena ha dimostrato l'incapacità russa come potenza mondiale. Nella quarta fase (soprattutto dall'autunno del 2003) e' cominciata l'integrazione con il mondo islamico. Qui si deve sottolineare quanto segue. Primo. La Russia e il mondo islamico hanno interessi comuni, che devono essere protetti. In primo luogo si tratta di opporsi agli Stati Uniti per assicurarsi prezzi del greggio adeguati alle esigenze sociali (non solo in Russia, ma anche in Arabia Saudita) - non meno di 25 dollari al barile. Quindi c'è una comune necessità di collaborare dentro il cartello petrolifero. Secondo. La Russia e il mondo islamico sono le vittime del modello geopolitico promosso dagli Stati Uniti. La Russia sta per perdere l'influenza nelle repubbliche dell'ex Unione Sovietica. D'altro canto Washington favorisce le divisioni nel mondo islamico e gli vieta pubblicamente di avere una potenza militare adeguata al pericolo rappresentato da Israele e dagli USA. Terzo. Il mondo islamico non è un concorrente economico per la Russia, piuttosto un potenziale compagno. Inoltre la Russia non può sviluppare le industrie strategiche senza un sostegno finanziario (in questo senso è utile ricordare, che i paesi del Golfo hanno dei grossi depositi nelle banche americane: solo i capitali investiti dalla famiglia reale dell'Arabia Saudita sono stimati di più di seicento miliardi di dollari.) Quattro. Non ci sono gravi problemi tra la Russia e il mondo islamico. Il problema della Cecenia e' stato risolto in gran parte ancora prima del summit di OIC in Malaysia (visitato da Putin in persona) nell'ottobre 2003. Nel secondo periodo presidenziale di Putin il mondo islamico potrebbe diventare una priorità della politica estera russa. I loro punti deboli (la marginalizzazione nel mondo progettato dagli USA) li avvicina l'una all'altro. Oltre a questo hanno gli stessi interessi, che possono difendere solo unendosi (dal processo di pace in Palestina, che tocca in primo luogo il mondo arabo-musulmano al problema della modernizzazione economica - di grandissima importanza per il presidente Putin). Ma soprattutto e' una questione del futuro: per tutt'e due quest'alleanza rappresenta la possibilità di diventare non le vittime, ma i suoi protagonisti.

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SINISTRA, DESTRA, SUPERAMENTO! di C. Preve

Questo scritto è un'estratto di un articolo di Costanzo Preve tratto da "socialismo e liberazione". Ha un'impostazione autobiografica che abbiamo voluto inserire in quanto contiene dei concetti molto interessanti sul superamento della dicotomia destra-sinistra

In primo luogo, con la stragrande maggioranza dei cosiddetti intellettuali comunisti e marxisti, ho dato per scontato per almeno un ventennio che la sinistra fosse l’unico luogo storico e culturale possibile non solo per la rivoluzione, ma anche per la razionalità e il progresso dell’umanità. Si trattava di un presupposto di autosufficienza che conteneva un aspetto parzialmente narcisistico, evidente oggi nella crociata antiberlusconiana di personaggi che approvano tutte le guerre imperiali americane, ma poi credono che il problema dei problemi sia il cattivo gusto delle televisioni private o il conflitto di interessi. Questo presupposto di autosufficienza mi spingeva ovviamente a condividere il "tabù dell’impurità" verso chiunque si dichiarasse di destra o di estrema destra. Non mi era chiaro, e non poteva esserlo ai miei coetanei ingannati, che il prolungamento di questa guerra civile simulata serviva soltanto a riprodurre un sistema politico consociativo (ancorché migliore di quello nato dopo il 1992 ad opera del colpo di stato giudiziario di Mani Pulite). In poche parole, per dirla in termini cartesiani, non ero stato ancora investito né dal dubbio metodico né tantomeno dal dubbio iperbolico.

In secondo luogo, ripeto quanto già scritto in molte altre sedi, e cioè che considero gli esiti storici del Sessantotto un episodio della storia dell’individualismo radicale contemporaneo (chi ha sostenuto con migliori argomenti questa tesi è stato il francese Lipovetsky). Il Sessantotto, almeno in Italia e Francia, si caratterizza per la compresenza di una spinta irresistibile alla modernizzazione post-borghese dei costumi, da un lato, e di una falsa coscienza ideologica che mascherava questa modernizzazione post-borghese con l’assunzione di una utopia comunista e libertaria, vissuta peraltro in buona fede in quasi tutti i casi. In quanto tale, il Sessantotto non è dunque la matrice dei partitini rivoluzionari del periodo 1969-1977 e neppure della lotta armata brigatista in Italia. L’ideologia di destra che fa questa equazione è del tutto fuori strada.

In terzo luogo, se si studia l’ideologia italiana dei micropartitini erroneamente detti estremistici degli anni 1969-1977 (Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Operaia, partitini marxisti-leninisti, eccetera), si deve sapere che il loro riferimento a Marx ed a Lenin era del tutto formale, astratto ed infondato. Il marxismo era assunto nella forma dell’operaismo italiano, ed il leninismo nella forma del populismo pauperistico. Questo spiega perché vediamo oggi il populista pauperistico Aldo Brandirali nell’area politica di Berlusconi, e l’operaista Adriano Sofri fra gli apologeti del sionismo, delle guerre americane e dell’imperialismo più totale. Non si è dunque trattato di un "tradimento". Nessun moralismo serve a capire il fenomeno. Questa gente non ha mai avuto in nessun momento il minimo rapporto con Marx o con Lenin, e si tratta allora di avventure della dialettica del tutto specifiche.

In quarto luogo, se si esamina l’ideologia della lotta armata in Italia (sia sul versante Brigate Rosse che in quello Prima Linea) si vede che si tratta semplicemente dell’uso delle armi da fuoco a partire dal precedente demenziale paradigma teorico e politico dell’operaismo e del populismo pauperistico. Marx e Lenin non c’entrano niente. Marx è il teorico del lavoratore collettivo cooperativo associato, e Lenin è il teorico delle larghe alleanze di classe. Tutto questo era del tutto estraneo agli allucinati pistoleros, che erano mossi da tre presupposti del tutto onirici. Primo, una concezione paranoica del capitalismo mondiale come meccanismo unitario e pianificato, il cosiddetto SIM, lo Stato Imperialista delle Multinazionali (e questa concezione unitaria e non concorrenziale resta oggi nell’idea di impero senza imperialismo di Toni Negri). Il capitalismo diventa l’organizzazione Spectre di James Bond. Secondo, una concezione che definirei di operaismo mistico, per cui la classe operaia di fabbrica continua ad essere vista come il gigante buono da svegliare con azioni esemplari, alla faccia delle leniniane alleanze di classe. Terzo, una concezione che definirei di antifascismo mitico, per cui ci si sentiva eredi ed emuli di Pesce, il partigiano dei GAP, e di Kamo, il rapinatore di banche armeno del tempo di Lenin, e si vedeva un fascista in ogni poliziotto democristiano ed in ogni ingegnere FIAT (questo antifascismo mitico permane ancora oggi in chi continua a vedere Bossi, Berlusconi e Fini dei semplici eredi del fascismo metafisico). Come si vede questi tre presupposti non hanno nulla a che vedere con il marxismo e con il leninismo. Chi li ignora può ripetere questo luogo comune infondato, ma chi sa chi sono stati e che cosa hanno scritto Marx e Lenin (ed io lo so) non si farà prendere per il naso.

In quinto luogo, devo dire che l’avvento del gorbaciovismo nel 1985 mi fece cadere in una comprensibile schizofrenia, che peraltro condivisi con molti intellettuali marxisti del mondo. Da un lato, sulla scorta di analisti marxisti come Paul Sweezy e Charles Bettelheim, ero convinto da tempo che il socialismo reale fosse diretto da una nuova ed inedita classe sfruttatrice, formatasi con il consolidamento delle burocrazie dispotiche della fusione tra partito e stato (più esattamente, fra partito comunista e stato socialista), e perciò nessuna riforma potesse partire dall’alto in una direzione di emancipazione socialista. Dall’altro, continuavo pascalianamente a sperare nell’autoriforma della burocrazia, e che il baraccone potesse essere salvato all’ultimo momento, perché mi era già chiaro che il crollo geopolitico del baraccone burocratico avrebbe comportato il sorgere da incubo di un impero americano unilaterale. Con questi sentimenti schizofrenici affrontai il fenomeno Gorbaciov, e ci misi molto per capire ciò che avrebbe dovuto essere marxianamente chiaro, e cioè che la classe sfruttatrice dei burocrati di stato, resasi conto di non poter continuare con il vecchio meccanismo statalista e pianificato di sfruttamento, si sarebbe infine riciclata come nuova borghesia compradora e speculativa del più solido e collaudato capitalismo occidentale. Il che ovviamente avvenne, insieme con l’affermazione dell’odioso ed ipocrita unilateralismo geopolitico americano. Meno Pascal e più Marx, meno scommessa e più analisi, eccetera, mi avrebbe forse fatto capire meglio le cose. Ma come disse il saggio proverbio, meglio tardi che mai.

Sul piano intellettuale, cominciai a capire che la dicotomia di sinistra e destra era del tutto inservibile per mettere a fuoco i problemi di un eventuale rinnovamento del marxismo nel triennio 1991-1993, quando per l’editore Vangelista di Milano scrissi una serie di libri, fra cui una trilogia dedicata ai rapporti rispettivi del marxismo con il nichilismo, l’universalismo e l’individualismo. Mano a mano che approfondivo l’analisi, mi rendevo conto che la dicotomia non era solo inservibile, ma addirittura fuorviante, e dava luogo a ciò che nel Seicento Bacone chiamava "idola", cioè pregiudizi devianti. Per quanto riguarda il nichilismo moderno, la sinistra ne era stata addirittura il luogo privilegiato con la sua evoluzione dal precedente storicismo progressistico al disincanto post-moderno della fine della storia. Per quanto riguarda l’universalismo, la sinistra era stata storicamente il vettore principale del suo scioglimento nei particolarismi non universalistici della classe (operaia) e del partito (socialista e poi comunista). Ma l’universalismo della classe e del partito era stato sempre e solo astratto, aprioristico e formale, mentre nella realtà storica non aveva mai funzionato come tale. Per quanto riguarda l’individualismo, infine, la sinistra non aveva ripreso la preziosa indicazione di Marx sulla libera individualità sociale (che per Marx avrebbe dovuto essere la base dell’antropologia comunista, dopo la dipendenza personale precapitalistica e l’indipendenza personale borghese), ma era caduta in forme di identità e di appartenenza di tipo organicistico e tribale (il cosiddetto "popolo di sinistra"). Insomma, non posso farla lunga per ragioni di spazio. Basti concludere che fu proprio il processo di ripensamento personale a farmi prendere atto del fatto che finché ragionavo in termini di opposizione polare fra sinistra e destra non ne sarei mai venuto fuori.

Sul piano teorico avevo già dunque rotto con la dicotomia fino dai primi anni Novanta. Ma restava ancora un radicamento emotivo di appartenenza, duro a morire come tutti i radicamenti identitari ad origine biografica. La rottura emotiva per me risale al marzo 1999, quando i bombardieri americani e dei loro servi europei della NATO (con la lodevole eccezione della Grecia, patria della filosofia) cominciarono a cospargere di uranio radioattivo la Jugoslavia. Da vecchio conoscitore dei Balcani, sapevo perfettamente che non c’era in corso nessun genocidio e neppure nessuna pulizia etnica (cioè espulsione etnica di massa da un territorio), ma solo una repressione armata di un movimento armato indipendentista (una situazione comune ad almeno cinquanta paesi al mondo). Sapevo anche che il movimento armato indipendentista albanese UCK perseguiva la pulizia etnica dei serbi, mentre Milosevic non perseguiva quella degli albanesi. Sapevo anche che gli americani erano del tutto indifferenti ai cosiddetti "motivi umanitari", e volevano invece un insediamento militare geopolitico nei Balcani (l’odierno Camp Bondsteel). Sapevo anche che i cosiddetti colloqui di Rambouillet erano stati una trappola pianificata dalla Albright. Bene, tutto questa era largamente noto, ed invece vidi la sinistra che appoggiava la guerra americana, Veltroni che sfilava in suo appoggio, che inneggiava sulle colonne del giornale-partito "La Repubblica", che prestava il suo nome alla cosiddetta Operazione Arcobaleno, eccetera. In quel momento in me si ruppe qualcosa. Poi lessi che la rivista "Diorama Letterario" di Tarchi si era invece impegnata contro la guerra con contributi pacati ed equilibrati, ed allora decisi che il "tabù dell’impurità" avrebbe dovuto essere rotto proprio per preservare la mia salute mentale e la mia dignità personale di studioso. E l’ho fatto.

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Armin Mohler LA RIVOLUZIONE CONSERVATRICE IN GERMANIA 1918-1932 I "Nationalrevolutionäre" e l'Est

Da ARCHIVIO EURASIA

Il vecchio schema [destra-sinistra, NdE] cade per quel che concerne non solo la politica interna, ma anche quella estera. Il modello nazionalrivoluzionario fa sorgere nuove prospettive. Finora "nazionale" è stato identificato con "antibolscevico" e quindi con "antirusso". Ciò vale genericamente sia per i "Voelkischen" che per gli "Jungkonservativen", anche se questi ultimi espressero l'idea d'una copertura alle spalle, con una certa diffidenza però, da parte dell'Unione Sovietica. I "Nazionalrivoluzionari" occupano una posizione ben diversa: tra di essi il nazionalboiscevismo ha i suoi maggiori fautori. Nel 1929 venne edito il libro di Ernst von Salomon Die Geächten (i proscritti), opera molto significativa per i "Nazionalrivoluzionari" : "Là dove, dopo la disfatta, si trovavano uomini che non volevano abdicare, si ridestò una indeterminata speranza nei confronti dell'Est. I primi che osarono pensare al "Reich" futuro anelavano istintivamente che l'esito della guerra avesse rotto ogni legame della Germania con l'Occidente". Nella Russia non viene visto dunque soltanto il nemico di Versailles. Essa è terra di miseria e di fame, alla ricerca di un sistema anticapitalistico e con caratteristiche nazionali. Schauwecker, in Deutsche allein [1931, NdE], fa dire ad un comunista russo: "Ho fatto la grande scoperta che la Russia esiste... tra dieci anni molti uomini in Russia lo diranno e molti già oggi lo sanno, perciò Trotzky dovette andarsene. Perchè è marxista, un vero marxista! Ma questo non è niente per la Russia! Il bolscevismo, questa è la Russia!". E lo stesso russo dice quel che divide i "Nazionalrivoluzionari" dai comunisti tedeschi: "I comunisti tedeschi: da questi sottufficiali del marxismo non ci si può aspettare niente". Alla base dell'apertura nei confronti dell'Est da parte di questo movimento, non ci sono soltanto il comune nemico in politica estera ed il medesimo "ritmo". Quanto più l'Occidente si disgrega, tanto più si accresce l'ombra che la Russia getta sulla penisola che le sta ad ovest, un'ombra che ridesta una strana commistione di paura, avversione ed ammirazione. Delle due grandi potenze che Tocqueville ed altri spiriti illuminati del XIX secolo vedevano sorgere ed affacciarsi nel secolo a venire, l'America non ha in nessun momento esercitato un'influenza comparabile a quella russa, e della stessa profondità. L'influenza russa non è però rintracciabile in egual misura in tutta la Germania. All'interno della zona che si estende tra il Tevere, la Senna e il Meno, e che costituisce il nucleo dell'Occidente, tale influenza è più debole che nei territori del nord-est, che non furono mai aperti dalle legioni romane all'ecumene antico-cristiano. Come nel gioco dei vasi comunicanti, l'ascesa della Prussia a forza determinante nel mondo tedesco corrisponde alla decadenza dell'Occidente, e ciò determina anche un avanzamento della Russia. La storia della Prussia è collegata a quella della Russia, più di quella di ogni altro Stato europeo, anche della monarchia austroungarica. L'attuale nazionalbolscevismo può connettersi ad un'antica tradizione prussiana. E non solo all'opera del "re-soldato", che si basa su un socialismo di Stato, ma ancor più al tradizionale orientamento della politica prussiana nei confronti dell'Est: dal fatto che Federico il Grande fu salvato dallo zar Pietro III alla convenzione di Yorck di Taurrogen, al trattato di controassicurazione di Bismarck, fino ad Ago von Maltzan ed al generale von Seydlitz del comitato di Mosca. Come dimostrano questi esempi, l'atteggiamento nei confronti dell'Est non era offensivo. Nella stessa ottica, l'impero austroungarico viene considerato la parte orientale della Prussia, "zona di frontiera" di uno Stato in cui la Prussia è il vero centro. In ciò non vi è soltanto l'idea di un baluardo protettivo: si sa che ogni zona di frontiera è anche una porta aperta alle invasioni (ciò vale per la Prussia ancor più che per la monarchia danubiana). La mancanza di una propensione per una vasta azione offensiva contro la Russia, come quelle compiute dal còrso Napoleone o dall'austriaco Hitler, è anche evidenziata dalla commistione slavo-germanica che costituisce l'essenza del prussianesimo: questo non nega la provenienza dai sabbiosi e poveri terreni di confine, e conduce una politica pratica e possibilistica. Con la soluzione "piccolo- tedesca", di contro a quella "grande-tedesca" sotto l'egemonia asburgica, anche per quanto concerne la politica estera la Prussia non si schiera contro la Russia, anzi la vede come alleata. La Prussia è dunque un antico baluardo contro l'Est; ma a causa di questa vicinanza anche la forza dell'Est può gradualmente disgregarsi, cosa di cui si rende conto proprio quell'Occidente che funge da baluardo. Nel periodo da noi considerato cadono perciò nel vuoto le dichiarazioni bellicose in spirito di crociata scagliate verso la Prussia da Monaco di Baviera. Al popolo prussiano è estraneo tanto l'elemento idilliaco piccolo-borghese quanto il tempestoso apocalittismo divino della Germania meridionale. E' significativo che il prussiano Rauschning definisca il nazionalsocialismo bavarese, austriaco e sudeto, un "barocco ateo" nello stile di un Carlo V: "Si sostituisce la fede cattolica con una nuova fede rivolta al dio-Fuehrer; questa è la posizione dei Nazionalsocialismo nella sua volontà di dominio del mondo. E' questa un'oscura visione barocca ispirata da una moderna Inquisizione. Il XVII secolo produsse in Germania le guerre più sanguinose, e l'ambito da considerare non è quello sobrio e concreto del nord prussiano, ma il mondo meridionale dominato dal fanatismo spagnolo". Toni simili compaiono già alla fine della Prima Guerra Mondiale nel saggio di Spengler Preussentum und Sozialismus, edito per la prima volta nel 1919: "Lo spagnolo ha una grossa missione da compiere, egli non è un "io", ma una "funzione". Egli è soldato o prete... Lo spirito spagnolo vuole conquistare i pianeti, un Impero su cui il sole non tramonti mai... anche Vienna è una creazione dello spirito spagnolo... (Il popolo austriaco) è divenuto profondamente estraneo agli altri tedeschi, irrevocabilmente... Questo popolo resta asburgico e spagnolo e lo sarà anche quando non sopravviverà più nessuno della casa asburgica". [Cfr. 0. Spengler, Politische Schriften, 1933. NdA] Il nazionalsocialismo affonderà pertanto le sue radici sempre nella zona della Germania situata a nord del Meno e ad est del Reno. E per questo il nazionalbolscevismo in Germania significherà sempre una prussianizzazione della nazione. Già prima della caduta della monarchia degli Hohenzollern la Prussia è qualcosa di più di un semplice paesaggio (Landschaft) o di uno Stato. "Il prussianesimo è un principio", dice Moeller van den Bruck all'inizio del suo libro Der preussische Stil, in cui cerca di delineare l'essenza dei prussianesimo. Questo è il motivo per cui esiste "una scelta prussiana", per Hegel come per molti altri, e non una "scelta bavarese". Nella cerchia dei gruppi nazionalrivoluzionari i nazionalbolscevichi possono essere considerati "prussiani d'elezione". Come Ernst Niekisch, figlio di madre sveva e di padre della Slesia, che si sente legittimo erede dell'antica Prussia. La sua profonda avversione al nazionalsocialismo trae come non ultima ragione il risentimento di un emigrante della zona baltica nei confronti delle dichiarazioni dei crociati contro la Russia. Per questo egli esclama: "Hitler rappresenta la vendetta di Koenigsgratz". Non si può tuttavia tacere che in questo nazionalbolscevismo vive anche un forte messianismo chiliastico estraneo al prussianesimo. Esso sorge dall' impulso di abbandonare la nave dell'Occidente che affonda e di attaccarsi alla forza dell'Est, "giovane", "barbarica", ancora non corrosa. Nell'espressione "un Reich da Vladivostock a Vliessingen" si nascondono i sogni di un dominio del mondo russo-tedesco, sogni che purtuttavia ebbero un qualcosa di più realistico che non i sogni di Hitler. Questo tono messianico viene utilizzato già dai "profeti", in riferimento alla missione della propria terra. Nei frammenti postumi di Nietzsche (XIII, p.430) si trova un programma in quattro punti per la grande politica tedesca. Il primo punto è intitolato "Il senso della realtà", il terzo dice: "Abbiamo assolutamente bisogno di un accordo con la Russia, con un nuovo programma comune, che non preveda in Russia alcun dominio inglese. Nessun futuro americano ! ". Il quarto punto dice in modo ancor più chiaro: "Una politica europea è insostenibile ed un rinchiudersi in una prospettiva cristiana un'assoluta disgrazia...". Di contro risponde Dostoevskij : " La Germania ha bisogno di noi non per un'azione politica temporanea, ma per un legame eterno... Due grossi popoli, noi e loro, hanno il compito di trasformare l`aspetto del mondo". [Cfr. E. Mueller, Nationalbolschevismus, Heidelberg 1933. NdA ] L'idea che il bolscevismo russo possa attuare una rivoluzione mondiale solo alleandosi a quello tedesco viene continuamente ripresa, da Bruno Bauer fino al leninismo. E' come un incubo che grava sull'Europa occidentale, che si manifesta chiaramente nel momento in cui la Francia incomincia a ritirarsi come dietro ad una sorta di muraglia cinese. Significativo è anche l'aneddoto del vecchio Clemenceau, dotato di un fiuto che andava oltre la contingenza politica, il quale, ricevendo un giornalista nella sua casa in Vandea, rispose alla domanda sulle sue attività dicendo che curava le rose del suo giardino e che andava su e giù dal tetto per vedere se arrivassero gli Unni. Cosi, non desta meraviglia che gli Inglesi denunciassero questa situazione già in un libro del 1932 dal titolo The Russian Face of Germany [C.F. Melville, The Russian Face of Germany, London. NdA] Sulla base di quest'elemento ulteriore, il movimento "Nazionalrivoluzionario" può esser definito con ancor maggiore chiarezza. Quel che per i "Voelkischen" è costituito dal tempo primordiale germanico, e per gli "Jungkonservativen" dal Reich medioevale, per i "Nazionalrivoluzionari" lo è la Prussia del re-soldato Federico il Grande. E la Prussia è la comunità sognata dai "Nazionalrivoluzionari", non nel senso del sangue e del suolo, o di alcunchè di artificiale; essa è un vero e proprio "movimento". Ciò che unisce è il marciare in una stessa direzione, in base allo stesso ritmo: questo è più importante del contenuto o della meta. Il prussianesimo, paragonabile alla scelta "piccolo-tedesca", è anche qualcos'altro, che appare sempre nell'atteggiamento nazionalrivoluzionario: il ritorno ad un centro stabile, dal quale poter poi procedere.

Dal capitolo IV di Die Konservative Revolution in Deutschland 1918-1932 (I ed. Stuttgart 1972; II ampliata ed. Darmstadt 1972; III ed. ampliata Darmstadt 1990) Trad. it. di L. Arcella (dalla II ed.) per le edizioni Akropolis-La Roccia di Erec, Firenze-Napoli 1990. Si riproduce senza autorizzazione, per ogni uso consentito.

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I PARLAMENTI dal "Libretto Verde" di M. Gheddafi

I parlamenti sono la spina dorsale della democrazia tradizionale moderna, regnante oggi nel mondo. Il parlamento è una rappresentanza ingannatrice del popolo ed i sistemi parlamentari costituiscono una falsa soluzione del problema della democrazia. Il parlamento è costituito fondamentalmente come rappresentante del popolo, ma questo principio è in se stesso non democratico, perché democrazia significa potere del popolo e non un potere in rappresentanza di esso. L'esistenza stessa di un parlamento significa assenza del popolo. La vera democrazia, però, non può esistere se non con la presenza del popolo stesso e non con la presenza di rappresenti di questo. I parlamenti, escludendo le masse dall'esercizio del potere, e riservandosi a proprio vantaggio la sovranità polare, sono divenuti una barriera e tra il popolo e il potere. Al popolo non resta che la falsa apparenza della democrazia, che si manifesta nelle lunghe file di elettori venuti a deporre nelle urne i loro voti. Per mettere a nudo il vero volto del parlamento, dobbiamo esaminare la sua origine. Il parlamento è eletto nelle circoscrizioni elettorali, oppure è costituito da un partito o da una coalizione di partiti, o per designazione dall'alto. Nessuna di queste procedure è democratica, perché la ripartizione degli abitanti in circoscrizioni elettorali significa che un solo deputato rappresenta, a seconda del numero degli abitanti, centinaia o centinaia di migliaia o milioni di cittadini. Significa, inoltre, che il deputato non è legato ai suoi elettori da un rapporto organico popolare, in quanto, secondo la tesi della democrazia tradizionale oggi attuata, egli è considerato il rappresentante di tutto il popolo, alla pari degli altri deputati. Le masse, quindi, sono separate completamente dal loro rappresentante, e egli, a sua volta, è completamente separato da esse. Infatti, subito dopo la sua, elezione, egli usurpa la loro sovranità ed agisce al loro posto. La democrazia tradizionale, dominante oggi nel mondo, riveste i membri del parlamento di una sacralità e di una immunità che nega invece al singolo cittadino. Questo significa che i parlamenti sono divenuti uno strumento per usurpare e monopolizzare a proprio vantaggio il potere del popolo. Questo è il motivo per cui è divenuto, oggi, diritto dei popoli lottare, attraverso la rivoluzione popolare, per distruggere questi strumenti di monopolio della democrazia e della sovranità che si denominano parlamenti, i quali usurpano la volontà delle masse. È diritto dei popoli proclamare solennemente il nuovo principio: "Nessuna rappresentanza al posto del popolo". Quando il parlamento è il risultato della vittoria elettorale di un partito, è il parlamento del partito e non del popolo. Rappresenta il partito e non il popolo ed il potere esecutivo detenuto dal parlamento è il potere del partito vincitore e non del popolo. Lo stesso vale per il parlamento in cui ogni partito dispone di un certo numero di seggi. Infatti, i titolari dei seggi rappresentano il loro partito e non il popolo; il potere esercitato da tale coalizione è il potere dei partiti coalizzati e non il potere del popolo. In questi sistemi di governo, il popolo è la preda per la quale ci si batte. Il popolo è la vittima ingannata e sfruttata dagli organismi politici che combattono per giungere al potere, per strappare dei voti al popolo mentre questo si allinea silenzioso in lunghe file, che si muovono come un rosario, al fine di deporre il suo voto nelle urne, nello stesso modo in cui si gettano altre carte nel. cestino di rifiuti. Questa è la democrazia tradizionale attuata nel mondo intero, sia che si tratti di un sistema mono-partitico, di un sistema bipartitico o pluripartitico o perfino di un sistema senza alcun partito; diventa, così, evidente che la "rappresentanza è un'impostura". Quanto alle assemblee che si formano per designazione o per successione ereditaria, esse non hanno nessuna caratteristica democratica. Inoltre, siccome il sistema di elezione dei parlamenti si fonda sulla propaganda per ottenere voti è, di conseguenza, un sistema demagogico nel vero senso della parola. I voti possono essere comprati o falsificati; per questo, il povero non può affrontare le battaglie elettorali, in cui vince sempre e soltanto il ricco. Furono i. filosofi, i pensatori e gli autori politici che sostennero la teoria della rappresentanza parlamentare, quando i popoli erano ignoranti e guidati come pecore da re, sultani, conquistatori. L'aspirazione ultima dei popoli era, allora, di avere qualcuno che li rappresentasse dinnanzi ai governanti. Perfino questa aspirazione fu loro negata e per ottenerla i popoli affrontarono lunghe e dure lotte. È dunque irragionevole oggi, dopo la vittoria dell'era delle repubbliche e l'inizio dell'era delle masse, che la democrazia sia la formazione di un piccolo gruppo di deputati, che agiscono in nome delle grandi masse popolari. E una teoria antiquata ed una esperienza superata. Il potere deve essere interamente del popolo. Le più tiranniche dittature che il mondo abbia mai conosciuto si sono instaurate all'ombra dei parlamenti.

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UTILITA'

Per COLLABORARE, criticare, consigliare, ecc... scrivete a: patriaeuropa@katamail.com

Consigliamo caldamente la rivista gratuita LA NAZIONE EURASIA http://lanazioneeurasia.altervista.org alla quale ci ispiriamo (con rispetto parlando)

e la visita del sito Progetto Eurasia http://utenti.lycos.it/progettoeurasia

cosigliamo altresì il sito del www.frontepariottico.too.it insieme con www.europanazione.splinder.com

più altri siti come www.bolsheviks.org , www.npd-info.org , il forum comunista nazionalitario , il forum degli eurasisti , www.terradegliavi.org , www.socialismoeliberazione.too.it

altri verranno.

www.patria.splinder.com

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"non ci sono uomini di destra e uomini di sinistra, ma c'è il sistema e i nemici del sistema"