periodico patrocinato dal Fronte Patriottico e "La Controvoce" [www.frontepatriottico.too.it] aperto a chiunque e indipendente

numero 3 anno 1 - giugno 2005

P a t r i a

sommario

 

 

EDITORIALE

22 giugno, giornata di lutto Continentale. Il 22 giugno anche quest'anno arriverà e passerà nell'indifferenza generale, senza che nessuno dai grandi canali dell'informazione e della cultura abbia né il coraggio né la forza di celebrarlo. Ma noi patrioti abbiamo il dovere di celebrarlo profondamente e spiritualmente con il rigore e la serietà che si conviene ad un evento così luttuoso. Infatti, il 22 giugno 1941, è la data di morte scolpita sulla tomba dell'Europa. Il giorno più nefasto della nostra storia, il giorno in cui siamo stati sconfitti. Sconfitti da noi stessi, dalla debolezza e dalla mancanza di coraggio e passione: è il giorno in cui la Germania del Terzo Reich si scaglia contro l'Impero Sovietico. L'atto che fulminò ogni speranza rivoluzionaria. In un suo scritto Dugin riporta un episodio interessante:<<Arno Breker, il famoso scultore tedesco, che conobbe benissimo Bormann, parlò a Parvulesco di una strana visita che ricevette da questi a Jackelsburg. "Il 22 giugno 1941, immediatamente dopo l'attacco della Germania di Hitler contro l'URSS, Bormann andò da lui senza precauzioni, in stato di shock, avendo lasciato il suo ufficio al Reichskanzlerei. Egli ripeteva continuamente la stesso misterioso giudizio: "Il Non Essere, in questo giorno di giugno, ha vinto sull'Essere…Tutto è finito…Tutto è perduto…" Quando lo scultore chiese che cosa volesse dire, Bormann tacque; poi, ormai alla porta, si volse per aggiungere qualcosa, poi decise di non farlo e se ne andò sbattendo la porta">> .Infatti fu proprio così, il non essere vinse sull'essere, o meglio, i conservatori vinsero sui rivoluzionari, gli stupratori della terra sul continente eurasiano. Quello che poteva essere il Continente, l'Impero dell'avvenire, si trasformò in colonia; ma quel che è peggio, la spiritualità, il socialismo si trasformarono in materialismo, capitalismo, economicismo. Facciamo che la data più importante della nostra storia possa essere per noi anche l'insegnamento più profondo, affinché certi errori non si ripetano. Così che il 22 giugno 1941 non sarà più una data luttuosa, ma il simbolo del sacrificio che avrà segnato la strada per il futuro dei rivoluzionari europei.

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E. Norling (Massari trad.) NICOLA BOMBACCI da LENIN a MUSSOLINI Aurora

Cominciamo in questo numero il viaggio fra varie personalità che ci hanno insegnato ad andare oltre i classici schemi

Il primo, che comunque approfondiremo meglio, è Nicolino Bombacci

"Il 29 aprile '45 furono passati per le armi i gerarchi fascisti per mano dei partigiani comunisti. Cosa curiosa, fra questi c'era una delle massime figure del comunismo italiano, né più né meno che Nicola Bombacci, il fondatore del Partito Comunista Italiano (PCI), amico personale di Lenin, col quale stette in URSS durante la Rivoluzione d'Ottobre. Soprannominato il "Papa Rosso" e, finalmente, incondizionato sostenitore di Mussolini al quale si unì negli ultimi mesi del suo regime. La sua vita fu la storia di una conversione o di una tradizione? O fu per caso, l'evoluzione naturale di un nazional-bolscevismo? La pubblicazione in Italia di una biografia di Bombacci ha riaperto il dibattito sulla ideologia rivoluzionaria del fascismo mussoliniano".

Nicola Bombacci nacque in seno ad una famiglia cattolica della Romagna il 24 ottobre 1879, a pochi chilometri da Predappio, ove nascerà, pochi anni dopo, quello che sarebbe stato il fondatore del fascismo, in una regione in cui la lotta operaia si distinse per la sua durezza. Entra in gioventù nel Partito Socialista Italiano e prende il diploma di maestro (nuovamente le somiglianze con il Duce sono evidenti) per dedicarsi subito, anima e corpo, alla rivoluzione socialista. Per la sua capacità di lavoro e le sue doti organizzative, fu incaricato di dirigere gli organi di stampa socialisti; qui aumenta il suo potere in seno alle organizzazioni operaie e conosce Mussolini che, non dimentichiamolo, fu la grande promessa del socialismo italiano prima di divenire nazional-rivoluzionario. Opposto alla linea morbida della socialdemocrazia, Bombacci fonda, insieme a Gramsci, il Partito Comunista d'Italia e nei primi Anni '20 si reca in URSS per partecipare alla Rivoluzione bolscevica. Lì fa amicizia con Lenin che in una riunione al Cremlino dice di Mussolini: "In Italia compagni, in Italia c'è solo un socialista capace di guidare il popolo verso la rivoluzione: Mussolini!" E poco dopo il Duce inizierà la rivoluzione, però fascista... Come leader del neonato Partito Comunista, Bombacci si convince come la borghesia italiana, che lo soprannomina il "Papa Rosso", sia l'autentico nemico pubblico numero uno. Eletto tra i primi deputati del partito, mentre le squadre fasciste iniziano a formarsi e a confrontarsi con le milizie comuniste, ha come missione quella di contenere l'inevitabile presa del potere da parte del fascismo, ma fallisce nel suo impegno. Dopo l'ascesa al potere da parte di Mussolini resta, senza ombra di dubbio e fedele alle proprie convinzioni, l'eterno anticonformista e il difensore di una politica di avvicinamento dell'Italia all'URSS. Difensore di una Terza Via, ove il nazionalismo rivoluzionario del fascismo avrebbe potuto incontrarsi col socialismo rivoluzionario del comunismo, fu espulso dal PCI nel '27 e condannato ad un ostracismo politico; nonostante ciò non smise di mantenere contatti con i dirigenti politici russi. A poco a poco si converte, benché "sui generis", a difensore del regime fascista. Non accetta gli incarichi che gli sono offerti, non rinnega le sue origini comuniste e mai nasconde le proprie intenzioni. Nel '36 scrive sulla sua rivista, "la Verità", confessando la propria adesione al fascismo, che: "ho fatto una grandiosa rivoluzione sociale, Mussolini e Lenin. Soviet e Stato Fascista Corporativo, Roma e Mosca. Molto dovremo rettificare, ma nulla di cui farsi perdonare; oggi come ieri ci unisce lo stesso ideale: il trionfo del lavoro". È naturale che Bombacci, un tempo leader comunista, abbia accettato la nuova situazione politica pur rimanendo sempre critico nei confronti del regime. Nonostante l'amicizia con il Duce fosse da tutti conosciuta, non aderisce mai al Partito Nazionale Fascista. Quando Mussolini viene deposto nel luglio '43 e liberato dai tedeschi un mese dopo, il partito fascista crolla. La struttura organica scompare e i dirigenti del partito, provenienti in maggioranza dai ceti privilegiati della società, passano in massa al governo di Badoglio. L'Italia si trova divisa in due, "a sud di Roma gli Alleati avanzano verso il nord" e Mussolini raggruppa i suoi più fedeli, tutti vecchi camerati della prima ora e giovani entusiasti "che i dirigenti del partito avevano abbandonato" e che ancora credono nella rivoluzione fascista e proclama la Repubblica Sociale Italiana. Immediatamente il fascismo sembra voler tornare alle proprie origini rivoluzionarie e Nicola Bombacci aderisce all'appena proclamata Repubblica e porge a Mussolini tutto il proprio appoggio. Il suo sogno è poter portare avanti la costruzione di quella "Repubblica dei lavoratori" per la quale tanto lui che Mussolini combatterono ad inizio secolo. Come Bombacci, si uniscono al nuovo governo altri intellettuali di sinistra: Carlo Silvestri (deputato socialista e dopo la guerra diffusore delle memorie del Duce), Edmondo Cione (filosofo socialista che fu autorizzato a fondare un partito socialista staccato dal Partito Fascista Repubblicano), etc. Mussolini preoccupato per la situazione militare, ma risoluto più che mai a portare avanti la sua rivoluzione ora che si è liberato della zavorra del passato, autorizza i settori più rivoluzionari del partito ad assumere il potere e inizia la tappa denominata di "socializzazione" che si traduce nella promulgazione di leggi chiaramente di ispirazione socialista, quali la creazione dei sindacati, la cogestione nelle imprese, la distribuzione di benefici e la nazionalizzazione dei settori industriali di importanza strategica. Tutto ciò è riassunto nei famosi "18 punti" del primo (e unico) Congresso del Partito Fascista Repubblicano a Verona; un documento, redatto congiuntamente da Mussolini e Bombacci, che doveva convertirsi nelle basi della nuova Costituzione dello Stato Sociale Repubblicano. In politica estera, Bombacci tenta di convincere Mussolini a firmare la pace con l'URSS e a continuare la guerra contro la plutocrazia anglosassone, risuscitando l'asse Roma-Berlino-Mosca dei pensatori geopolitici del nazional-bolscevismo degli Anni '20. Se per molti l'ultimo Mussolini era un uomo finito, burattino dei tedeschi, non finisce di sorprendere l'adesione che ha ricevuto da uomini come Bombacci, un vero idealista con una oratoria attraente, allergico a tutto ciò che significasse inquadrarsi o imborghesirsi e che non accetterà neppure ora alcun incarico né stipendio ufficiale. Bombacci diverrà il consigliere e il confidente di Mussolini per gettare, nuovamente, le basi del Partito dei Lavoratori. Viaggerà nelle fabbriche spiegando la rivoluzione sociale del nuovo regime e il perché della sua adesione, mentre la situazione militare si sta deteriorando e i gruppi terroristi comunisti (i tristemente famosi GAP) già hanno deciso di eliminarlo per il pericolo rappresentato dalla sua attività. Però la guerra sta arrivando alla fine. Benito Mussolini, consigliato dall'ex-deputato socialista Carlo Silvestri e da Bombacci propone di consegnare il potere ai socialisti, integrati nel Comitato Nazionale di Liberazione, piuttosto che ai dirigenti di destra del Sud. Senza alcun dubbio i negoziati fallirono. Nell'aprile '45 le autorità militari tedesche in Italia si arrendono agli alleati. È la fine. Nicola Bombacci, sempre fedele, sempre sereno, accompagna Mussolini al suo ultimo e drammatico viaggio verso la morte. Il racconto di Vittorio Mussolini, figlio del Duce, del suo ultimo incontro col padre, in compagnia di Bombacci ci insegna la sua interezza. "Ho pensato al destino di questo uomo, un vero apostolo del proletariato, un tempo nemico accanito del fascismo e ora a fianco di mio padre senza alcun incarico né prebenda, fedele a due capi diversi fino alla morte. La sua calma mi è servita di conforto". Poco dopo essersi separato da Mussolini e dalla colonna dei suoi ultimi fedeli per risparmiare loro di dover spartire il suo destino, Bombacci è detenuto assieme ad altri dai partigiani comunisti. La mattina del 29 aprile fu posto di fronte al plotone di esecuzione; accanto a lui, Barracu, un valoroso ex-combattente, mutilato di guerra, Pavolini il poeta segretario generale del partito, Valerio Zerbino, un intellettuale; di fronte al plotone tutti gridano: "viva l'Italia!", mentre non cessa di essere un paradosso, fedele riflesso della controversa personalità di Bombacci, che, mentre il suo corpo cade attraversato dalle pallottole dei partigiani socialisti, grida: "Viva il Socialismo!". (E. Norling) Ermanno Massari (trad.)

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LA DISCRIMINANTE POPOLO NELLA DIMENSIONE EURASIATICA Francesco Boco

"Come dubitare che in passato il mondo fosse in Dio? La Storia si divide tra un passato, in cui gli uomini si sentivano attratti dal nulla vibrante della Divinità, e un oggi, in cui il nulla del mondo è privo dell'afflato divino" E.M. Cioran

Nel porsi il problema del futuro non si deve ignorare l'importanza del popolo ed il ruolo fondante che esso ha per il mantenimento e la durevolezza di un ordine. L'esistenza di un'elite è necessaria al fine di guida del popolo, ma essa non può avere ruoli così esclusivi da dividerla dalla comunità. Ogni gruppo scelto che porti un nuovo ordine proviene in ultima istanza dal popolo, rappresentandone però la componente più dinamica e culturalmente superiore. L'esempio della Repubblica platonica, in cui l'educazione della città rende giusti i cittadini, ed al contempo i buoni cittadini rendono giusta la città, ci chiarisce il rapporto circolare di relazione tra la struttura statale e la componente umana. Di fatto sono le elite, le quali per prime prendono coscienza del cambio epocale necessario, a dare inizio, per mezzo di una infiltrazione culturale al circolo di cui sopra. L'elite che diventerà guida di popolo nel nuovo ordine ch'essa andrà ad instaurare è necessariamente quella che risulta vittoriosa dallo scontro che avviene tra i vari fronti di influenza. Il presupposto della nascita e sviluppo di un gruppo ristretto è la sua volontà di cambiamento radicale, essendo di natura dinamica essa si genera per aggregazione di elementi eterogenei attorno ad un'idea comune. Quelle che nei governi e nei sistemi di controllo consolidati vengono chiamate elite non sono aristocrazie di recente nascita, ma lo sviluppo di quelle che hanno originato un certo ordinamento; ne sono le eredi e la continuità nel tempo.

La centralità del popolo

Un'elite per mantenere la sua importanza deve saper comprendere e dirigere il mutare dei tempi e quindi deve essere in grado di comprendere il popolo, le sue esigenze così da indirizzarne secondo giustizia il destino. Il popolo rappresenta la discriminante di ogni potere. Da esso dipende la durata o la caduta di un ordine. Storicamente, sin dall'antichità, un ordinamento che non si sia consolidato culturalmente ed intimamente nel popolo non si è espresso in alcuna sua componente rilevante dopo la sua caduta. Sulle macerie del passato ordinamento politico si è sempre imposto un nuovo ordine il quale tentava di "tenere a bada" le masse a scopi più o meno nascosti di potere. Ci concentreremo su alcuni punti riguardanti la centrale importanza del popolo.1 Ogni regime perde la sua efficacia politica nel momento in cui la sua capacità di pervasione culturale viene meno. E' prima di tutto per evidente insufficienza culturale che un regno crolla. E per cultura intendiamo pure il modo di vivere l'azione. Ciò che può a buon diritto esser chiamata "cultura" mira al rafforzamento sprituale, o meglio al mantenimento di un forte spirito ed una solida identità, di un popolo, ne è l'essenza più intima, profonda e propria. Cultura come fondamento di una tipologia umana, il più profondo ed unitario spirito che pervade di sé una comunità intera. Nel momento in cui i valori dell'elite di governo non vengono (più…) condivisi dalla gran parte della comunità, il suo potere è solamente effimero e la sua vita politica ha le ore contate. Nel voler stabilire un ordine nuovo si deve quindi tener presente della funzione di struttura marxiana svolta dal popolo e dalle sue necessità. L'elite crea il nuovo ordine, ma è il popolo a determinarne la durata. Un'efficace azione di diffusione culturale, e nell'efficacia vi sono sintesi e rapidità, porta a far sì che il popolo condivida i valori dell'elite in una sorta di mutazione totale della comunità. La caduta di un governo che sia riuscito a coinvolgere intimamente la popolazione non sarà l'avvenimento determinante perché il popolo stesso smarrisca i valori del passato.

Eurasia e popolo

In una recente intervista ad Aleksander Dugin apparsa su Orion n.239 agosto 2004 a cura di Daniele Lazzeri, il noto eurasista russo ebbe a dire: "…ritengo che la nuova sintesi del pensiero debba necessariamente passare per una riconsiderazione del concetto di "Popolo". Il "Popolo" visto come soggetto politico e non più come mero oggetto delle decisioni prese in altri consessi.[…] E' lo "Spirito del Popolo" l'elemento decisivo per l'affermazione della visione imperiale." Già in passato Dugin scrisse che la coesione della Russia, la creazione di uno stato a dimensione continentale, non è pensabile se non fondandosi sulla spiritualità Ortodossa che del popolo russo rappresenta l'identità più sentita e diffusa. Russia ed Ortodossia sono la medesima unità. Questa importanza riconosciuta alla Ortodossia da parte del dottrinario russo non è una novità degli ultimi decenni, già Dostoevskij e Leont'ev ebbero a riconoscerne, pur da prospettive differenti, il ruolo centrale. Dostoevskij può essere inteso come pneumologo, studioso dell'interiorità, andando al di là dello psichico trova la sfera dello spirito. La sua è una fede che si raccorda al popolo e si lega alla terra, è nel popolo che lo scrittore pensa di trovare la vera fede, la sua emozionalità. Il popolo vive nell'ordine della natura, sente la vivente unità dell'universo; il contatto con la terra è fondamentale. L'esito politico delle teorie dostoevskijane è di tipo razziale, formalizzandosi in una sorta di messianesimo slavofilo. Un'importanza assolutamente maggiore nell'attuale eurasismo russo, ed in Dugin in particolare, ha con tutta evidenza il massimo pensatore eurasista del passato: K.N. Leont'ev autore nel 1875 del fondamentale "Bizantinismo e mondo slavo". E' importante inquadrare il pensiero di K.N. Leont'ev nei suoi tratti essenziali. Il filosofo rifiutava l'evoluzione culturale dell'occidente riaffermando, con la sua conversione, il ritorno ad una rigida religiosità monastica, ascetica, fortemente cosciente del peccato umano e della trascendenza divina; con questo riconoscendo l'importanza storica del bizantinismo. Totalmente avverso alla modernità europea, non adeguava lo spirito ortodosso al cristianesimo moderno di stampo occidentale, e si trovava in critica anche con la visione panslavista dostoevskijana e la sua religiosità, che gli pareva troppo sregolata e problematica. Auspicava un distacco radicale della Russia dalla decadenza spirituale dell'occidente democratico ed in disprezzo alla democrazia auspicava il formarsi di un sistema imperiale slavo-orientale di radice bizantina, duramente spirituale. La formazione culturale russa secondo Leont'ev nulla ha a che vedere con quella europea, bensì i suoi prinicpi culturali sono bizantini e tatari. L'ordine spirituale e sociale russo si regge non su un nazionalismo ma sugli ideali bizantini di autocrazia e Ortodossia,avendo l'Ortodossia assorbito quasi totalmente la vita religiosa russa. La Russia allora intesa quale radicale antitesi all'Occidente crepuscolare e Mosca che sarà la Terza Roma che non cadrà mai. Leont'ev, nella difesa intransigente dei valori bizantini di ortodossia, autocrazia e monarchia, essenza storica della nazione, non si rifaceva insomma ad una sorta di nazionalismo, come poteva essere invece quello panslavista. L'essenza di uno stato per Leont'ev non consiste affatto "nel suo sostrato razziale e linguistico bensì nelle idee organizzatrici che danno forma ed individualità al materiale etnico."2 Il bolscevismo era destinato a fallire in Russia se si fosse sradicato dalla spiritualità popolare, l'Ortodossia; in un secondo momento, quando Stalin dichiarò "la guerra patriottica" e permise nuovamente di partecipare alla preghiera ortodossa in chiesa, allora dimostrò di comprendere questo legame inscindibile tra popolo e fede.

Spirito e Origine

L'importanza del popolo nella visione eurasista non è quindi una trovata recente, la comprensione del suo ruolo nella vita politica e sociale di uno stato non può essere ignorato. Secondo chi scrive una restaurazione parziale di un ordine secondo giustizia deve passare necessariamente per una condivisione e comprensione dei medesemi valori da parte delle masse. Una mistica popolare, sull'esempio dell'esperienza romena, che sappia pervadere di sé la gran parte delle coscienze, che sappia cioè risvegliare il senso del divino nell'Europa (…Eurasia) decaduta nel materialismo affarista. E' senz'altro una possiblità molto distante dal realizzarsi, eppure riconsiderare la centralità del popolo, soprattutto in ottica continentale, lasciandosi alle spalle i piccoli nazionalismi romanticheggianti, favorendo il recupero di una qualche tensione spirituale, è lo scopo ultimo di quella che deve intendersi come una geopolitica non soltanto politica e strategica, ma pure spirituale e filosofica. Il concetto di Terza Roma è prima di tutto fondato su una dura e severa disciplina religiosa che pervade l'intero popolo russo, in secondo luogo - o allo stesso tempo, ma non prima - rappresentando il faro di luce verso la redenzione (in ottica ortodossa) dalla caduta in cui è precipitato quello che ci si ostina a chiamare occidente, esprimendosi in una dimensione imperiale continentale. Terza Roma - Terzo Reich - Terza Internazionale. Nel recupero di una spiritualità originaria non si può ignorare l'avventura del leggendario barone Ungern Sternberg (Unger Khan) che, rieprcorrendo le gesta dell'armata mongola di Gengis Khan, intendeva riconquistare la Russia bolscevica alla testa di un esercito "bianco": "Ungern aveva dichiarato fin dal 25 febbraio 1919, alla Conferenza Panmongola di Cita, la propria intenzione di restaurare la teocrazia lamaista, creando una Grande Mongolia dal Baikal al Tibet e facendone la base di partenza per una grandiosa cavalcata verso occidente, sulle orme di Gengiz Khan."3 Ed infine il suo rivolgere la cavalcata verso il Tibet conferma quella che è la sensazione profonda che il mito dell'Eurasia ci trasmette nel profondo: il ritorno all'origine, il regno della fine, l'ultimo Imperium sull'orlo dell'abisso.

Precisazione finale

Si è parlato dell'importanza della componente popolare, relazionandola ad una visione imperial-continentale riassunta nella denominazione Eurasia. Come si è brevemente illustrato, nella visione russa il ruolo centrale del popolo non è in discussione, ed anzi esso si radica in una dimensione fortemente spirituale e religiosa. Ora, riprendendo per un attimo l'appunto fatto in merito alla Repubblica platonica è necessario precisare che il potere di un Imperium, quindi di un organizzazione statale di tipo tradizionale-spirituale non viene legittimato dalle masse e neppure dalla componente umana, non è una creazione degli uomini il giusto governo. Bensì esso si legittima da sé, è in sé giusto perché sacro. L'imperatore è la figura eminente che governa per investitura sacra, messaggero della divinità, il pontifex. In questa ottica quindi, riprendendo il modello platonico, è utile accennare all'importanza dell'Accademia quale luogo di preparazione e formazione di un'elite filosofico-spirituale di governo. Essa acquisisce il suo diritto a guidare il popolo solamente da una maggiore vicinanza e presa di coscienza del sacro; Platone avrebbe detto per una maggior comprensione dell'Iperuranio, del modello di giustizia che è nei cieli. Quindi la centralità del popolo è da vedersi in ottica politica, poiché garantisce la durata di un governo, che si auspica giusto e retto, epperò la sua importanza non legittima in nessun modo il sacro, che deve invece, per mezzo degli uomini che più chiaramente vedono ed attraverso il giusto governo, diffondersi tra le masse così da rievocare un sentimento di spiritualità quanto più possibile pura e rettamente orientata.

Note 1- Osservazioni di tipo differente e del tutto particolari sarebbero da effettuare sui totalitarismi di vario colore nati dal 1917 in poi. 2- Aldo Ferrarzi, "LaTerza Roma", Ed. all'insegna del Veltro pag. 44 3- Claudio Mutti, "A Oriente di Roma e Berlino", Effepi Ed. pag. 123

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JEAN THIRIART e LA TURCHIA Claudio Mutti

la prima edizione de "L'Europe: un empire de 400 millions d'hommes" è del 1964. Ma Jean Thiriart non è morto nel 1964; è morto nel 1992. Per tutto il resto della sua vita Jean Thiriart (che S. Francia chiama ironicamente "vate") rielaborò la propria visione geopolitica, scrivendo decine e decine di articoli, rilasciando interviste e redigendo scritti che sono rimasti inediti. Ignorare la produzione thiriartiana del trentennio successivo al 1964 significa dunque identificarsi con l'homo unius libri di oraziana memoria. Già nel 1964 Thiriart pubblicò su "Jeune Europe" (6 Marzo 1964, p. 173) un articolo intitolato Criminelle nocivité du petit-nationalisme: Sud-Tyrol et Chypre, nel quale, in un paragrafo intitolato "La Turchia è Europa", scriveva quanto segue. "(…) I nazionalisti (così essi si autodefiniscono) sono individui di scarsa immaginazione e scarsa ambizione. (…) Il nazionalismo - nella semantica attuale del termine - è una filosofia e uno stile di vita per vecchi, anche se magari hanno diciassette anni nel senso fisiologico. Quando mi è capitato di dichiarare che la Turchia è Europa, ho sollevato un diluvio di proteste pedanti. Ma come? E il Turco nemico ereditario? E il musulmano aborrito? Non è mancato niente in questo caleidoscopio, neanche l'oleografia del massacro di Chio. I nazionalisti hanno una visione estremamente sentimentale della storia: si potrebbe dire che hanno un'ottica rovesciata della realtà. Nel 1964 il problema politico-storico si pone nel modo seguente: i Turchi controllano l'accesso al Mediterraneo orientale, l'Europa deve controllare questo mare, dunque i Turchi sono Europei. Spetterà ai moralisti, agli scrittori, agli storici, in una parola agli intellettuali di aggiungere alle mie considerazioni realistiche gli ornamenti morali abitualmente richiesti dal galateo. E' criminalmente imbecille respingere la Spagna dal Mercato Comune in nome del democratismo, come fanno i socialisti fanatici; è stupido ostracizzare la Jugoslavia di Tito, così come fa la destra, perché la Spagna e la Jugoslavia sono in primo luogo territori europei e solo in maniera del tutto accessoria e precaria sono le sedi rispettive del franchismo e del titoismo. Idem dicasi per la Turchia, della quale abbiamo bisogno. Non è affatto il caso di prendere partito, per motivi sentimentali, a favore dei Greci perché sono cristiani, mentre gli altri sono musulmani (…)". Nel 1967 Thiriart ritornava sull'argomento, pubblicando su "La Nation Européenne" (n. 16, Aprile-Maggio 1967, pp. 32-33) un articolo di Leonardo Fiori significativamente intitolato Turquie, Gibraltar du Bosphore. L'articolo concludeva così: "L'Europa ha bisogno della Turchia, non solo per la sua grandissima importanza strategica, ma soprattutto perché la Turchia è in primo luogo una provincia della nostra Europa". All'articolo di L. Fiori si accompagnava un riquadro, nel quale era riportata una dichiarazione del ministro degli esteri turco Cemal Erkin, secondo il quale "la Turchia aspira a integrarsi definitivamente nell'Europa unita di domani". Nella lunga intervista rilasciata a Bernardo Gil Mugarza nel 1983 (Les 106 réponses à Mugarza, Bruxelles 1983, vol. II, p. 141), Thiriart aggiungeva altre considerazioni. "I Dardanelli costituiscono un luogo strategico dell'Europa. (...) La Turchia è una provincia della Grande Europa. Quindi, le campagne di stampa turcofobe non soltanto sono di pessimo gusto, ma sono idiozie politiche. Certo, c'è il problema degli immigrati turchi nei due comuni di Bruxelles. Ma è un problema sociale. Gli autori delle campagne di stampa suddette si rivelano politici di sottoprefettura, che si pavesano del titolo di 'Europei' senza neanche sapere che cosa sia l'Europa. (...) Bisogna condannare con estrema severità tutta la letteratura nazionalista tedesca antitaliana e tutta la letteratura nazionalista belga antiturca. Si tratta di sentimentalismo e di xenofobia pericolosi per l'unità politica dell'Europa". Per quanto riguarda l'Eurasia, se è vero che Thiriart non sembra aver mai usato questo termine, ha tuttavia espresso il medesimo concetto attraverso il sintagma "impero euro-sovietico". Che secondo Thiriart tale impero debba essere - come sostiene Salvatore Francia - "epurato dalle popolazioni mongole e dalle altre popolazioni ecc.", Thiriart non lo ha mai detto. Anzi, ha detto il contrario, poiché nell'intervista a Mugarza si legge: "L'Europa conterrà dei Turchi, dei Maltesi, dei Siciliani, degli Andalusi, dei Kazaki, dei Tatari di Crimea - se ne rimangono -, degli Afgani. Per il semplice fatto che l'Europa non potrebbe esistere in modo vitale senza possedere e controllare i territori abitati da questi popoli" (p. 141). E ancora: "Il Bosforo costituisce il centro di gravità di un impero che in un senso va da Vladivostok alle Azzorre e nell'altro va dall'Islanda al Pakistan. Istanbul è il centro di gravità geopolitico di un Impero euro-sovietico. (...) E' il luogo in cui insediare la capitale di un Impero" (pp. 37-38).

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LIBRETTO ROSSO DI MAO TSE TUNG, capitolo VII

AVERE IL CORAGGIO DI LOTTARE, AVERE IL CORAGGIO DI VINCERE

Popoli del mondo, unitevi, per abbattere gli aggressori americani e i loro lacchè! Basta che i popoli prestino orecchio soltanto al loro coraggio, che osino affrontare la lotta, sfidare le difficoltà, che avanzino a ondate successive, e il mondo intero apparterrà loro. I mostri verranno tutti annientati. "Dichiarazione a sostegno del popolo del congo-Kinshasha Contro l'aggressione americana" (28 novembre 1964).

Dopo un lucido apprezzamento della situazione internazionale e della situazione interna, rifacendosi alla scienza del marxismo-leninismo, il Partito comunista è giunto alla convinzione che tutti gli attacchi dei reazionari all'interno e all'esterno non soltanto dovevano, ma anche potevano venire schiacciati. Quando le nubi hanno oscurato il cielo, noi abbiamo fatto notare che quelle tenebre erano soltanto temporanee, che presto si sarebbero dissolte e che entro poco tempo il sole sarebbe tornato a brillare. "La situazione attuale e i nostri compiti" (25 dicembre 1947), Opere scelte di Mao Tse-tung, vol. IV.

Nella storia dell'umanità succede sempre che le forze morenti della reazione si lancino in un ultimo spasmodico corpo a corpo contro le forze della rivoluzione, e singoli rivoluzionari sono talvolta indotti in errore dalle apparenze di forza sotto le quali si cela un'effettiva debolezza e non sono capaci di vedere il quadro reale, di intravedere che il nemico sarà presto distrutto, e che essi vinceranno. "La svolta nella seconda guerra mondiale" (12 ottobre 1942), Opere scelte di Mao Tse-tung, vol. III.

Se esso (il Kuomintang) ci tiene proprio a battersi, noi l'annienteremo definitivamente. Ecco come si prospettano le cose: esso ci attacca, noi lo distruggiamo, ed eccolo soddisfatto; soddisfatto in parte se lo distruggiamo in parte, più soddisfatto se noi lo distruggiamo di più, e interamente soddisfatto se lo distruggeremo interamente. I problemi della Cina sono complessi ed è bene che anche noi coltiviamo una certa complessità nel cervello. Se qualcuno viene qui per battersi, noi ci batteremo. Ci batteremo per conquistare la pace. "Sui negoziati di Chungking" (17 ottobre 1945), Opere scelte di Mao Tse-tung, vol. 1V.

In caso d'attacco da parte del nemico, nella misura in cui le condizioni consentano di batterlo, il nostro Partito si metterà per certo nella posizione della legittima difesa per annientarlo risolutamente, radicalmente, integralmente, totalmente (non ingaggiamo lotte alla leggera, non battiamoci se non quando siamo sicuri di vincere). In nessun modo dobbiamo lasciarci intimidire dall'aspetto terrificante dei reazionari. "Circolare del comitato centrale del Partito comunista cinese sui negoziati di pace con il Kuomintang" (26 agosto 1945), Opere scelte di Mao Tse-tung, vol. IV.

Nella misura in cui quello che conta sono i nostri desideri, noi non chiediamo di batterci, nemmeno un sol giorno. Ma se le circostanze ci costringono a batterci, noi siamo in grado di batterci fino in fondo. "Intervista con la giornalista americana Anna Louise Strong" (agosto 1946), Opere scelte di Mao Tse-tung, vol. IV.

Noi siamo per la pace. Ma fintanto che l'imperialismo americano non rinuncia alle sue arbitrarie e insensate esigenze e alle sue macchinazioni volte ad estendere l'aggressione, il popolo cinese non può avere che una scelta, quella di continuare nella sua lotta al fianco del popolo coreano. Non che noi siamo bellicosi; noi siamo disposti a interrompere immediatamente le ostilità e a regolare le altre questioni in seguito. Ma l'imperialismo americano non vuole. E dunque: che la guerra continui! Noi siamo pronti a batterei contro l'imperialismo americano per tutti gli anni che vorrà, fino al momento in cui non potrà più continuare, fino alla vittoria completa dei popoli cinese e coreano. Discorso alla IV sessione del I Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del Popolo cinese (7 febbraio 1953).

Dobbiamo bandire dai nostri ranghi ogni ideologia fatta di debolezza e d'impotenza. Ogni punto di vista che sopravvaluta la forza del nemico e che sottovaluta la forza del popolo è falso. "La situazione attuale e i nostri compiti" (25 dicembre 1947), Opere scelte di Mao Tse-tung, vol. IV.

I popoli oppressi e le nazioni oppresse non devono assolutamente contare, per la loro emancipazione, sulla "saggezza" dell'imperialismo e dei suoi lacchè. Questi popoli e queste nazioni potranno trionfare soltanto rafforzando la loro unità e perseverando nella lotta. "Dichiarazione contro l'aggressione al Vietnam del Sud e i massacri della popolazione sudvietnamita da parte della cricca USA-Ngo Dinh Diem" (29 agosto 1963).

Qualunque possa essere il momento in cui scoppierà la guerra civile su scala nazionale, noi dobbiamo essere pronti. Nel caso in cui essa dovesse scoppiare presto, poniamo domani mattina, anche in questo caso dobbiamo essere pronti. Questo è il primo punto. Data l'attuale situazione internazionale e interna, è possibile che per un certo periodo la guerra civile rimanga circoscritta e che conservi provvisoriamente un carattere locale. Questo è il secondo punto. Il punto uno è quello a cui noi ci prepariamo; il punto due è ciò che esiste da tempo. In breve: teniamoci pronti. Essendo pronti, potremo fronteggiare come si deve tutte le situazioni, per quanto complesse esse siano. "La situazione e la nostra politica dopo la vittoria nella guerra di resistenza contro il Giappone" (13 agosto 1945), Opere scelte di Mao Tsetung. vol. IV.

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COMUNISMO ANTICOMUNISMO Matteo Pistilli

L'anticomunismo è una malattia difficile da combattere, come pure l'antifascismo; sono virus ormai diffusi e presenti in profondità in tutta la società occidentale. Essi vivono senza più motivo alcuno se non quello di essere utili alle oligarchie liberal-democratiche che li usano per saldare continuamente il loro potere.

Per quanto riguarda l'anticomunismo, la questione è un po' più complessa di quella che riguarda il gemello. Infatti la paura del rosso, oltre ad essere errata in sé, sembra anche ingiustificata a livello politico. Il comunismo puro oggi non esiste più, e oggetto dell'anti sono i comunisti, cioè i singoli individui che si dicono comunisti. Il comunismo forse verrà rievocato per il bene di tutti, ma oggi i comunisti (o molti di essi) dicono di essere tali essendo in realtà altro. Se essi percepissero correttamente la questione abbandonerebbero d'un tratto il loro antifascismo e gran parte del fosso sarebbe superato; invece pochi ambienti hanno questo coraggio. Certo la cosa sarebbe ancora più facile se anche da parte fascista o nazional-socialista si compissero passi del genere, comunque anche in questi ambienti, ma qui qualcosa si muove, c'è poco coraggio.

I "rossi" e i "neri" continuano a vedersi separati, ma da cosa questo non è dato sapere. Le idee alle quali si rifanno differiscono di molto poco, particolari che i liberali avrebbero superato già da tempo.

IL COMUNISTA

Ancora oggi i "fascisti" sentono di doversi opporre al comunismo e vorremmo capirne il motivo. Prendendo in considerazione il tipo comunista ora andiamo a criticarlo per vedere cosa lo particolarizza:

Il comunista si dichiara internazionalista: ma oggi l'imperativo sarebbe di combattere il mondialismo globalizzatore e quindi non c'è internazionalismo che tenga: i problemi imminenti sono altri. La storia poi ha dimostrato come questa visione non riesca a eliminare sentimenti nazionali (vedi la storia balcanica), quindi un po' di autocritica non sarebbe male. Diciamoci chiaramente poi, che dove è stato applicato (e con successo) il comunismo è sempre stato nazionalista. Da qui, secondo voi, è questo un carattere che pone in antagonismo i nuovi adepti delle due rivoluzioni?

Il comunista riconosce i diritti individuali: qui il "rosso" entra apertamente in contraddizione con l'aspetto comunitarista del comunismo, che non è assolutamente individualista e quindi non riconosce diritti individuali. Una nuova resurrezione del comunismo eliminerebbe questa concezione.

Il comunista crede o credeva nella classe: purtroppo che sono pochi oggi i comunisti operai, e contadini. Questo aspetto è completamente decaduto e non crea più problemi. Il ruolo del partito non è più sentito come quello di guida.

Il comunista dice che gli uomini sono tutti uguali? Alcuni lo dicono, ma hanno interpretato male quello che non è nemmeno un comunista, cioè Marx. E' proprio Marx a dire che in una ipotetica società comunista ognuno avrebbe il compito che è più vicino alla propria natura e inclinazione. L'uguaglianza intesa come giustizia sociale (spesso c'è confusione al riguardo) è propria sia dei "rossi" che dei "neri".

Ci sarebbero altri aspetti, ma di minor conto, da analizzare, ma la questione resta la stessa: finchè il comunista rimane individualista, economicista, e liberale, non potrà superare gli steccati e sarà incompatibile con il nazional-socialista, ma non sarà nemmeno comunista, è chiaro! Una riscoperta del comunismo farà in modo che i fedeli e i militanti "rossi" e "neri" si renderanno conto che l'unica via è quella in cui marceranno insieme.

COMUNISMO ESTINTO

Quanto si è voluto dire sopra ha quindi un significato importante, e cioè che i comunisti oggi non sono più comunisti! Infatti in una campagna revisionista senza precedenti, ci tengono a sottolineare le radici democratiche della loro ideologia. E' questa oggi la loro più grande preoccupazione, preoccupazione che avrebbe fatto impallidire Lenin, Stalin, Mao e tutti i padri del comunismo. Questo fenomeno è altresì identificabile nella militanza partitica di oggi; essa è infatti quando va bene social-democratica, quando va male liberista e addirittura neo-conservatrice. I comunisti in Italia e Europa Occidentale, sono diventati i più fedeli reazionari democratici, appoggiando partiti liberal-social-democratici. Alcuni sono finiti anche nei partiti liberal-liberisti (vedi forza italia), oppure lampante è l'esempio dei trozchisti rivoluzionari internazionalisti americani, che oggi sono i fedeli internazionalisti democratici al fianco di Bush. Tutto ciò non può essere un caso, ma un fenomeno ben comprensibile: i comunisti hanno spesso travisato i dettami del comunismo vero, e si sono definiti tali essendo in verità liberali e individualisti, in una parola atlantismi!

Una riscoperta coraggiosa del Comunismo sarà una potentissima scossa per lo status-quo liberal democratico e per i traballanti steccati ideologici!

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IL REFERENDUM dal "libretto verde" di Gheddafi

o meglio: la beffa di elezioni e democrazia

Il referendum è una frode contro la democrazia. Quelli che dicono "Si" e quelli che dicono "No" non esprimono di fatto la loro volontà, ma sono stati imbavagliati in nome del concetto di moderna democrazia. È permesso loro dire una parola soltanto: "Si" o "No". Questo è il sistema dittatoriale più oppressivo e crudele. Colui che dice "No" dovrebbe poter motivare la sua risposta e spiegare perché non ha detto "Si". Colui che ha detto. "Si" dovrebbe poter giustificare la sua scelta e spiegare la ragione per cui non ha detto "No". Ognuno dovrebbe poter dire ciò che vuole ed esprimere le ragioni del suo consenso o del suo rifiuto. Qual è, allora, la via che le società umane devono seguire per liberarsi definitivamente dalle epoche dell'arbitrio e della dittatura? Poiché, nella questione democratica, il problema insolubile è quello dello strumento di governo, problema che si esprime nella lotta tra i partiti, le classi o tra individui, dato che l'invenzione dei metodi elettorali e del referendum non è altro che un tentativo di camuffare l'insuccesso di questi esperimenti, che non riescono a risolvere questo problema, ne consegue che la soluzione è nel trovare uno strumento di governo diverso dagli attuali, che sono causa di conflitto e che rappresentano solo una parte della società. Si tratta, dunque, di trovare un sistema di governo che non sia il partito, la classe, la setta o la tribù, ma che sia il popolo nel suo insieme e che, quindi, non lo rappresenti e non si sostituisca ad esso. "Nessuna rappresentanza al posto del popolo", "la rappresenranza è un 'impostura". Se fosse possibile trovare questo sistema di governo il problema sarebbe risolto. La democrazia popolare sarebbe realizzata e le società umane avrebbero posto fine ai tempi dell'arbitrio e ai sistemi dittatoriali che sarebbero sostituiti dal potere del popolo. Il "Libro Verde" presenta la soluzione definitiva del problema dello strumento di governo; indica ai popoli il modo per passare dall'era della dittatura all'era della vera democrazia. Questa nuova teoria si fonda sul potere del popolo, senza alcuna rappresentanza nè sostituto. Attua una democrazia diretta, in modo organizzato ed efficace. Differisce dal vecchio tentativo di democrazia diretta che non ha trovato realizzazioni pratiche e che ha mancato di serietà a causa dell'assenza di un'organizzazione di base popolare.

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"COSTITUZIONE EUROPEA" REFERENDUM FRANCESE di Fronte Patriottico

Opportunità

Domenica 29 Maggio i francesi voteranno con un Si o con un No il recepimento, da parte della loro nazione, della cosiddetta costituzione europea. Il loro voto sarà fondamentale anche se non nel senso atteso. Infatti una vittoria del No, per noi auspicabile, non sarà una vittoria nel senso di una bocciatura di questa unione Europea. A parte che sarebbe dettato dallo scontento politico nei confronti del governo, ma questo non ci riguarda, il fatto è che, la vittoria del No, non servirebbe a fermare le oligarchie dominanti in questa Europa. Probabilmente una sconfitta del Si però porterebbe ad un nuovo voto in referendum, o addirittura ad un voto parlamentare della questione. Ed è per questo che il No sarebbe così importante: grazie a un esito negativo sarà lampante e sotto gli occhi di tutti (tutti quelli che vorranno aprirli) che la democrazia è una grande buffonata. Se il risultato delle elezioni non piace a chi nella democrazia domina, queste si ripeteranno o verranno annullate per prendere le decisioni già decise. A dire il vero, arrivare a questo è molto raro in quanto in democrazia i risultati delle elezioni sono sempre (o quasi) quelli attesi; quelle pochissime volte che questo non avviene è comunque perché all'interno degli stessi poteri democratici vi è una fronda che vuole far sentire il proprio peso. E' questo del referendum uno di questi casi, in cui gli affaristi inglofoni fanno sentire il loro interesse, e spingono per il no. Comunque la sconfitta del Si, e in verità anche solo l'incertezza del risultato finale può stupire, pensando, e qui rientra ancora una volta la pessima qualità della democrazia, a come il voto affermativo venga propagandato; attori, capi di stato, star, e ore ed ore di televisione per convincere i poveri francesi (europei) ad accettare un'Europa che non è la propria. Quindi sperando in un No vincente, il nostro compito sarà quello di far aprire gli occhi ai sinceri democratici, quando non si accorgeranno da soli che questo voto non vale nulla.

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UTILITA'

Per COLLABORARE, criticare, consigliare, ecc... scrivete a: patriaeuropa@katamail.com

www.patria.splinder.com

il nuovo sito-archivio di Patria è http://xoomer.virgilio.it/patria

Consigliamo caldamente la rivista gratuita LA NAZIONE EURASIA http://lanazioneeurasia.altervista.org alla quale ci ispiriamo (con rispetto parlando) e il sito www.frontepatriottico.too.it

e la visita dei siti Eurasia Rossa (http://freeweb.supereva.com/nikolatempo) - www.thule-italia.com

 

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"non ci sono uomini di destra e uomini di sinistra, ma c'è il sistema e i nemici del sistema"