periodico patrocinato dal Fronte Patriottico e "La Controvoce" [www.frontepatriottico.too.it] aperto a chiunque e indipendente

numero 2 anno 1 - maggio 2005

P a t r i a

sommario

 

 

EDITORIALE

Il 25 aprile, data scomoda per chi non ha ideologie a cui accendere lumini. Da qualsiasi angolazione la si guarda viene fuori una sfumatura diversa: giorno di festa e liberazione, giorno di sconfitta sono solo gli estremi di un'infinita serie di analisi e commenti che si potrebbe fare. Ma vogliamo farla? Siamo oggi, nel 2005, ancora a festeggiare o maledire una vittoria o una sconfitta avute da altri in un'epoca ormai passata irreversibilmente? Il 25 aprile è una data che ha costruito la storia del nostro presente così come lo viviamo, ed a costruirla sono state tutte quelle persone, poche in verità, che da una parte e dall'altra lottavano per convinzioni a volte proprie a volte di altri. Ma anche 60 anni fa la storia non veniva fatta e controllata nè dai popoli, nè dai loro pritagonisti, e sessant'anni fa, la storia, mise di fronte quelle persone e quelle idee diverse o simili che fossero. Oggi ,nel 2005, con l'esperienza acquisita, gli studi effettuati, non pare proprio il caso di indugiare ancora su una data così deleteria. Per quanto riguarda l'Italia lo stesso Mussolini ebbe a dire che la Storia doveva, allora, andare altrimenti che come proseguì soprattutto a causa di Hitler; e anche Stalin aveva idee ben diverse sul futuro dell'Europa da quelle messe in pratica nolente o volente. I nostalgici, oggi dovrebbero riflettere: il combattente partigiano è riuscito, con le scelte fatte, a cambiare la società? Può sentirsi rappresentato da politici sempre in cambiamento per non cambiare mai? E il combattente fascista cosa credeva di proteggere con la sua lotta? Un'Europa folle in mano ad un pazzo? Purtroppo ci portiamo sulle spalle fardelli troppo pesanti e inutili per la lotta nel terzo millennio, fardelli che le oligarchie politiche pensano bene di lasciarci sulle spalle ancora per molto,in modo da mantenere una divisione nell'idea rivoluzionaria così utile per il sistema liberal-democratico. Quando ci libereremo dei vecchi rancori e il 25 aprile non sarà che una festa (ma sincera) in ricordo di chi ha lottato, allora un passo avanti sarà fatto e il sistema sarà più in pericolo. Bisogna fare tutti un passo indietro, pensare al passato, ma l'obiettivo deve essere per tutti il futuro!

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Claudio Mutti JEAN THIRIART - L'Impero che verrà

Da: C. Mutti, Imperium. Epifanie dell'idea di impero, Effepi, Genova 2005

L'ultimo ricordo che ho di Jean Thiriart è una lettera che mi scrisse alcuni mesi prima di morire: mi chiedeva di indicargli una località isolata sugli Appennini, dove potersi accampare un paio di settimane per fare qualche escursione sui monti. Quasi settantenne, era ancora pieno di vitalità: non si lanciava più col paracadute, però navigava con la barca a vela sul Mare del Nord.

Negli anni Sessanta, in qualità di giovanissimo militante della Giovane Europa, l'organizzazione da lui diretta, ebbi modo di vederlo diverse volte. Lo conobbi a Parma, nel 1964, accanto a un monumento che colpì in maniera particolare la sua sensibilità di "eurafricano": quello di Vittorio Bottego, l'esploratore del corso del Giuba. Poi lo incontrai in occasione di alcune riunioni della Giovane Europa e in un campeggio sulle Alpi. Nel 1967, alla vigilia dell'aggressione sionista contro l'Egitto e la Siria, fui presente a un'affollata conferenza che egli tenne in una sala di Bologna, dove spiegò perché l'Europa doveva schierarsi a fianco del mondo arabo e contro l'entità sionista. Nel 1968, a Ferrara, partecipai a un convegno di dirigenti della Giovane Europa, nel corso del quale Thiriart sviluppò a tutto campo la linea antimperialista: "Qui in Europa, la sola leva antiamericana è e resterà un nazionalismo europeo 'di sinistra' (…) Quello che voglio dire è che all'Europa sarà necessario un nazionalismo di carattere popolare (…) Un nazionalcomunismo europeo avrebbe sollevato un'ondata enorme di entusiasmo. (…) Guevara ha detto che sono necessari molti Vietnam; e aveva ragione. Bisogna trasformare la Palestina in un nuovo Vietnam". Fu l'ultimo suo discorso che ebbi modo di ascoltare.

Jean-François Thiriart era nato a Bruxelles il 22 marzo 1922 da una famiglia di cultura liberale originaria di Liegi. In gioventù militò attivamente nella Jeune Garde Socialiste Unifiée e nell'Union Socialiste Anti-Fasciste. Per un certo periodo collaborò col professor Kessamier, presidente della società filosofica Fichte Bund, una filiazione del movimento nazionalbolscevico amburghese; poi, assieme ad altri elementi dell'estrema sinistra favorevoli ad un'alleanza del Belgio col Reich nazionalsocialista, aderì all'associazione degli Amis du Grand Reich Allemand. Per questa scelta, nel 1943 fu condannato a morte dai collaboratori belgi degli Angloamericani: la radio inglese inserì il suo nome nella lista di proscrizione che venne comunicata ai résistants con le istruzioni per l'uso. Dopo la "Liberazione", nei suoi confronti fu applicato un articolo del Codice Penale belga opportunamente rielaborato a Londra nel 1942 dalle marionette belghe degli Atlantici. Trascorse alcuni anni in carcere e, quando uscì, il giudice lo privò del diritto di scrivere.

Nel 1960, all'epoca della decolonizzazione del Congo, Thiriart partecipa alla fondazione del Comité d'Action et de Défense des Belges d'Afrique, che di lì a poco diventa il Mouvement d'Action Civique. In veste di rappresentante di questo organismo, il 4 marzo 1962 Thiriart incontra a Venezia gli esponenti di altri gruppi politici europei; ne esce una dichiarazione comune, in cui i presenti si impegnano a dar vita a "un Partito Nazionale Europeo, centrato sull'idea dell'unità europea, che non accetti la satellizzazione dell'Europa occidentale da parte degli USA e non rinunci alla riunificazione dei territori dell'Est, dalla Polonia alla Bulgaria passando per l'Ungheria". Ma il progetto del Partito europeo abortisce ben presto, a causa delle tendenze piccolo-nazionaliste dei firmatari italiani e tedeschi del Manifesto di Venezia.

La lezione che Thiriart trae da questo fallimento è che il Partito europeo non può nascere da un'alleanza di gruppi e movimenti piccolo-nazionali, ma deve essere fin da principio un'organizzazione unitaria su scala europea. Nasce così, nel gennaio 1963, la Giovane Europa (Jeune Europe), un movimento fortemente strutturato che ben presto si impianta in Belgio, Olanda, Francia, Svizzera, Austria, Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Inghilterra. Il programma della Giovane Europa si trova esposto nel Manifesto alla Nazione Europea, che esordisce così: "Tra il blocco sovietico e il blocco degli USA, il nostro compito è di edificare una grande Patria: l'Europa unita, potente, comunitaria (…) da Brest sino a Bucarest". La scelta è a favore di un'Europa decisamente unitaria: "Europa federale o Europa delle Patrie sono delle concezioni che nascondono la mancanza di sincerità e la senilità di coloro che le difendono (…) Noi condanniamo i piccoli nazionalismi che mantengono le divisioni tra i cittadini della NAZIONE EUROPEA". L'Europa deve optare per una neutralità forte e armata e disporre di una forza atomica propria; deve "ritirarsi dal circo dell'ONU" e sostenere l'America Latina, che "lotta per la sua unità e per la sua indipendenza". Il Manifesto abbozza un'alternativa ai sistemi sociali vigenti nelle due Europe, proclamando la "superiorità del lavoratore sul capitalista" e la "superiorità dell'uomo sul formicaio": "Noi vogliamo una comunità dinamica con la partecipazione nel lavoro di tutti gli uomini che la compongono". Alla democrazia parlamentare e alla partitocrazia viene contrapposto una rappresentanza organica: "un Senato politico, il Senato della Nazione Europea basato sulle province europee e composto delle più alte personalità nel campo della scienza, del lavoro, delle arti e delle lettere; una Camera sindacale che rappresenti gli interessi di tutti i produttori dell'Europa liberata dalla tirannia finanziaria e politica straniera". Il Manifesto conclude così: "Noi rifiutiamo l'Europa teorica. Noi rifiutiamo l'Europa legale. Noi condanniamo l'Europa di Strasburgo per crimine di tradimento. (…) O vi sarà una NAZIONE o non vi sarà indipendenza. A questa Europa legale che rifiutiamo, noi opponiamo l'Europa legittima, l'Europa dei popoli, la nostra Europa. NOI SIAMO LA NAZIONE EUROPEA".

Accanto a una scuola per la formazione politica dei militanti (che dal 1966 al 1968 pubblica mensilmente "L'Europe Communautaire"), la Giovane Europa cerca di dar vita a un Sindacato Comunitario Europeo e, nel 1967, a un'associazione universitaria, Università Europea, che sarà attiva particolarmente in Italia. Dal 1963 al 1966 viene pubblicato un organo di stampa in lingua francese, "Jeune Europe" (con frequenza prima settimanale, poi quindicinale); tra i giornali in altre lingue va citato l'italiano "Europa Combattente", che nel medesimo periodo riesce a raggiungere una frequenza mensile. Dal 1966 al 1968 esce "La Nation Européenne", mentre in Italia "La Nazione Europea" continuerà ad uscire, a cura dell'autore di queste righe, anche nel 1969 (un ultimo numero sarà pubblicato a Napoli nel 1970 da Pino Balzano).

"La Nation Européenne", mensile di grande formato che in certi numeri raggiunge la cinquantina di pagine, oltre ai redattori militanti annovera collaboratori di un certo rilievo culturale e politico: il politologo Christian Perroux, il saggista algerino Malek Bennabi, il deputato delle Alpi Marittime Francis Palmero, l'ambasciatore siriano Selim el-Yafi, l'ambasciatore iracheno Nather el-Omari, , i dirigenti del FLN algerino Chérif Belkacem, Si Larbi e Djamil Mendimred, il presidente dell'OLP Ahmed Choukeiri, il capo della missione vietcong ad Algeri Tran Hoai Nam, il capo delle Pantere Nere Stokeley Carmichael, , il fondatore dei Centri d'Azione Agraria principe Sforza Ruspali, i letterati Pierre Gripari e Anne-Marie Cabrini. Tra i corrispondenti permanenti, il professor Souad el-Charkawi (al Cairo) e Gilles Munier (ad Algeri).

Sul numero di febbraio del 1969 appare una lunga intervista rilasciata a Jean Thiriart dal generale Peròn, il quale dichiara di leggere regolarmente "La Nation Européenne" e di condividerne totalmente le idee. Dal suo esilio madrileno, l'ex presidente argentino riconosce in Castro e in Guevara i continuatori della lotta per l'indipendenza latinoamericana intrapresa a suo tempo dal movimento giustizialista: "Castro - dice Peròn - è un promotore della liberazione. Egli si è dovuto appoggiare ad un imperialismo perché la vicinanza dell'altro imperialismo minacciava di schiacciarlo. Ma l'obiettivo dei Cubani è la liberazione dei popoli dell'America Latina. Essi non hanno altra intenzione se non quella di costituire una testa di ponte per la liberazione dei paesi continentali. Che Guevara è un simbolo di questa liberazione. Egli è stato grande perché ha servito una grande causa, finché ha finito per incarnarla. È l'uomo di un ideale".

Per quanto riguarda la liberazione dell'Europa, Thiriart pensa a costituire delle Brigate Rivoluzionarie Europee che intraprendano la lotta armata contro l'occupante statunitense. Già nel 1966 egli ha avuto un colloquio col ministro degli Esteri cinese Chu En-lai, a Bucarest, e gli ha chiesto di appoggiare la costituzione di un apparato politico-militare europeo che combatta contro il nemico comune (1). Nel 1967 l'attenzione di Thiriart si dirige sull'Algeria: "Si può, si deve prendere in considerazione un'azione parallela e auspicare la formazione militare, in Algeria, fin da ora, di una sorta di Reichswehr rivoluzionaria europea. Gli attuali governi di Belgio, Paesi Bassi, Inghilterra, Germania, Italia sono in diversa misura i satelliti, i valletti di Washington; perciò noi nazionaleuropei, noi rivoluzionari europei, dobbiamo andare a formare in Africa i quadri di una futura forza politico-militare che, dopo aver servito nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente, un giorno potrà battersi in Europa per farla finita coi Kollabos di Washington. Delenda est Carthago" (2). Nell'autunno del 1967 Gérard Bordes, direttore de "La Nation Européenne", si reca in Algeria, dove entra in contatto con la Segreteria Esecutiva del FLN e col Consiglio della Rivoluzione. Nell'aprile del 1968 Bordes ritorna ad Algeri con un Mémorandum à l'intention du gouvernement de la République Algérienne firmato da lui stesso e da Thiriart, nel quale sono contenute le proposte seguenti: "Contributo europeo alla formazione di specialisti in vista della lotta contro Israele; preparazione tecnica della futura azione diretta contro gli Americani in Europa; creazione di un servizio d'informazioni antiamericano e antisionista in vista di un'utilizzazione simultanea nei paesi arabi e in Europa".

Siccome i contatti con l'Algeria non hanno nessun seguito, Thiriart si rivolge ai paesi arabi del Vicino Oriente. D'altronde, il 3 giugno 1968 un militante di Jeune Europe, Roger Coudroy, è caduto con le armi in pugno sotto il fuoco sionista, mentre con un gruppo di al-Fatah cercava di penetrare nella Palestina occupata.

Nell'autunno del 1968 Thiriart viene invitato dai governi di Bagdad e del Cairo, nonché dal Partito Ba'ath, a recarsi nel Vicino Oriente. In Egitto assiste ai lavori d'apertura del congresso dell'Unione Socialista Araba, il partito egiziano di governo; viene ricevuto da alcuni ministri e ha modo di incontrare lo stesso Presidente Nasser. In Iraq incontra diverse personalità politiche, tra cui alcuni dirigenti dell'OLP, e rilascia interviste a organi di stampa e radiotelevisivi. Ma lo scopo principale del viaggio di Thiriart consiste nell'instaurare una collaborazione che dia luogo alla creazione delle Brigate Europee, le quali dovrebbero partecipare alla lotta per la liberazione della Palestina e diventare così il nucleo di un'Armata di Liberazione Europea. Davanti al rifiuto del governo iracheno, determinato da pressioni sovietiche, questo scopo fallisce. Scoraggiato da questo fallimento e ormai privo di mezzi economici sufficienti a sostenere una lotta politica di un certo livello, Thiriart decide di ritirarsi dalla politica militante.

Dal 1969 al 1981, Thiriart si dedica esclusivamente all'attività professionale e sindacale nel settore dell'optometria, nel quale ricopre importanti funzioni: è presidente della Société d'Optométrie d'Europe, dell'Union Nationale des Optométristes et Opticiens de Belgique, del Centre d'Études des Sciences Optiques Appliquées ed è consigliere di varie commissioni della CEE. Ciononostante, nel 1975 rilascia una lunga intervista a Michel Schneider per "Les Cahiers du Centre de Documentation Politique Universitaire" di Aix-en-Provence ed assiste Yannick Sauveur nella compilazione di una tesi universitaria intitolata Jean Thiriart et le national-communautarisme européen (Università di Parigi, 1978). Quella di Sauveur è la seconda ricerca universitaria dedicata all'attività politica di Thiriart, poiché sei anni prima era stata presentata all'Università Libera di Bruxelles una tesi di Jean Beelen su Le Mouvement d'Action Civique.

Nel 1981, un attentato di teppisti sionisti contro il suo ufficio di Bruxelles induce Thiriart a riprendere l'attività politica. Riallaccia i contatti con un ex redattore della "Nation Européenne", lo storico spagnolo Bernardo Gil Mugarza (3), il quale, nel corso di una lunga intervista (centootto domande), gli dà modo di aggiornare e di approfondire il suo pensiero politico. Prende forma in tal modo un libro che Thiriart conta di pubblicare in spagnolo e in tedesco, ma che è rimasto finora inedito.

All'inizio degli anni Ottanta, Thiriart lavora a un libro che non ha mai visto la luce: L'Empire euro-soviétique de Vladivostok à Dublin. Il piano dell'opera prevede quindici capitoli, ciascuno dei quali si articola in numerosi paragrafi. Come appare evidente dal titolo di quest'opera, la posizione di Thiriart nei confronti dell'Unione Sovietica è notevolmente cambiata. Abbandonata la vecchia parola d'ordine "Né Mosca né Washington", Thiriart assume ora una posizione che potrebbe essere riassunta così: "Con Mosca contro Washington". Già tredici anni prima, d'altronde, in un articolo intitolato Prague, l'URSS et l'Europe ("La Nation Européenne", n. 29, novembre 1968), denunciando gli intrighi sionisti nella cosiddetta "primavera di Praga", Thiriart aveva espresso una certa soddisfazione per l'intervento sovietico e aveva cominciato a delineare una "strategia dell'attenzione" nei confronti dell'URSS. "Un'Europa occidentale NON AMERICANA - aveva scritto - permetterebbe all'Unione Sovietica di svolgere un ruolo quasi antagonista degli USA. Un'Europa occidentale alleata, o un'Europa occidentale AGGREGATA all'URSS sarebbe la fine dell'imperialismo americano (…) Se i Russi vogliono staccare gli Europei dall'America - e a lungo termine essi devono necessariamente lavorare per questo scopo - bisogna che ci offrano, in cambio della SCHIAVITU' DORATA americana, la possibilità di costruire un'entità politica europea. Se la temono, il modo migliore di scongiurarla consiste nell'integrarvisi".

A Mosca, Thiriart ci va nell'agosto 1992 assieme a Michel Schneider, direttore della rivista "Nationalisme et République". A fare gli onori di casa è Aleksandr Dugin, il quale nel marzo dello stesso anno ha accolto Alain de Benoist e Robert Steuckers e in giugno ha intervistato alla TV di Mosca l'autore di queste righe, dopo averlo presentato agli esponenti dell'opposizione "rosso-bruna". L'attività di Thiriart a Mosca, dove si trovano anche Carlo Terracciano e Marco Battarra, delegati del Fronte Europeo di Liberazione, è intensissima. Tiene conferenze stampa; rilascia interviste; partecipa a una tavola rotonda con Prokhanov, Ligacev, Dugin e Sultanov nella redazione del giornale "Den'", che pubblicherà sul n. 34 (62) un testo di Thiriart intitolato L'Europa fino a Vladivostok; ha un incontro con Gennadij Zjuganov; si intrattiene con altri esponenti dell'opposizione "rosso-bruna", tra cui Nikolaj Pavlov e Sergej Baburin; discute con il filosofo e dirigente del Partito della Rinascita Islamica Gejdar Dzemal; partecipa a una manifestazione di studenti arabi per le vie di Mosca.

Il 23 novembre, tre mesi dopo il suo rientro in Belgio, Thiriart è stroncato da una crisi cardiaca.

Apparso nel 1964 in lingua francese, nel giro di due anni Un Empire de 400 millions d'hommes: l'Europe vide la luce in altre sei lingue europee. La traduzione italiana venne eseguita da Massimo Costanzo, (all'epoca redattore di "Europa Combattente", organo italofono della Giovane Europa), il quale presentò l'opera con queste parole: "Il libro di Jean Thiriart è destinato a suscitare, per la sua profondità e per la sua chiarezza, un forte interesse. Ma da dove deriva questa chiarezza? Da un fatto molto semplice: l'autore ha usato un linguaggio essenzialmente politico, lontano dai fumi dell'ideologia e dalle costruzioni astratte o pseudometafisiche. Dopo una lettura attenta, nel libro si possono anche trovare impostazioni ideologiche, ma queste traspaiono dalle tesi politiche e non il contrario, come fino ad oggi è avvenuto nel campo nazionaleuropeo". Nonostante le riserve che alcune "impostazioni ideologiche" dell'Autore (eurocentrismo, razionalismo, giacobinismo ecc.) potranno suscitare, il lettore di questa seconda edizione italiana probabilmente concorderà con quanto scriveva Massimo Costanzo quarant'anni or sono; anzi, si renderà conto che questo libro, senza dubbio il più famoso dei testi redatti da Thiriart (4), è un libro preveggente ed attuale, per quanto inevitabilmente risenta della situazione storica in cui venne concepito. Preveggente, perché anticipa il crollo del sistema sovietico, e questo una decina d'anni prima dell'"eurocomunismo"; attuale, perché la descrizione dell'egemonia statunitense in Europa è ancor oggi un dato reale; anzi, l'analisi thiriartiana dell'imperialismo si avvale della lettura di un autore come James Burnham, che già negli anni Sessanta candidava gli USA al dominio mondiale assoluto.

Nella mia biblioteca conservo un esemplare della prima edizione di questo libro ("édité à Bruxelles, par Jean Thiriart, en Mai 1964"). La dedica che l'Autore vi scrisse di suo pugno contiene un'esortazione di cui vorrei si appropriassero i lettori delle nuove generazioni, questa: "Votre jeunesse est belle. Elle a devant elle un Empire à bâtir". Diversamente da Luttwak e da Toni Negri, Thiriart sapeva bene che l'Impero è l'esatto contrario dell'imperialismo e che gli Stati Uniti non sono Roma, bensì Cartagine.

Claudio Mutti (edizioni all'insegna del veltro)

(1) Nel 1985 Thiriart rievocò l'episodio nei termini seguenti. "Nella sua fase iniziale, il mio incontro con Chou En-lai non fu che uno scambio di aneddoti e ricordi. Chou En-lai si interessò ai miei studi sulla scrittura cinese ed io al suo soggiorno in Francia che per lui rappresentava un gradevole ricordo giovanile. La conversazione si orientò poi sul tema degli eserciti popolari - tema caro tanto a lui quanto a me. Le cose si guastarono quando progressivamente si arrivò al concreto. Dovetti subire allora un vero e proprio corso di catechismo marxista-leninista. Chou stese poi l'inventario dei vari errori psicologici commessi dall'Unione Sovietica. E la lezione si spostò sulle nozioni di 'alleanza gerarchica' e 'alleanza egualitaria'. Per distendere l'ambiente, affrontai il tema dei disordini che avevo organizzato a Vienna nel 1961, durante l'incontro Krusciov-Kennedy. Ma il tentativo di fargli accettare il concetto della lotta globale quadricontinentale di tutte le forze anti-americane nel mondo, quali che siano i loro orientamenti ideologici, fallì. Attirai a tal scopo la sua attenzione sul fatto che era anche l'opinione del generale Peròn, un amico di lunga data. Si inalberò un po' quando gli feci notare che in Argentina Peròn - sul piano psicologico - era una forza incommensurabilmente più forte che il comunismo. Io sono un uomo pragmatico. Gli domandai dunque dei mezzi - del denaro per sviluppare la nostra stampa ed un santuario per la nostra organizzazione - per la preparazione e la strutturazione di un apparato politico-militare rivoluzionario europeo. Mi rinviò ai suoi servizi. Il solo risultato fu, alla fine dell'incontro, un eccellente pranzo, consumato in un clima molto disteso. Ricomparvero allora gli ufficiali rumeni, che non avevano assistito agli incontri politici. In seguito, non riuscii ad ottenere nulla dai servizi cinesi, la cui incomprensione dell'Europa era totale sia sul piano psicologico che su quello politico" (Da Jeune Europe alle Brigate Rosse. Antiamericanismo e logica dell'impegno rivoluzionario, Società Editrice Barbarossa, Milano 1992, pp. 24-25). (2) J. Thiriart, USA: un empire de mercantis, "La Nation Européenne", 21, ottobre 1967, p. 7. (3) Autore di España en llamas 1936, Acervo, Barcelona 1968. (4) Oltre a questo libro, Thiriart pubblicò anche La Grande Nation. 65 thèses sur l'Europe, Bruxelles 1965 (ed. it. La Grande Nazione. 65 tesi sull'Europa, Milano s. d.; 2° ed. italiana Società Editrice Barbarossa, Milano 1993; ed. tedesca Das Vierte Reich: Europa, Bruxelles 1966). Nel 1967 Thiriart progettò un libro intitolato Libération et unification de l'Europe. L'incarico di redigere gli ottocento paragrafi di questa opera venne assegnato a un collettivo composto di redattori della "Nation Européenne".

 

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MILITARISMO USA a cura di: Fronte Patriottico, www.eutopia.tk

Liberamente ed illegalmente tratto da "Addicted to War" di J. Andreas (Perché gli usa non possono fare a meno del militarismo)

"Dobbiamo assumerci la responsabilità derivante dal nostro ruolo di azionista di maggioranza dell'azienda chiamata Mondo"

Una classica riunione dei genitori a scuola, negli States; il preside prima o poi dirà: "Mi dispiace, il gettito fiscale locale sta diminuendo e il governo federale ci aiuta molto poco. E' molto semplice: non ci sono soldi!" Ma che ci fanno, si chiede il genitore, di tutte le tasse che pago?Una consistente parte del denaro derivante dalla tassazione degli stipendi viene utilizzata per finanziare la SPESA MILITARE. Quest'ultima supera la metà della spesa complessiva sostenuta annualmente dal governo federale. (Non c'è da stupirsi se manca carta igienica nelle scuole). Gli Stati Uniti mantengono l'esercito più grande e più potente della storia. Le sue portaerei dominanogli oceani, i suoi missili e i suoi cacciabombardieri possono colpire bersagli su tutti e cinque i continenti e centinaia di migliaia di soldati statunitensi sono di stanza all'estero. Gli Usa mandano soldati, portaerei e bombardieri a combattere in paesi lontani. Molti paesi entrano in guerra, ma solo gli USA combinano la potenza di un grande esercito alla spiccata propensione al suo utilizzo! Essere una superpotenza militare e finanziare guerre intorno al mondo costa molto. Dal momento che centinaia di miliardi di dollari sono messi ogni anno a disposizione del Pentagono, il governo taglia le spese relative alle necessità di base dei cittadini. I tagli alla spesa sociale hanno causato più danni negli Usa di quanto abbiano mai fatto eserciti stranieri. Ma i costi delle guerre in cui sono coinvolti gli Usa non sono soltanto economici. Includono le vite dei soldati che non tornano a casa; portano sanguinose rappresaglie contro gli Stati Uniti stessi, come gli attacchi terroristici. Ma nonostante gli alti costi umani ed economici nessun governo è intenzionato a cambiare politica. Ma perché gli stati uniti sono sempre in guerra? Bella domanda! La strada per diventare la più grande potenza mondiale non è stata affatto pacifica…

Capitolo 1 "Manifest Destiny"

I leader della rivoluzione americana che si ribellarono a Re Giorgio nel 1776 si espressero chiaramente riguardo il diritto di ciascuna nazione di determinare il proprio destino. "Quando per un popolo diventa necessario sciogliere i vincoli politici che l'hanno legato a un altro popolo, e assumere lo status che le leggi di Dio e della natura gli concedono…." Thomas Jefferson (Dichiarazione d'indipendenza, 1776). Sfortunatamente, dopo aver conquistato il diritto di determinare il proprio destino, pensarono di dover determinare anche quello degli altri! I leader della colonie indipendenti credevano di essere i prescelti a governare tutto il Nord America. La cosa era considerata talmente ovvia da venir definita "manifest destiny". "Dobbiamo marciare da oceano a oceano è destino della razza bianca" Giles, rappresentante del Maryland. Questo destino manifesto condusse presto a genocidi perpetrati ai danni dei nativi americani. L'ESERCITO USA occupò spietatamente i loro territori, spingendoli verso ovest e massacrando chi provò a resistere. Durante il secolo che seguì la rivoluzione americana, i popoli nativi americani furono sconfitti uno dopo l'altro e confinati in riserve e i loro territori occupati. Il numero dei morti non è mai stato stabilito, ma la perdita non riguardò solo le vite umane: lo stile di vita dei nativi americani venne devastato! "Ho ancora davanti gli occhi i corpi delle donne e dei bambini massacrati e ammucchiati lungo la valle. Ma nel fango morì anche qualcos'altro e fu sepolto nella tormenta. Là morì il sogno di un popolo. Era un bel sogno… il grido della nazione spezzato, massacrato" Alce Nero leader spirituale popolo Lakota e sopravvissuto al massacro di Wounded Knee. Nel 1848 gli Stati Uniti avevano occupato quasi la metà del Messico. Al congreso la guerra con il Messico fu giustificata con discorsi riguardanti l'espansione della "DEMOCRAZIA ANGLOSASSONE", discorsi in realtà ispirati dalla sete di terra degli schiavisti del sud e dalla brama dell'oro dell'Ovest. Con un dominio che si estendeva da costa a costa, i teorici del destino manifesto iniziarono a sognare un impero che si espandesse oltremare. Ambizioni alimentate da fattori economici: "La nostra situazione interna ci costringe all'espansione… ogni giorno che passa, la produzione supera i consumi… siamo alla ricerca di nuovi mercati, i più grandi mercati del mondo" Charles Denby magnate delle ferrovie. "Credo fermamente che quando qualsiasi territorio al di fuori degli attuali confini degli usa, divente necessario alla nostra difesa o per lo sviluppo commerciale, non dovremmo perdere tempo e cercare di farlo nostro" Orville Platt senatore del Connecticut 1894.

Per diventare una potenza mondiale, gli Usa allestirono una flotta potentissima, a capo della quale fu posto un entusiasta Theodore Roosevelt:"Ogni guerra sarà benvenuta, perchè penso che questo paese ne abbia bisogno". Non dovette aspettare molto. L'anno successivo, le mire verso le colonie spagnole come Cuba e le Filippine portarono gli Usa a dichiarare guerra alla Spagna. In entrambi i paesi gli Usa si schierarono con i ribelli e la Spagna si arrese. Ma gli Stati Uniti fecero capire che non se ne sarebbero andati:"Le Filippine sono nostre per sempre... e vicino alle Filippine ci sono gli immensi mercati della Cina... il pacifico è il nostro oceano; comandare sul Pacifico è comandare il mondo...La repubblica americana lo comanda e lo comanderà sempre" e ancora "Siamo la razza che governa il mondo...la missione della nostra razza è civilizzare il mondo..Dio ci ha indicati come il popolo da lui scelto..siamo stati scelti per governare popoli selvaggi e in decadimento.(Albert Beveridge, senatore, 1900). Ma i filippini non erano d'accordo con il senatore e i suoi amici. Combatterono i nuovi invasori come avevano fatto con gli spagnoli. Furono soggiogati con la forza bruta degli Usa: "bruciare tutto e uccidere tutti!" cosa che fecero. 600mila filippini morirono. Filippine Portorico e Guam divennero colonie Usa nel 1898. A Cuba fu concessa l'indipendenza, ma anche imposto l'emendamento Platt, che stabiliva che la marina usa avrebbe potuto per sempre usare Cuba come base operativa, che i marines sarebbero potuti intervenire a piacimento e che Washington avrebbe determinato la politica estera ed economica di Cuba.

Durante lo stesso periodo gli States rovesciarono la regina delle Hawaii e trasformarono questo paradiso in una base della loro marina, circondata da piantagioni di Del Monte e Dole. Nel 1903 , quando T. Roosevelt divenne presidente, inviò imbarcazioni da guerra per assicurare a Panama l'indipendenza della Colombia, il cui governo aveva rifiutato le condizioni poste dallo stesso Roosevelt per la costruzione di un canale.

Poi lo zio Sam iniziò a mandare i suoi marines ovunque. I marines andarono in Cina, Russia, Nord Africa, Messico, America Centrale e Caraibi. Invasero, fra il 1898 e il 1934, Cuba (4 volte), Nicaragua (5), Honduras (7), Repubblica Dominicana (4), Haiti(2), Guatemala (1), Panama (2), Messico (3), Colombia (4)!!! In molti paesi i marines furono un esercito d'occupazione, a volte per decenni. Quando tornavano a casa, solitamente lasciavano il paese nelle mani di un dittatore loro amico, armato fino ai denti per sopprimere i propri connazionali.

Dietro i marines arrivarono legioni di dirigenti di aziende statunitensi, pronti non solo a vendere i loro prodotti ma anche ad avviare piantagioni, costruire oleodotti e aprire miniere. I marines all'occorrenza potevano servire a sedare eventuali scioperi, proteste o rivolte dei lavoratori, spesso trattati come schiavi. "Interverrò attivamente per assicurare ai nostri capitalisti l'opportunità di realizzare investimenti profittevoli" Il presidente William Howard Taft, 1910. Un giornalista descrisse cosa accadde quando le truppe Usa atterrarono ad haiti per sedare una rivolta di contadini: "I marines americani hanno aperto il fuoco con i mitragliatori dei loro aeroplani su villaggi haitiani privi di difesa, uccidendo uomini, donne e bambini che non avrebbero comunque potuto far loro alcun male". (50000 haitiani furono uccisi). Il generale Smedley Butter fu uno dei più celebrati leader di queste spedizioni. Dopo aver lasciato le armi, riconsiderò il suo operato, descrivendolo come segue: "Ho passato sotto le armi 33 anni e 4 mesi... durante questo periodo ho passato la maggior parte del mio tempo a rappresentare il braccio armato del business, di Wall Street, dei banchieri. In breve, ho partecipato a un racket, facendo il gangster del capitalismo... Ho dato una mano a rendere il Messico, e in particolare Tampico, un posto sicuro per gli interessi petroliferi americani nel 1914. Ho aiutato a far si che Haiti e Cuba potessero essere paesi in cui i ragazzi della national City Bank potessero raccogliere interessi. Ho partecipato allo stupro di una mezza dozzina di repubbliche centroamericane a vantaggio di Wall Street... Ho aiutato a purificare il Nicaragua a vantaggio della banca internazionale Brown Brothers fra il 1902 e il 1912. Ho dato una mano a perseguire gli interessi dell'industria dello zucchero nella Repubblica Dominicana nel 1916, e la stessa cosa ho fatto nel 1903 in Honduras per le compagnie della frutta e nel 1927 in Cina per la Standard Oil..."

La prima guerra mondiale fu una terribile battaglia fra le potenze coloniali europee per decidere come dividersi il mondo. Quando il presidente Voodrow Wilson decise di partecipare al conflitto, disse agli americani che avrebbe mandato truppe in Europa per far si che "il mondo fosse un posto sicuro per la democrazia". In realtà voleva che gli Stati Uniti potessero partecipare alla spartizione del bottino. Quello era "l'unico modo per mantenere la nostra attuale supremazia commerciale" ambasciatore Page, 1917. Per questo 130274 soldati americani furono mandati a morte. "I nostri ragazzi furono mandati a morire dopo essere stati convinti con falsi ideali. Nessuno gli aveva detto che i dollari erano la vera ragione per cui avrebbero marciato per uccidere e morire" Generale Smedley Butler, 1934.

La prima guerra mondiale doveva essere "la guerra per mettere fine a tutte le guerre"...non lo fu! Durante la seconda guerra mondiale, milioni di giovani americani si arruolarono per combattere nazismo e imperialismo giapponese, ma gli obiettivi di chi sedeva a Washington erano molto diversi...anche loro avevano ambizioni imperialiste! Nell'ottobre del 1940, mentre le truppe tedesche e giapponesi marciavano sull'Europa e sull'Asia, un gruppo di politici di primo piano, businessmen e banchieri fu convocato dal Dipartimento per le Relazioni Estere per discutere le strategie degli Usa. Il loro obiettivo era quello di mantenere una "sfera angloamericana di influenza" che comprendeva l'impero britannico, l'estremo Oriente e l'emisfero occidentale. Secondo loro il paese doveva prepararsi alla guerra e mettere in atto "...una politica integrata per far ottenere agli Stati Uniti la supremazia economica e militare" "Se gli obiettivi della guerra riguardano solo l'imperialismo angloamericano, i popoli degli altri paesi del mondo non ci appoggeranno... sarà necessario sottolineare gli interessi degli altri paesi...In questo modo la propaganda sarà più efficace" da un documento privato dal Dipartimento per le relazioni internazionali al Dipartimento di Stato, 1941. Una grra orrenda che si concluse in maniera orrenda: 200000 persone furono uccise nello stesso istante allorchè gli USA sganciarono due bombe atomiche dapprima su Hiroshima e poi su Nagasaki. Decine di migliaia di persone morirono in seguito a causa delle radiazioni. "Preghiamo il signore perchè ci guidi a usare la bomba atomica secondo la sua volontà e i suoi scopi" Presidente Harry Truman, 1945. La sconfitta del Giappone era già sicura prima che le bombe furono sganciate. Il loro principale obiettivo era quello di dimostrare al mondo il potere devastante della nuova arma americana di distruzione di massa. Dopo la seconda guerra mondiale gli Usa si trovarono in una posizione di superiorità politica, economica e militare. "Dobbiamo assumerci la responsabilità derivante dal nostro ruolo di azionista di maggioranza dell'azienda chiamata Mondo" Leo Welch, già presidente del consiglio d'amministrazione della Standard Oil of New Jersey (oggi Exxon), 1946.

Gli Usa si assunsero diligentemente la responsabilità di determinare le politiche economiche e di scegliere i manager di quelle che consideravano le parti costituenti dell'"azienda chiamata mondo". Questo comportamento suscitò proteste nelle nazioni che si consideravano stati sovrani.

 

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BOBBY SANDS

E lo spirito rivoluzionario della libertà

Parte di quest'articolo fu pubblicata per la prima volta in forma anonima su "Republican News" il 16 Dicembre 1978. Questo articolo, scritto in prigionia, mette in mostra come lo spirito della resistenza repubblicana cresca con lui. Bobby Sands nacque nel 1954 a Rathcoole, un quartiere a maggioranza lealista di nord Belfast. Il suo ventisettesimo compleanno cadde nel nono dei suoi sessantasei giorni di sciopero della fame. Sua sorella Marcella, di un anno più giovane, e Bernadette, sono nate rispettivamente nell'aprile del 1955 e nel novembre del 1958. Tutti e tre vissero i loro primi anni ad Abbots Cross nella zona di Newtownabbey a nord di Belfast. Un secondo figlio maschio, John, nacque dai genitori , John e Rosaleen, nel giugno 1962. La settaria realtà della vita del ghetto si materializzò presto nella vita di Bobby, quando, all'età di dieci anni, la sua famiglia fu costretta a cambiare casa a causa delle intimidazioni lealiste nel 1964. Bobby ricordava sua madre parlare di quei tempi e delle cose che accaddero durante la sua giovinezza; "sebbene io non avessi mai realmente compreso che cosa significassero termini quali "internamento" o "speciali", crebbi considerandoli come simboli del demonio". Di questo periodo più tardi Bobby scrisse: ''Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l'Irlanda non diventerà una sovrana, indipendente, repubblica socialista". Quando Bobby aveva sedici anni, iniziò a lavorare come apprendista carrozziere e si iscrisse alla Unione Nazionale Metalmeccanici e alla ATGWU. In un articolo stampato su 'An Phoblacht/Republican News' il 14 Aprile 1981, Bobby ricordò: "Iniziare a lavorare, sebbene all'inizio fosse stato duro, in seguito divenne sopportabile, soprattutto per la paga alla fine della settimana. Feste, vestiti, ragazze e qualche scellino, un mondo completamente nuovo si apriva davanti a me. '' La storia di Bobby, le esperienze, le ambizioni non differiscono grandemente dalle aspirazioni di un qualsiasi altro ragazzo del ghetto; arriva il 1968 e gli eventi che dovevano cambiare la sua vita.. Bobby aveva prestato due anni del suo apprendistato quando fu minacciato fuori dal posto di lavoro. Sua sorella Bernadette ricorda: "Bobby una mattina andò a lavorare e alcuni individui stavano fermi li fuori pulendo delle pistole. Uno di questi tipi gli disse "La vedi questa? Se non te ne vai potresti assaggiarla! Inoltre Bobby trovò un biglietto nella sua cassetta del pranzo che gli intimava di andarsene". Nel giugno 1972 la sua famiglia fu minacciata fuori dalla propria casa in Doonbeg Drive, Rathcoole, e si spostò nella nuova zona residenziale di Twinbrook nella zona periferica di West Belfast. Bernadette ricorda ancora: "abbiamo dovuto soffrire diciotto mesi di intimidazioni prima di essere sbattuti fuori. Noi eravamo soliti frequentare amici protestanti. Bobby andava in giro con cattolici e protestanti, ma tutto finì quando la cosa scoppiò, perché quegli amici con i quali era andato in giro per anni erano gli stessi che davano una mano a buttare la sua famiglia fuori di casa". A diciott'anni Bobby si iscrive al Movimento Repubblicano ..."Era giusto nell'età nella quale un ragazzo si rende conto delle cose che succedono intorno a lui; egli sapeva che era la cosa giusta da fare e questa cosa lo coinvolse totalmente". Alcuni suoi cugini vennero arrestati e internati; Bobby sentiva che doveva iniziare a fare qualcosa. Scrisse: "La mia vita ora era incentrata su notti insonni e appostamenti per schivare gli inglesi e nervi saldi per operazioni all'esterno. Ma il popolo ci comprendeva e non ci apriva solamente la sua porta di casa per aiutarci ,ci apriva anche il suo cuore. Ho imparato che senza l'aiuto delle persone non avremmo potuto sopravvivere e sapevo che avevo bisogno di tutte loro." Nell' ottobre del 1972 Sands fu arrestato. Quattro pistole artigianali furono trovate in una casa dove si trovava e Bobby ne fu accusato del possesso. Passò i tre anni successivi nelle gabbie di Long Kesh dove ottenne la condizione di prigioniero politico. Durante questo periodo Bobby lesse avidamente e imparò il gaelico, che più tardi insegnò agli altri compagni degli H-Blocks. Rilasciato nel 1976 ritornò dalla sua famiglia a Twinbrook. Fece rapporto alla sua unità locale e continuò imperterrito nella sua lotta: c'erano diverse cose che erano cambiate nel ghetto ed altre che stavano per essere cambiate; la guerra continuava ad andare avanti, sebbene le tattiche e le strategie erano cambiate: il governo britannico stava ora cercando di Ulsterizzare la guerra, tentativo che includeva la criminalizzazione dell'IRA . Neanche sei mesi dopo la sua uscita dal carcere Bobby fu nuovamente arrestato. C'era stato un attentato alla Balmoral Furniture Company a Dunmurry, seguito da una sparatoria nella quale due uomini furono feriti. Bobby era in una macchina li vicino insieme a tre o quattro ragazzi. I Ruc li catturarono e trovarono una pistola nella vettura. I sei uomini furono portati a Castlereagh e sottoposti a brutali interrogatori per diversi giorni. Bobby rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda durante il suo interrogatorio, eccetto il suo nome, l'età e il suo indirizzo. In una poesia scritta a diciannove anni, nel 1980, intitolata "Il crimine di Castlereagh", Bobby racconta delle sue esperienze a Castlereagh, delle sue paure e dei suoi pensieri a quel tempo.

"They came and came their job the same In relays N'er they stopped. 'Just sign the line!' They shrieked each time And beat me 'till I dropped. They tortured me quite viciously They threw me through the air. It got so bad it seemed I had Been beat beyond repair. The days expired and no one tired, Except of course the prey, And knew they well that time would tell Each dirty trick they laid on thick For no one heard or saw, Who dares to say in Castlereagh The 'police' would break the law!"

Fu trattenuto in carcere per undici mesi fino al suo processo nel settembre del 1977. Come durante il precedente processo, Sands si rifiutò di riconoscere la corte. Il giudice ammise che non cerano collegamenti tra Bobby, e gli altri tre ragazzi che erano con lui, e l'attentato. Ma nonostante tutto i quattro furono condannati a quattordici anni di reclusione ciascuno per il possesso di una sola pistola. Bobby passò i primi ventidue giorni della sua condanna in isolamento nella prigione di Crumlin Road. Quindici di questi ventidue giorni li passò completamente nudo. Fu portato negli H-Blocks e iniziò la Blanket protest. Nel 1979 iniziò a scrivere per il nuovo - An Phobhacht/Republican News- ,sotto lo pseudonimo di "Marcella", nome della sorella. I suoi articoli e le sue lettere, in scrittura minuta, come tutte le comunicazioni degli H-Blocks, erano fatte passare all'esterno scritte su piccoli pezzi di carta igienica. "I giorni erano lunghi e solitari. L'improvvisa e totale privazione delle più elementari necessità umane come esercizio fisico e aria fresca, lo stare insieme ad altre persone, i miei vestiti e cose come giornali, radio, sigarette libri e una moltitudine di altre cose, mi avevano fatto diventare la vita veramente pesante. Bobby fu spostato nelle celle H e divenne rappresentante dei blanket men scontrandosi continuamente con le autorità della prigione, come risulta dai numerosi periodi di confinamento subiti : i pestaggi, i lunghi periodi di isolamento nelle celle di punizione, le diete forzate e le torture erano la prassi delle autorità della prigione, con il pieno consenso e a perfetta conoscenza dell'amministrazione britannica. Le celle H diventarono il campo di battaglia nel quale lo spirito della resistenza repubblicana si scontrava frontalmente con le inumanità che i britannici perpetravano. Lo spirito repubblicano prevalse e nell'aprile 1978, come protesta contro i sistematici maltrattamenti: quando andavano ai servizi o nelle docce, i prigionieri si rifiutarono di lavarsi e di indossare vestiti . A loro, nel 1980, si unirono nella protesta le donne della prigione di Armagh. Il 27 di ottobre del 1980, a seguito della rottura dei colloqui tra il governatore britannico nel Nord Humphrey Atkins, e il cardinale O' Fiaich, primate degli irlandesi cattolici, sette prigionieri delle H-blocks iniziarono lo sciopero della fame. Bobby si offrì come volontario ma lo precedette Brendan Hughes responsabile politico dei prigionieri, al quale subentrò nella carica. Il giorno dopo un ufficiale britannico fece visita ai prigionieri che scioperavano, e Bobby fu portato in un cellulare all'ospedale della prigione ,che distava un chilometro, a visitarli. Successivamente fu autorizzato ad avere diversi incontri con Brendan Hughes. Il 19 Dicembre 1980, Bobby rese nota la dichiarazione che i prigionieri non avrebbero più indossato le divise da carcerati nè avrebbero svolto alcun lavoro; iniziò quindi una negoziazione con il direttore della prigione, Stanley Hilditch. Ma le richieste dei prigionieri furono rifiutate dalle autorità."Scoprimmo subito che la nostra buona volontà ed elasticità erano inutili,"scrisse Bobby "Ciò fu messo in evidenza durante uno dei miei incontri di cooperazione con gli ufficiali della prigione, i quali chiedevano in sostanza l'accettazione dello status di criminali comuni e non di detenuti politici". Nei blocchi-H gli inglesi videro l'opportunità di sconfiggere l'IRA criminalizzando i suoi combattenti ma i blanket men, che pagarono più degli altri che stavano fuori le ripercussioni di questo atteggiamento, continuarono a lottare. Bobby volle guidare il nuovo sciopero della fame e comprese che qualcuno doveva morire per avere lo status di prigioniero politico: insisté quindi per iniziare lo sciopero due settimane prima degli altri così la sua morte avrebbe fatto accettare le loro richieste e salvato le vite degli altri. Per i primi 17 giorni di sciopero Bobby tenne un diario segreto nel quale scrisse i suoi pensieri, in inglese e occasionalmente in Gaelico. Non aveva paura della morte. Il diario venne scritto su carta igienica e tenuto nascosto. Il 23 di marzo Bobby fu portato all'ospedale della prigione; il 30 fu candidato all'elezioni suppletive della zona di Fermanagh e Tyrone per l'improvvisa morte di Frank Maguire, un deputato indipendente che sosteneva la causa dei prigionieri. Il 31 ricevette una visita da Owen Carron, il quale gli comunicò la sua nomina e Bobby gli disse che se avesse anche vinto le elezioni la sua vita non si sarebbe salvata, perchè gli inglesi volevano il loro tributo di sangue. L'11 aprile Sands viene eletto deputato a Westminster. Il 5 maggio alle ore 1.17 Bobby Sands muore, dopo 66 giorni di sciopero della fame. Per tutta la notte e il giorno continui sono gli scontri e altissima la tensione nelle aree nazionaliste delle sei contee. Ai funerali di Bobby Sands, svoltisi il 7 maggio, parteciparono oltre 100.000 persone.

Pubblicato su IRIS, Vol. 1, No. 2, Novembre 1981.

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A. Dugin LA GRANDE GUERRA DEI CONTINENTI

Alcuni estratti di questo articolo sul confronto fondamentale e originario fra atlantismo ed eurasismo

Geopolitica e forze segrete della storia. I modelli di "cospirazione" sono estremamente diversificati. In questa sfera la maggiore popolarità va senza dubbio al concetto di cospirazione "giudaico-massonica", oggi così diffuso nei più diversi ambienti. Sostanzialmente, questa teoria merita lo studio più severo, e noi dobbiamo riconoscere che non abbiamo nessuna analisi completa e seriamente scientifico su questo tema, nonostante le centinaia e centinaia di lavori che "espongono" questa cospirazione, o ne "comprovano" l'inesistenza. Ma nel lavoro presente noi proveremo un modello cospirologico completamente diverso, basato su un sistema di coordinate distinto dalle versioni "giudaico-massoniche". Proveremo a descrivere in generale la "cospirazione" planetaria di due opposte forze "occulte", la cui segreta opposizione e la cui invisibile battaglia predeterminano le logiche della storia mondiale. Queste forze, a nostro avviso, sono prima di tutto caratterizzate dalla non appartenenza a una specifica nazionalità né dall'appartenenza ad una organizzazione segreta di tipo massonico o paramassonico, ma da una radicale divergenza nei loro atteggiamenti geopolitici. Siamo inclinati a vedere come spiegazione del "segreto" finale di queste opposte forze, la differenza tra due progetti geopolitici alternativi ed escludentisi l'un l'altro, che pongono dei popoli dalle più contraddittorie opinioni e credenze al di là delle differenze nazionali, politiche, ideologiche e religiose, unendoli in un singolo gruppo. Il nostro modello cospirologico è il modello della "cospirazione geopolitica".

Le basi della geopolitica. Richiamiamo i postulati basilari della geopolitica - una scienza che fu dapprima anche chiamata "geografia politica" e la cui elaborazione va fondamentalmente attribuita allo scienziato inglese ed esperto di politica Halford Mackinder (1861-1947). Il termine "geopolitica" fu introdotto per la prima volta dallo svedese Rudolf Kjellen (1864-1922) e poi fu adottato in Germania da Karl Haushofer (1869-1946). Ma in ogni modo, il padre della geopolitica rimane Mackinder, il cui fondamentale modello sta alla base di ogni seguente studio geopolitico. Un merito di Mackinder è che egli riuscì ad abbozzare e comprendere le precise leggi oggettive della storia politica, geografica ed economica dell'umanità. Se il termine "geopolitica" appare piuttosto recentemente, le realtà delineate da questi termini hanno una storia plurimillenaria. La sostanza della dottrina geopolitica può essere riassunta nei seguenti principi. Nella storia planetaria vi sono due approcci all'assimilazione dello spazio terrestre opposti e in costante competizione - l'approccio "tellurico" e l'approccio "marittimo. In base a quale atteggiamento ("tellurico" o "marittimo") aderisce la coscienza storica dei diversi stati, popoli, nazioni, la loro politica estera e interna, la loro psicologia, la loro visione del mondo sono formate secondo regole completamente definite. Data tale caratteristica, è del tutto possibile parlare di una visione del mondo "tellurica", "continentale" o anche "della steppa" (la "steppa" è "terra" nel suo puro, ideale significato) e di visione del mondo "marittima", "insulare", "oceanica" o "acquatica". (Rendiamo noto per inciso, che i primi accenni di un similare approccio possono essere scovati nei lavori degli slavofili russi - come Khomyakov e Kiryevsky). Nella storia antica i poteri "marittimi" che divennero un tuttuno simbolico con "civiltà marittima" furono la Fenicia e Cartagine. L'impero terrestre opposto a Cartagine fu Roma. La Guerra Punica fu la più pura immagine dell'opposizione di "civiltà del mare" e "civiltà della terra". Nell'Età modera e nella storia recente il polo "insulare" e "marittimo" divenne l'Inghilterra, "Dominatrice dei mari" e, in seguito, la gigantesca isola-continente dell'America. L'Inghilterra, come l'antica Fenicia, usò come strumento di base per il suo dominio in primo luogo il commercio marittimo e la colonizzazione delle aree costiere. Il tipo geopolitico fenicio-anglosassone generò uno speciale modello di civiltà "mercantile-capitalistico-di mercato" fondato prima di tutto sugli interessi economici e materiali e sui principi del liberalismo economico. Perciò, nonostante ogni possibile variazione storica, il tipo generale di civiltà "marittima" è sempre collegato con il "primato dell'economia sulla politica". Come contro il modello fenicio, Roma rappresentò un campione di struttura guerriero-autoritaria basata sul controllo amministrativo e sulla religiosità civile, sul primato della "politica sull'economia". Roma è l'esempio di un tipo di colonizzazione non marittimo ma terrestre, puramente continentale, con la sua profonda penetrazione nel continente e l'assimilazione dei popoli sottomessi, automaticamente "romanizzati" dopo la conquista. Nella Storia Moderna le incarnazioni del potere "tellurico" furono l'Impero Russo e anche l'Impero centroeuropeo Austro-ungarico e la Germania. "Russia - Germania - Austria-Ungheria" sono i simboli essenziali della "terra geopolitica" durante la Storia Moderna. Mackinder mostrò chiaramente che nei ultimi secoli recenti "atteggiamento marittimo" significa "atlantismo", come oggi "poteri sui mari" prima di tutto sono l'Inghilterra e l'America, cioè i paesi anglosassoni. Contro l' "atlantismo" che personifica il primato dell'individualismo, del "liberalismo economico" e della "democrazia di tipo protestante", si erge l' "eurasismo", che necessariamente presuppone autoritarismo, gerarchia e classe dirigente dai princìpi "comunitari" e nazional-statali al di sopra delle questioni semplicemente umane, individualistiche ed economiche. L'atteggiamento eurasiano chiaramente manifestato è tipico innanzi tutto di Russia e Germania, le due maggiori potenze continentali, le cui attenzioni geopolitiche, economiche e - importantissimo - esistenziali sono completamente opposte a quelle di Inghilterra e USA, che sono gli "atlantisti".

"La cospirazione degli atlantisti". Mackinder, in quanto inglese e "atlantista", vide il pericolo di un consolidamento eurasiano e, fin dalla fine del XIX secolo, raccomandò al governo inglese di fare tutto il possibile per prevenire un'alleanza eurasiana, e specialmente un'alleanza Russia-Germania-Giappone (egli considerò il Giappone come una potenza dalla visione del mondo essenzialmente continentale ed eurasiana). In Mackinder si può trovare l'ideologia, chiaramente formulata minutamente descritta, dell' "atlantismo" compiuto e assolutizzato, la cui dottrina si trova alla base della strategia politica anglosassone del XX secolo. Procedendo da questo, possiamo definire l'essenza del lavoro di intelligence, spionaggio militare, lobbysmo politico, orientato verso Inghilterra e USA, come l' "ideologia atlantica", l'ideologia della "Nuova Carthago" - cosa che è comune a tutti gli "agenti di influenza", a tutte le organizzazioni segrete e occultistiche, a tutte le logge e ai club semi-ristretti che hanno servito e servono l'idea anglosassone nel XX secolo, penetrando la rete di tutte le potenze continentali eurasiane. E naturalmente, in primo luogo questo riguarda immediatamente i servizi di sicurezza inglesi e americani (specialmente la CIA), che non sono semplicemente le "sentinelle del capitalismo" o "dell'americanismo", ma le sentinelle dell' "atlantismo", unite da una super ideologia profondamente radicata e plurimillenaria di tipo "oceanico". E' possibile chiamare l'aggregato di tutti i "networks" di influenza anglosassone come i "partecipanti della cospirazione atlantica", i quali lavorano non solo nell'interesse di ogni singolo paese, ma nell'interesse di una speciale dottrina geopolitica e, alla fine, metafisica che rappresenta una visione del mondo estremamente multi-organizzata, varia ed estesa, ma tuttavia essenzialmente uniforme. Così, generalizzando le idee di Mackinder, è possibile dire che c'è una storica "cospirazione degli atlantisti", che persegue attraverso i secoli gli stessi scopi geopolitici orientati verso l'interesse della "civiltà marittima" di tipo neofenicio. Ed è importante sottolineare che gli "atlantisti", possono essere sia di "sinistra" che di "destra", sia "atei" che "credenti", sia "patrioti" che "cosmopoliti", in quanto la comune visione geopolitica del mondo sta al di là di tutte le particolari differenze nazionali e politiche. Perciò noi ci occupiamo della più reale "cospirazione occulta", il cui significato e la cui intrinseca causa metafisica spesso rimangono completamente oscuri ai suoi immediati partecipanti, e anche alle sue maggiori figure chiave.

La cospirazione degli "eurasisti". Le idee di Mackinder, rivelando questa definita regolarità storica e politica che molti prima avevano indovinato o previsto, aprì la strada all'esplicita formulazione ideologica dell'opposizione all'atlantismo nella pura "dottrina eurasiana". I primi principi della geopolitica eurasiana furono formulati da alcuni russi bianchi emigrati conosciuti sotto l'appellativo di "eurasisti" (il principe N.Trubetskoy, Savitsky, Florovsky etc.) e dal famoso geopolitico germanico Karl Haushofer. Inoltre, il fatto dei frequenti incontri degli "eurasisti" russi con Karl Haushofer a Praga ci porta a credere che i geopolitici tedeschi e russi svilupparono gli argomenti connessi simultaneamente e in modo parallelo. In più, nelle analisi successive essi seguirono proprio gli stessi principi, basandosi sulla necessità dell'alleanza geopolitica eurasiana di Russia-Germania-Giappone come contrappeso alle politiche "atlantiste" che puntavano ad ogni costo ad opporre la Russia a Germania e Giappone. Gli eurasisti russi e il gruppo di Haushofer formularono gli esatti principi di una visione del mondo continentale, eurasiana, alternativa alle idee atlantiste. E' possibile dire che essi espressero per la prima volta ciò che stava dietro l'intera storia politica europea dell'ultimo millennio, avendo tracciato il percorso dell' "idea imperiale romana", che dall'Antica Roma attraverso Bisanzio fu passata alla Russia, e attraverso il medievale Sacro Romano Impero delle nazioni tedesche, all'Austria-Ungheria e alla Germania. Così gli eurasisti russi analizzarono attentamente e in profondità l'imperiale e massimamente estesa missione "tellurica" di Gengis Khan e dei Mongoli che avevano sottolineato il significato continentale dei Turchi. Il gruppo di Haushofer, da parte sua, studiò il Giappone e la missione continentale degli stati dell'Estremo Oriente nella prospettiva di una futura alleanza geopolitica. Così, in risposta alla franca confessione di Mackinder, che chiariva la segreta strategia planetaria "atlantista", che si basava sulle proprie radici profonde nei secoli, gli eurasisti russi e tedeschi scoprirono negli anni '20 le logiche di una strategia alternativa continentale, la segreta "idea imperiale" della terra, erede di Roma, che ispirò invisibilmente delle politiche di potenza con una visione del mondo autoritario-idealistica, eroico-comunitaria - dall'Impero di Carlo Magno alla Sacra Unione proposta dal grande zar russo Alessandro I, invisibilmente un profondo mistico eurasiano. L'idea Eurasiana è globale come quella Atlantica, e anch'essa ha collocato i suoi "agenti segreti" in tutti gli stati e le nazioni storiche. Tutti quelli che hanno lavorato incessantemente per l'unione eurasiana, quelli che hanno ostacolato per secoli la diffusione nel continente dei concetti individualisti, egualitari e liberal-democratici (che riproducono interamente il tipico spirito fenicio del "primato dell'economico sul politico"), quelli che hanno aspirato a unire i grandi popoli eurasiani in un'atmosfera orientale, invece che in una occidentale - sia l'Oriente di Gengis Khan, della Russia o della Germania - tutti costoro sono stati "agenti eurasiani", portatori di una speciale dottrina geopolitica, i "soldati del continente", i "soldati della terra". La società segreta eurasiana, l'Ordine degli eurasisti, non comincia per nulla con gli autori del manifesto "Esodo in Oriente" o col "Giornale Geopolitico" di Haushofer. Questa è, in breve, solo la rivelazione, la manifestazione di una precisa conoscenza che esiste dall'inizio dei tempi, insieme con le sue relative società segrete e le sue reti di "agenti di influenza". Non meno che nel caso di Mackinder, la sua appartenenza alle enigmatiche "società segrete" è storicamente stabilita. Ordine di Eurasia contro Ordine di Atlantico (Atlantidi). Roma Eterna contro Carthago Eterna. La guerra punica occulta continua invisibilmente durante i millenni. Cospirazione planetaria della Terra contro il Mare, Terra contro Acqua, Autorità e Idea contro Democrazia e Materia. I paradossi senza fine, le contraddizioni, le omissioni e i capricci della nostra storia non diventano più chiari, più logici e più razionali se noi li guardiamo nella prospettiva di un occulto dualismo geopolitico? Non riceveranno una profonda giustificazione metafisica le innumerevoli vittime, attraverso le quali l'umanità paga nel nostro secolo il prezzo di incerti progetti politici? Non è un'azione nobile e riconoscente dichiarare soldati-eroi della Grande Guerra dei Continenti tutti coloro che sono caduti sui campi di battaglia del XX secolo, invece di considerarli dei servili burattini di regimi politici perennemente mutevoli, transitori e instabili, effimeri e casuali, insignificanti per dimensione, così che la morte per essi appare futile e stupida? Cosa diversa, se gli eroi caduti servirono la Grande Terra o il Grande Oceano, se a parte la demagogia politica e la martellante propaganda di effimere ideologie essi servirono il grande obiettivo geopolitico anteriore alla plurimillenaria storia planetaria.

"Sangue e Suolo" - "Sangue o Suolo?". Il famoso filosofo russo, pensatore religioso e pubblicista Konstantin Leontyev pronunciò questa formula estremamente rilevante: "Esiste la Slavità [Slavyanstvo], non lo slavismo". Una delle conclusioni fondamentali geopolitiche di questo notevole autore fu l'opposizione tra l'idea di "panslavismo" e quella di "Asia" [asyatskoy]. Se noi analizziamo attentamente questa opposizione, scopriremo un criterio generale tipologico, che ci condurrà ad una migliore struttura inerpretativa e logica della guerra geopolitica occulta dell'Ordine Eurasiano contro l'Ordine Atlantico. Contrariamente all'eclettica combinazione di termini nel concetto di "Sangue e Suolo" dell'ideologo tedesco del mondo agricolo nazionalsocialista Wahlter Darré, a livello di guerra occulta delle forze geopolitiche nel mondo moderno, questo problema è formulato diversamente come "sangue o suolo". In altre parole, i progetti tradizionalisti di preservare l'identità del popolo, dello stato o delle nazioni stanno sempre di fronte ad un'alternativa - che uno può assumere come criterio dominante, se "unità di nazione, razza, ethnos, unità di sangue" oppure " "unità di spazio geografico, unità di confini, unità di suolo". Così l'intero dramma consiste nella necessità della scelta: "o - altro", ed ogni ipotetico "anche" rimane solo uno slogan utopico che non è decisivo, ma confonde solo la sottigliezza del problema. Il geniale Konstantin Leontyev, convinto traditionalista e radicale russofilo, rivolse precisamente questa domanda: "I Russi devono o basarsi sull'unità degli slavi, sullo slavismo (il "sangue"), o rivolgersi ad Est e realizzare l'affinità geografica e culturale russa ad oriente, ai popoli collegati ai territori russi (il "suolo"). Questa domanda può essere formulata in termini differenti come una scelta tra la fede della supremazia della legge della "razza" (nazionalismo) o della "geopolitica" ("statalità", "cultura"). Leontyev stesso scelse "suolo", "territorio", la specificità della cultura religiosa e statale imperiale della Grande Russia. Egli scelse l' "orientalismo" [vostochnost'], l' "asiatismo" [azyatsnost'], il "bizantinismo". Tale scelta implicò la priorità dei valori continentali, eurasiani sui valori strettamente nazionali e razziali. La logica di Leontyev ebbe ovviamente come risultato l'inevitabilità dell'unione russo-tedesca e specialmente russo-austriaca, e della pace con la Turchia e il Giappone. La negazione categorica di Leontyev di "slavismo" o "panslavismo" provocò indignazione tra molti slavofili retrogradi, che si mantenevano sulla posizione di "il sangue è più importante del suolo", oppure di "sangue e suolo". Leontyev non fu né capito né ascoltato. La storia del XX secolo ha dimostrato ripetutamente la straordinaria rilevanza dei problemi da lui posti.

Questo testo è stato originariamente pubblicato come III parte di "Konspirologya" (L'analisi delle Cospirazioni), Arktogeja, Mosca 1992

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SINISTRA, DESTRA e SUPERAMENTO Costanzo Preve

Inizierò allora sostenendo che la dicotomia contemporanea fra sinistra e destra non inizia a mio avviso nel 1789, come si tende a dire, ma si costituisce veramente solo a partire dal 1871, ed ha una significativa accelerazione solo dopo il caso Dreyfus in Francia, in cui si costituisce per la prima volta il gruppo degli "intellettuali di sinistra" come gruppo identitario di appartenenza stabile. Certo, questo riguarda solo l’Europa Occidentale, non l’Inghilterra, l’America o la Russia, ma è egualmente interessante.

A proposito del periodo storico che va dal 1789 al 1871 so bene che molti utilizzano ampiamente la dicotomia tra sinistra e destra per classificare le posizione politiche contrapposte. Tutto questo è legittimo, ma non sono del tutto d’accordo, perché c’è il pericolo di confondere queste categorie con il loro uso attuale, che è diverso e talvolta opposto. Ad esempio la parola "patria" nasce a sinistra, e ci mette quasi un secolo per transitare a destra (e sta oggi tornando lentamente a sinistra . vedi il caso Chevènement in Francia – proprio per la nuova situazione imperiale americana). Mazzini e Garibaldi sono indubbiamente più a sinistra di Cavour, ma questo ci dice veramente molto poco sul nostro risorgimento. Alcuni parlano di tre tipi diversi di destra francese (la destra borbonica legittimista e tradizionalista, la destra orleanista speculativa, liberale e faccendiera, ed infine la destra bonapartista, populistica e plebiscitaria). Tutto vero, ma anche tutto inutile per capire il presente. I nordisti erano chiaramente più a sinistra dei sudisti, perché volevano liberare gli schiavi, ma erano poi i portatori del capitalismo più selvaggio, oligarchico, banditesco e piratesco della storia universale. Potrei continuare al lungo, ma questo mi basta per chiarire come prima del 1871 preferirei non usare questa delicata dicotomia. Fra il marzo e il maggio 1871 si sviluppò e fu sanguinosamente repressa la Comune di Parigi. Un evento storico reale, ma anche un evento simbolico. Dal punto di vista storico, la Comune chiude una fase, e non ne apre assolutamente un’altra. Si tratta dell’ultima grande rivolta popolare ottocentesca, prima della nascita del socialismo e del movimento operaio organizzato, partitico e sindacale. Ma da un punto di vista simbolico, la Comune è l’occasione di uno schieramento ideale. L’atteggiamento di Nietzsche verso la Comune di Parigi mi sembra assolutamente sintomatico, ed è questa fra l’altro la ragione principale per cui, a differenza dei post-moderni alla Gianni Vattimo, considero Nietzsche un pensatore fondamentalmente di destra, e non un pensatore dell’Oltreuomo posteriore alla dicotomia sinistra/destra. La Comune di Parigi appare subito non solo come una comune insurrezione urbana popolare, ma come il sintomo di una crisi di civiltà. Ed infatti è proprio così. Il terreno filosofico della dicotomia fra sinistra e destra è proprio quello dell’interpretazione corretta e della diagnosi della crisi di civiltà. Ogni crisi di civiltà, o quella che si ritiene tale, viene giudicata in base a parametri di classificazione teorica, che a sua volta traggono spesso origine da reazioni emotive primarie. La distinzione fra destra e sinistra richiede questi parametri di classificazione. Essi non sono sempre in qualche misura arbitrari. Non esistono parametri storiografici definitivi. Ogni generazione ne riscrive di nuovi. I parametri oggi più usati in Italia in filosofia politica sono quelli proposti da Norberto Bobbio, ma questo avviene proprio perché viviamo in un’epoca di egemonia liberale e neoliberale, ed i parametri bobbiani sono particolarmente adatti a fondare questa egemonia, perché sono stati programmaticamente costruiti sulla base della separazione netta fra politica ed economia e fra forme e contenuti della decisione politica. I contenuti economici classisti della decisione politica sono per Norberto Bobbio analoghi al noumeno di Kant. Essi sono pensabili, ma non conoscibili. Sono una cosa in sé, non una cosa per noi. La uniche forme modellizzabili sono le procedure formali della decisione politica, e questo formalismo politologico è particolarmente affine alla riproduzione capitalistica, che infatti tende a limitare il fattore politico a questo ruolo subalterno e secondario. Occorre dunque prestare una certa attenzione ai parametri di classificazione usati. E dico subito che vi sono due coppie di parametri molto usati, che io però sconsiglio vivamente. Una prima coppia di parametri da sconsigliare è quella fra conservazione e progresso. In generale si classifica automaticamente la destra dalla parte della conservazione e la sinistra dalla parte del progresso. Questo era probabilmente vero alle origini del processo storico della modernità illuministica, ma nel frattempo le cose si sono fortemente ingarbugliate. Non vi sono dubbi sul fatto che il concetto di progresso è stato una creazione dell’illuminismo (o meglio della sua corrente maggioritaria, perché c’è anche un Rousseau che non vi credeva ed anzi lo avversava), è poi passato al positivismo ottocentesco ed ha poi abbondantemente intriso l’ideologia prima socialista e poi comunista. E’ anche vero che il moderno conservatorismo ha spesso come matrice storica la critica alla rivoluzione francese prima e dopo il 1815, ma è anche vero che esiste anche una seconda matrice, la tradizione liberale inglese antirivoluzionaria "whig" di Burke (destinata a rifiorire nella critica anticomunista di Isaiah Berlin e di Hannah Arendt). In definitiva, mi sembra che il modello non tenga molto. Quando le anomalie e le eccezioni cominciano a diventare troppo numerose, allora è bene che la dicotomia venga prima criticata e poi decisamente abbandonata. A lungo la sinistra ha accusato il capitalismo di conservatorismo, ed ha addirittura etichettato come "conservatori" i suoi sostenitori. Questa etichetta è priva di fondamento storico, e si applica soltanto (parzialmente) ai residui nobiliari e alle classi legate alla rendita fondiaria ed in parte finanziaria. Marx sapeva perfettamente che il capitalismo è la forza meno conservatrice che esista, e che fa saltare in aria tutto ciò che sembra solido. Il gruppo sociale più conservatore che esista in Occidente è forse la piccola borghesia urbana di origine operaia ed impiegatizia. In compenso, il progresso è divenuto nel Novecento una parola d’ordine legata all’innovazione tecnologica connessa con il mercato capitalistico e con il suo allargamento, ed i suoi maggiori critici provengono tutti da una matrice politica di sinistra. Ricordo qui solo la rivendicazione della cosiddetta "antiquatezza" dell’uomo da parte di Gunther Anders. L’ecologismo, e non solo il cosiddetto ecologismo "fondamentalista", è oggi prevalentemente una forza di sinistra (o di centro-sinistra), anche se molti suoi presupposti filosofici furono elaborati nella prima metà del Novecento dalla cosiddetta "destra". In ogni caso, dovunque ci voltiamo, appare del tutto chiaro che la dicotomia conservazione/progresso non è più, ammesso che lo sia mai stata veramente, un utile parametro di classificazione fra la sinistra e la destra. Una seconda coppia di parametri, generalmente usata per classificare due tipi diversi di sinistra (ma anche di destra), è quella che separa i riformisti dai rivoluzionari. Nella polemica politica i riformisti vengono talvolta chiamati moderati, ed i rivoluzionari estremisti. Si tratta di una dicotomia pretestuosa e pigra, che in realtà non funziona assolutamente. E’ bene metterne in luce la matrice teorica, che è la concezione storicistica del tempo. Se concepiamo infatti il tempo storico come un "medium" omogeneo ed orientato, simile ad una strada lunga e diritta (e così lo concepivano le ingenue ideologie del progresso), gli agenti storici possono essere pensati come automobili che corrono più lente, e dunque più sicure, oppure più veloci, e dunque più efficienti ma anche più insicure. I moderati riformisti sono quelli che vanno piano, mentre i rivoluzionari estremisti sono quelli che vanno forte, e dunque rischiano di andare fuori strada perché non rallentano in curva. Ma questa concezione della storia è assurda. Il tempo storico non è per nulla una linea dritta con un prima e un dopo omogenei, e neppure una strada a curve con gli stessi requisiti direzionali stabili. Il tempo storico apre ogni tanto delle "finestre" di opportunità, che nessuno potrebbe mai creare arbitrariamente con un puro atto di volontà, e queste sono appunto le rivoluzioni che possono riuscire. in quanto alle cosiddette riforme, il guaio è che molto spesso vengono battezzate "riforme" delle incredibili controriforme peggiorative (riforma della scuola, riforma delle pensioni, riforma della sanità, eccetera). Il termine riforma ha perduto oggi qualunque significato connotativo, e viene usato esclusivamente in un contesto di mistificazione ideologica. Nello stesso modo il termine estremista è ormai usato arbitrariamente per connotare qualunque comportamento ostile all’impero americano ed ai suoi alleati, ed è diventato come il termine "terrorista". Bin Laden lo è, mentre Bush guarda caso non lo è. Il massacratore Sharon non lo è, mentre il povero Arafat lo è. I coloni razzisti israeliani non lo sono, mentre gli eroici partigiani palestinesi lo sono. Non si tratta di semplice confusione semantica, ma di vera e propria degradazione semantica. La degradazione semantica è un segnale sicuro di corruzione sociale, ed allora l’etimologia deve lasciare spazio alla politica rivoluzionaria. Messo in guardia il lettore dall’uso di parametri inutili, bisogna però pur sempre utilizzare dei parametri. Devo ammettere che non ne conosco di veramente soddisfacenti. Qualunque parametro venga scelto, anziché distinguere con chiarezza destra e sinistra, taglia diagonalmente sia il campo delle destre che il campo delle sinistre. E’ infatti questa una buona ragione per consigliare l’abbandono della dicotomia, ormai di tipo rigidamente identitario. In modo del tutto provvisorio userò qui solo due coppie classificative. Per quanto concerne la sinistra, distinguerò fra sinistra dell’immanenza sociale e sinistra del trascendimento sociale. Per quanto riguarda la destra, distinguerò fra destra capitalistica e destra tradizionalistica. Ma sia chiaro che anche questi parametri sono del tutto insoddisfacenti. Dal 1871 al 1914 si costituisce la sinistra nel senso contemporaneo del termine. Sarà poi la guerra del 1914-1918 a dividerla fra socialisti e comunisti, perché sono sempre e solo le guerre i veri "momenti della verità" in cui chiacchiere e traccheggiamenti non sono più possibili, ed allora o si è per o si è contro. Lo stesso atteggiamento verso la rivoluzione russa del 1917 è in un certo senso una derivazione secondaria di un precedente atteggiamento verso la guerra. Chi ha imparato ad odiare veramente il capitalismo è stato poi anche psicologicamente incline ad accettare la rottura del comunismo. Chi invece non aveva consumato psicologicamente questa rottura è rimasto quasi sempre socialista. Gli anni 1871-1914 non sono stati soltanto gli anni del marxismo della Seconda Internazionale (fondata nel 1889, cento anni esatti prima della caduta del muro di Berlino). Sono stati anche gli anni in cui si è costituita la sinistra intellettuale radicale, attraverso le battaglie del caso Dreyfus in Francia, attraverso l’antimilitarismo soprattutto tedesco, ed infine attraverso le prime critiche al colonialismo ed al razzismo. In questo contesto è emerso a mio avviso quel dualismo che intendo connotare con le mie espressioni (forse un po’ improprie) di sinistra dell’immanenza sociale e sinistra del trascendimento sociale. La sinistra dell’immanenza sociale si adatta all’integrazione della nuova società capitalistica della seconda rivoluzione industriale, esalta le conquiste salariali e normative che le lotte sindacali effettivamente riescono a conseguire per i lavoratori dei campi e delle officine, ed accompagna gradualmente l’uscita dei lavoratori da quella miseria nera che prima ne scandiva le dure condizioni di vita. Questa sinistra dell’immanenza sociale adotta una filosofia gradualistica del progresso del tutto fasulla ed inesistente, che però rispecchia con ideologica esattezza la propria natura compromissoria. La politica estera non gli interessa, se non come sorgente di tasse e di leve militari. I popoli colonizzati gli interessano poco, e così finisce con il condividere i pregiudizi razzisti degli stessi piccoli coloni europei. La cultura le interessa soltanto come divulgazione popolare e come strumento di promozione sociale. Tutti gli elementi della sua futura subalternità sono già massicciamente presenti. Questo "terzo stato" marcia verso i futuri supermercati e verso futuri stadi di calcio e non se ne accorge nemmeno. La sinistra del trascendimento sociale si rende invece perfettamente conto del fatto che nessuna conquista sotto il capitalismo è irreversibile e garantita. Non si tratta dunque di semplice massimalismo o di semplice populismo. Si tratta invece di un lodevole sforzo per comprendere l’insieme dei rapporti sociali, e di qui nasce quella critica all’imperialismo che a mio avviso è il punto più alto ed il massimo contributo di questa sinistra nel periodo 1871-1914. Vorrei insistere su questo punto per il fatto che oggi siamo di fronte allo stesso problema di allora, con la differenza (in peggio) che la maggior parte della cosiddetta sinistra istituzionale e parlamentare (D’Alema, Rutelli, Jospin, Blair, Schroeder, ed in più tutti gli scagnozzi ex-comunisti dell’Est addomesticato) è ormai schierata a fianco del nuovo imperialismo, e con la differenza (in meglio) che questo fatto scandaloso comporta un rimescolamento benefico delle categorie di sinistra e di destra che annuncia un periodo storico del tutto nuovo, duro e faticoso ma anche promettente. Fra il 1871 e il 1914 si sviluppa l’intreccio fra la destra tradizionalista e la destra capitalistica. La destra tradizionalista protesta contro la cosiddetta massificazione democratica in nome di una gerarchia sociale non fondata sul semplice possesso e sulla pura ostentazione del denaro. In modo molto acuto questa destra tradizionalista capisce bene che il denaro di per sé è un principio democratico ed egualitario, cui tutti possono accedere purché accettino le semplici regole dell’accumulazione capitalistica. Il regno del denaro, gli Stati Uniti d’America, sono anche il regno della democrazia. Questa destra tradizionalista sogna gerarchie metafisiche (come Julius Evola), oppure lotte contro l’usura nemica dei popoli (come Ezra Pound). La destra tradizionalista è anche sempre estremamente attirata dalla religione (l’esempio di Guénon è sintomatico), perché effettivamente solo la religione offre un vero quadro atemporale in cui le gerarchie possano essere messe al riparo dall’attività corrosiva del progresso. E tuttavia l’impotenza politica di questa destra tradizionalista è addirittura patetica e pittoresca. Nel campo della destra essa assomiglia moltissimo a ciò che per la sinistra è la scuola di Francoforte di Horkheimer e Adorno. In entrambi i casi si ha una critica della società programmaticamente non politica perché priva di soggetto, e la denuncia sostituisce così la mobilitazione, diventando una pratica intellettuale fine a sé stessa. La destra capitalistica è invece fin troppo in grado di trovare il suo soggetto storico, e cioè l’unione fra il mandato della grande borghesia e la militanza attiva della piccola borghesia. Il denaro di per sé non è né di destra né di sinistra, in quanto "non olet", non odora, come dice il grande precursore del pensiero borghese Vespasiano. Ma se il denaro è indipendente dalla dicotomia, la mobilitazione in difesa della libera accumulazione di denaro è invece sicuramente di destra. Questa desta è anti-socialista, ed anzi rimprovera la borghesia (l’esempio di Pareto è illuminante) perché non è abbastanza determinata e cattiva. Questa destra capitalistica riesce a conseguire l’egemonia politica sulla sognante destra tradizionalista in nome dell’antisocialismo. Sulla scorta di Nietzsche, il socialismo è appunto interpretato come rivolta plebea mossa dall’invidia e dal risentimento, e questa semplice idea, unita all’antisemitismo come denuncia di complotto dei banchieri ebrei per conquistare il mondo, riesce ad essere straordinariamente egemonica, così come tutte le grandi semplificazioni. La guerra 1914-1918 è il grande spartiacque, dopo il quale emergono i due grandi fratelli nemici del fascismo e del comunismo. Sono contrario a definire questi regimi con l’etichetta di "totalitari", perché non conosco nessun sistema più abile a "totalizzare" il consenso passivo del normale capitalismo liberale. L’educazione politica "totale" delle masse nel fascismo e nel comunismo fallisce sistematicamente, perché non riesce a stabilizzarsi dopo i primi anni di mobilitazione capillare. E’ forse meglio usare il termine neutrale e descrittivo di regimi "dispotici". Il rapporto che questi regimi instaurano con le vecchie tradizioni di destra e di sinistra precedenti è estremamente problematico. Secondo alcuni studiosi, fra cui è emblematico l’israeliano Zeev Sternhell, i fascismi non sono a rigore né di destra né di sinistra. Essi presentano ovviamente elementi strutturali provenienti da entrambe le tradizioni, ,a poiché li mescolano insieme in modo inestricabile è ugualmente possibile dire che sono una cosa nuova, e meritano un’analisi nuova che non ricorra ai vecchi parametri. Io sono d’accordo nell’essenziale con un’importante specificazione. Mi pare infatti che la matrice culturale del fascismo (ed anche del nazismo tedesco, che resta il fascismo perfetto ed idealtipico) sia chiaramente di destra (antisocialismo, colonialismo, militarismo, eccetera), ma l’organizzazione politica capillare delle lasse proviene dall’esperienza organizzativa dei partito socialdemocratici e comunisti, e non ha dunque nulla a che fare né con la destra tradizionalista né con la destra capitalistica (e dunque individualistica e conservatrice). Nonostante l’uso di miti agresti e campagnoli il nazismo resta un fenomeno urbano, tecnico, futuristico e moderno, e lo stesso fascismo italiano confina lo "strapaese" in recinti ben protetti. Una volta crollati, nel 1943 e nel 1945, il fascismo e il nazismo liberano masse enormi che si dividono in sinistra e destra, ed è questa a mio avviso una chiara indicazione del loro carattere ibrido. E’ comunque interessante, e deve far pensare, che invece i movimenti neofascisti e neonazisti dopo il 1945 si collochino tutti all’estrema destra, e fra il 1945 ed il 1991 si mettano a disposizione del nuovo imperialismo americano in funzione anticomunista. Questo è sicuramente un argomento contro Sternhell. Ma non è un argomento decisivo, perché i piccoli movimenti neofascisti dopo il 1945 sono qualcosa di radicalmente diverso dai grandi movimenti fascisti e nazisti fra le due guerre. In Spagna (Franco) ed in Portogallo (Salazar) si ha invece un interessante fusione perfettamente riuscita fra destra tradizionalistica e destra capitalistica, ad opera probabilmente non solo delle tradizioni locali ma anche e soprattutto della mediazione della Chiesa cattolica (che poi in Argentina dopo il 1975 appoggerà la giunta militare responsabile del massacro di trentamila desaparecidos). Il 1936 spagnolo è per me gemello del 1975 argentino, e questo dimostra che i cosiddetti cattolici "buoni" possono diventare belve feroci ancor più dei nichilisti paganeggianti tedeschi ed ungheresi. Mentre sono in molti a sostenere che il fascismo è un fenomeno storico al di là della dicotomia sinistra\destra, non conosco nessuno che sostenga seriamente che anche il comunismo è un fenomeno al di là di questa dicotomia. Che il comunismo sia stato un fenomeno di sinistra sembra un’ovvietà assoluta. Ma io ci andrei piano. Il comunismo dei Fronti Popolari, e cioè dopo il 1936 ed ancor più dopo il 1945, è indubbiamente un fenomeno di sinistra. Ma il comunismo che diventa stato, e più esattamente stato-partito, finisce con l’assumere anche altre tradizioni. La mummificazione e l’adorazione della mummia di Lenin in URSS non è affatto un fenomeno di sinistra, ma un fenomeno di culto religioso popolare. Il culto della personalità di Kim il Sung in Corea e di Mao Tze-Tung in Cina non è assolutamente di sinistra, ma è di origine confuciana (anche se secondo alcuni maoisti cinesi era piuttosto di origine legista). La persecuzione degli omosessuali a Cuba non è sicuramente di sinistra, ma è ispirata al machismo sudamericano. Il nazionalismo di Ceausescu in Romania non era assolutamente di sinistra. Potrei continuare a lungo (fino al ripescaggio della tradizione nazionale russa fatto da Stalin dopo il 1929), ma non mi interessa in questa sede polemizzare retrospettivamente contro il comunismo, quanto far notare un’importante elemento storicamente trascurato. Il comunismo, infatti, quando si trasforma da affabulazione utopica in potere politico strutturato, deve necessariamente sorpassare i confini ristretti della sinistra (ed ovviamente anche della destra) per aderire alle tradizioni nazionali e popolari di lunga durata, che se ne infischiano ovviamente della recente dicotomia fra sinistra e destra. Gli anni fra il 1945 ed il 1975, il trentennio dorato di cui parla Erich Hobsbawm nel suo "Secolo Breve", sono stati anche gli anni d’oro della contrapposizione dicotomica tra sinistra e destra. La polarità ha strutturato in questo trentennio, almeno in Europa, forze politiche, passioni collettive, programmi alternativi, identità ed appartenenze durature. Non è un caso che coloro che si sono formati in questo trentennio sono anche i più restii ad abbandonare questa dicotomia, per il fatto che essa struttura non solo il loro universo simbolico, ma la loro ragione di vita. In Italia questo trentennio vede attizzare la guerra civile simulata (e non solo) fra fascisti ed antifascisti, guerra civile di cui approfitta il robusto estremismo di centro democristiano. La permanenza di questa dicotomia ormai ineffettuale e stupefacente, se pensiamo che la modernizzazione innescatasi economicamente dopo il 1958 la svuotava in realtà di ogni vero significato politico. Ma questa guerra di posizione era dovuta proprio al blocco del sistema politico, che mascherava la sua staticità e la sua grande stabilità con un’apparenza cinematografica di guerra civile simulata fra camicie rosse e camicie nere. Non parlo qui dei servizi segreti e della stagione degli attentati, in quanto considero quelle bombe come bombe di centro, e non come bombe figlie della dicotomia. Ma certo questa "guerra dei trent’anni" sembrerà curiosa ai nostri posteri, come del resto sembra già curiosa ai nostri ricordi. A metà degli anni Settanta del Novecento cominciano ad esaurirsi storicamente le ragioni che avevano portato un secolo prima alla dicotomia sinistra/destra. Di questo sono ormai certissimo, e condivido le motivazioni di chi lo dice da tempo proveniendo da "sinistra" (Gianfranco La Grassa) e da "destra" (Marco Tarchi). Tuttavia, mi rendo conto che questa situazione storica è oscurata da chi si ostina a vedere il ventennio 1970-1990 come un periodo storico in cui ad un primo momento di attacco della cosiddetta "sinistra" (1967-1979) è succeduto un vittorioso contrattacco della "destra" (1979-1990). Dal momento che questa visione storiografica è diffusa, vale la pena ricordarne le ragioni. Il 1968 è l’anno internazionale della contestazione studentesca, ed appare ovviamente come un anno di sinistra. Dipende ovviamente da come lo si interpreta. Personalmente, in accordo con il francese Lipovetsky, tendo a vedere globalmente il Sessantotto come un episodio cruciale della storia dell’individualismo moderno, in cui una contestazione nichilista ed anarcoide della morale vetero-borghese fu scambiata erroneamente (Marx avrebbe detto "con falsa coscienza necessaria") per un attacco utopico complessivo all’intero modo di produzione capitalistico. Balle. Più serie furono le lotte operaia italiane (ma anche europee) del periodo 1967-1974, che non ebbero però in nessun momento un carattere rivoluzionario antisistemico se non nelle affabulazioni oniriche degli operaisti pazzi. Si trattava di oneste lotte sindacali di tipo socialdemocratico di "integrazione" nella normale società dei consumi piccolo-borghese europea. Ancora più serie furono le transizioni di paesi fascisti o semi-fascisti (Grecia 1974, Portogallo 1974, Spagna 1975) verso la normale democrazia pluralistica, il migliore involucro possibile che il capitalismo possa augurarsi. Poi ci furono una serie di vittorie comuniste vere e proprie (Vietnam, Laos e Cambogia 1975, Etiopia 1976, Afganistan 1978, Nicaragua 1979), che portarono ad una sovraesposizione militare dell’URSS in incipiente crisi economica. Infine ci fu il sorgere del fondamentalismo islamico rivoluzionario (Iran 1979) che mi permette di inserire fra le forze storiche anti-sistema. E’ del tutto normale che avvenimenti storici di questo tipo (ed altre che non elenco per ragioni di spazio) possono essere interpretati come episodi di un ciclo politico di "sinistra" (ma fra di essi non cito episodi minori ridicoli, come il cosiddetto "compromesso storico" italiano). A questo ciclo politico di sinistra (che ora appare comunque l’ultimo canto del cigno di una fase storica morente, e non l’alba di una nuova ondata di lotte rivoluzionarie per il comunismo) si sostituì a partire da metà degli anni Settanta una controffensiva politica di destra. Una data per me importante, ed anzi decisiva, è il 1976, in cui in Cina ad un mese dalla morte di Mao Tze-Tung la direzione politica maoista (la cosiddetta "banda dei quattro") fu abbattuta, e la Cina iniziò un riaggiustamento economico in direzione privatistica e capitalistica di importanza strategica. Ovviamente, colgo l’occasione per dire che io non ho assolutamente nulla da eccepire, anche perché ciò che qualunque persona bennata può chiedere alla grande Cina non è certo di fare il comunismo per noi che ne siamo pateticamente incapaci (ed era ciò che a quei tempi le chiedevano i maoisti populisti e salmodianti), ma semplicemente di opporsi strategicamente all’impero americano. Per questo tutto mi va bene in questo momento, compreso Attila Re degli Unni. Dal 1975 in America Latina comincia la strategia del massacro sistematico degli oppositori (desaparecidos non solo argentino), ed è questo un capitolo storico che viene quasi sempre solo affrontato in chiave umanitari e giudiziaria, mentre si tratta di una scelta storica di guerra totale da parte degli USA e dei suoi alleati (in primo piano la Chiesa cattolica latinoamericana, connivente e conservatrice). Dal 1975 in Africa gli USA alleati strategici del Sudafrica dell’apartheid e con il capillare aiuto dei boia israeliani esperti in controguerriglia, inizia una guerra strategica contro i movimenti di liberazione africani (Angola e Mozambico in primo luogo, con l'a’poggio armato degli assassini dell'UNITA e della RENAMO). Poi arrivano ovviamente Reagan e la Tatcher insieme con la rivoluzione neo-liberista, che è però soltanto l’aspetto sovrastrutturale di una più profonda modificazione della produzione capitalistica complessiva, che il termine di post-fordismo connota in modo economicistico e del tutto insufficiente. Si tratta infatti di qualcosa di più radicale e profondo di semplici mutamenti tecnologico di processo e di prodotto. Il crollo, o meglio la dissoluzione implosiva del comunismo storico novecentesco non può essere a mio avviso interpretata come una semplice vittoria della destra contro la sinistra. In Occidente tutto il cato intellettuale corrotto e stravolto vede con vero giubilo il crollo dell’URSS, senza rendersi conto che il vero problema tragico non è la perdita del potere da parte di burocratici cinici e corrotti (e comunque velocemente riciclati in intermediari economici della finanza mafiosa interna ed esterna), ma lo sprofondamento nella miseria di massa di milioni di sudditi privati di rappresentanza politica e soprattutto il venir meno di un contraltare strategico all’impero americano armato. Ho fatto notare in un paragrafo precedente che personalmente non considero il comunismo storico novecentesco (nel senso di socialismo reale statualmente garantito) come un fenomeno di sinistra, ma come un dato storico che nasce a sinistra geneticamente, ma appena preso il potere deve allargare la sua base ideologica oltre i confini della sinistra stessa (nazionalismo in URSS, confucianesimo in Cina, bolivarismo a Cuba, eccetera). Ritengo che oggi l’avversario principale dei popoli del mondo sia l’impero americano potentemente armato, che non trova purtroppo alcun contrappeso economico, politico, culturale, militare e geopolitico sufficiente. In questo non c’è da parte mia nessun antiamericanismo, anzi. Amo la cultura americana e la lingua inglese, ed in generale non penso che esistano popoli cattivi. Mi ripugna il sionismo, ma mi ripugna anche l’antisemitismo di ogni tipo. Essere contro Hitler non significa essere contro i tedeschi, così come essere contro Pol Pot non significa essere contro il popolo cambogiano. Non credo assolutamente che la categoria scientifica da cui partire per interpretare lo stato attuale del mondo sia quella di globalizzazione neoliberista, come ritiene Vittorio Agnoletto, ma resti quella di imperialismo, nel significato datole soprattutto nei più recenti scritti di Gianfranco La Grassa. Ma l’attuale sinistra non è più in grado di capire cosa sta accadendo, ed è allora necessario ristrutturare radicalmente il nostro modo di vedere le cose. Mi avvio alla conclusione. Tuttavia, il lettore ha diritto ad una conclusione chiara ed univoca da parte mia, in cui dica chiaramente perché la dicotomia è obsoleta, e perché siamo giunti all’esaurimento ed al superamento di una tradizione che fissava la contrapposizione di identità e appartenenze rigide. In estrema sintesi, si tratta di due punti essenziali intorno a cui il resto gira intorno: il problema del comunitarismo moderno come filosofia politica migliore dell’individualismo liberale, e la difesa di uno stato-nazione indipendente concepito in modo nazionalitario e non nazionalista, razzista ed imperialista. Esaminiamo brevemente questi punti programmatici, che sono appunto al di là della dicotomia tra sinistra e destra. In primo luogo, il comunitarismo moderno è oggi in grado, a mio avviso, di correggere radicalmente l’errore mortale del vecchio comunitarismo ottocentesco e primonovecentesco, e cioè l’organicismo (in altre parole, la "Gemeinschaft" contro la "Gesellschaft"). Oggi il comunitarismo, correttamente inteso ed elaborato, è in grado di accogliere le buone ragioni del migliore individualismo, e cioè la tolleranza degli stili di vita minoritari, il diritto alla libera espressione artistica, filosofica e religiosa, eccetera. Io penso sinceramente che il migliore comunitarismo può accogliere le lezioni filosofiche di Spinoza e di Marx. Il terreno dell’individualismo, invece, è oggi il terreno filosofico comune dell’incontro del nuovo capitalismo globalizzato dei consumi mirati (ed appunto "individualizzati" e non più fordisti e serializzati) con la sinistra snob e politicamente corretta. Potrei fare mille esempi tratti dalla quotidianità, ma credo che il concetto sia già chiaro abbastanza. In secondo luogo, lo stato nazionale fondato su di una democrazia nazionalitaria (e rimando qui alle analisi svolte da parecchi anni dalla rivista "Indipendenza", cui onoro di collaborare) non ha più nulla a che vedere con i vecchi stati-nazione imperialisti, che Toni Negri continua a scambiare in pittoresca e irritante confusione. Oggi questo Stato-nazione è soprattutto un fattore di resistenza all’impero americano. Per questo Chàvez è buono in Venezuela. Chevènement è buono in Francia. La giunta militare della Birmania, sputacchiata da tutti i giornalisti di sinistra è ottima, e forse risparmierà al suo popolo buddista di diventare un bordello per pedofili europei e giapponesi come la vicina Tailandia. La Cina è buona, finché resta forte ed indipendente. E potremo continuare, ma il lettore avrà già perfettamente capito. Abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale di 180°, ed essa purtroppo non verrà presto. So perfettamente che agli occhi di un sinistro politicamente corretto quanto ho scritto non è inglese o tedesco, cioè in parte comprensibile, ma armeno e turco cioè completamente incomprensibile. Non importa. Chi ha buone ragioni deve andare avanti. E noi sappiamo che le nostre ragioni sono ottime.

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PILLOLE su Le PEN da un'articolo de "La Stampa" dell'aprile'02

Alcune dichiarazioni di J.M. Le Pen, che pur non essendo un esempio, ogni tanto qualc'una l'azzecca

[...] Tornando a Le Pen, è un vero fuoco di fila quello del candidato all'Eliseo. Comincia con una intervista al quotidiano di estrema destra Present: "Non si può dire che il partito nazista fosse un partito di estrema destra, e nemmeno quello fascista". E' la risposta, in una campagna durissima per il ballottaggio presidenziale, al suo rivale Chirac, che ha ammonito: "Ogni volta che l'estrema destra è arrivata al potere attraverso le urne è finita male".

"Credo che Chirac alludesse alla seconda guerra mondiale, e non si può dire che il partito nazista fosse un partito di estrema destra, né il partito fascista - ribatte Le Pen - Il fascismo e il nazismo sono figli della Rivoluzione francese, dei movimenti di sinistra, innanzitutto socialisti. Mussolini era un deputato socialista prima di diventare il fondatore del fascismo, e il partito nazionale socialista era un partito proletario".[...]

Le Pen aggiunge che "i partiti che, in Francia, erano collaborazionisti e hitleriani, erano il partito popolare francese di Jacques Doriot, ex segretario del partito comunista, e l'Unione nazionale popolare di Marcel Deat, ex segretario del partito socialista. Di conseguenza è chiaro. Non eravamo in quel campo là".

 

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UTILITA'

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Consigliamo caldamente la rivista gratuita LA NAZIONE EURASIA http://lanazioneeurasia.altervista.org alla quale ci ispiriamo (con rispetto parlando) e il sito www.frontepatriottico.too.it

e la visita dei siti Eurasia Rossa (http://freeweb.supereva.com/nikolatempo) -

 

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"non ci sono uomini di destra e uomini di sinistra, ma c'è il sistema e i nemici del sistema"