Storia del vetro di Murano


Vetrai muranesi a Napoli nel Settecento



I documenti degli Inquisitori di Stato di Venezia, con la loro lotta agli espatri dei vetrai muranesi, forniscono, tra tante informazioni, anche elementi per la storia della vetraria napoletana, soprattutto nel Settecento, quando per iniziativa governativa, ma anche di imprenditori privati, si cercò di stabilire nella città partenopea una produzione vetraria di alto livello, in particolare nel campo delle lastre e degli specchi. Un primo episodio di un certo rilievo si ebbe a Napoli negli anni 1727-1730, quando per iniziativa privata, ma con l'appoggio del Vicerè, sorse una fabbrica di lastre dove lavorarono alcuni vetrai fuggiti da Murano. Nel 1745 il Segretario di Stato d'Azienda del Regno di Napoli creò a Castellamare una fabbrica di specchi, che dopo difficili inizi riuscì ad ottenere, sotto la direzione del muranese Pietro Rossetto, una produzione di buona qualità dal punto di vista vetrario, ma che non decollò mai per mancanza di bravi "lustratori", cioè di operai che riuscissero a trasformare le lastre grezze in specchi perfettamente levigati. Nel 1755 tre bolognesi (o, secondo un'altra fonte, due bolognesi e un milanese) giunsero a Napoli portandovi alcuni veneziani e friulani per lustrare la gran quantità di lastre da specchio grezze giacenti nei magazzini di Castellamare, ma il progetto naufragò per le troppe rotture. I soci riuscirono ad ottenere la concessione regia per una vetreria a Chiaia, che ebbe una decina d'anni di vita travagliata, prima con alcuni muranesi diretti da Pietro Rossetto e poi con un gruppetto di boemi. Nel 1778 Baldassare Monti, otteneva "il jus proibitivo per 15 anni" per fare cristallo e manifatture vetrarie pregiate, che non recassero pregiudizio nè alla vetreria di D. Michele Gambardella nè ad ogni altra che vi fosse nel Regno. Gli veniva concesso l'uso gratuito dell'intero casamento a Chiaia, eccetto un gran magazzino dove venivano ancora conservati i residui dell'antica cristalleria, che si andavano lentamente vendendo. Il capo era il muranese Antonio Fuga, che doveva fare lastre, specchi e anche cristalli, come quelli che a Venezia aveva fatto Giuseppe Briati; con lui lavoravano alcuni muranesi giunti da Roma e da Murano. La produzione durò qualche anno, ma con scarso successo e anche un tentativo del Monti (fatto nel 1782) di mettersi in società con i produttori di lastre romani, per vincere insieme la dipendenza commerciale da Venezia, fallì. Continuò l'attività invece la fornace di lastre di Gambardella, dove fino ad almeno il l793 lavorò, godendo di credito e reputazione, Antonio Fuga. In quell'anno gli venne proposto di comporre smalti per mosaici e insegnare quel che sapeva a 16 giovani napoletani: dichiarandosi pentito chiese la clemenza degli Inquisitori, ma questi, poco convinti forse della sua abilità in questo campo, decisero di abbandonarlo al suo destino.

Paolo Zecchin Via Cappuccina 13 Mestre Venezia