"...è divenuto ai miei occhi un angolo

il più ridente della terra "

V. Cuoco ( Platone in Italia )

 

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C I V I T A C A M P O M A R A N O

 

Raccolta di notizie su avvenimenti e personaggi

 

 

 

 

 

Francesco De Marinis

 

 

 

 

 

 

 

 

Dedico questo lavoro

a mia moglie Maria,ai nostri cinque figli

Laura, Ugo, Matilde, Silvia, Piergiorgio,

ai miei cari,amati nipoti

ed ai concittadini civitesi,

perchè insegnino ai loro discendenti

l’amore verso il paese d’origine.

 

 

 

" Tramandare le azioni gloriose degli antenati è segno di amore

verso di loro, ma è anche una prova di amore verso i figli,che

non li hanno conosciuti personalmente "

Da "Fonti Francescane "

"Vita Seconda di Tommaso da Celano "

 

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Presentazione del prof. Antonio Saladino docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Chieti

 

Apprezzamento e onore va reso a chi con sincera passione mantiene ed esalta la "memoria" del luogo natio, in un’epoca in cui dopo lunga trascuratezza si tenta di riaccostarsi ai valori della tradizione e la "nuova storia" riscopre e modernamente coltiva la cosiddetta "storia locale ".E ciò, tanto più quando in uno specifico caso – come quello della molisana Civitacampomarano – questo luogo e la regione in cui trovasi – proprio nel momento in cui profonde e decisive furono le mutazioni del pensiero e delle azioni e un intero Paese, come il Mezzogiorno d’Italia, dopo un torpore plurisecolare sorse a nuova vita, proprio questo luogo offrì grazie allo straordinario contributo di uomini e intere famiglie, che in esso – come il Nostro Autore – ebbero a loro volta i natali, un apporto unico e determinante alla nascita e al successivo affermarsi dello spirito e della coscienza dell’intera nazione, prefigurandone l’imminente Risorgimento e l’inserimento nel contesto dell’Europa. Della quale Europa, del resto, quelle famiglie e quegli uomini seppero essere interpreti e precursori delle più moderne idealità.

Della struttura sociale e, quindi, delle capacità di felici evoluzioni davano conto gli stessi abitanti di Civitacampomarano quando in un Pubblico Parlamento del 1777 dichiaravano "E’ composta questa cittadinanza di circa 350 fuochi e di questi molti capofuochi sono dottori di legge e di medicina, notai, giudici a contratto, speziali, mercanti, artisti, massari, e sono tanti" ( cfr. A. De Francesco, " Vincenzo Cuoco. Una vita politica" Roma – Bari, Laterza, 1997, p.139, nota 5 ).

E’ da questa cittadinanza che quindi a ben ragione uscirono non pochi di coloro che, dopo le giornate del ’99 napoletano, dagli esili di Marsiglia, Genova, Milano diedero – come un esule ebbe a dire – " Il grido all’Italia sonnacchiosa".

Come ampiamente testimoniato, con specifico intento soprattutto nella seconda parte del lavoro, non si può non inchinarci all’appassionata rassegna che fa l’autore – recando anche testimonianze inedite e fonti degli archivi propri e di famiglie a lui vicine – di personaggi come Vincenzo Cuoco, Gabriele e Raffaele Pepe e di tanti altri forse meno conosciuti data l’altezza di quei primi ma altrettanto valenti, alle medesime famiglie appartenenti e i vari De Marinis, Colaneri, Tetta, D’Ascanio, D’Aloisio, Pardi, Di Paolo e così via, tutti distintisi, oltre che nelle armi, nelle opere dell’ingegno e massimamente nelle lettere, nelle arti, nelle scienze. A tal proposito non si può non tornare a riferirci al già citato Raffaele Pepe forse non ancora adeguatamente considerato per l’opera in alcuni casi veramente precorritrice di valido e innovatore esperto in scienze agrarie, sperimentatore e introduttore di colture nuove ed esotiche.

Prof. Antonio Saladino

 

 

Indice I parte

Prefazione

 

 

Ho cercato di ordinare, nel limite delle mie possibilità e capacità, questa raccolta di notizie tratte qua e là da libri,articoli,almanacchi,documenti inediti,vite ed epistolari di personaggi civitesi o di altri che hanno avuto a che fare con loro o con Civita.

La successione nel tempo di queste notizie il più delle volte è interrotta da lunghi silenzi, che ho tentato di riempire con avvenimenti regionali e nazionali per avere una visione più chiara, anche se incompleta, dell'evoluzione storica di Civita.I documenti saranno riportati integralmente come risultano scritti nella forma originale.

Toccherà ad altri volenterosi ampliare ed ordinare la ricerca,correggendo inesattezze ed errori,nei quali sarò incorso nel tentativo di ricostruire,anche se parzialmente,la storia del nostro paese,

 

" di cui la fama ancor nel mondo dura,

e durerà quanto il mondo lontana." ( Dante , Inf.II:58 )

 

 

 

De Marinis Francesco

Indice I parte 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Parte Prima

 .

Dalla Preistoria a Maronea

 

Civitacampomarano si trova nella regione Molise, in provincia di Campobasso ad un’altitudine di m. 520. Il paesino è ridotto ormai a meno di mille abitanti e dista dal capoluogo 37 Km. Appartiene al circondario di Larino ed alla Diocesi di Termoli, con un territorio di 38,60 Kmq.

I paesi confinanti sono: Trivento, Roccavivara, Castelmauro, Guardalfiera, Lupara, Castelbottaccio e Lucito.

Comunica con queste comunità ed i centri principali tramite la " Frentana ", che si allaccia con la fondovalle del Biferno. Questa strada ( n°. 13 ) prende il nome dagli antichi Frentani ed unisce il circondario di Campobasso con quello di Larino. Ideata ai tempi di Ferdinando I di Borbone, fu portata a termine da Ferdinando II il 15 settembre 1858.

La " Frentana " comunica con la " Trignina " mediante due strade turistiche e panoramiche : " la Piano Casella, che si snoda, lungo il costone ovest di Monte Mauro ( Mons Liburnus ) e passa dinanzi alla vetusta chiesa della Madonna di Canneto ; e l’altra che attraversa il bosco di Civitacampomarano, Trivento e Roccavivara.

Venendo da Lucito si può notare la natura argillosa del territorio con i suoi calanghi scavati dal Vallone Grande.

L’abitato si distende su una collina tufacea, circondata da verdi orti e ricca di uliveti. Spiccano il castello con le torri angioine, il campanile a punta della diroccata chiesa di Santa Maria Maggiore ed a sud la quadrata torre campanaria di San Giorgio Martire.

Chi invece accede da Castelmauro, comincia a scorgerla in fondo alla stretta vallata del torrente Mordale solo dopo il bivio di San Giovanni.

In questi ultimi tempi vi è stato un fiorire di seri studi archeologici nel Molise. Si è scoperto uno dei siti più antichi del paleolitico d ‘ Europa datato a circa 750.000 anni A.C. ( Homo Aeserniensis ) Anche la vallata del Biferno è stata studiata nelle tre zone : alta, media e bassa valle. Il territorio di Civita : " Campus Maranus " si apre a sud verso la vallata del Biferno al confine tra la media ed alta vallata, solcata dal torrente Vallone Grande , che sfocia nel grande invaso del Liscione sotto Guardalfiera.

Dai predetti studi si apprende che i nostri progenitori si insediarono verso il V millennio A.C., cioè nel Neolitico, nella bassa valle e vi rimasero per lungo tempo attratti dalla fertilità dei terreni. Nello stesso tempo, quali cacciatori, frequentavano le zone di collina e gli altopiani. Alla fine vi si stabilirono tra il 2500 ed il 900 A.C.. Nel territorio di Sant’Angelo Altissimo si sono rinvenute "punte di frecce in selce" e conservate attualmente nel Museo Preistorico ed Etnografico " Luigi Pigorini " di Roma ( come mi è stato confermato dal dott. Mineo di detto museo ) .

Verso il I° millennio A.C. nella nostra penisola si trovavano queste popolazioni indo-europee o jafetiche. Nel nord: i liguri ed i veneti ; nel centro: gli etruschi, i latini, gli umbri, e gli osci, ai quali appartenevano " i sanniti " ; nel sud ed in Sicilia : i bruzi, gli iapigi, i siculi ed i sicani.

I sanniti nelle zone montuose erano prevalentemente pastori , alternavano ad una vita sedentaria quella nomade, spostandosi coi loro greggi lungo quelle vie primordiali chiamate " tratturi " ( transumanza ).

Tramite questi tratturi si doveva accedere da Roma ( fondata nel 754/ 753 A.C. ) nelle regioni sannitiche, perchè solo nel periodo della Repubblica si iniziarono a costruire le vie consolari. Di queste la più antica è l’ Appia ( regina viarum ) costruita nel 324 A.C..

Tra l’ottavo e il sesto secolo A.C. si entrò in contatto con le città della Magna Grecia ( cioè nel periodo della seconda colonizzazione greca ). Proprio in questo periodo dovette essere fondata " Maronea ", che alcuni storici localizzano nell’area di Civitacampomarano e fanno derivare la parola " marano " da Maronea. Infatti sul vocabolario latino-italiano del Georges-Calonghi terza edizione si legge: " Maronea o Maroneia : a ) Città dei Sanniti oggi Marano. b) Città della Tracia sulle rive dello Scheneo, celebre per i suoi vigneti, oggi Marogna; da ciò si può dedurre che la nosra Maronea dovette essere fondata da navigatori Traci in onore e ricordo della loro Maronea. Di questo parere è anche il Galanti, mentre il Romanelli e più recentemente mons. Vincenzo Ferrara localizzano Maronea nella località Torretta, di Montefalcone nel Sannio.

Fra il V e IV secolo A.C. il Sannio dovette raggiungere un alto grado di organizzazione sociale e religiosa. Il Santuario di Pietrabbondante, di cui ancora si ammirano i resti, fu il centro religioso più importante della zona. I sanniti avevano i loro scambi commerciali verso il sud, nelle regioni più ricche della Magna Grecia: la Puglia e la Campania. Proprio in quest’ultima regione, per motivi d’interesse,ci fu lo scontro con i Romani. Dal 354 al 291

A.C. si combatterono con alterne vicende le Guerre Sannitiche, alla fine delle quali i sanniti furono sottomessi, ma rimase in loro l’odio contro il conquistatore. Ne è prova il fatto che Maronea parteggiò per Annibale durante la seconda guerra punica, specie nella battaglia di Geronio (217 A.C ) , l’attuale Montorio nei Frentani.

La tradizione locale vuole che Maronea sorgesse nell’agro di Civitacampomarano su quel costone collinare, che dalla zona dei " Fontanelli " degrada verso la contrada Casale ed il Biferno, di fronte al versante occidentale di monte Mauro, alle cui falde i Maronei o Maroniti dovettero vedere passare il poderoso esercito di Annibale, che marciava verso Geronio, per cui si convinsero di stringere alleanza col Cartaginese. Nel capitolo cento ( C ) del libro terzo delle " Storie di Polibio " leggiamo: " Il comandante Annibale, informato dagli esploratori che nella campagna intorno a Lucera e Geronio c’era molto frumento e che Geronio era un luogo per natura adatto per raccogliervelo, giudicando di svernare colà, marciò ai piedi del Monte Liburno verso i predetti luoghi: " praeter montem Liburnum ad praedictas urbes ( Geronio e Lucera ) ducit" . Geronio poi fu rasa al suolo, come asserisce anche T. Livio.

Il " Mons Liburnus " di Polibio è Monte Mauro. Maronea e il mons Liburnus sono giustamente localizzati nella cartina geografica del 1600 , " Maronea italica o Pentro Frentana " riportata sia da mons. Vincenzo Ferrara in " Maronea nella Preistoria ", che da Gabriella D’ Erry nell’ articolo " La romanizzazione del Sannio " ( Almanacco del Molise 1987 ).

Tito Livio afferma che nel 212 A.C. il console romano Marco Claudio Marcello fu mandato a distruggere Maronea, perchè fu alleata di Annibale quando questi, nel 217 A.C. a Geronio, combattè aspramente contro i Romani comandati da Fabio Massimo e da Marco Minucio.

Allora nel 212 A.C. il console Marco Claudio Marcello, per togliere i rifornimenti ad Annibale, che dopo Canne sostava ancora nel territorio pugliese, uccise 3000 soldati di Annibale lasciati a presidiare la fortezza di Maronea. Nel meridione d’Italia il cartaginese dovette rimanere fino al 203 A.C., nel quale anno tornò in Africa, e a Zama fu sconfitto definitivamente da Scipione detto l’ Africano.

Altra ondata devastatrice avvenne nel periodo delle Guerre Sociali ( 90 A.C. ), quando i soci ( Sanniti, Marsi, Lucani ) della Lega Italica furono sconfitti e decimati . Silla fu il vero sterminatore dei Sanniti.Dopo queste guerre i Sanniti guadagnarono il diritto di voto e la cittadinanza romana. Silla creò delle colonie militari ed inviò a Larino la tribù Cluventina ed a Trivento la tribù Voltinia.

 

La colonizzazione e romanizzazione della zona, nel periodo augusteo si organizzò specie tramite i municipi di Terventum, Larinum, Buca (Termoli ), Histonium, Fagifulae. Dell’epoca imperiale si conservano ancora reperti romani a Trivento, a Montagano ( = Fagifulae ) ed a Larino inclusa nella " Regio Secunda ".

Nel 753 ab urbe condita, in Palestina, sotto l’ imperatore Cesare Ottaviano Augusto, a Betlemme nasceva Gesù.

L’ opera unificatrice di Roma si era compiuta e su tutto il mondo allora conosciuto regnava la " Pax Romana ".

Da qui inizia " L’ Era Cristiana " .

Il nostro Sannio dovette avere i primi approcci con la legge di Gesù Cristo, verso il III secolo D.C. Infatti nel 303 / 304 D.C. Casto, Primiano e Firmiano furono imprigionati e martirizzati nell’anfiteatro di Larino.

 

San Casto, acclamato primo vescovo di Trivento, sicuramente fu anche l’ evangelizzatore della nostra zona, ove poi subì il martirio a Larino

 

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Benedettini - Longobardi - Ducato di Benevento - Epoca Carolingia

Nel VI secolo D.C. in Italia ci furono due avvenimenti fondamentali: l’avvento del monachesimo e la discesa dei Longobardi.

San Benedetto da Norcia ( 480 / 547 ) fondò l’ordine dei " Benedettini " e nel 528 il celebre monastero di Montecassino. " L’ ora et labora " non fu una regola solo per i monaci, ma un esempio ed uno stimolo per tutta la società di allora.

Intanto nel 568 in Italia, comandati da Alboino, scendono i Longobardi, che per un ventennio usarono,specie contro i benedettini, violenze, persecuzioni e stragi, ma nel 687 si convertirono al Cristianesimo per opera del papa Gregorio Magno, per cui ne seguì un periodo di pacificazione e di collaborazione. Si governarono con le loro leggi, con quelle del Diritto Romano e del Codice Giustinianeo. Per tanto i Longobardi, unitamente ai monaci, si possono considerare i fattori principali per la ripresa economica delle nostre terre, risollevando l’agricoltura trascurata dopo l’ abbandono del latifondo romano.

Dal 568 al 774 in Italia i Longobardi dominavano con sette ducati: Friuli, Trento, Ivrea, Torino, Perugia, Spoleto, Benevento.

Con l’ arrivo di Carlo Magno, chiamato dai papi, che non sopportavano più questa eccessiva ingerenza dei Longobardi, si ebbe la vittoria dei Franchi.

Desiderio fu sconfitto a Pavia nel 774 e fu portato prigioniero in Francia. Il suo tentativo di conquistare l’ amicizia dei Franchi, dando sua figlia Ermengarda in moglie a Carlo, non riuscì, perchè questi la ripudiò. Di tutti i ducati longobardi solo quello di Benevento mantenne la sua indipendenza guidato dal principe Arechi che regnò trent’anni dal 757 al 787.

In questo stesso periodo, nella notte di Natale dell’ 800, Carlo Magno viene incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero nella basilica di San Pietro da papa Leone III. Inizia così " L’ Epoca Carolingia ".

Il ducato di Benevento, sotto Arechi, fu diviso in trentaquattro contee con relativi conti : nella Campania, nel Sannio, nelle Puglie, nelle Calabrie e negli Abruzzi e da qui derivò il titolo di " Longobardia Minore ".

Nel Molise vi erano otto contee e fra queste quelle di Trivento e di Larino alla quale Civita doveva appartenere. Il periodo splendido del Ducato di Benevento fu quello del principe Arechi dal 757 al 787.

Arechi aveva sposato Adalperga figlia di Desiderio cioè sorella di Ermengarda e di Adelchi, che non potè prendere il potere per la sua minore età. Arechi fu principe giusto, religioso, pietoso coi poveri, inflessibile coi malvagi. Fu suo amico il longobardo Paolo Diacono, monaco benedettino, tra gli uomini più dotti del suo tempo. Questi fu maestro di Adalperga ed autore della "Historia Longobardorum ".

Arechi fece costruire molti templi, dei quali il più noto è quello di Santa Sofia in Benevento, con l’annesso monastero, al quale profuse previlegi e prepose come badessa sua sorella Gumberga.

Nel 780 Arechi redige un atto di oblazione della chiesa di Sant’ Angelo Altissimo, e del territorio annesso, in quello di Civitacampomarano al convento di Santa Sofia di Benevento con queste parole : " Et Ecclesia S. Angeli in Altissimis Super Fluvium Bifernum in Finibus Campimarani ". ( come da manoscritti , che si conservano nella chiesa di Santa Sofia ).

Questa oblazione fu riconfermata : nel 909 da Ottone III imperatore sassone ; nel 1024 da papa Giovanni XIX ( 1024 - 1033 ) ; nel 1072 dall’imperatore Enrico IV( 1056 - 1106 ) ; nel 1122 dall’imperatore Enrico V ( 1106 - 1122 ) . Inoltre dal testo di mons. V. Ferrara " Canneto sul Trigno " si apprende che nell’ 859 questo convento già esisteva e che da Pietro Diacono era denominato " Cannuzzo " e considerato tra le istituzioni minori benedettine insieme a Santa Maria di Canneto. Ferrara afferma che il circondario di Larino è ricco di vestigia benedettine all’epoca longobarda e tra queste nomina Pietra Fracida presso Termoli e Sant’ Angelo Altissimo in Civitacampomarano nel sec. VIII e IX. Del vecchio convento attualmente restano solo dei ruderi su un colle roccioso . E’ commovente rimirare da Monte Sant’ Angelo quello stesso scenario che tanti secoli fà ( VII sec. ) si presentava agli occhi dei monaci : da Monte Mauro a Morrone con Campobasso e la vallata del Biferno, da Trivento a Pietrabbondante con la vallata del Trigno e i monti d’ Abruzzo.

Durante il regno di Arechi, la cittadina di Civitacampomarano non ancora si formava, ma si parlava solo di un territorio chiamato " Campus Maranus ". La parola " Marano " , da indagini da me fatte , può derivare con molte

 

probabilità da " marianus " ( di Mario ) o da " zona umida e argillosa " (da noi luogo marano ) ,o da un fatto storico locale ( per noi , Maronea ) .

In questo stesso periodo di Sant’ Angelo Altissimo esistevano già altri insediamenti nel detto territorio :

I - Ad oriente vi era " Castra Ionatae " detto anche Castel di Gionata o volgarmente Castel Iannattaro. Di sotto a Castra Ionatae vi era il Castello, componendo un’unica università con terreni comuni. Interessanti i reperti archeologici, che affiorano a Colle Sant’ Angelo. Qui vengono alla luce numerosi frammenti di suppellettili in ceramiche rosse e nere,nonchè di tegole ed anfore di terracotta, che si possono far risalire ad epoche lontane.

La frantumazione di questi oggetti sono conseguenze della lavorazione dei campi o di antiche distruzioni? Come non essere presi dalla curiosità di procedere ad una ricognizione più ampia e più minuziosa di questa zona così interessante, che potrebbe svelarci i segreti del nostro passato?

II - Ad ovest lungo il tratturo Celano - Foggia, a sud di Sant’ Angelo Altissimo vi era la "Rocca Sassone" dal volgo detto "Campanaro" . Questa Rocca fu forse costruita dagli imperatori sassoni nella tentata conquista dell’ Italia meridionale (Ottone III ).

III - Monte Rosso anche aveva i propri terreni.

IV - La zona di Campo -Marano era a due miglia da Monte Rosso.

Tutti questi terreni erano uno indipendente dall’altro e con propri abitanti . ( G. Piedimonte ).

Tra l’VIII e il XII secolo (Epoca Carolingia), nasce la società feudale ed attorno ai castelli ed ai monasteri si vive una civiltà rurale, curtense o chiusa. Nei castelli vi erano dei vassalli all’autorità regia o imperiale ed a questi erano sottomessi i valvassori e tutti godevano di un "beneficio", cioè la concessione di un territorio o di una protezione. Non sempre veniva rispettata questa obbedienza, per cui si ebbe la cosi detta " Anarchia Feudale ".

 

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PERIODO NORMANNO E SVEVO

I Normanni sconfissero i Longobardi del Ducato di Benevento e rimasero nell’Italia Meridionale dal 1084 al 1189 ; seppero assorbire la civiltà romano - bizantina, longobarda e araba lasciando splendore e prosperità, facendo dimenticare la loro iniziale ferocia.

Nello scontro fra Roberto il Guiscardo e papa Leone IX questi si era accampato a Guardialfiera e poi fu fatto prigioniero a Civitate fra Puglie e Molise. Nel periodo normanno nel Molise si formarono due contee : quella del Molise, da parte dei Baranello di Pietrabbondante ; e quella di Rotello o di Loritello.

Tra i baroni più noti del Molise v’è Ugo o Ugone II ( 1128 - 1160 ).

Per la continua ribellione di questi baroni Guglielmo II il Malo dovette venire dalla Sicilia per sedare la rivolta e la Contea del Molise fu affidata ad Ugo II non più " in capite " ( cioè sotto il suo diretto controllo ) , ma " in demanio " ( cioè sotto il controllo dello stato ).

Con Ugo II la Contea del Molise comprendeva le ex - contee di Boiano, Isernia, Limosano, Sepino e Trivento,nonchè altri feudi minori, tra i quali anche i nostri paesi : Lupara, Castelbottaccio, Lucito, Castragionata cioè Civitacampomarano, per i quali Ugo II era tenuto a fornire a Ruggero II per la seconda Crociata ( 1147 - 1148 ): 486 cavalieri e 605 fanti per l’esercito regio dei Normanni.

Sotto Guglielmo il Malo ( 1154 - 1166 ) a Civita era suo vassallo e signore di Castragionata Riccardo di Raul, che, secondo il Ciarlanti, era signore pure di Castelluccio Acquaborrana e partecipò nel 1187 ad una spedizione in Terra Santa.

Guglielmo il Buono ( 1166 - 1189 ), figlio di Guglielmo il Malo, era morto senza figli. Pertanto Costanza, figlia di Ruggero II, eredita il Regno di Sicilia e sposa Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa ( 1184 - 1186 ), e tutto passa agli imperatori svevi.

Finisce con i Normanni il ducato di Benevento, che viene assorbito dal Regno Svevo di Sicilia. Ad Enrico VI (1197 ) succede Federico II : guerriero, letterato, mecenate ed accorto uomo di stato ( 1214 - 1250 ).

Egli, dopo alcune vicende col papato, ed i feudatari della zona, impresse la sua concezione unificatrice, quella che Gabriele Pepe definisce : " la prima tirannide moderna ".

Sotto Federico II, durante il giustizierato di Riccardo di Montenero ( 1241 ), vennero sottratti i tesori delle diocesi di Guardialfiera, di Trivento, di Venafro e di Boiano, appunto per la politica antiguelfa di Federico. Questi muore a Lucera nel 1250 nella " sua prediletta Puglia ".

In questa epoca verso il 1215 nasceva in Sant’Angelo Limosano Pietro Angelerio. Fu benedettino presso il convento di Faifoli in Montagano, fu fondatore dei Celestini, ed apostolo di laboriosità, umiltà e povertà. Per questa sua santità di vita nel 1294 fu strappato dall’eremo di Monte Morrone sulla Maiella e fu eletto papa col nome di Celestino V. Il suo papato durò solo cinque mesi, al quale seguì "il gran rifiuto", non "per viltate", come si suole interpretare Dante, ma per umiltà, e per dare un esempio alle classi dominanti e senza scrupoli d’allora. Morì il 19 maggio 1296 ed il 5 maggio 1313 fu proclamato santo. Le sue spoglie mortali, conservate nella chiesa di Santa Maria Collemaggio dell’Aquila, alla fine di agosto del 1998, in peregrinatio, sono tornate nei paesi dove egli era vissuto. La popolazione commossa l’ha accolto come un trionfatore, perchè il suo esempio di vita, a distanza di sette secoli, affascina ancora ed è di monito alla società d’oggi.

 

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PERIODO ANGIOINO ED ARAGONESE

 

Lo splendore del periodo Normanno - Svevo e di Federico II decadde con l’entrata in Italia di un’ altra casa straniera : l’ Angioina.

Il meridione viene scisso in due parti : il Regno di Napoli con gli Angioini è una propaggine della Francia, mentre la Sicilia con gli Aragonesi passa alle dipendenze della Spagna.

Il Molise appartenne alla Provincia di "Terra laboris et Comitatus Molisii".

Nel 1267 esisteva nel Molise la famiglia del Conte Ugo Marchese.

Marchisius vuol dire titolare della marca o possedimento o feudo. Sebbene decaduti dalla antica grandezza, i Marchisio erano signori di molte terre del Contado del Molise ed anche della nostra zona.

Nel 1269 signore di Civitacampomarano, o meglio di Castra - Ionatae, era Paolo Marchisio. Civita faceva parte del Contado del Molise.

Dai registri Angioini non risulta il nome di Civitacampomarano, ma risulta quello di Sant’ Angelo in Altissimis tra i casali, e quello di Castra - Ionatae tra i Castra. Nel 1272 Filippo Latro possedeva il castello di Castra - Ionatae e nello stesso anno sua figlia Bartolomea divenne padrona e signora di Castra - Ionatae e mediedatis ( per metà ) Guardiae - Brunae.

La guerra tra Angioini ed Aragonesi termina con la pace di Caltabellotta nel 1302 e l’Italia meridionale rimane agli Angioini.

Nel 1315 l’ angioino Roberto di Napoli, con il diploma del 1 luglio, accordò alla comunità di Civita : " di pascolare ed acquare " nel territorio di Sant’ Angelo in Altissimis, perchè dette terre, benchè pretese anticamente dal feudatario civitese, furono attribuite, dietro cause sostenute, all’ abate di Santa Sofia di Benevento, la cui copia legale si trova presso i signori Mastrandrea di Morrone, compratori del feudo di Sant’ Angelo Altisssimo. ( G. Piedimonte )

Nel 1328 Nicolò di Boiano possedeva a metà il feudo di Civita. Dai Regesti del 1328 si rileva che questo Nicolò era Maestro Razionale della regia camera della sommaria e consigliere di Roberto d’ Angiò ( 1309 - 1343 ).

Verso il 1336 con Ragone ed il figlio Goffredo si estingue la famiglia Marchese ed arrivano a Civita i Del Balzo principi di Taranto. Nell’ inverno del 1336, perchè la vallata del Fortore e la regione montuosa tra la Capitanata ed il Molise era infestata da bande di predoni, aiutate e spalleggiate da famiglie feudali, il re Roberto d’ Angiò di Napoli inviò Roberto Del Balzo con pieni poteri per pacificare, condannare e giustiziare.

Carlo III di Durazzo (1381 - 1386 ) assegnò a sua moglie, la regina Margherita, Civita, che dopo un decennio vendette ( durante le guerre con Luigi d’ Angiò contro Ladislao di Durazzo ) a Jacopo di Marzano per bisogno di danaro ( G.B. Masciotta ).

Circa la esistenza e l’ organizzazione dell’ università, cioè del comune di Civitacampomarano, dopo il fenomeno dell’ incastellamento delle popolazioni sparse nel territorio di " Campus Maranus ", ci possiamo riferire alle seguenti documentazioni :

A) La cartina geografica : " Le Diocesi nel Molise nel Trecento ". ( da Aprutium - Molisium : " Le decime nei secoli XIII - XIV ", a cura di P. Sella : Città del Vaticano 1936 ). Civitacampomarano risulta inclusa nella diocesi di Guardialfiera con regolare parrocchia, con un’ altra chiesa a Monte Rosso e con monastero a Sant’ Angelo Altissimo. Proprio in questa epoca è da ricondurre l’origine del nome di Civitacampomarano per intero, forse nel 1336 con la venuta della famiglia Del Balzo ( sec. XIV ).

B) " L’ Istrumento di mandato di procura del 10 settembre 1381, regnando Carlo III di Durazzo, col quale l’Università ed uomini di Civitacampomarano costituiscono loro procuratori : Giovanni Iasone ( o Iacone),Nicola Berardi e Nicola Trasauri di detta terra a poter compiere in qualsiasi Corte, luogo e Foro e specialmente nella corte ducale dell’illustrissimo Don Roberto Ortenze duca di Durazzo per ivi trattare diversi affari spettanti ad essa Università".Questo atto del 10 settembre del 1381 fu stipulato dal notaio Paolino Raone di Castelbottaccio. (Da "Miscellanea" di V.De Lisio).

La già menzionata famiglia Marzano dominò Civita per breve tempo e finì tragicamente all’alba del XV sec. con le lotte tra Durazzo ed Angioini.

Ai Marzano successe la famiglia di Zurlo Bernardo, che dominava Montefalcone e Montorio in Abruzzo ed era stato protonotario del regno nel 1350.Civita rimase sotto il dominio degli Zurlo fino all’avvento degli Aragonesi1421. Nel 1415 era titolare Francesco Zurlo figlio di Bernardo anch’egli protonotario del regno.

Nel 1420 sembra che Beatrice Di Sangro ebbe il feudo di Civitacampomarano da Giovanna II, che nel 1421 adotta come suo erede Alfonso D’Aragona.

 

Nelle "pandette" Lucitesi (G. Piedimonte) si legge che "tutte le terre vicino a Lucito (Lupara ,Castelbottaccio, Petrella, Roccavivara) furono quasi tutte sotto il comando della famiglia Di Sangro e quasi tutte con leggi e disposizioni uguali".(Fuerunt fere omnes sub dominio familiae De Sangro et fere omnes vivebant paribus legibus et capitulis Petrellae, Civitae Campimarani, Roccae Vivarae).

 

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FAMIGLIA DI SANGRO

Paolo Di Sangro:

Figlio di Nicolò di Torremaggiore, succede verso il 1430 a Beatrice (la sua nascita risale all’incirca al 1400 e la sua morte verso il1480).

Paolo Di Sangro con il Conte Cola Di Monforte (1415-1488) fu allievo della scuola d’armi di Giacomo Caldora di Castel Del Giudice. Oltre la parentela li univa l’ambizione. Infatti divennero i più famosi capitani di ventura napoletani a favore ora degli Angioini, ora degli Aragonesi. Nella battaglia di Sessano - Carpinone, che si concluse (28-6-1442) con la vittoria di Alfonso I l’Aragonese, Paolo Di Sangro tradì l’amico e parente Antonio Caldora (figlio di Giacomo) strenuo difensore, come il padre, degli Angioini. A ricordo di questo fatto sulla facciata principale del castello di Civita si può ancora osservare il blasone in pietra tufacea dei Di Sangro, che mostra un grifo, che stringe due gigli (stemma dei D’Angiò) rovesciati tra gli artigli. "Nel 1450 Cola Di Monforte, conte di Campobasso, sposò Altabella figlia di Paolo Di Sangro ed il contratto nuziale fu celebrato il 21 novembre 1450 in una sala del Castello di Civitacampomarano, un paesello a sedici miglia da Campobasso, posto sopra una vetta del monte per due lati inaccessibile. Ivi erano raccolti : il vescovo Giovanni di Trivento e l’ altro vescovo di Guardialfiera, nella cui diocesi Campomarano rientrava, i baroni Antonello di Sanfromonte e Antonello di Eboli, parecchie persone notabili di Campobasso e di più luoghi del Molise,tra cui un dottore in legge e tre arcipreti, che tutti assistevano testimoni. Il matrimonio fu celebrato con le solennità solite " Intra dominos , proceres , nobiles et magnates " del regno (= fra i signori, maggiorenti, nobili e magnati ), impegnandosi lo sposo a costituire il dotarico corrispondente al terzo della dote (ducati 4000) ed investendo perciò la sposa delle sue terre a garanzia: il che fu adempiuto all’uscire dalla chiesa, dopo la benedizione nuziale e secondo l’uso" per cultellum flexum."

Di questo contratto nuziale la pergamena si conserva nella biblioteca di Lione, nella Collezione : Morin - Pons. L’ inventaire è fatto dallo Chevalier e dal Lacroix : Lion 1878 gennaio 30 N.135.

E’ da annotare che nel 1480 era commendatario della chiesa di Santa Maria di Canneto e degli annessi terreni l’abate Teofilo Di Sangro. Questo abate nel 1483 rinunciò a questa commenda a favore di un suo parente Sallustio Di Sangro sempre di Civitacampomarano. Questa commenda era alle dipendenze dell’Abbazia di Montecassino.

Alfonso e Carlo Di Sangro:

Alla morte di Paolo Di Sangro il re Alfonso investì i fratelli di Paolo : Alfonso e Carlo, quest’ultimo sposò Caterina figlia di Onorato Gaetani duca di Fondi. I Di Sangro tennero Civita ed i casali fino al 1560 e poi vendettero il feudo ai Carafa.

 

Bernardino Di Sangro:

Questi nel 1495 parteggiò per Carlo VIII e per tradimento fu privato dei beni, quando fu restaurata la monarchia. Nel 1495 , infatti, Ferrante Consalvo di Cordova, detto "il Gran Capitano", ebbe il feudo tolto a Bernardino. Ferdinando II lo aveva inviato in aiuto degli Aragonesi contro Carlo VIII. Nel 1507 re Ferdinando II ( detto "Ferrantino") venne in Italia e portò via con sè Consalvo che, per la gelosia del re , sparì dalla vita pubblica. Consalvo morì il 2 dicembre 1515 in Granata. Dopo la morte di Consalvo tornò al potere Bernardino Di Sangro. Fu premiato così il suo tradimento.... Bernardino morì nel 1518.

  

Nota: Nel 1515 l’abate di Santa Sofia di Benevento concesse in enfiteusi a Giovanni Barcanti di Toro il feudo di Sant’Angelo Altissimo con la seguente formula:"Territorium et pheudum praedictis in territoriis Campimarani in infrascriptiis finibus circumdatum, vidilicet iuxta territorium Castri Buttatii, iuxta territorium castri Luceti, iuxta territorium Civitae Campimarani ". (Sant’Angelo Altissimo, territorio e feudo nei predetti territori e possesi di Campomarano, circondato dai seguenti confini vale a dire presso il territorio di Castelbottaccio, di Lucito, di Civitacampomarano).

Paolo di Sangro :

Era nipote di Bernardino.

Gianfranco Di Sangro:

Figlio di Paolo, fu lui che vendette il feudo alla famiglia Carafa.

 

FAMIGLIA CARAFA :

Questa, verso la fine del secolo, vendette il feudo alla famiglia Ferri.

FAMIGLIA FERRI :

Proveniva da una ricca famiglia borghese ( 1575 - 1710 ).

 

SEDE VESCOVILE :

Civitacampomarano è dipesa dalla sede vescovile di Guardialfiera, che principia dall’ XI sec., come suffraganea di Benevento, con i seguenti altri paesi : Castelmauro, Palata, Acquaviva Collecroci, Lupara, Castelbottaccio e Lucito. Questa sede fu soppressa nel 1818 ed assorbita da quella di Termoli.Ultimo vicario capitolare del vescovo di Guardialfiera nel 1800,dopo la morte di don Basso Iacopodonato, fu don Nicola D’Ascanio nato a Civita il 1759. Attualmente Civita dipende dalla diocesi di Termoli, che con decreto del 30 - 9 - 1986, unitamente a Larino ( diocesi Termoli - Larino ), è suffraganea all’ arcidiocesi metropolitana di Campobasso.

 Indice I parte

 CASTELLO E BORGO FEUDALE

 

L’ origine del castello feudale di Civita si fa risalire al XIV sec., ma la tradizione vuole che questo luogo fosse già prediletto dai Sanniti quale granaio. Le fortificazioni furono iniziate dai Longobardi e Normanni, come nei castelli di Campobasso, di Cerro al Volturno e di altri paesi del Molise.

L’attuale forma, che somiglia al Castel Nuovo di Napoli, si pensa sia stata data , verso il 1336 dai Del Balzo, principi assoluti di Taranto, di questo feudo e di tutto il Contado.

In questo periodo i signori feudali facevano costruire solidi e massicci torrioni in pietra. Il torrione è un insieme di fortezza e di abitazione. Attorno al torrione sorge un complesso di difese.

Il castello mentre dal lato sud e sud-ovest è imprendibile per una ripida e profonda scarpata, dal lato nord-est invece è difeso da tre grosse torri. Tra queste e le antistanti due torrette, riunite da un bastione, intercorre un fossato o " fosso ". Sui bastioni furono costruite delle case. Quelle del lato nord attualmente sono state abbattute per allargare ed abbellire la piazzetta antistante : il cosi detto " Torrone ". Delle due torrette, quella facente parte della casa Altobelli è ancora ben conservata, mentre quella incorporata nella ex abitazione di Geremia e Dario Pardi è ancora riconoscibile nella cantina per le sue mura perimetrali a forma di botte.

Sempre dalla parte nord del torrione, come ho detto, vi sono due grosse e solide torri di forma cilindrica fino alla metà e poi svasate verso il suolo. Queste torri nella parte alta e per tutta la circonferenza sono ornate da archetti, che si continuano anche nella parte anteriore del caseggiato. Sulle torri e sulla parte anteriore del torrione si notano feritoie a forma di croce latina con le estremità dei bracci rotondeggianti. Nella parte alta della abitazione feudale vi è un loggiato con sei ampie arcate; mentre in quella verso sud e sud-ovest v’è l’entrata principale separata dall’ esterno con un fossato. Al castello si doveva accedere tramite due ponti levatoi : uno a nord, del quale ci sono ancora tracce, l’altro nell’entrata principale a sud, attualmente sostituito da una comoda gradinata in pietra. Sono visibili ancora le spaziose feritoie, nelle quali scorrevano le catene per sollevare o abbassare il ponte levatoio. Sempre dal lato sud - est vi è una sola torre in via di rifacimento, mentre a sud - ovest, pur essendovi uno spazio idoneo tra il castello e gli antistanti ruderi di Santa Maria Maggiore, non vi è nessuna traccia di una presumibile quarta torre.

Sulla facciata principale, anch’essa ornata da una frangia di archetti, sono incassati due blasoni in pietra, di cui quello tufaceo raffigura un grifo che stringe tra gli artigli due gigli rovesciati, simbolo dei D’Angiò sconfitti e traditi dai di Sangro nella battaglia di Sessano - Carpinone, che si concluse a favore degli Aragonesi ( Alfonso I ).

Tramite una porta di quercia annosa, farcita da grossi chiodi ed articolata agli stipiti con vecchi cardini di ferro si accede in un ampio cortile.

Qui vi è una cisterna con un boccaglio in pietra, che, tramite grossi coppi raccoglie le acque piovane di tutto il palazzo. Nel cortile vi sono gli accessi a quelle che dovevano essere le camere per la sala d’armi, per il corpo di guardia, per le cantine, per i granai, per le stalle, per le prigioni ed i trabocchetti. Con una gradinata in pietra si accede al primo piano, ed in particolare alla " camera baronale ", ove si amministrava la giustizia e si ricevevano gli ospiti. Nella parte anteriore di questo salone ci sono le entrate alle torri più grandi ed all’ampio loggiato. Posteriormente ed a sinistra si entra nella cucina che ha un bel camino in pietra. Indi si accede nelle camere più interne del signore. Dal lato sud - ovest si scorge la ripida e profonda scarpata, che degrada verso la " Porta Vecchia del borgo feudale.

Attaccata al castello è la chiesa di Santa Maria Maggiore, che il 4 febbraio 1903 , verso le ore tre pomeridiane, erosa ed indebolita nelle sue fondamenta tufacee, crollò. ( Solo in epoca recente sono stati costruiti degli archi in cemento armato per il consolidamento dell’abitato.)

Il suo fonte battesimale in struttura monolitica, e la relativa porta di accesso, formata di architravi e stipiti ben lavorati, con ornati di notevole valore artistico, sono stati utilizzati per il fonte battesimale di Santa Maria delle Grazie. Il campanile a tre piani, con entrata dalla chiesa, termina a punta con quattro facce. Il piano delle campane è il secondo, mentre la base è attraversata da un arco, che immette nel borgo feudale. Non si comprende bene il contenuto, scritto in latino, di una lapide in parte spezzata e incastonata dal lato nord sotto l’arco della campana :

 

A NO D MDCXX DIE XXVIII .....

HOC PRESE S MATRICIS ECC S .....

CU DIVI IACOBI M RIS RELIQUIIS .....

DN O GUARDI S EP OIO DOM A .....

C S CO SACRAT FUIT ALTA ....

O I CLERO D TE ECC D MARS .....

RINS ARCH P D IOS LONAR .....

PICC ADP CESTAT D S ....

Si potrebbe interpretare " che quella lapide fu applicata il giorno 28 del mese.... e dell’anno 1620 in ricordo di un altare dedicato, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, al Santo Giacomo con le relative reliquie e con la partecipazione del vescovo di Guardialfiera ed del clero di Civita : don Marsilio De Marinis ( questo mio antenato è di quell’epoca cioè del 1620 - MDCXX ), e don Giuseppe Lonardo......".

Passando l’arco del campanile ci immettiamo nella via Vincenzo Cuoco, dove a sinistra scendendo, c’è la casa con la lapide commemorativa di questo nostro illustre concittadino.

La via si snoda a spina di pesce sul dorso tufaceo con vicoli e vicoletti ( rue e ruarelle ) a destra e a sinistra.

A sinistra v’è la via dell’ospedale con un edificio fornito di un ampio ingresso e che viene chiamato "l’ospedale ". La via continua fin sotto il bastione del castello, sul quale sono state costruite delle case e penso che all’altezza della casa Mazziotta, doveva sorgere la porta di accesso al borgo. Indi si arriva alla piazzetta di San Liberatore. Quivi esiste ancora, certo modificata nel tempo, la sede dell’ antica università, dove era incastonata la lapide in pietra con tre torri in bassorilievo e la dedica a San Liberatore. Attualmente detta lapide è stata rimossa e giustamente posizionata nella parte alta e centrale del municipio quale stemma del comune, a ricordo del suo passato e della sua evoluzione storica.

Tornando sulla via V. Cuoco troviamo la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Vi si accede con un portale a stile gotico. Questi portali si osservano anche a Trivento, ad Agnone ed in altre chiese del Molise.

Ciò che colpisce di più nell’interno della chiesa è l’altare centrale in legno intagliato e ricoperto di oro zecchino, con colonne tortili di stile barocco che accolgono in un trittico le statue di San Pietro, di San Paolo e della Madonna nella parte centrale.

Qui si conservano e si venerano le reliquie del Patrono San Liberatore e quelle di San Felice martire. Lateralmente al portale gotico a sinistra v’è un portone di un fondaco che ha questa iscrizione latina su una pietra dell’arco : A.D. MCCCCLXIII ( 1463 )---- Hoc opus fecit.

A monte di questo portone si apre un portoncino con laterali in pietra ben lavorati e sormontati da un architrave sempre in pietra a forma di lunetta. In questa lunetta sono incisi in bassorilievo due colombe e tra le due colombe un cerchio nel quale è inscritto un esafoglio o esalfa. Questo simbolo si può osservare anche in altre chiese di origine benedettina come a Canneto. Identico ornamento o stemma benedettino si trova pure su un architrave in pietra di una finestra sita a poca distanza. Le colombe sono simboli della paleontologia cristiana.

Prima di arrivare alla chiesa di San Giorgio, di fronte a casa Tozzi, sorge un palazzetto, che credo sia storicamente interessante,e del quale, dopo i crolli, è rimasta solo la facciata. Doveva essere abitata sicuramente da un notabile : baiulo, governatore, capitano. Il portone di entrata ha dei laterali lavorati con ornamenti e cosi pure l’architrave. A monte dell’entrata principale v’è un’altra apertura, sempre in pietra, e con un muretto che chiude il quadrante inferiore destro, con caratteristiche di una bottega veneziana, come possiamo anche vedere a Trivento, Agnone e Pescocostanzo ( L’ Aquila ). Sembra che architetti e muratori veneziani siano venuti dalle nostre parti al seguito dei capitani di ventura.

Al primo piano del palazzetto si nota una finestra in pietra con arco romanico tondeggiante. Nel secondo piano ci sono tre finestre tutto sullo stesso livello, ad eguale distanza, delimitate superiormente e lateralmente da blocchi di pietra ben squadrati e levigati. Nella cucina si ammira un bellissimo camino in pietra con stipiti laterali monolitici e con un lungo architrave sempre monolitico che ha uno stemma in bassorilievo.

Sulla parete sovrastante il portone della bottega a stile veneziano si possono osservare i seguenti bassorilievi :

 

I - Bassorilievo : ha la forma di un cuore con le seguenti lettere inscritte

A. D. nella parte superiore

I 732 nella parte media

T nella parte inferiore

 

II - Bassorilievo :un cavaliere con spada sguainata trafigge un drago.

III- Bassorilievo :un volto rotondeggiante con fronte, occhi, naso, bocca e

mento.

IV- Bassorilievo :si trova nella parte più alta dello spigolo nord-ovest dello edificio,è molto usurato e sembra rappresentare un orante flesso su un ginocchio.

V- Bassorilievo :un bambino nudo in posizione supina con il braccio destro alzato e poggiato sulla parte destra del capo , il braccio sinistro è poggiato sull’ addome, mentre gli arti inferiori sono leggermente flessi. Il viso è ovale con fronte, occhi perti, bocca chiusa, naso e mento.

Questi bassorilievi potrebbero far pensare a materiale di spoglio, riutilizzati a semplice scopo decorativo ed eseguiti da scalpellini locali ( da ricordare il romanico regionale ) con tecnica quasi primitiva e da riportare a quei reperti scultorei preromanici ( teste umane, figurazioni di animali e di piante, conci, formelle, crocette, quadrato sator ) diffusi un po' in tutto il Molise : Trivento, Canneto di Roccavivara, Bagnoli sul Trigno, Acquaviva Collecroci.

Eccoci difronte alla chiesa di San Giorgio Martire. Attualmente vengono eseguite opere di sostegno e di restauro, che sicuramente le ridaranno bellezza e decoro. La facciata è di forma rettangolare, ma termina a triangolo nella parte alta, nel quale è fissato un bassorilievo in pietra raffigurante San Giorgio a cavallo, che con una lancia trafigge un drago.Il portale è di pietre di grosso taglio, ben lavorate ed ornate. L’ interno è a due navate. Il soffitto è chiuso con tavole dipinte. Si notano ancora un coro ed un bell’organo in legno. La chiesa è arricchita dalle reliquie di San Donato Martire e dalla statua equestre di San Giorgio. Da non dimenticare i

tre bellissimi altari in pietra magistralmente lavorati. Il campanile , di forma quadrangolare , si eleva tozzo e maestoso sopra un dirupo tufaceo ( cavatella ), che guarda il Vallone Grande affluente del Biferno.

Sul lato sinistro dell’altare maggiore vi sono delle lapidi della famiglia Pepe. Quella di Gabriele, che stava sul lato destro, fu rimossa per motivi che esporrò in un altro capitolo.

Andando oltre la chiesa di San Giorgio v’è il quartiere chiamato "Morricone"

vale a dire " muri icones ". Questi muri, con le immagini dei santi protettori e di Maria Santissima, si continuavano fino alla Porta Vecchia, che chiudeva a valle il borgo feudale. A Porta Vecchia termina pure la scarpata ripida ed imprendibile che scende dal castello e detta " sotto a corte ".

Fuori porta poi, scendendo verso il Vallone , si stende la contrada " Muliniello ", ove nel periodo feudale sorgevano i mulini ad acqua per la produzione della farina. Ancora oggi si osservano i ruderi di questi mulini un tempo funzionanti e tanto necessari per l’ alimentazione della popolazione.

 

SECOLO XIV- INCASTELLAMENTO- BORGHI E PARROCCHIE

Da manoscritto del 1795 - 1797 e da altri documenti pubblicati nel giornale " La Provincia di Campobasso ", anno V n° 9.

( N. Caprara - G. Piedimonte )

 

"Gli abitanti delle zone circonvicine, perchè erano in pochi e continuamente molestati dai ladri e quelli di Castel Gionata assaliti dalle formiche, che erano fastidiose specie ai bambini nelle culle, stabilirono di liberarsi da tanti mali e mettersi al sicuro intorno a questo castello, perchè, tutti uniti insieme, vivessero più comodamente e fossero sicuri dai ladri."

L’ incastellamento avvenne in tappe successive.

" I primi furono quelli di Campomarano e ricordevoli della divozione dovuta al loro avvocato San Liberatore gli fecero qui una cappella, dove ora è il macello e vi posero il cappellano. Successivamente arrivarono gli abitanti delle altre terre ed insieme fecero un gran numero. Dall’unione di tutti questi cittadini fu questa terra chiamata Civita, a cui, perchè era nei tenimenti di Campomarano, fu aggiunto Campomarano, e così venne chiamata Civitacampomarano".

Il manoscritto continua :

" Gli abitanti delle diverse zone si costruirono delle chiese che dedicarono :

- il Casale di sotto a San Sebastiano.

- il Castello di Gionata alla Vergine della Neve, dal volgo detta Santa Maria

Castragionata, in Santa Maria Maggiore.

- Monte Rosso a San Matteo.

- La Rocca Sassone a San Leonardo.

- Campomarano a San Liberatore.

- Colle San Angelo a San Michele.

- La cappella della zona Castello fu dedicata a San Giorgio.

- La chiesa all’estremità del paese fu dedicata anche a San Giorgio perchè

il castellano era albanese".

La chiesa di Santa Maria Maggiore o Santa Maria ad Nives, doveva preesistere alle altre, e questo è convalidato dal fatto che la congregazione del Concilio del 23 aprile 1735 così si esprime : "Avendo noi da coscenziosi periti fatte esaminare le due parrocchie civitesi, ( Santa Maria Maggiore e San Giorgio ), è risultato che il titolo di vetustà, sia dalle fabbriche, sia dalle lapidi, sia dai documenti, spetti a quella di Santa Maria Maggiore, come anche quello dell’ onore arcipretale e parrocchiale preminenziale, all’altra di San Giorgio solamente parrocchiale. Per Civita sul principio amministravano i sacramenti indifferentemente a chiunque, poi , per la quantità dei cittadini e per le gare tra i parroci divisero la terra in due parti : la parte superiore al parroco di Santa Maria ad Nives(Santa Maria Maggiore); la parte inferiore a quello di San Giorgio. Fatta la divisione della terra,ciascun parroco amministrava indipendentemente alli propri figliami i sacramenti, specialmente il battesimo, per cui vi erano due fonti battesimali: uno per chiesa, come erano indipendenti nelle altre funzioni, fuorchè nelle feste proprie di ciascuna chiesa, nelle quali si univano entrambi onorandosi e dandosi la precedenza vicendevolmente, cosìcchè,celebrandosi qualche festa in San Giorgio,celebrava la messa l’arciprete di sopra,se sopra, celebrava quello di sotto, come si costuma oggi.Introdotto nelle università l’uso del patrono principale,si fece consiglio pubblico per le elezioni,nel quale, prevalendo i voti di quelli di Campomarano, perchè più di numero, scelsero per patrono principale "San Liberatore",che ancora oggi è tale".

Continua il manoscritto: "Nelli primi tempi della Civita nascente erano li soli parroci e pochissimi preti. Cresciuti col tempo li preti, si introdusse il coro nelle sole feste; a queste feste, precedendo il primo ordinato sacerdote, cominciarono a partecipare con delle limosine,ed ecco "la chiesa recettizia". Durarono nella pace per molti anni. Il demonio, nemico della medesima, cominciò a seminare zizzania tra i preti e popolo per la precedenza......., cosìcchè, perduta questa ne nascevano alla giornata dei disordini gravissimi specialmente nel secolo XV.Nacquero questi disturbi per parte delli baroni pro tempore, li quali, essendo prepotenti e per il proprio comodo,perchè abitavano in quella parrocchia (di sopra),a poco a poco e di tempo in tempo spogliarono la chiesa di San Giorgio delle sue antiche ragioni, specialmete del fonte battesimale, della predica, che prima si faceva una settimana per chiesa, cosìcchè non aveva più forma di parrocchia. Li preti per mancanza di forza e per debolezza dei vescovi, sopportarono per qualche tempo, ma per soverchio aggravati, si risentirono e ricuperarono qualche diritto perduto. Cioè San Giorgio ha ricuperato il fonte battesimale e oggi le due parrocchie sono considerate come due sorelle; per così dire , perchè entrambo i parroci dividono egualmente, salvo la congrua , la stola, i diritti di matrimonio, di battesimo e di funerali presente cadavere".

Ai giorni d’oggi vi è un solo parroco, che ufficia alternativamente nella chiesa di Santa Maria Delle Grazie e in quella di San Giorgio.

La festa del patrono , San Liberatore, viene celebrata il 13 maggio.Notizie riguardanti questo santo mi furono fornite dall’amico e compianto don Umberto Manuele, ed a suo ricordo le trascrivo. "Tra gli anni 479 e 488 Unnerico, figlio di Genserico, re dei Vandali, immola nei suoi stati quarantamila cristiani, e passa nella storia come uno dei peggiori e mostruosi persecutori della chiesa. Fra le vittime si annoverano Liberatore abate, Bonifacio diacono, Servio e Rustino subdiaconi e Massimo fanciullo,spirati fra inauditi tormenti. Si ignora l’anno preciso del loro martirio, che è certo da riportare tra gli anni 479 e 488. Il loro culto passò dall’Africa all’Italia Meridionale.A Massalubrense (Napoli) il culto fu introdotto probabilmente per opera di qualche Repubblica Marinara".

Altre feste importanti sono quelle di San Donato il 7 agosto e di San Giorgio il 23 aprile.

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PREDOMINIO SPAGNOLO ( 1559-1714 ) E SIGNORI UTILI DEL FEUDO DI CIVITA

 

Quando il Molise apparteneva alla provincia "Terra Laboris et Comitatus Molisii", furono i Di Sangro a mettersi maggiormente in vista, partecipando ai fatti d’armi tra Angioini ed Aragonesi nonchè in quelli contro Carlo VIII nella sua discesa in Italia ed in quelli di predominio fra Francesco I e Carlo V. Il 13 febbraio del1503 avvenne la "Disfida di Barletta" con Ettore Fieramosca, mentre gli italiani militavano al servizio degli Spagnoli sotto le insegne di Prospero Colonna. Il predominio spagnolo durò in Italia fino alla pace di Rostard (1714). Le classi nobili e il clero si rassegnarono al malgoverno spagnolo per i privilegi loro concessi, mentre il popolo viene vessato con tasse e tributi.

Durante questo predominio a Civita troviamo la seguente situazione politica, amministrativa e religiosa (G.Piedimonte):

 

 

 

1576 - Barone Sansone Ferri, Governatore Giacomo Villosco, Prete Rocco Tectis.

1585 - Barone Ottavio Ferri.

1590 - Barone Sansone Ferri.

1607 - Barone Sansone Ferri junior, Arciprete Don Basilio De Marinis.

1636 - Barone Giuseppe Ferri.

1640 - Barone Francesco Ferri.

1649 - Barone MarioFerri,che, dopo la morte di Francesco, ebbe in eredità

il feudo del fratello Giuseppe,che era monaco.

1669 - Barone Paolo Ferri.

1672 - Barone Liberatore Antonio Ferri.

1673 - Barone Francesco Ferri.

1710 - Michelangelo D’Avalos Marchese del Vasto e signore di Civita.

A questo albero genealogico di Sansone Ferri, padrone utile delle terre di Civitacampomarano, Castelbottaccio e Lupara sono annesse le seguenti note ricavate da "Miscellanea " di Vincenzo De Lisio da Castelbottaccio:

Il testamento di Sansone Ferri Senior, che aveva sposato Ersilia De Blasiis di Trivento,fu stipulato dal notaro Domenico Fiorentino di Castelbottaccio

Die tertio mensis decembris, septimae indictionis 1593.(" Indictio" è un ciclo di quindici anni, usato nella datazione di documenti medioevali). Questo testamento stava tra le schede del notar Giuseppe Di Tonno di San Giorgio Molinara e dimorante in Toro. Una copia dovrebbe trovarsi nell’archivio comunale di Civita. Fra i legati v’è il servitore Cesare Catone.

Sansone Ferri viveva nel 1593 Ottavio Ferri era il primogenito. Forse a lui rimase il feudo di Civitacampomarano ed a Liberatore quello di Castelbottaccio. Ad uno degli altri tre fratelli dovette assegnare Lupara.

Vittoria Corcione restò vedova di Liberatore e fu lei che fece riesumare il14 aprile 1614 l’istrumento del notar Fiorentino di Castelbottaccio del 22 settembre 1593 per garantire il credito di ducati duemila fatto dal suocero Sansone Ferri all’università di Civitacampomarano.

Dalla difesa dell’università di Civita nella lite per il credito su accennato, si rileva che il feudo di Castelbottaccio era posseduto da Giambattista.

Dalla stessa difesa di Civita si apprende che Francesco Ferri, signore utile di Castelbottaccio,morì senza figli, e che il feudo venne ereditato dalla sorella Antonia, che sposò Francesco Cardona di Vasto.

Con i signori Ferri inizia e si consolida la schiera dei "signori utilisti", cioè di quei signori, che pensano di difendere ed ingrandire il feudo non con le armi, come i Di Sangro,ma con tasse, tributi, censi, enfiteusi,diritti di zecca, di fiera e di focaggio ecc..ecc..cioè badando, esigendo i propri utili (erario baronale).

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I CAPPUCCINI A CIVITA ED IL SINODO DIOCESANO DI GUARDIALFIERA DEL 27 MARZO 1581

 

"Dai Cappuccini nel Molise" di padre Eduardo Di Iorio si apprende che Castelmauro fu la prima abitazione dei Cappuccini nel Molise, che rientrava nella provincia religiosa francescana di Foggia e di Sant’Angelo. Il convento fu fondato da padre Santo da Castelluccio e da padre Sestino tra il 1530 ed 1535. In questa epoca dovette sorgere a San Giovanni, nel territorio di Civita, il convento che era diretto da un priore di monaci del terzo ordine di San Francesco,e che nel 1587 il vescovo di Guardialfiera, don Pompilio Perrotta, nella visita pastorale del13 giugno, trovò vuoto senza frati.

Intanto il 27 marzo 1581 a Guardialfiera si svolse il Sinodo Diocesano ed erano presenti abati, rettori, nonchè gli ospedalieri della diocesi, tra cui anche quelli di Civitacampomarano e che enumero:

1-Abbas Sancti Petri de basso pro sancto benedicto in Civitacampomarano

2-Abbas Sanctae Agnetis pro sancto Silvestro in Civitacampomarano

3-Prior Sancti Joannis Civitae Campimarani

4-Rector Sanctae Mariae Gratiae in Civitacampimarani

5-Cappellanus Sancti Nicolai intus ecclesiam sancti Georgii de Civita

6-Hospitalarius item Civitae Campimarani

Perciò, oltre ai due parroci di Santa Maria Maggiore e di San Giorgio, v’erano un sacerdote, che presiedeva alle funzioni della chiesa di Santa Maria delle Grazie e due abati : uno di San Pietro di sotto e un altro di Santa Agnese per San Silvestro in Civitacampomarano.Inoltre esisteva un cappellano di San Nicola dentro la chiesa di San Giorgio. Anche nella cappella di San Giovanni, che doveva essere un convento, v’era quale dirigente, un priore dei monaci del terzo ordine di San Francesco ( come si è visto precedentemente ).

Per di più in questo Sinodo si nota la presenza di un ospedaliero ( Hospitalarius ), che doveva dare la sua opera nell’ospedale di Civita.

Tuttora esistono nell’abitato un edificio chiamato "Ospedale" ed una "via dell’ Ospedale". Inoltre nella contrada Casale si estende una zona denominata "Ospedale". Questa zona doveva esser una "Commenda" cioè una proprietà agricola donata in beneficio agli Ospedalieri. In questa azienda agricola vi era un castello ( u’ Castiello ), una chiesa ( forse la cappella di San Michele a Colle Sant’ Angelo ), nonchè una sorgente d’acqua con fontana chiamata " Fonte dei Frati ".

Secondo il Ciarlanti, signore di Castrogionata ( Civita ) e di Castelluccio Acquaborrana, quale vassallo di Guglielmo II il Malo era Riccardo di Raul, che successivamente partecipò alla terza crociata ( 1189 - 1192 ) guidata da Federico Barbarossa.

Si può supporre che in questo periodo dovette sorgere in Castro - Gionata l’ Ordine dell’ Ospedale. Solamente nel XIV secolo, nel periodo dell’incastellamento, gli ospedalieri dovettero entrare in Civita, creare l’ospedale della via omonima, e rimanervi almeno fino all’epoca del sinodo diocesano di Guardialfiera, ove era presente un " Hospitalarius Civitatis Campi Marani ". Circa eventuali correlazioni tra ospedalieri e templari dalle nostre parti non ho notizie precise. Monsignor D’Agostino di Termoli parla di un documento del 23 marzo 1309 tratto dai Registri Angioini ( Reg. Ang. 184 - Fol. 258 ), dove si garantisce del possesso di feudi nel nostro territorio.

Si parla di "casalium olim militiae templi spectantium ", cioè di casali di proprietà una volta dei templari, beni esistenti tra tanti altri beni dei cosidetti templari : " inter alia bona dictorum olim templarorum ".

 

 

 

RIEPILOGO STORICO

A -Periodo prima del XIV secolo

Prima dell’ incastellamento si parla di vici, vicenne (vicus - amnes ),di

castra, di castelli e casali ( Castragionata, Sant’ Angelo in Altissimis,

monte Rosso ) e la voce del popolo si faceva sentire nelle riunioni delle

" comitas prima ".

B -Periodo dopo il XIV secolo.

Dopo l’ incastellamento invece i cittadini si organizzavano con le così

dette " Università " per poter far fronte, nel limite del possibile ,allo

strapotere feudale.

Fanno testimonianza del primo periodo alcuni ruderi, mentre del secondo periodo fanno fede i seguenti già menzionati documenti :

 

I - La " Cartina del Molise nel Trecento " (Città Vaticano 1936).

II - "L’ istrumento" in data 10 settembre 1381 del notar Paolino Raone

di Castelbottaccio

III - "L’istrumento" del barone Sansone Ferri col quale fa credito di duemila

ducati all’ università di Civita, tramite notar Domenico Fiorentino di

Castelbottaccio in data 3 dicembre 1593.

IV - La lapide del 1600 sul campanile della crollata chiesa di Santa Maria

Maggiore.

V - "L’ istrumento" del notar Fiorentino Domenico in data 14 aprile

1614 , col quale Vittoria Corcione, vedova di Liberatore Ferri , fece

riesumare l’ atto ( 3 - 12 - 1593 ) del suocero Sansone Ferri, per

garantire il credito di duemila ducati fatto all’ università di Civita.

VI - La lapide in bassorilievo, che prima stava sulla facciata della cappella

di San Liberatore e che ora è situata nella parte alta della facciata del

municipio quale stemma del comune, con la seguente iscrizione :

" S . L . P. VE . E T. M. R. T. 1617 "

Al centro della lapide si osservano, sempre in bassorilievo, tre torri

delle quali la centrale è più grande. La traduzione della iscrizione

potrebbe essere la seguente :

" A San Liberatore Patrono Vescovo E Martire "

1 6 1 7

Le torri sono rimaste lo stemma del comune mentre San Liberatore è

sempre il patrono di Civita.

VII - Nel 1669 Civita figurava tra i primi dieci maggiori centri del Molise e

precisamente al sesto posto secondo il Masciotta.

 Indice I parte

 

 

ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA - GIUDIZIARIA NELLA

CAPITANATA E NEL MOLISE

 

Il Molise era una provincia unita alla Capitanata.

A - Gli organi giudiziari maggiori si trovavano a Napoli che era la capitale :

1 - La gran corte della Vicaria ( civile e penale ).

2 - Il sacro regio consiglio cioè Tribunale Supremo.

3 - La regia camera della Sommaria, che era un secondo tribunale

supremo,al quale non si dava appello.

B - Nella provincia vi era un preside con poteri amministrativi, militari e

giudiziari.

Il Molise dipese sempre dal Preside di Lucera che era sede del Regio Tribunale Provinciale ( R.T.P.) detto pure : Regia Udienza Provinciale ( R.U. P.) ; o Regia Udienza ( R. U.) o semplicemente Udienza.

In questo periodo i comuni del Molise si chiamavano " Università " o "Unità"

e secondo il Galanti erano 101.

Vi erano : terre regie come Campobasso, Guardialfiera, Isernia.... ; e terre baronali. ( Civita era una terra baronale. )

Per ogni terra ( regia o baronale ), per l’amministrazione della giustizia vi era una " Corte ", che era presieduta : da un governatore forestiero e da un magistrato. Il governatore era nominato dal barone nelle terre baronali ; dal re nelle terre regie.

Il magistrato era chiamato " baiulo o baglivo " e giudicava solamente i reati minori, servendosi di speciali codici chiamati : " la Bagliva e la Portulonia ".

"Bagliva" deriva da balio nel senso di educatore o amministratore di colui che ha feudi. La " Portulonia ", che deriva da porto, poteva essere : di mare cioè con regolamenti per i paesi di mare, o di terra, che conteneva regolamenti per il buon andamento dei paesi dell’entroterra.

Per semplice curiosità si riferisce un avvenimento riportato tra le carte del notar Oliviero di Lucito del 1830.

" Il giorno 7maggio 1712 a Civita la statua di Sant’ Antonio di Padova operò un miracolo : sudando. Il fazzoletto bianco, con cui fu asciugato il volto, venne conservato nella chiesa di San Giorgio. Il clero, a spese del comune, celebrava ogni anno una messa cantata a perpetuo ricordo del fatto straordinario. " ( G. Piedimonte )

L’ AVVENTO DEI BORBONI 1734

 

Don Carlos di Borbone, figlio di Filippo V e di Elisabetta Farnese, conquista il regno di Napoli e vi rimane fino al 1759, anno in cui diviene re di Spagna(Carlo III ). La dinastia dei Borboni terrà il regno di Napoli fino all’unificazione d’ Italia(1860). Durante il regno di don Carlos, l’ illuminato ministro Bernardo Tanucci, con leggi sagge aveva fatto progredire il regno di Napoli nel campo agricolo, dell’ industria e della cultura. Tutto sembrava avviato verso il progresso del popolo napoletano. A questo punto non si può dimenticare il gesuita, padre Francesco Cherubino Pepe di Civitacampomarano, che, con la sua santità, col suo amore verso il popolo e col suo ingegno seppe istruire la gente umile e consigliare Carlo III per la moralizzazione del popolo e la organizzazione delle forze del lavoro. Fu un trascinatore e morì in concetto di santità. Di questi ho importanti documenti dei padri gesuiti. Si parlerà di lui più ampiamente nei personaggi di Civita.

Stava sorgendo una nuova era, con orizzonti di libertà, ma a quale prezzo!.... . Nel 1769 ad Aiaccio nasceva Napoleone Bonaparte. Nel 1789 in Francia si accendeva la grande Rivoluzione preparata da giuristi e pensatori con l’ affermazione dei " diritti degli uomini ".

Nel Regno di Napoli questi anni furono illuminati dal pensiero di uomini come il Filangieri, il Genovese, il Pagano, il Cirillo, il Cuoco, ecc.ecc..

Ferdinando IV, che nel 1759 era succeduto al padre Carlo III, ed era stato educato e guidato dall’età di otto anni dal Tanucci, licenziò il maestro dopo quarantatrè anni di servizio. A questo era stato spinto dalla regina Maria Carolina d’ Austria, sua moglie, che volle sottrarsi dall’ influenza della Spagna ed appoggiare la corte d’ Austria. L’ ammiraglio inglese Giovanni Acton fu il nuovo ministro. Le cose non andarono per il meglio, e quella evoluzione sociale, che tanto sognarono il Tanucci e gli altri grandi spiriti napoletani, si spense sul nascere. Così anche questa occasione di potenziare il Regno con l’aiuto del popolo svanì.

Fu necessario la testimonianza di estremo amor di patria, ci vollero le galere, gli esilii, ci volle la rivoluzione di Napoli del 1799 cosi bene esposta dal nostro Cuoco nel suo " Saggio ". Furono imprigionati trentamila patrioti dei quali trecento salirono sul patibolo, gli altri andarono in esilio o nelle carceri. Tra gli esiliati v’erano Marcello Pepe, V. Cuoco, G. Pepe ecc. ecc..

L’ ammiraglio Nelson fece impiccare sull’ albero della nave uno dei nostri migliori uomini : l’ ammiraglio Caracciolo.

L’ indipendenza e l’ unità della patria non si realizza con la forza e le armi degli stranieri, ma coi propri sacrifici e col proprio sangue. Era necessaria una rivoluzione attiva e non passiva, cioè una rivoluzione sentita da tutto il popolo e non solo da patrioti con schemi stranieri. " Le idee della rivoluzione di Napoli avrebbero potuto essere popolari, ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione. Tratte da una costituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra...... . Le vedute dei patrioti e quelle del popolo non erano le stesse ; essi avevano diverse idee, diversi costumi e financo due lingue diverse." ( V. Cuoco ).

Questa fu la lezione appresa dalla rivoluzione del 1799. La Repubblica Napoletana non fu ristabilita e sul trono di Napoli tornò Ferdinando IV.

Il dominio Angioino, Aragonese, Spagnolo e Borbonico per I’Italia meridionale, e quindi anche delle nostre zone e del nostro paese fu come un rituffarsi nell’ oscurantismo del medio evo.

Nel centro e nel nord d’Italia si erano sviluppati i Comuni e le Signorie con la relativa evoluzione economica sociale della borghesia, mentre nel meridione si batteva il passo ed il popolo viveva ancora sotto una organizazzione medioevale, agricola con economia quasi chiusa.

Ciononostante si poteva notare, specie nelle menti più elevate una certa evoluzione. Infatti, pur in mezzo a tanti sacrifici, alcuni nostri concittadini riuscivano a frequentare le università degli studi a Napoli e a Salerno portando nell’interno quella luce di sapere e di conoscenze, che illuminò e plasmò le intelligenze e le coscienze, evitando l’abbandono, l’abbattimento e quindi l’ ignoranza. Il filone del sapere e della cultura si alimentò nei nostri paesi attraverso i monasteri benedettini ( Montecassino , del Volturno, di Canneto, di Sant’ Angelo Altissimo ) ; attraverso l’ Università degli studi di Napoli e di Salerno, attraverso i seminari vescovili di Trivento e di Termoli, attraverso i monasteri Francescani e le scuole dei Gesuiti di Napoli e attraverso la scuola dei Padri Mannarini di Lucito, ove studiarono il Longano e Giuseppe De Rubertis. Questo filone di cultura si ingrandì specie nel periodo dell’ Illuminismo, che si potrebbe chiamare " Illuminismo Civitese - Molisano " per i personaggi locali che l’hanno caratterizzato.

L’ evoluzione culturale avveniva in mezzo alla miseria di gran parte del popolo e alle volte, al flagello della carestia.

Il notaio Loffredo di Lucito fà una descrizione impressionante. " Dalla mancanza del pane cominciò la falce della morte a mietere ; cosicchè dal 1 marzo al 24 giugno 1764 non passò giorno che non ci fossero morti . Ma dal 14 aprile cominciarono a crescere le morti fino ad otto al giorno, cosicchè nello spazio di quattro mesi, morirono quattrocentottanta persone di pura fame ".

Intanto alla guida del feudo di Civita si succedevano :

1710 - il marchese Del Vasto : Cesare Michelangelo d’ Avalos.

1722 - il governatore : Carlo Sacchetti.

1729 - il principe di Troia : Giambattista d’Avalos.

1742 - il signore utile e duca di Sant’ Andrea : Pasquale Mirelli.

Questi comprò il feudo dal marchese Giambattista d’Avalos, principe

di Troia, secondo l’apprezzo, fatto in detto anno,con perizia del regio

ingegnere Biase De Lellis, per ducati 26.500 e con atto del notaro

Fagnani di Trivento.

1777 - Carlo Maria Mirelli , figlio di Pasquale, fu l’ ultimo duca di Civita.

1780 -1790 -In questo periodo il castello fu venduto al notaio GaetanoTetta

di Lucio , di Civitacampomarano, che , a sua volta, lo vendette a

Giuseppe Roberti di Montefalcone.

 Indice I parte

.

 

CONFINI DEL TERRITORIO DI CIVITACAMPOMARANO SECONDO UN MANOSCRITTO DEL 1754

 

Il 12 dicembre del 1754 in Civitacampomarano furono stabiliti i confini del territorio con l’intervento di esperti dell’università e dei paesi confinanti. Dopo una strepitosa lite avvenne la definitiva e legale sistemazione per il possesso di monte Rosso fra l’universirà di Civita ed il regio fisco (re Carlo III ) con una offerta di Mille ducati da parte del feudatario Pasquale Mirelli.

Copia del documento:

" Dopo una lunga, strepitosa lite tra l’università di Civita e Regio Fisco e mediante una offerta di ducati mille per lo feudo di Monterosso, fatta dal duca di questa medesima terra don Pasquale Mirelli, si è avuto ultimo e finale decreto mediante il divino aiuto in favore dell’università di Civitacampomarano. Il suddetto decreto si è fatto in regia camera, et audito fisco del tenore seguente: - Fuit per cameram ipsam previsum et decretum, prout presentibus declaratur, decernetur et previdetur quod Universitas Civitatis Campi Marani manuteneatur in possessione feudi Montis Rubii ac proinde amplius non molestetur ad instantiam Regii fisci pro causa in actis deducta. Die duodecima mensis decembris 1754.Pro fisco: Albano Albani. Laus Deo". (Tramite la stessa camera fu stabilito e decretato come ai presenti è dichiarato e spiegato e ribadito, perchè l’università di Civitacampomarano rimanga in possesso del feudo di Monterosso e in avvenire non sia più molestato dal Regio fisco per i motivi addotti nell’atto. 12 dicembre 1754. Per il fisco: Albano Albani. Lode a Dio).

"Confini del territorio di Civitacampomarano con terre convicine"

Tale documento è caretteristico ed interessante per il modo di esprimersi dei tecnici del tempo, poichè rispecchia il linguaggio corrente locale, un linguaggio volgare , con il quale questi tecnici formulavano le loro relazioni agrarie alle autorità comunali :

 

 

"Principiano li confini di detto territorio da sopra la cima della montagna detta di Monte Rosso e proprio dove sta il termine di Pietra Naturale detta Pietra del Vomero tra il territorio della città di Trivento e della Civita e quello della Rocca, / da dove calando per detto confine traversando verso tramontana si giunge al termine sotto la Pietra Grossa seu del Vuto, signata con croce per distanza di un quarto di miglio; / e da detto grosso termine camminando per dritto anco verso tramontana si giunge alla Fonte detta Pantarizza per distanza di un quarto di miglio, / e da detto fosso calando a basso dritto per detta voragine si giunge ad un vallone più grande detto Vallone delle Sanguinete per distanza di mezzo miglio quale divide il territorio della suddetta terra della Rocca seu le Macchie della medesima da quelle di Civita, / e calando per detto Vallone Grande, si giunge al luogo dove si dice la via del Varco per distanza di un miglio, / e poi rivoltando verso levante a piedi di detto Varco andando via via salendo in alto si giunge nel luogo detto Codi di Testa seu Colle di Testa per distanza d’un terzo di miglio, / e da detto luogo lasciando la detta via pubblica a man sinistra si va a Montefalcone e Castelluccio, / e lasciando l’altra via pubblica a man per la quale si va per il territorio detto il Luogo di Lesana Mariniera, / camminando a basso per il Valloncello seu Voragine di San Crisogono si giunge ove principia il Vallone Grande che divide li territori di Castelluccio, da quelli di suddetta terra della Civita per distanza di un miglio, / e calando vallone vallone secondo le sue rivolte si giunge nel luogo detto la Mantra di Paolo per distanza di un miglio, / e da detto luogo rivoltando a destra, similmente verso levante salendo ad alto per dritto si giunge nel tratturo per distanza di un miglio; / da dove calando abbasso tratturo tratturo si giunge alla Cerqua delli Quattro Termini, / e calando per il Valloncello di Quarzello traversando si giunge al lago di Maio, / e ciglione ciglione si giunge nel luogo detto Lago di Brasio, / e da esso al luogo detto Pietra Fracida, dove immediatamente si trova il Vallone Grande, / e salendo per una voragine, Valloncino, si giunge alle Macchie della Rendara; / e seguitando per detta voragine, seu Valloncino, si giunge a Fonte Futina; / per dove, salendo per la Selva Simone fra la medesima si giunge al luogo detto Calamoche; / e da esso si giunge sino alla cima di detta Selva, dove termina il territorio di Lupara in distanza di miglia tre in circa; / e principia quello di Castelbottaccio; / e camminando limite limite si lascia il territorio di Castelbottaccio; / cioè verso mezzogiorno si giunge alla Pietra Crociata detta il Fonte delli Salici; / e seguendo per detto limite salendo verso sopra si giunge alla Fonte della Luna; / e per detto limite si giunge alla piana del Gallo; / e per detta piana per il suddetto limite si giunge alla via di Lucito, ove sta una pietra crociata; / e camminando per detto limite verso ponente si giunge ad un’altra pietra crociata chiamata la Macchia del Vallone Tornese o Torneto; / e salendo per detto limite, secondo vanno le sue rivolte si arriva alla pietra crociata di Sant’Angelo dove si dice li Tridici; / e da detta pietra camminando limite limite per le Macchie di Cecca si giunge alla pietra grande di Piscarnetto; / e seguitando il cammino dalla pietra suddetta per dentro un valloncino si va ad uscire alla Fonte delli Cimaroni, dove termina il territorio di Castelbottaccio per distanza di miglia quattro in circa; / e principia quello di Lucito, dove sta Fonte di Cimaroni; / e camminando verso ponente, lasciando verso mezzogiorno il suddetto territorio di Lucito e da tramontana il territorio della Badia di Sant’Angelo in territorio della Civita, si esce per detto limite sotto la Fonte di Sant’Antuono per distanza circa passi sessanta, questa fonte sta nel tenimento della Civita; / camminando limite limite secondo vanno le sue rivolte si giunge ad un perazzo che dinota confine tra il territorio di Lucito e quello della Badia suddetta di Sant’Angelo in territorio di Civita;/ e da suddetto perazzo si giunge ad un valloncello che divide similmenteli territori suddetti;/ e camminando valloncino siccome vanno le sue rivolte si giunge al tratturo regio dove si trova un cerrro crociato, termina il terrritorio di Lucito per distanza di un miglio circa; / da dove terminando il monte Termine principia il territorio di Trivento dalla parte di ponente; / e quello della Civita siegue verso levante diviso dal tratturo vecchio; / e cammminando tratturo tratturo si giunge alla Fonte delle Code, seu Licone

termine dividente l’uno territorio dall’altro; / e dalla fonte suddetta, camminando limite limite, si giunge sotto la Croce incontro a Trivento; / e traversando si giunge alla Pietra del Vomero, dove si è principiato per una distanza di miglia tre in circa . / (Quale circumvallazione è di miglia sedici ed un quarto).

Li detti confini sono stati a me dimostrati dalli esperti eletti capi per parte dell’università di detta terra come di quelle confinantino.

" Ut folio 43. 57 A. t. 63 "

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SOCIETA’ CIVITESE DEDOTTA DAI CATASTI DEL 1742-1746-1803 : NEL PERIODO PRECEDENTE LA RIVOLUZIONE FRANCESE 1789 E LA RIVOLUZIONE NAPOLETANA 1799.

 

Col secolo XVIII si entra in quel periodo storico chiamato " Illuminismo ", perchè l’uomo, guidato ed illuminato dalla ragione, può avanzare in qualsiasi campo. Questo movimento, nato in Francia, e sfociato nella Rivoluzione del 1789, si era poi diffuso anche in Italia, ove vissero uomini illustri, che profusero luce di civiltà in tutto il mondo. In Italia scienziati, professionisti, uomini d’affari capiscono che l’amore di patria non può rimanere solo negli scritti, ma deve tradursi in azione politica e Vittorio Alfieri ne fu il vate.

Nel basso medioevo e nel passaggio da questo all’epoca moderna la popolazione di Civitacampomarano doveva essere formata nella maggioranza da braccianti agricoli, pastori e massari cioè proprietari di masserie. Da queste famiglie di massari, cioè di benestanti, ricchi di terre di greggi e dei frutti della terra si erano evoluti i benedettini, i francescani, i gesuiti, gli studiosi, che a Napoli e Salerno frequentavano gli studi superiori ed universitari in legge, in medicina, nelle lettere, in teologia e riportavano nel retroterra, cioè in provincia, quelle cognizioni, che illuminavano le menti più elevate e più desiderose di sapere fino a sfociare nell’epoca, che a ragione possiamo chiamare dell’ " Illuminismo Civitese ".

I catasti generali del 1742 - 1746 - 1803, nonchè un epistolario del 1777 sempre del dottor Giovanni Andrea De Marinis senior con il feudatario duca Pasquale Mirelli ci chiariscono la situazione economica ed amministrativa del nostro paese, dove vivevano: il feudatario, il clero, i professionisti , gli artigiani, i contadini, i braccianti ed i poveri che erano la maggioranza.

Nel catasto del 1742 ed in quello del 6 febbraio del 1786 del comune di Civitacampomarano v’è questa introduzione: " In nome di Ferdinando IV, per grazia di Dio re delle Due Sicilie, vengono eletti il 6 febbraio del 1786 due deputati mediante pubblico parlamento quali rappresentanti dell’università di Civitacampomarano: Giuseppe Tozzi e Beniamino Di Tommaso con l’assistenza del reverendo sacerdote don Donato Torzillo deputato ecclesiastico della Curia Vescovile ed il fiscale Giuseppe Di Paolo di Arcangelo per gli interessi dell’università e per la confezione del pubblico catasto 6 febbraio 1786, che è la continuazione e la perfezione di quello del catasto generale del 1742.

Le persone interessate devono presentarsi nella residenza dell’università e informarsi delle tasse stabilite entro un mese, altrimenti, in caso di ricorso, devono rivolgersi e ricorrere alla Regia Camera Della Summaria".

Seguono i criteri di tassazione secondo il catasto del 1742:

Per danaro impiegato.

Per gli animali.

Per gli stabili, che si dividono in : a) liciti, cioè riscattati o liberi; b) con peso, cioè gravati da tributi, che dovevano essere pagati all’università , alla

camera baronale, ad enti religiosi o a privati.

Per fuochi dei benestanti.

Da questi catasti si evidenziano le famiglie che emergevano per censo e per cultura come quelle dei Pepe, dei De Marinis, dei Ferretti, dei D’Ascanio, dei De Blasiis, dei Cuoco, dei Tetta , dei Tozzi, dei Di Paolo, dei D’Astolfo ecc..., che ebbero azione trainante e di stimolo nella evoluzione socio-economica e culturale della popolazione. Questa allora si aggirava sui tremila abitanti, dei quali soltanto ottocento rappresentavano la classe dei contribuenti o popolazione grassa, mentre i fuochi erano duecentottantasei:

Professionisti: medici 8; sacerdoti 20; clerici 6; dottori in legge 7; notari 2 ;

speziali in medicina 1; pittori 1; mastrodatti 1.

Artigiani: speziali manuali (negozianti) 21; muratori 8 ; pinciaioli 4 ;

falegnami 7 ; mastrofucilaro 1; imbastaio 1; fabbroferrai 6 ;

calzolai 12;sartori 13; mercanti 4; fornai 7;cardatori di lana 5.

Contadini: massari 30 ; braccianti massari 227 ; vaccari 37 ;vetturini 22

bufalara 1; pecorari 119; porcari 9; caprari 4; fattori 1.

Abitazioni: 283.

Poveri: il rimanente della popolazione.

Pastorizia: vi erano circa 5500 capi ovini ; 200 capi bovini (aratori e di

allevamento) ; 90 capi equini.

Agricoltura: v’erano 450 vigneti; 253 orti;2550 alberi di ulivo;100 canneti;

80 boschetti; campi aperti con pascolo 70.

Ho cercato di essere il più preciso possibile nella raccolta di questi dati elencati nelle partite delle proprietà dei singoli cittadini, degli enti comunali, feudali e religiosi.

Questi possedimenti erano "liciti", se già riscattati e con possesso diretto dei proprietari; o " a censo", se gravati di una tassa o tributo da pagare ad uno dei seguenti enti: alla camera baronale, all’università, alla chiesa di Santa Maria Maggiore, a quella di San Giorgio alla cappella di Sant’Antonio, alla badia di San Giovanni, alla badia di San Nicola, alla cappella di San Giuseppe, alla Congregazione di Cristo, alla Compagnia del Carmine, alla Compagnia dei Sette Dolori, a Santa Maria delle Grazie, all’ospedale,al barone Cardone di Castelbottaccio.

La resa del lavoro agricolo era inferiore alla necessità della popolazione, che si divideva, come ho già detto, in grassa e povera.

In questo mondo di lavoro agricolo, artigianale, culturale e di miseria si evolveva lentamente la popolazione con una organizzazione sociale chiusa di tipo feudale. Però si cominciavano già a notare delle differenze, che divergevano dalle vecchie direttive e menavano verso nuove mete e nuove conquiste.

Dall’epistolario del 1777 di G.A. De Marinis col duca Mirelli si può capire come le università, cioè la riunione dei cittadini rinchiusi nei feudi, si erano alquanto evolute, svegliandosi dal lungo letargo del periodo feudale, in cui era prevalso il potere del signore, che imponeva il suo volere nel campo politico, giuridico, militare ed amministrativo con bandi e decreti provenienti dalla camera baronale.

Queste università reclamavano piano piano i loro diritti e cercavano di riscattare ed acquistare le proprietà del signore pagando il censo. I privilegi del principe venivano col tempo contestati. Si andava formando una borghesia animata da idee nuove di libertà e di eguaglianza. Da questa corrispondenza si nota la costante, fattiva avanzata dei cittadini delle nostre università. Erano sorti dei proprietari con propri interessi, alle volte contrastanti con quelli dei signori non più potenti, ma solo " utilisti", cioè in attesa di ricevere le rendite ( gli utili) dei loro feudi, senza più nulla produrre nè costruire. Erano sorti proprietari più evoluti non solo economicamente, ma anche mentalmente, desiderosi di realizzare nuovi ideali. Nascevano animi ispirati per una società più libera e più autonoma, in cui doveva prevalere, non il potere dell’unico signore e dei suoi vassalli ,ma quello dei sacrifici e della volontà della maggioranza.

Civitacampomarano fu uno di questi nidi, in cui si videro crescere nuove menti, cuori generosi, che seppero assimilare tanta cultura passata e irradiare nel tempo il risultato del sapere, cominciando a concepire una

patria comune con l’eguaglianza dei diritti dei cittadini senza privilegi nè soprusi. Da questi manoscritti inediti si capisce come la vita del paese era guidata e condizionata dalla corte baronale, ma la vediamo lentamente avanzare, affermando i diritti dei cittadini, mentre il feudalesimo andava esaurendosi.

Era il barone a nominare il governatore del paese con i suoi ministri.Il governatore rimaneva in carica per quattro anni e, nelle assenze era sostituito da un interino. Questa nomina, come quella dei ministri, dei guardiani ed armigeri veniva sempre dal governatore e poi convalidata dal tribunale provinciale di Lucera, che dipendeva dal governo centrale di Napoli. Nella camera baronale v’era il libro patrimoniale,dove si registravano tutte le decisioni e le relazioni con gli altri enti del feudo o fuori del feudo. I beni terrieri del feudo si chiamavano campi aperti e venivano dati in enfiteusi e in fitto ai cittadini, che dovevano un censo al barone.

Tale censo veniva riscosso tramite l’università con tre versamenti entro l’anno. Questi terreni col tempo potevano essere riscattati, e da allora diventavano terreni liciti, altrimenti rimanevano gravati dal censo. Terreni chiusi o difese venivano chiamati invece, quelli di Quarziello, del Casale, della Chiusetta, della Vigna Vrachetta, della Vigna del Duca, del Giardino perchè in diretta dipendenza del Signore, che unicamente godeva del ricavato del lavoro dei contadini e dei coloni dipendenti. Come si è detto il barone tutelava i suoi interessi riscuotendo il censo dei terreni aperti direttamente o tramite la ricossione dell’ università ripartita in tre volte durante l’anno. Il ricavato di un terzo si aggirava sui 140 ducati. La legna secca o morta dei boschi apparteneva ai cittadini. Nel detto libro o registro patrimoniale del barone venivano annotati gli approviggionamenti, la corrispondenza, le paghe dei fittavoli o fidatari, i fitti ed il ricavato dei contratti di enfiteusi. Il nostro feudatario aveva diritto di zecca e di fiera, che riscuoteva specie nei grossi mercati come quelli di San Giovanni e di San Francesco. Il fisco aveva allora rilasciata una ricevuta di riscossione nella fiera di San Francesco di ducati 11 e grani 43.

Ogni famiglia pagava la tassa del focaggio o focatico di 3 carlini. Erano esentate poche famiglie amiche del barone. Per la classe grassa v’era anche la concessione della vendita delle carni, nonchè la concessione della caccia nei feudi del barone. Questi però ci teneva a distinguere il permesso d’armi, che doveva essere rilasciato dal potere centrale, dal permesso di cacciare la selvaggina nei feudi del barone, nel quale c’era

una particolare concessione elargita in seguito ad una richiesta dei preti e locati del paese. Il barone aveva ingerenza anche nei casi di violenza carnale tipo stupro. Si poteva arrivare alla remissione della colpa con almeno 20 scudi se c’era la transazione della parte lesa.

I rapporti col fisco-erario erano improntati alla tutela degli interessi del barone (erario baronale) con il maggior vantaggio della camera baronale e del feudo con eventuali ricorsi ( relevii) a tribunali centrali (Summaria) o provinciali (Udienza di Lucera). I rapporti con il pubblico, per far conoscere le disposizioni locali o centrali, avvenivano attraverso i cosi detti "banni o bandi" a voce o per affissione dei decreti nelle pubbliche piazze.

I diritti del barone e delle università venivano ribaditi e legalizzati con la presenza del mastrodatti ( una specie di ufficiale giudiziario o cancelliere). La giustizia locale si amministrava con il giudice della Bagliva (baiulo) o della Portulonia di Civitacampomarano per tutti i crimini e le trasgressioni più lievi, mentre per i crimini più gravi si ricorreva alle sedi centrali o provinciali (tribunale della Summaria a Napoli, tribunale provinciale o Udienza a Lucera ).

I rapporti con il clero avvenivano direttamente, tramite la Curia Vescovile di Guardialfiera o tramite re.

Il clero godeva del privilegio di non pagare le tasse sui beni terrieri e sulle case sia al Barone che all’Università. Tutti gli enti religiosi, le parrocchie, le cappelle da me mensionati, godevano del ricavato dalla riscossione dei censi che gravavano sui terreni, case e animali da lavoro dei cittadini. Questa riscossione avveniva tramite l’università, che , in questo periodo 1742-1780-1803 aveva già approntato i registri del catasto comunale.

Dal già mensionato epistolario si apprende che a Civita v’era la cultura del baco da seta. Il più noto cultore era Michele Emanuele al quale la duchessa si raccomandava, affinchè la piccola industria si svolgesse nei migliori dei modi per la produzione dei filugelli.

"Questa mia moglie ha fatto una società di negozio di seta con codesto Michele Emanuele, e per la produzione dei filugelli mi ha richiesto il comodo di due tre stanze del palazzo". Così si esprimeva il duca Carlo Maria Mirelli ,ultimo feudatario di Civita che, per agevolare sua moglie in tale attività, metteva a disposizione dei locali del castello.

Come il 12 dicembre 1754 l’università di Civita vinse la causa contro il regio fisco per il possesso di Monterosso , così in una lettera del 9 giugno 1798, in cui viene riportata una sentenza del tribunale di Napoli

inviata per conoscenza a quella di Lucera, possiamo constatare quanto terreno aveva guadagnato l’università nell’affermazione dei suoi diritti, dopo tanti anni di sottomissione. Si cominciava già a respirare l’aria della libertà e dell’uguaglianza proclamate dai Diritti dell’Uomo nella Rivoluzione francese e spinta avanti dall’avanzata degli eserciti Napoleonici con le sue strepitose vittorie.

"Ill.mo Signor, per le opposizioni prodotte dal Duca di Sant’Andrea, possessore del feudo di Civitacampomarano, alle determinazioni da me fatte e comunicate a V.S. illma con altra mia del 24 del passato mese di febbraio, essendosi da me intese pienamente le parti, ed esaminate le scritture prodotte dall’una parte e dall’altra, ho creduto di dare "le Previdenze" che V. S.illma rileverà dall’annesso foglio di appuntamento da me firmato, prevenendola di fare eseguire esattamente tutto, e quanto in esso si contiene, ed essibendomi pronto ai suoi pregiati comandi con ogni vera stima mi raffermo a V. S. ill.ma.

Napoli 9 giugno 1798

Devotissimo Nicola Vivenzio"

 

 

 

"Al Signor don Carlo Pomicino Capo Ruota della Regia Udienza di Lucera.

Addì 8 giugno 1798.

Visti gli atti, intesi pienamente il duca di Sant’Andrea, barone di Civitacampomarano e l’Università, ed esaminate le memorie dai medesimi presentate si è stabilito:

1) che riguardo alla portolonia, trovandosi l’università tassata a ragione di grane 12 a fuoco, che paga a beneficio della regia corte, l’università non sia molestata dal barone al pagamento di ducati 20 che essige dalla medesima a titolo di Portolonia.

2) che sia lecito all’università di vendere la carne al minuto per la grassa della popoplazione senza esserne impedita dal barone, il quale si astenga dalla pretesa essazione di ducati 14 a questo titolo.

3) che riguardo alla Colletta di Santa Maria Maggiore, l’università deduca le sue ragioni nel tribunale della regia Camera.( si deduce che il Comune era gravato da una tassa a favore della Chiesa).

4) che riguardo al credito istrumentario di ducati 125 con effetto, il Barone fra un altro mese essibisca il titolo di questo credito, altrimenti si astenga.(questo credito si riferisce ancora a quello di Sansone Ferri 1593, e riesumato dalla nuora Vittoria Carcione 1614 o a quello di 1000 ducati anticipati dal Barone Pasquale Mirelli per Monte Rosso 12 dicembre1754?..

5) che riguardo alli carlini 3 a fuoco, che il Barone pretende essigere in nome di focaggio, essendo questa una cogitazione riprovata dalle leggi del Regno, il Barone si astenga di essiggerla e l’università non sia molestata.

6) che non si impedisca ai cittadini l’uso civico, nè i demaniali del feudo, ben inteso però, che questo uso civico debbano esercitare i cittadini nei demaniali aperti e non già nelle difese e territori chiusi appartenenti al barone; e qualora i cittadini credono, che tali difese e territori chiusi , appartenenti al barone, si dovessero aprire, ricorrano nel S. C.( Sacro Consiglio),ove la causa si trova dedotta senza alterarsi in tanto, riguardo a tale difese e territori chiusi, li decreti del S. C.

7) che riguardo all’uso civico preteso dai cittadini nel feudo rustico denominato Casale Iannattaro, o Castello del Bottone si esegua la sentenza del S.R.C. (Sacro Regio Consilio ) Del 1794 -1795.

8) che sia permesso all’università formarsi la strada, per comodo del pubblico, nel suolo che circonda il palazzo baronale, pagandone al barone l’importo del suolo, che occuperà questa nuova strada nel modo che dai periti sarà giudicato. Firmato : Nicola Vivenzio".

E’ da premettere che nel 1795 a Civita c’era stata una sommossa popolare durante la quale fu abbattuto il muraglione che divideva il fosso dal torrione per dimostrare che era finita l’era feudale ed iniziava una nuova senza le mura del Borgo e del Castello.Fu abbattuto e scavalcato il muro di cinta, fu riempito il fossato e così si riunì la parte bassa con quella alta del paese. Questo ottavo punto del documento precedente datato 1798, fu provocato sicuramente da una denunzia del Duca in seguito alla rivolta popolare, ma questa volta il popolo riportò vittoria: che sia permesso all’università formarsi la strada per comodo del pubblico nel suolo, che circonda il palazzo baronale.

Per curiosità riporto il testo della patente di un " armizzero", di cui conservo l’originale e che è interessante per conoscere i titoli, che competevano , in quest’epoca , al Signore di Civitacampomarano: duca di Sant’Andrea ed utile Signore delle terre di Civitacampomarano e Castello de’ Bottoni.

"Ferdinandus IV Dei gratia Rex; Carlo Maria Mirelli duca di Sant’Andrea ed utile Signore delle terre di Civitacampomarano e Castello de’ Bottoni...........

Dovendosi noi provvedere di guardiani , o siane armizzeri, per servizio della casa, e custodia del nostro Feudo di Civitacampomarano ed altri a noi appartenenti, e conoscendo in Voi Michele di Rosario Di Tomasso una somma puntualità, abilità ed onoratezza, per esercitare un tale impiego, per tanto vi eleggemo per uno dei nostri armizzeri, concedendovi la licenza di portare e di servirvi di tutte le sorti di armi, non proebite dalle rege prammatiche: ben inteso che fra lo spazio di un mese, dobbiate far reggistrare la vostra patente nel Regio Tribunale di provincia di Lucera, giusto l ’ordini di Sua Maestà, Dio guardi. Per il chè ordinamo che da ora, ognuno dei nostri sudditi e ministri, per tale vi riconoschino;con prestarvi ogni aggiuto in tempo di bisogno, per quanto c’è cara la Grazia di S. Maestà e la nostra; e della pena di ducati cento, da introitarsi al nostro Erario Baronale, che perciò vi damo la presente firmata di nostro proprio carattere e robborata col nostro solito suggello. Dato dal Ducal Palazzo di Civitacampomarano. Lì 22 novembre 1783.

Firmato : Carlo Maria Mirelli duca di Sant’Andrea ed utile Signore delle terre di Civitacampomarano e Castello de’ Bottoni.

Die 25 mensis novembris 1783.

Papale Antonius

Gaetano Bolli Segretario.

Regio Folio 450

 Indice I parte

 

RISORGIMENTO E UNITA’ D’ITALIA

All’alba della Rivoluzione Francese,nel chiuso borgo feudale la borghesia di Civita si era evoluta, con la formazione di tre strati sociali:

a) dei contadini, che rimasero quasi sempre poveri e col desiderio inappagato delle terre.

b) della borghesia più scaltra e più prepotente, che si era impossessata di quasi tutti i beni demaniali.

c) di una minoranza di studiosi, di intellettuali e di professionisti che erano impegnati moralmente ed intellettualmente a liberare il popolo dal giogo della feudalità.

Le idee nuove della Rivoluzione Francese,conosciute solo dagli spiriti più elevati, vengono trasmesse al popolo dall’avanzare degli eserciti di Napoleone. Nel gennaio del 1799 viene creata la Repubblica Napoletana.

Questa dura poco tempo, perchè la flotta inglese, comandata da Nelson, la fa cadere e riporta sul trono di Napoli Ferdinando IV, che era fuggito in Sicilia. Si fa strage dei nostri patrioti: Caracciolo, Mario Pagano, Domenico Cirillo, Eleonora Pimentel, finirono sul patibolo, mentre Marcello Pepe, Gabriele Pepe, Vincenzo Cuoco ed altri molisani devono prendere la via dell’esilio. La Restaurazione del 1799 fu compiuta dagli eserciti austro-russi e dalle bande insorgenti. Il cardinale Ruffo Fabrizio, nominato dal Re suo vicario, mise su "l’esercito della Santa Fede ", perciò Sanfedisti furono chiamati i relativi seguaci. Questi, con l’idea di combattere per il Re e la Chiesa, compirono selvagge repressioni anche a Civita, ove si diedero a rapine in casa Pepe ed in altre famiglie. La Repubblica Napoletana, come pure la Ligure e la Romana, non furono mai restaurate e Ferdinando IV di Borbone rimase ancora sul trono di Napoli fino al 1806.

Dopo la battaglia di Marengo ( giugno 1800) V. Cuoco e G. Pepe di ritorno dall’esilio, non potendo ritornare a Napoli, si incontrarono a Milano e così ebbero modo di scambiarsi le loro idee, le loro pene e sicuramente i ricordi del paese natio. A Milano V. Cuoco pubblica "Il saggio storico sulla Rivoluzione Napoletana del 1799", di cui fa un quadro realistico con l’animo straziato per l’orrenda repressione. Pubblica anche i primi due tomi del "Platone in Italia ", comunicando agli studiosi e dotti di quella città ( A. Manzoni, V. Monti ecc...) la preparazione storica, filosofica, letteraria, politica e giuridica del Meridione, tesa alla realizzazione di una Patria comune.

Tra il 1806-1815 con il Regno di Napoli sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat ( predominio Napoleonico), i nostri concittadini ebbero la possibilità di esprimersi di più, diffondendo in un campo più vasto il loro pensiero per la realizzazione di molti problemi.

Tramite il"Corriere di Napoli" ed " Il Monitore delle Due Sicilie" il Cuoco espone le sue idee, sperando di realizzare i suoi ideali con l’aiuto delle forze napoleoniche. Così pure G. Pepe continua la sua carriera militare. Sotto Napoleone partecipa alla repressione del" brigantaggio" e alla Campagna di Spagna (1808). Nel 1811 torna a Napoli e nel 1815 con Gioacchino Murat interviene nella battaglia di Tolentino, ove viene gravemente ferito. Sono le estreme resistenze contro gli Austriaci incalzanti. A nulla serve il " Proclama di Rimini" da parte di Gioacchino Murat con l’intento di sollevare gli italiani all’indipendenza e all’unità. Sembra che questo Proclama sia di ispirazione "cuochiana".

Nell’ottobre del 1815 Murat, dopo aver tentato uno sbarco in Calabria , viene catturato e fucilato. Le ultime speranze spariscono e i Borboni tornano a Napoli.

Rimanendo sempre nel periodo di predominio francese (1806 - 1815), Murat volle una "Relazione statistica delle condizioni economiche, culturali, igienico sanitarie della provincia del Molise", a cura dell’Intendente della provincia Biase Zurlo. Fu proprio il nostro illustre concittadino Raffaele Pepe, fratello di Gabriele, ad avere l’incarico di riunire in una relazione i dati forniti dai diversi circondari. Lo stesso Biase Zurlo in una lettera ribadisce la povertà della nostra provincia e nella descrizione delle diverse attività degli abitanti mette in rilievo quella della lavorazione dei "panni", che divide in panni di prima classe , cioè la lavorazione di panni grossolani; panni di seconda classe per la lavorazione dei panni leggeri specie a Civitacampomarano e a Frosolone; di terza classe per la lavorazione dei panni eseguita dalle donne per uso proprio, per i mariti e parenti.

Da ricordare che Francesco Longano nel suo " Viaggio per lo Contado di Molise nell’ottobre 1786", localizzava Civita con latitudine 29 e longitudine 30 ed aggiungeva: "A levante di Limosano si trovano situati Lucito, Civitacampomarano, la Lupara, Castelbottaccio, la Guardia Alfiera e Castelluccio. Lucito ha territorio buono ed è ricco di uliveti e vigneti. Altrettanto bisogna dire delle altre terre accennate. La Civita ha in particolare ottime ricotte, e lavora un certo pannaccio, al par degli altri della Provincia, grossolano. Anche i vini sono eccellenti. L’annuale raccolta del grano nella parte settentrionale si possono valutare: a Pescolanciano,Vasto Girardo, Frosolone costantemente quattro ad uno, sette ad uno a Fossaceca, a Civitacampomarano, Castelluccio."

Maggiori e più vaste informazioni ci dà Raffaele Pepe nel 1811 nella sua " Relazione a G. Murat", che comprendeva quattro capitoli : Natura fisica della regione ; Sussistenza e conservazione della popolazione; Caccia, pesca, economia rurale; Manifatture.

Viene ribadita la povertà dei contadini in confronto della classe dei benestanti. L’alimentazione dei contadini è prevalentemente a base di legumi, verdura e pane, mentre rara e scarsa è l’alimentazione carnea. I ricchi proprietari avevano delle abitazioni accoglienti, non così i contadini e braccianti, che avevano case infelici quasi sempre a due piani con l’inferiore utilizzato per gli animali e il superiore per loro. E’ interessante leggere sulla foggia di vestire nel circondario di Civita. " Il basso popolo veste in tempi d’inverno di panni di lana, che si fanno lavorare nelle proprie case. Il vestire degli uomini consiste: in una giubba,volgarmente giacchetta,camiciola, calze, cappello e la maggior parte nell’inverno portano il cappello."

"Il vestire delle donne poi consiste: in un gonnello di panno di lana da esse lavorato e tinto, in corpetto,in un fazzoletto bianco sulla testa.La nettezza della biancheria riluce nell’uno e nell’altro sesso in questo circondario.Stabilimenti pubblici per vestire i poveri mancano in questo circondario." Firmato dott. Arcangelo de Nitiis da Castelluccio Acquaborrana. Un’ altra relazione, quasi identica, viene estesa dal dott. Francesco Fiore da Guardialfiera, che allora faceva parte del circondario di Civita.

Come si è potuto constatare attraverso i precedenti documenti le popolazioni delle diverse contrade si erano sistemate nel borgo feudale trasportando non solo i loro Santi, ma anche le loro abitudini ed i loro regolamenti, coi quali si erano amministrati nei periodi precedenti e nelle diverse ed alterne dominazioni. All’ interno del borgo la "comunitas ", sotto il continuo controllo del feudatario, cercò di organizzarsi economicamente e socialmente attraverso le università ( comune ) emancipandosi dai previlegi feudali. Comincia a sorgere quella borghesia che lotta per accaparrarsi i posti amministrativi, economici, e giudiziarii dell’ università. Perciò questi incipienti borghesi divennero padroni, col loro saper fare, delle terre del

signore, mentre i meno dotati, o meglio meno fortunati, continuarono ad essere figli della gleba. Dall’ evoluzione di questa borghesia avremo i cosidetti galantuomini ed i contadini ( signori e cafoni ). La conquista della terra permise di passare da una vita povera e dura ad una vita più agiata dedicandosi agli studi letterari, filosofici, economici e giuridici. Fu proprio questa parte di borghesia più colta ed illuminata che si battè per il "risorgimento italiano ", mentre la massa rimase quasi estranea, assillata più dai problemi della sopravvivenza che da quelli politici.

Nel periodo napoleonico-murattiano si aveva la seguente organizzazione socio-amministrativa :

1- Con legge 8 - 8 - 1806 il regno fu ripartito in tredici province fra le quali la Capitanata e Contado del Molise : a) il capoluogo era Foggia con sede dell’ Intendente. b) la provincia era divisa nei distretti di Foggia, Manfredonia, Campobasso, Isernia.

2- Il 27 settembre 1806 il Molise viene separato dalla Capitanata e fa provincia a sè. Il merito, in gran parte, va dato a V. Cuoco rientrato da Milano ed amico del re, che lo stimava molto.

3- Per la legge dell’ 8 -12 -1806 Civitacampomarano veniva compresa nel distretto di Isernia.

4- Il 19 dicembre 1807 il Contado del Molise venne chiamato Provincia del Molise con due distretti : Isernia e Campobasso.

Il 23 giugno 1808 in nome di Giuseppe Bonaparte furono stabiliti i criteri per la nomina dei collegi elettorali e dei relativi membri per la formazione del Parlamento Napoletano del 1811. Il Parlamento doveva essere formato da cento membri scelti tra i notabili, tra gli ecclesiastici con nomina diretta del sovrano; tra i dotti, commercianti e possidenti con nomina sempre del sovrano dietro indicazione delle istituzioni culturali, della Magistratura e dell’Intendenza provinciale. Per far rientrare in questa èlite persone meritevoli, che non raggiungevano il reddito richiesto, nelle zone più povere il reddito fu ridotto. Si creò così un nucleo fondamentale, non solo per il decennio napoleonico, ma anche per i periodi successivi al Risorgimento Nazionale, che contribuì alla formazione del ceto dirigente dell’Italia Meridionale. Gabriele e Raffaele Pepe, Vincenzo Cuoco di Civita, Amodio Ricciardi di Palata, Felice Colaneri di Trivento ed altri rientrarono nel suddetto ceto . Civita, allora nel distretto di Isernia, contava 2640 abitanti, con una rendita complessiva di 205.83 ducati e con rendita media di ducati 102.91. ( A. Saladino )

5- Durante il regno di Gioacchino Murat con R.D. 4 / 5 / 1811 il Molise viene diviso in tre distretti : Campobasso, Isernia, Larino e questi, a loro volta, in circondari. Il distretto di Larino era formato da 34 comuni ripartiti in 7 circondari, tra i quali Civitacampomarano.

6- Autorità : l’ intendente a capo della provincia ; il sottointendente a capo del distretto ; gli organi popolari erano : a) consiglio generale della provincia ; b) consigli distrettuali : dal 1808 Campobasso ed Isernia ; dal 1812 si aggiunge Larino.

 

7- Nel 1810 V. Cuoco fu presidente del consiglio generale, mentre dal 1841 ne fu presidente Raffaele Pepe ( fratello di Gabriele ).

8- Nei comuni vi era il Decurionato e vi partecipavano i cittadini proprietari locali, che avevano una rendita non inferiore a 24 ducati. Da questi membri dell’amministrazione veniva eletto il sindaco.

9- Merito della legislazione napoleonica fu anche quello del Catasto Fondiario (8 - 8 - 1806), e l’organizzazione dell’amministrazione finanziaria.

Nel frattempo era sorto anche nelle nostre popolazioni un dualismo fra giacobini sfiduciati per il comportamento dei Borboni ed i realisti che credevano ancora nella dinastia dei Borboni di Napoli quale forza direttiva. I Borboni in esilio cercarono di accattivarsi ancora la simpatia del popolo col buono e con la forza. ( Ricorda il cardinale Ruffo con i Sanfedisti e Fra Diavolo, Michele Pezza, col brigantaggio).

I giacobini, che erano rappresentati in parte dai benestanti, professionisti, letterati ed artisti, tentarono di organizzare la società avviandola alle mete sognate dai martiri della Rivoluzione del 1799. Con questi sentimenti, con questi principi fu portata la lotta contro il brigantaggio nelle nostre contrade, brigantaggio che viene chiamato murattiano o pre-unitario. I briganti assoldati e spronati dai Borboni, commettevano ogni specie di soprusi contro i galantuomini sperando nel ritorno del vecchio regime. In una imboscata nel bosco di Civitacampomarano, per ricordare uno dei tanti episodi, fu ucciso un patriota giacobino il giorno 11 ottobre 1810, mentre tornava dalla fiera di Larino: Felice Colaneri di Trivento. L’autopsia fu eseguita da due medici civitesi : Michele De Marinis ed Amedeo Ferretti.

Civita era un centro giacobino e vi convergevano tutte le forze della zona (Lucito , Castelmauro, Castelbottaccio, Palata, Acquaviva) guidate dai Pepe di Civita e dai Neri di Acquaviva per fronteggiare l’attacco dei briganti.

Trivento invece, era uno dei centri più agguerriti dei briganti, che si nascondevano nel bosco così vasto e così denso.

Fulvio Quici, triventino, era il capo dei briganti della nostra zona. Si fa menzione anche di tre briganti civitesi, tra i quali un certo Giambattista D’Astolfo, appartenenti alla banda del Quici. Questi riuscì sempre con l’astuzia a sfuggire alle ricerche ed agli attacchi dei giacobini. Quando , alla caduta di Gioacchino Murat, fucilato a Pizzo Calabro, tornò a Napoli Ferdinando IV, al Quici, per i suoi meriti, fu assegnata dai Borboni una pensione a vita di 15 ducati mensili.

Caduto Murat, caddero le speranze dei giacobini e si ripiombò nella sottomissione ai Borboni,che sfruttavano l’alto senso di fedeltà delle nostre popolazioni, senza pensare ad educare e concedere loro quei sacrosanti diritti nel campo della proprietà, del sapere e della giustizia sociale. Si potrebbe dire che anche i giacobini erano attaccati al re e fino in fondo sperarono in lui, nelle sue riforme, e nella sua comprensione per le esigenze del popolo. Tutto e sempre fu promesso, ma tutto e sempre fu ritrattato, per cui, quando stavano per essere emanate e sancite leggi trasformatrici, si preferì alzare le forche o aprire le vie dell’esilio.

Nel 1815, dopo il Congresso di Vienna , ci fu la restaurazione, e Ferdinando IV tornò a Napoli col nome di Ferdinando I.

Nel luglio del 1820, con i moti capeggiati da Guglielmo Pepe (calabrese), Morelli e Silvati, si ha la Costituzione di Ferdinando I.

Nel Molise vengono eletti deputati al Parlamento Napoletano:

1) Gabriele Pepe di Civitacampomarano.

2) Nazario Colaneri (cugino di Gabriele) di Trivento nato l’ 11 aprile 1780, deceduto il 22 settembre 1864.

3) Amodio Ricciardi di Palata nato il 5 dicembre 1756, da Paolo e da Carunchio Diana e deceduto a Napoli il 2 agosto 1835.

4) Galanti Luigi Maria di Santa Croce del Sannio.

5) Rossi Giuseppe Nicola deputato supplente di Bagnoli Sul Trigno.

Interessante è il discorso tenuto da Nazario Colaneri alla Camera nella seduta del 30 ottobre 1820, in cui espone la triste situazione "di questa infelice provincia" :

" Signori, come deputato di quel Sannio, che fu veduto sempre rassegnato ai più dolorosi sacrifici, e fu sempre pagato con la vile moneta dell’ingratitudine, mi vedo obbligato ad implorare la vostra attenzione sul penoso racconto delle sciagure alle quali quella infelice provincia è esposta. Degnatevi di accogliere con patriottico interesse le mie rimostranze dettate dal desiderio che ho di preservare quella contrada dall’incendio anarchico che già divampa in più luoghi della provincia.

Dovrei sottomettere alla vostra considerazione i mali sofferti da quelle popolazioni onde mostrarvi quanto sono probabili e quanto saranno terribili quelli dai quali sono minacciati, ma la brevità del tempo me lo vieta. Mille rimostranze mi hanno fatto conoscere che la lunga amministrazione di costoro è stata una vera calamità per quella provincia anzi una pirateria armata contro quei cittadini. Onorevoli deputati della nazione, ascoltatemi. Non indugiate un solo istante ad acquistare dei titoli alla riconoscenza dei bravi Sanniti. Imponete la vostra mediazione e, facendo conoscere al governo lo stato deplorevole di quei popoli,impegnatelo alle pronte misure che da questi si reclamano cioè: 1)Nomina di un nuovo intendente.2)Nomina di un segretario generale dotato di energia e prudenza. 3)Destinazione fuori della provincia di un nuovo colonnello. 4)Esame dei conti della passata amministrazione da parte della deputazione provinciale ".

Il nostro Gabriele Pepe appoggiò la tesi del cugino, ma purtroppo, dopo la caduta della Costituzione si ricadde ancora nell’inerzia e nell’apatia.

Nel marzo del 1821 Ferdinando I revoca la Costituzione. Di ritorno dall’Austria, accompagnato da un esercito austriaco, il re sconfigge a Rieti gli insorti.Tra questi si trova Gabriele Pepe, che viene condannato all’esilio nella città di Brùnn in Moravia e vi rimane fino al marzo 1823. Il 24 marzo 1823 torna a Firenze e vi resta per tredici anni fino al 1836.

Il 27 gennaio 1848, dopo altra rivolta, Ferdinando II è costretto a concedere la Costituzione. Gabriele Pepe ancora una volta viene eletto al Parlamento napoletano quale deputato del Molise.

Intanto il 23 marzo 1848 nel Piemonte Carlo Alberto di Savoia dichiara guerra all’Austria e Ferdinando II invia in aiuto un piccolo esercito al comando del calabrese Guglielmo Pepe. In questa prima guerra d’indipendenza, a Curtatona e Montanara, si distinse e cadde da eroe alla testa dei suoi studenti universitari Leopoldo Pilla molisano di Venafro (1805-1848), sociologo professore all’università di Pisa. Con l’esercito era stato inviato dal Granducato di Toscana in aiuto di Carlo Alberto.

A Napoli il 12 febbraio1849 si ha ancora lo scioglimento del Parlamento. Gabriele Pepe torna scoraggiato ed addolorato a Civita dove muore il 26 luglio 1849.

Il Regno di Napoli ancora una volta viene meno ad un appuntamento importantissimo per l’Unità d’Italia.

I Longobardi di Benevento furono fermati dal Papato e da Carlo Magno. I Normanno-Svevi furono sopraffatti dagli Angioini, che non permisero l’evoluzione del Meridione, facendolo rimanere nel più nero Medioevo.

I Borboni non vollero e non seppero comprendere i grandi spiriti, che illuminarono il loro regno, ma preferirono sempre la repressione (feste, farina e forca) e l’ignoranza del popolo. A loro non fu più concesso di rimanere sul trono di Napoli. L’iniziativa fu presa dai Savoia, che seppero realizzare l’unità d’Italia sotto la guida scaltra e sapiente di Camillo Benso Conte di Cavour, mentre il re delle Due Sicilie Ferdinando II moriva nel maggio del 1859 lasciando sul trono l’austriacante Francesco II.

La nascente Italia conduceva la sua seconda guerra d’indipendenza con l’aiuto di Napoleone III fino al detestato armistizio di Villafranca 8 luglio 1859. Il 7 settembre 1859 Garibaldi da Marsala arriva a Napoli.

Il 5 maggio 1860 il re Vittorio Emanuele II discende col suo esercito piemontese nel sud; sosta a Venafro e riceve la deputazione del Molise, guidata dal governatore Nicola De Luca, e le deputazioni di Larino e Venafro.

Il 26 ottobre 1860, poco lontano dall’attuale stazione ferroviaria Caianello-Vairano, nella masseria "Taverna Catena", e precisamente nella frazione di Vairano:"Patenora", Giuseppe Garibaldi dona a Vittorio Emanuele II il Regno delle Due Sicilie e si ritira a Caprera,dopo le imprese della "spedizione dei Mille " nell’Italia Meridionale.

 Indice I parte

 

L’ ORGANIZZAZIONE POLITICA , AMMINISTRATIVA E GIURIDICA DEL MOLISE DOPO L’ UNITA’ D’ITALIA.

GUARDIA NAZIONALE E BRIGANTAGGIO NEL MANDAMENTO DI CIVITACAMPOMARANO

 

Nel febbraio del 1861 si riunisce a Torino il primo Parlamento Nazionale.

Il 14 marzo 1861 Vittorio Emanuele viene proclamato primo re d’ Italia.

Nel Molise si applicano gli stessi ordinamenti del Piemonte.

1- Ordinamento amministrativo. Nella provincia il prefetto rappresenta

il potere esecutivo dello stato e presiede : a) il consiglio di prefettura

b) il consiglio provinciale ; c) la deputazione provinciale ; d) la giunta

provinciale amministrativa.

I circondari sono retti da vice - prefetti. Nei comuni ci sono : il sindaco, il

consiglio comunale e la giunta municipale.

2- Ordinamento giudiziario : a) corte di cassazione ; b) corte d’ appello ;

c) corte d’ assise ; d) tribunali civili e penali :a Campobasso e ad Isernia

il 17 febbraio 1861; Larino ottiene il tribunale nel 1872 ; e) preture n° 30.

Il Molise dipendeva dalla corte d’appello di Napoli.

3- Ordinamento fiscale. Nel 1869 furono istituiti : a) le intendenze di finanza

rette dall’ intendente con sede nel capoluogo di provincia ; b) gli uffici

di registro si trovavano nei rispettivi capoluoghi di mandamento.Quello

di Civita, del circondario di Larino , comprendeva anche i comuni del

mandamento di Montefalcone.

4- La provincia del Molise è formata: a) da 134 comuni e 3 circondari:

Campobasso , Isernia e Larino. b) Civitacampomarano rientra in

quello di Larino con 2761 abitanti. c) Civita è uno dei nove mandamenti

amministrativi del circondario di Larino. d) Civita rientra anche nei 28

mandamenti giuridici del Molise.

I Borboni facevano ancora leva sull’ attaccamento e la fedeltà delle nostre popolazioni per spingerle alla ribellione. L’ Italia era ormai fatta, ma bisognava ancora consolidarla.

Riaffiora il brigantaggio, detto post - unitario, anche nelle nostre contrade. Come non ricordare le morti, i massacri della nostra povera gente spinta alla reazione ed alla difesa per mancanza di informazione, sorpresa dai cambiamenti, irritata dagli eccessi dei nuovi conquistatori? L’ Italia nasceva da noi con spargimento di sangue fraterno con la guerriglia tra i così detti briganti, contro i molisani della guardia nazionale ed i piemontesi, che avevano il compito di consolidare la conquista del Meridione. Con la morte di tanti figli innocenti del Molise finì pure la fellonia dei re di Napoli. Fra queste reazioni, guidate da Francesco Farano, vi furono anche quelle di Montecilfone e di Palata . Gli scontri finivano sempre con massacri e fucilazioni. Quanto sangue, quanti dolori e quanti soprusi, che si potevano evitare, se ci fosse stata una maggior comprensione e conoscenza dei bisogni, degli usi, dei costumi, della mentalità della gente della nostra regione!... Invece dovemmo subire metodi veramente crudeli!...

In questo periodo storico si acuì il dissidio, già iniziato sotto G. Murat, tra borghesia, fatta di proprietari e professionisti speranzosi di trasformare una società feudale in una più libera e più giusta, e la classe dei contadini più attaccati alla tradizione e quindi più solidali coi briganti e con la vecchia classe dirigente. Tragica incomprensione! Sono capitoli della storia, che ci dovrebbero tanto insegnare, ma purtroppo vediamo che si ripetono, come se non fossimo capaci di trarre ammaestramenti da tanti dolori e da tante follie. Per l’unità nazionale necessita rispettare la mentalità delle diverse regioni, comprendere le manchevolezze, ammirare le virtù, incoraggiare le buone inclinazioni, soccorrere i bisogni morali e materiali, sentirsi fratelli senza presunzioni di superiorità di classi economiche e sociali. La reciproca collaborazione ci rende più sicuri, più uniti, più fattivi col benessere di tutti. Il solco fra contadini e borghesia continuò a farsi sentire anche dopo la raggiunta indipendenza. La classe contadina dei nostri paesi rimase fuori dal possedimento delle terre, accaparrate nella maggior parte dalla borghesia nella disgregazione della feudalità e dei suoi feudi.

Con legge del 4 - 8 - 1861 c’era stato il riordine su base militare della Guardia Nazionale, che si era distinta nella lotta al brigantaggio. Nella provincia di Molise, con popolazione di 306.007 abitanti, la Guardia Nazionale era costituita da 24.420 unità. Anche a Civita, che, nel censimento 1861 -1862, aveva una popolazione di 2.761 abitanti la Guardia Nazionale risultava così formata : attivi n°175 ; riserva n°23 ; mobilitabili n°18 ; fucili n°34 .

Nella nostra zona il contributo della Guardia Nazionale per la repressione del brigantaggio si evidenziò: nei fatti di Montefalcone il 12 luglio 1861; nei fatti di Montecilfone il 9 luglio 1861 ; nei fatti di Palata ed Acquaviva il 19 luglio 1861 ; di Castelluccio Acquaborrana il 19 agosto 1861.

Le successive notizie le prendo da " Molise dal 1789 al 1900 " di Giovanni Zarrilli, estratte dai " processi politici di Campobasso ".

" Nel luglio 1861 viene sorpreso dalla guardia nazionale di Castelluccio Acquaborrana un modesto proprietario terriero Giacinto Trivisonno, il quale aveva assoldato una cinquantina di contadini per recarsi in aiuto del brigante Farano, che aveva la sua base politica in Montefalcone. Della banda faceva parte anche un tal D’Astolfo. Questi, arrestato, fu portato a Civita, ove il 18 agosto 1861 fu interrogato da Carlo Severino giudice di circondario. Riportiamo le parti più salienti del suo interrogatorio. Afferma dunque il D’Astolfo di essersi recato, sotto la guida del Trivisonno insieme ad altri contadini, il 13 luglio 1861 a Montecilfone, ove si trattenne per alcuni giorni con la banda Farano. Il 14 luglio, in meno di trecento, non tutti armati, si recarono ad assalire Acquaviva Colle Croci, ed essendo stati respinti, entrarono in Castelluccio Acquaborrana ed il giorno 15 invasero Montefalcone, Ripalta e San Felice. In Castelluccio tutta la popolazione andò incontro agli insorti con quadri di Francesco II. Il Farano con la compagnia degli Albanesi si recò di casa in casa per farsi consegnare del denaro. Il 16 luglio la banda fu dispersa dalle truppe piemontesi ed il D’Astolfo con altri briganti si diressero verso Civita, dove fu arrestato. Vennero successivamente arrestati a Civita e nei comuni vicini altri componenti della banda Farano come Vincenzo Malatesta, Felice Giuliano, Luigi Ricciuti, Carlo Capone arruolati dal Trivisonno ".

Di rilievo l’interrogatorio del Capone per capire la situazione esistente in alcune zone del Molise in questo primo anno dell’unificazione.

Deposizione del Capone : " Altobelli faceva istanza perchè la banda fosse venuta ad occupare Civita. Farano osservò che bisognava fare altro itinerario e propriamente: Guardia, Lupara, Castelluccio, Lucito, e quindi Civita......... . Dopo qualche giorno fu arrestato e messo in carcere; ma non vi ho colpa, perchè non vi andai di spontanea volontà, nè feci cosa alcuna di criminoso. Giuseppe Altobelli, che ci aveva colà condotti venne fucilato. Don Giacinto Trivisonno, che era il capo arruolatore, fu arrestato in Guglionesi, perchè, secondo intesi dire, partì anch’egli la mattina seguente per Montecilfone....... ."

Eguale versione dei fatti dettero altri briganti, i quali caduti nelle mani delle guardie nazionali, furono interrogati dal giudice di Larino. L’istruttoria fu lunga e complessa e nell’aprile 1863 la corte d’Assise di Campobasso iniziò il processo contro Giacinto Trivisonno, Felice Giuliano, Carlo Capone, Michele Di Tomasso tutti da Civitacampomarano accusati : "di attentato che ha per oggetto di cangiare o distruggere la forma di governo, o di eccitare i regnicoli, o gli abitanti ad armarsi contro i poteri dello stato e di attentato che ha per oggetto di suscitare la guerra civile tra i regnicoli e gli abitanti dello stato inducendoli ad armarsi gli uni contro gli altri, oppure di portare la devastazione, la strage ed il saccheggio in uno o più comuni dello stato o contro una classe di persone."

"Per il solo Giacinto Trivisonno l’acccusa fu di formazione di banda armata, all’oggetto di commettere alcuni dei crimini menzionati negli art. 153 - 154 -156 -157. Nonchè Michele Di Tomasso con l’accusa di complicità negli omicidi volontari di due galantuomini di Ripalta consumati come mezzo e conseguenza immediata del reato di ribellione."

Il dottor Giacinto Trivisonno era un medico, piccolo proprietario terriero, un borghese, di quelli però che erano convinti della buona causa dei Borboni, e che, per mantenersi amici i contadini, promettevano loro la concessione delle terre, mentre all’opposizione militavano altri borghesi, proprietari terrieri, anti borbonici, che erano protetti dalle truppe piemontesi di Vittorio Emanuele II.

A questo punto penso che sia doveroso, a distanza di tempo, riabilitare questi nostri concittadini travolti da un uragano superiore alle loro forze, in un bivio storico, nel quale non ebbero il tempo di orientarsi per mancanza di informazione e di cultura politica. Non ebbero nessuna colpa se si orientarono e lottarono per i Borboni, anche se poi gli avvenimenti storici non furono loro favorevoli.

Il 6 - 8 - 1861 viene emanata la legge Giuseppe Pica e pubblicata il 15 - 8 - 1863, riguardante il brigantaggio post - unitario. Tra le sentenze del tribunale di guerra della provincia del Molise vi è una veramente curiosa riguardante altri due poveri e sprovveduti civitesi.

" Sentenza del 7 novembre 1863 contro: a) Saetta Baldassarre di Civitacampomarano di anni quaranta pecoraro detenuto ; b) Cicchini Liberatore di Civitacampomarano di anni quaranta contadino detenuto. Entrambi accusati di somministrazione mancata di aiuto ai briganti. Il Saetta nella notte del 14 luglio 1863 si recò nella difesa del comune di Montecilfone, ove si riteneva si trovassero i briganti, con il fine di consegnare ai medesimi tre mezzetti di avena inviato loro dal Cecchini con il proprio somaro,quale pagamento del riscatto impostogli quando era stato rimesso in libertà dai briganti, che lo avevano sequestrato. Gli imputati, entrambi arrestati dalla Guardia Nazionale di Montecilfone vennero condannati a dieci anni di lavori forzati, all’interdizione dai pubblici uffici, al pagamento delle spese processuali ed alla confisca del somaro e della biada sequestrati. "

Quante ingiustizie si commettono in nome della libertà !..... Questi due onesti cittadini civitesi furono, ironia della sorte, vittime sia dei briganti che della legge!.... .

Nonostante gli episodi desunti dalle su riportate sentenze si può affermare che a Civita non si manifestò in modo acuto il dissidio fra contadini e borghesia, anche perchè non c’era la materia a contendere, cioè la grande proprietà terriera come nel Basso Molise.

Nella nostra comunità invece c’è stata comprensione e collaborazione tra i diversi strati sociali. Le persone più colte non hanno mai disdegnato di insegnare ed illuminare la gente nel campo religioso, letterario, agricolo. Come non ricordare don Attanasio Tozzi, don Domenico D’Astolfo, il gesuita padre Francesco Maria Pepe, la scuola agraria di Raffaele Pepe e quella letteraria di Giuseppe Nicola D’Ascanio ?

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PRIMA LEGISLATURA DOPO L’UNITA’ D’ITALIA - PRIMA GUERRA MONDIALE - FASCISMO - SECONDA GUERRA MONDIALE

 

Per le elezioni del 1861 il Molise fu diviso, per decreto Farina 1861, in otto collegi. Civita era compresa in quello di Palata e venne eletto deputato il 27gennaio 1861 Liborio Romano, ma, avendo questi optato per Tricase, ci furono altre elezioni, in cui Di Martino Giuseppe riportò voti 142 e Pepe Marcello 82. Nel ballottaggio invece, Di Martino ebbe voti 188, mentre Pepe ebbe voti 156. Di Martino Giuseppe era un valente chirurgo napoletano, amico di Silvio Spaventa, di Luigi Settembrini e di Angelo De Meis di Bucchianico (CH).

Per il Parlamento sub-alpino Piemontese era l’ ottava legislatura, mentre per quello nazionale era la prima.

Nel Parlamento dell’Italia risorta Civita ebbe l’onore di avere per cinque legislature consecutive (1866 -1882), quale deputato nel Collegio di Palata, l’on. Marecello Pepe. Per dieci anni diede al paese l’apporto del suo ingegno specie nel campo agricolo ed artistico, sostenuto dall’affetto e dalla stima dei suoi concittadini. Durante la legislatura dell’onorevole Pepe si ebbero avvenimenti importanti, ai quali i civitesi parteciparono edotti ed illuminati dal loro rappresentante.

Nel giugno del 1866 scoppia la guerra tra Prussia ed Austria. Il 20 giugno 1866 interviene anche l’Italia ed ottiene, tramite Napoleone III, il Veneto.

Il 20 ottobre 1870 il generale Raffaele Cadorna entra a Roma tramite "la breccia di Porta Pia". Papa Pio IX si rinchiude nei palazzi vaticani e si ritiene "un prigioniero". Il 30 giugno 1871 Roma diviene la capitale d’Italia .

Sempre nel 1871 si ha la regione Abruzzo e Molise con la provincia di Campobasso e con tre circondari: Campobasso, Larino,e Isernia.

Dopo la morte di Cavour 1861, la destra ( Ricasoli, Minghetti e Sella) tiene il potere fino al 1876, mentre la sinistra con Depretis, Crispi e Giolitti rimane al potere fino al 1914.

Con la legge del 22 - 1 -1882 e quella del 7 - 5 -1885 furono introdotte le elezioni per scrutinio di lista, gli elettori dovevano avere ventuno anni e contemporaneamente furono aboliti i titoli di censo e di cultura.

Nel collegio di Palata il 29 ottobre 1882 per la quindicesima legislatura fu eletto deputato Giovanni Quarto di Belgioioso che fu rieletto deputato per le seguenti legislature: XVI (1886); XVII (1890); XVIII (1892); XIX (1895); XX (1897). Alla sua morte fu eletto l’on. Giuseppe Leone.

Dal 1915 al 1918 si combattè la prima guerra mondiale, che si concluse il 4 novembre 1918 con la vittoria di Vittorio Veneto e con seicentomila morti. Anche Civita diede il suo contributo di sangue e di valore con ventotto morti, che volle ricordare sul marmo in data 1920.

I NOMI DEI SUOI FIGLI DILETTI CADUTI NELLA GUERRA 1915- 1918

CIVITA VOLLE INCISI SUL MARMO PER MEMORIA ED ESEMPIO.

S. Ten. Pepe Carlo fu Carlo Aberto

Altobelli Fortunato fu Pasquale

Caprara Felice fu Dario

Caprara Giuseppe fu Francesco

Caprara Nicola fu Michele

Cataneo Giovanni fu Nicola-Maria

Cieri Antonio di Francesco

Colonna Alessandro di Giuseppe

D’Addario Angelo Maria di Francesco

D’Astolfo Vincenzo di Antonio

De Blasiis Donato fu Vincenzo

De Marinis Giuseppe

Di Ninno Nicola fu Antonio

Di Ninno Nicola fu Gino

Di Paolo Antonio di Raffaele

Di Paolo Nicola di Dionisio

Ferretti Raffaele di Leonardo

Franceschelli Raffaele di Francesco

Gabriele Antonio di Giuseppe

Gianfelice Antonio di Gino

Gianfelice Felice fu Pasquale

Tozzi Antonio fu Giosuè

Violi Angelo di Nicola

MCMXX P. PIZZUTO fece Lucito

Nel 1921 Benito Mussolini fonda il partito fascista. Il 1924 è l’anno dell’assassinio di Matteotti e il fascismo si consolida nel paese.

"La vita del Molise", giornale diretto da un illustre oriundo civitese, il dott. Giulio Colesanti, figlio dell’avvocato Enrico e della signora Elisa Pepe, sorella di Gian Battista, che erano emigrati a Larino, porta una battaglia coraggiosa contro il fascismo. Nelle elezioni la lista fascista ebbe un suffragio dell’89%, mentre nella lista di opposiozione c’è Giulio Colesanti con Presutti. Queste elezioni non andarono così lisce come si voleva far credere al popolo. Infatti il nostro coraggioso Giulio Colesanti,in una lettera a Michele Romano, eletto deputato nella lista fascista, cosi scriveva:

" Noi dovremmo non soltanto accettare il fatto compiuto, ma anche accettare e ratificare le intimidazioni, le sopraffazioni, le frodi e tutte le più sfacciate violazioni della legge; ratificare e consacrare col nostro silenzio questi sistemi elettorali e farvi quindi ritenere autorizzati a valervene in ogni altra occasione. Dovremmo dire a quei contadini, i quali vengono a raccontarci stupefatti ed indignati quello che hanno visto ed udito e ci domandano se è poi possibile che dei magistrati, dei galantuomini abbiano potuto fare quello che hanno fatto, cioè permettere e permettersi una così audace falsificazione della volontà degli elettori, una così aperta violazione della segretezza e quindi della libertà di voto; a questi contadini dovremmo dire quello che avete visto ed udito non è vero":

Anche a Civita dai notiziari dell’epoca si trasmise che le elezioni si erano svolte con una data regolarità, come pure a Castelmauro, Gildone ecc....

Dopo la morte di Matteotti, Colesanti con le opposizioni propone la formazione di un comitato provinciale con rappresentanza di tutti i partiti (popolare, socialista ecc...).

"La vita del Molise" si oppone ancora al decreto limitativo della libertà di stampa e Colesanti afferma che "il decreto è stato emanato solo nell’interesse del fascismo". Colesanti ribadisce ancora il pensiero di Matteotti domandandosi:"quali giorni il fascismo prepari all’ Italia, con l’affanno di chi (Matteotti e democratici) non vuol venire meno a quei principi di civiltà, cui crede, e nei quali vorrebbe vivesse l’ Italia":

Quanto Giulio Colesanti ribadiva si avverò, perchè il fascismo, con i suoi ventun anni di regime, ci condusse alla seconda guerra mondiale ed alla disfatta finale. Le idee paranoiche di grandezza e di superiorità di razza ci spinsero alla prevaricazione e alla soppressione degli altri con le armi e con la complicità dei campi di sterminio.

Si sfocia così nella seconda guerra mondiale il 3 settembre 1939.

L’Italia inutilmente dichiarò "la sua non belligeranza", perchè fu travolta nel grande conflitto. L’Asse Roma-Berlino, dopo le iniziali conquiste, che fecero tremare il mondo intero, ebbe il tracollo quando nel conflitto intervenne l’ America. E’ inutile ricordare qui tutti quegli eventi, che causarono tanti lutti, tante rovine materiali e spirituali.

Anche l’Italia dovette subire i disastri della ritirata tedesca e della occupazione alleata. La nostra provincia cominciò ad essere interessata dopo lo sbarco di Salerno degli alleati l’8 settembre 1943.

Un manifesto del generale Kesselring, che comandava le forze tedesche, ci avvisava di non opporre la minima resistenza alle truppe in ritirata, sotto pena di morte per fucilazione. Così vedemmo il passaggio delle truppe corazzate, delle truppe regolari e dei guastatori, che erano i padroni assoluti. Fummo costretti a fuggire per le campagne, rifugiarci nelle masserie dei nostri contadini, vedemmo e sentimmo il passaggio continuo ed assordante delle fortezze volanti, il mitragliamento dei caccia, lo scoppio delle mine, il crollo dei ponti, la devastazione delle nostre case. Alcune di queste furono anche colpite e distrutte dallo scoppio degli obici delle opposte artiglierie e delle mine. L’esercito italiano, privo di ogni comando, si sfascia. Il governo Badoglio, composto dopo l’arresto di Mussolini (25 luglio 1943 ), si trasferisce a Salerno con lo sbarco degli alleati.

Mussolini viene liberato dai tedeschi sul Gran Sasso e crea al nord la Repubblica di Salò. Inizia così, specie nel nord d’Italia, la guerra civile tra fascisti e partigiani.

Nei mesi di settembre e di ottobre del 1943, come ho già detto, fummo costretti a fuggire per le campagne nascondendoci ed evitando le angherie dei tedeschi, che si ritiravano e sottrarci così a qualsiasi pericolo che poteva sorgere, incontrandoci con questi soldati abbrutiti ed inferociti.

Furono due mesi, per noi civitesi, pieni di paura, in cui però ci sentimmo veramente uniti ,per il pericolo che incombeva su di noi e sulle nostre famiglie. Ogni cittadino si sentì fratello dell’altro, non vi era più distinzione di ceto, ognuno aprì le porte del proprio cuore e si mise a disposizione degli altri. Così , sotto l’incombente comune pericolo, si videro esempi di abnegazione e di completa disponibilità. La mattina si usciva ben presto dalle masserie per andare a nascondere e per sistemare gli animali

( cavalli, asini, vacche, pecore ecc. ) nei posti più reconditi, e sottrarli così dalla vista dei tedeschi, che altrimenti se ne sarebbero impossessati.

Fu un periodo che rinsaldò le nostre parentele, le nostre amicizie ed il legame di concittadini. Dopo il passaggio dei tedeschi, quando rientrammo nelle nostre case, trovammo disordine, furti, devastazioni e crolli. Tutto però sembrò secondario di fronte a quei giorni terribili, nei quali dovemmo fuggire e nasconderci per le campagne con la continua paura di essere presi, deportati o uccisi. Fortuna che quel periodo passò presto e l’inverno non ci incolse in quelle condizioni !

La seconda guerra mondiale terminò con la sconfitta della Germania e dell’Italia. Si concluse il 9 febbraio 1945 con la Conferenza di Yalta tra Russia, Stati Uniti ed Inghilterra.

Il 1 settembre 1945 il Giappone, sotto l’effetto distruttivo delle bombe atomiche, sganciate dagli americani su Hiroscima e Nagasaki, capitolò.

Alla fine della seconda guerra mondiale Civita si trovò con diciotto cittadini in meno caduti sui campi di battaglia. I loro nomi sono ricordati, con riconoscenza di tutta la popolazione, su una lapide di marmo in Piazza Municipio datata 24 maggio 1981

CIVITACAMPOMARANO

PONE A RICORDO DEI SUOI CADUTI

NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Soldato Altobelli Luigi

" Capone Celestino

" Carelli Michele

" Carosella Raimondo

" Carosella Silvino

" Cianfagna Vincenzo

Sergente D’Addario Felice

Soldato De Blasiis Giuseppe

" De Matteis Ostilio

" Di Paolo Giovanni

" Di Paolo Mario

" Di Poto Amelio

" Di Tommaso Eugenio

" Giuliano Michele

" Niro Antonio

Ten. Col. Pepe Gabriele

Soldato Ricciuti Giovanni

" Ricciuti Michele

CIVITA 25 - 4 - 1981

Inoltre come non ricordare i quattro innocenti giovinetti, che, nel pomeriggio del novembre 1943, giocando inconsciamente con una mina, furono sottratti all’affetto dei loro cari e dei loro concittadini ?

Di Paolo Antonio di Giovanni

Di Paolo Mario di Giuseppe

Cieri Michele di Nicola

Cianfagna Giuseppe di Serafino

Li ricordiamo ancora col pianto e con la più grande commozione.

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REPUBBLICA - DEMOCRAZIA E REGIONE MOLISE

 

Da questo grande sacrificio della nostra gente, da questi dolori con la volontà di risalire la china, ha inizio la nostra democrazia.

Con le emigrazioni del 1951 - 1961 - 1971 ancora una volta i nostri concittadini dovettero dare il loro contributo per la ricostruzione dell’Italia e dell’Europa. Così vedemmo tanti giovani andare nelle Americhe ( Stati Uniti, Brasile, Argentina, Venezuela ) ; nelle miniere del Belgio, della Francia, della Germania e della Svizzera. Non furono risparmiati da malattie professionali ( silicosi, andracosi, tubercolosi ), che li resero inabili, e qualcuno lasciò anche la vita in quelle miniere. Le rimesse dall’estero hanno contribuito a risollevare la situazione economica familiare e nazionale. A loro vada il nostro " grazie ". A distanza di tempo è commovente vederli tornare sistemati economicamente e socialmente. Si sono fatti veramente onore mostrando al mondo intero la loro intelligenza, laboriosità ed il loro spirito di sacrificio.

Col sopraggiungere del consumismo, dopo la seconda guerra mondiale, si sono viste nuove classi sociali : ricchi divenuti poveri ;poveri divenuti ricchi ;

ricchi che sono riusciti a mantenere le loro posizioni ; poveri che son divenuti più poveri. Tra questi ultimi bisogna annoverare anche i deboli, i malati, i vecchi, l’infanzia abbandonata, le vittime della corruzione, della droga e della delinquenza. Le attenzioni dei governi vengono rivolte alle classi più turbolenti, più numerose, più forti e più influenti, mentre si trascurano quelli che non sanno far valere i propri diritti. In questo modo si ricreano i vecchi dissidi, i vecchi rancori, che apparentemente vengono celati dal benessere della maggioranza e dal consumismo.

I ricorsi storici si ripetono: scontri tra patrizi e plebei, tra feudatari e vassalli, tra nobili e borghesia, tra borghesia e contadini, tra i nuovi ricchi e i nuovi poveri. Perchè?.... Prevalgono sempre l’egoismo, l’indifferenza, la prevaricazione, la corruzione, l’inganno, la pretesa dei diritti e l’inosservanza dei doveri, senza lo spirito della collaborazione, della comprensione e, perchè no, dell’altruismo fattori fondamentali per la pace delle nostre famiglie e delle nazioni. I sacrifici compiuti dalla nostra gente nelle guerre, nelle emigrazioni non vanno dispersi con teorie egoistiche e separatistiche, ma convogliate verso una democrazia sana, che deve sollevare equamente il nostro popolo nel campo agricolo, commerciale, industriale, professionale e della ricerca.

Il Molise potrebbe divenire una regione pilota in tutti i campi , perchè non mancano le doti necessarie, che dovrebbero essere affermate con determinazione, coraggio e opere concrete per dare esempio a tutta la nazione ed alla nascente Europa unita.

A questo punto come non trarre gli auspici dal comportamento coraggioso, intelligente ed onesto di un magistrato molisano già impegnato a Milano nell’inchiesta delle " Mani pulite?"

Il 1 febbraio 1945 viene concesso per la prima volta il voto alle donne italiane.

Con il referendum del 2 giugno 1946 gli italiani lasciarono la monarchia sabauda ed optarono per la Repubblica e viene eletta l’Assemblea Costituente il 26 giugno 1946.

La Costituzione fu approvata il 22 giugno 1947 ed entrò in vigore il 1 gennaio 1948.

Alla fine della seconda guerra mondiale si crearono due blocchi :

a) Nel 1949 si ha il Patto Atlantico (Nato) con Stati Uniti,Canadà, Turchia, Inghilterra, Francia, Belgio,Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Irlanda, Norvegia, Portogallo, Grecia, Germania Occidentale, Italia.

b) Nel 1955 si ha il Patto di Varsavia con Unione Sovietica e paesi satelliti:Romania, Bulgaria, Albania, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Germania Orientale.

La tensione tra questi due blocchi aveva prodotto la così detta "guerra fredda".

Passato il periodo fascista, con la conseguente sconfitta militare, ci svegliammo dal sonno e potemmo constatare la realtà con rabbia ed amarezza. Alla sconfitta seguì la ricostruzione da tante macerie materiali e morali. Scartata la concezione monistica dello stato autoritario e totalitario, accantonata quella atomistica (individuale) dello stato liberale, anche la cittadinanza civitese preferì nella scelta una società pluralistica.

"Lo Stato non ha un fine in se stesso, ma ha come fine la persona umana con i suoi fini inviolabili": (G.Luzzatti)

Il crollo del muro di Berlino ( 1989 - 1990) e del regime comunista ha sancito il tramonto dei sistemi totalitari e l’avvento di tempi nuovi.

Con legge del 27 -12 -1963 il Molise diviene la ventesima regione d’Italia, staccandosi dall’Abruzzo, al quale era stato unito nel 1871. Il 22 novembre 1970 Isernia diviene la seconda provincia del Molise. Il 14 agosto 1982 anche il Molise ha la sua Università degli Studi. Attualmente esistono le facoltà di Economia; di Agraria; di Giurisprudenza e corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria. Il 7 maggio 1986 Campobasso ha la Corte d’Appello autonoma con Primo Presidente di Corte d’Appello il dott. Nicola Moscato e come Procuratore Generale il dott. Beniamino Fagnani di Trivento.

Inoltre verrà istituito nella regione Molise, precisamente a Campobasso "un centro di alta tecnologia di Scienze Biometriche : oncologia, medicina e chirurgia con relativi settori di ricerca, di clinica e d’insegnamento", gestito e presieduto dalla facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma a favore delle regioni Molise, Abruzzo, Campania. Per l’inizio dei lavori di costruzione di questo centro, nell’anno 1995 si è avuto l’onore della visita di Sua Santità Giovanni Paolo II,che, oltre Campobasso, ha visitato Agnone, Isernia ed il santuario di Castel Petroso.

Si può affermare che dopo il secondo conflitto mondiale la situazione socio-economica del Molise è andata gradualmente migliorando. La costituzione della regione ha offerto ai molisani la possibilità di esprimersi in tutti i campi con maggiore autonomia e di inserirsi nel progresso nazionale.

Sono stati fattori determinanti di questa evoluzione: la costruzione della rete viaria ( Bifernina e Trignina); l’approvvigionamento idrico (acquedotto molisano coi rami destro e sinistro); una idonea e moderna rete telefonica, elettrica e televisiva; la metanizzazione della regione; la Fiat di Termoli; le industrie di Boiano ed Isernia; i diversi invasi per la raccolta delle acque con dighe gigantesche come quella del Liscione nel tratto del Biferno sotto Guardialfiera. Queste innovazioni nelle diverse zone della regione hanno però scardinata l’abituale organizzazione della popolazione nei diversi comuni con la formazione " di aree più forti " come Campobasso, Termoli, Boiano, Isernia, e " di aree più deboli " , con lo spopolamento dei paesi più interni e con l’immiserimento conseguente, secondo gli studi dell’Università di Perugia.

In queste aree più deboli rientra Civitacampomarano, che, sempre secondo un interessante studio dell’Università di Perugia, tra il 1861 e il 1981 è diminuita di circa duemila abitanti. (1861 ab.2761; 1871 ab.2711; 1881 ab. 2702; 1901 ab, 2471; 1911 ab.2434; 1921 ab. 2354; 1931 ab.2048; 1951 ab.1733; 1961 ab.1360; 1971 ab.1152; 1981ab.990).

Certamente a questa degradazione del nostro territorio e diminuzione della nostra popolazione, nonostante le innovazioni e le trasformazioni arrecate dal progresso sociale e tecnologico, si è giunti anche per la posizione interna, per la natura argillosa e franosa, per le crescenti difficoltà viarie ed economiche, per cui i cittadini sono stati costretti ad emigrare e trovare altrove la loro sopravvivenza.

Per ricostruire il tessuto sociale, specie della classe contadina, artigianale e dei professionisti, è necessaria una stretta collaborazione per poter ridare alla comunità numero, prosperità ed organizzazione con conseguente produzione di benessere e di progresso.

Per evidenziare l’importanza della collaborazione e la necessità dell’impegno comune per la ristrutturazione di queste aree più deboli, mi piace annotare le interessanti conclusioni degli studi del Prof. Robert D. Hputnam della Università Harvard degli Stati Uniti sulla efficienza delle regioni italiane dopo venti anni (1970 -1990) di esperimento regionale, che è quasi unico al mondo. Questi studi mettono in evidenza la minore efficienza delle regioni meridionali in confronto a quelle del centro- nord d’Italia. In testa alla classifica ci sono l’Emilia-Romagna e l’Umbria, mentre il Molise occupa il quattordicesimo posto su venti regioni italiane. In questa classifica si nota che l’efficienza non è in rapporto alla ricchezza delle regioni, ma a quella, che l’autore chiama "tradizione civica". Questa è in stretto rapporto alla organizzazione che le nostre regioni hanno avuto nelle epoche passate, e che ha influito, nel corso dei secoli sul loro sviluppo civico. Le regioni meridionali hanno risentito dei passati regimi di governo (longobardo, normanno, angioino, borbonico),nei quali non erano ammesse la collaborazione e la cooperazione tra i cittadini e le istituzioni, perchè tutto dipendeva dal potere centrale, mentre la vita nei comuni era ridotta al minimo.

Da qui è derivata la tendenza "al clientelismo", cioè al dipendere da altri, al non agire con le proprie opinioni o con quelle che scaturiscono dalle assemblee cittadine. Purtroppo il Molise nella classifica del clientelismo occupa il secondo posto tra le regioni d’Italia. Questa è una qualifica da estirpare a tutti i costi, perchè con il clientelismo non c’e progresso. Demandare agli altri quello che tocca fare a noi vuol dire rinunziare a se stessi e alle proprie capacità. Nel centro-nord, durante il medioevo,lo sviluppo dei comuni, delle signorie e delle repubbliche spinse i cittadini ad una maggiore collaborazione e di conseguenza ad un maggior senso civico. Questi risultati ci insegnano di emulare le regioni, che nel corso dei secoli hanno potuto, per motivi storici e politici, maggiormente sviluppare questa tradizione civica, senza chiuderci in noi stessi, ma collaborando tra le diverse classi sociali nell’ambito dei comuni, delle regioni e delle nazioni per la costruzione di un mondo migliore.

Nel 1999 si compirà il secondo centenario della Rivoluzione Napoletana. Allora il Cuoco ebbe a dire che" le idee vedute dai patrioti e quelle del popolo non erano le stesse, essi avevano diverse idee, diversi costumi e financo due lingue diverse".

Quelle morti, quegli esili, quelle galere sofferti nell’alba tragica della nostra indipendenza e della nostra unità nazionale sono stati veramente inutili, se oggi , a distanza di due secoli, il nostro popolo, con l’esperienza della prima Repubblica, ha dovuto subire ancora tradimenti, soprusi, ruberie, ignobili attentati alle sue istituzioni, specie da parte di coloro che dovevono essere i più gelosi custodi?

E’ da augurarsi che nella seconda Repubblica, che sta per sorgere, emergano uomini nuovi simili a quelli del 1799, in modo che le vedute dei patrioti e quelle del popolo siano le stesse in una vera democrazia con l’affermazione, sì dei propri diritti,ma anche con l’osservanza dei propri doveri. Solo così si può realizzare la seconda Repubblica e quella società sognata dal Cuoco, dove i cittadini sappiano sempre conciliare le proprie idee con quelle degli altri ed agire per il bene comune.

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APPENDICE

 

Come già si è detto il nome di Civitacampomarano è derivato da "Civitas Campi Marani", ma nelle diverse epoche storiche compare scritto in modo diverso nelle cartine geografiche.

A) Molte volte non compare per niente, mentre risultano i paesi confinanti.

B) Si trova scritto Civitacampomarano per intero:

1) nella cartina delle " Diocesi del Molise nel Trecento " di Padre Serra -

Vaticano - Ediz. 1936

2) nell’ Atlante Geografico d’ Italia di A. Zaccagni - Orlandini - Firenze -

Ediz. 1844 risulta capoluogo di circondario.

3) nella cartina della provincia di Campobasso ad uso scolastico di

C. Vitulli - Ediz. Napoli 1888.

Negli ovali che circondano la cartina sono riportati i nomi degli uomini

più illustri della provincia e qui trascrivo quelli che più ci interessano :

Pepe Carlo : poeta di Civitacampomarano ( 1750 - 1849 ).

Pepe Gabriele : storico di Civitacampomarano ( 1779 - 1849 ).

Pepe Raffaele : filosofo di Civitacampomarano ( 1773 - 1854).

Colaneri Nazario : avvocato di Trivento ( 1780 - 1864 ).

Coco Michele : avvocato di Civitacampomarano ( 1776 - 1852 ).

Coco Vincenzo :filosofo di Civitacampomarano ( 1770 - 1823 ).

4) nella carta stradale della provincia di Campobasso, Ist. De Agostini

Ediz. 1913.

5) nell’Atlante Stradale Italia Centrale -Touring Club Italiano Milano1970

6) nella Carta Stradale d’Italia 1998 Ediz.Gambero Rosso -De Agostini

C) Compare scritto in due parole Civita - Campomarano :

1) nella " Tavola del Contado del Molise " di M. Cartaro del 1613.

2) nell’ Atlantino di M. Cartaro del 1625.

3) nell’ Atlante di G. Galiani incisa da G. Bartoli Ediz. 1816 risulta come

capoluogo di circondario.

4) nella cartina della " Provincia del Molise " di B. Marzolla Ediz. Napoli

1831 risulta capoluogo di circondario, nella diocesi di Termoli e con

abitanti 3.189.

D) Compare scritto in tre parole, ma in modo errato "Civita Campo Marino"

nella Tavola del Contado del Molise e Principato Ultra Ediz. Petrini

Napoli 1735.

E) Nella Tavola del Contado del Molise e Principato Ultra Ediz. D. De Rossi

1714 è riportato in tre parole ma senza errori : Civita Campo Marano.

F) Risulta scritto " Campo Marano " cioè senza Civita :

1) nell’ Atlante Generale Geografico Ediz. G. M. Cassini - Roma 1790.

2) nella " Carta della Provincia del Molise " di Benedetto Marzolla

Ediz. Napoli 1853, Civita era nel distretto di Larino, era circondario di

mandamento ( Castelluccio, Lupara, Guardialfiera, Castelbottaccio e

Lucito ) e contava 3.028 abitanti.

G) Itinerari:

Civitacampomarano può essere raggiunta tramite:

1) la Bifernina: imboccando il bivio di Lucito

2) la Trignina: imboccando il bivio di Roccavivara

3) la Frentana: da Campobasso a Termoli.

 Indice I parte

 

 

 

 

 

Parte Seconda

  

 

PERSONAGGI

 

INTRODUZIONE

 

Il periodo storico, nel quale i civitesi si manifestarono maggiormente nel campo politico, militare, letterario e religioso è quello che vide sul trono di Napoli i Borboni: 1734 – 1860, e quello del decennio francese (1806-1815).

Entrano in scena illustri nostri concittadini. La loro fama non si ferma nell’ambito paesano, ma varca i confini regionali con l’ammirazione dell’intera nazione.

Ripeto che sono stato sempre assillato dal pensiero di riunire queste notizie sparse su libri, riviste e manoscritti, perchè non andassero disperse e fossero motivo per altri di più ampie e approfondite ricerche.

La storia non bisogna solamente viverla, ma anche scriverla per tramandarla : " saepe meminisse iuvabit ".

 Indice II parte

 

 

PADRE FRANCESCO CHERUBINO PEPE

 

Il 19 febbraio 1684 nasceva in Civitacampomarano Francesco Cherubino Pepe, figlio di Michelangelo e di Vittoria Violi; fratello di Vito , di Domenico agrimensore, e di Gian Battista mercante, che sposò Anna Maria Colaneri di Trivento.

Fu uomo dotto e santo, ripieno d’amore verso il popolo, che cercò di educare correggendo le sue debolezze e le sue miserie. Influì sui potenti per migliorare la società di allora ancora caratterizzata dal distacco delle classi nobili da quelle plebee. A dieci anni va a Napoli per studiare nel collegio Massimo dei Gesuiti. Completa i suoi studi nelle lettere, nella filosofia, e nella teologia. Sostiene un contraddittorio su tutte le tesi della Scolastica, sì da sbalordire i più competenti di Napoli in questa materia.

Entrato nella Compagnia di Gesù, viveva a Napoli presso la chiesa del Gesù Nuovo. Il padre Degli Onofri, negli "Elogi storici di alcuni servi di Dio", ci dà notizie diffuse del Pepe. "Si predicava in quel tempo nelle piazze e specie in Piazza del Castello, descritta in quasi tutti i vecchi libri, che si occupano di Napoli, come quel posto della città, che raccoglieva in tutte le ore del giorno gli oziosi ed i vagabondi ed i perditempo attivati dalla fiera rumorosa dei venditori ambulanti, dei ciarlatani ed istrioni".

Lady Morgan nel suo libro" L’Italie", stampato nel 1821 dice:" L’uso di predicare nelle piazze è dunque durato fino alla prima metà del secolo nostro. E uno dei predicatori fu il Pepe. Giovane di pronta , vivace e pittoresca parola, di stringenti argomenti, di facile comunicativa, egli conquistò subito i suoi ascoltatori, il cui numero crebbe pian piano e il suo entusiasmo non ebbe più limiti quando, come racconta L. de la Ville in una sua recente storia sulla guglia del Pepe, il gesuita preconizzò la rovina di una casa a San Agostino della Zecca e la casa crollò davvero dopo un giorno. Come mai? La casa era lesionata o si reggeva in piedi proprio per un miracolo ed alle case pericolanti chi mai ha badato a Napoli? Il Pepe vide e previde, il guaio gli parve imminente ed egli si dette premura di avvertire la povera gente, che abitava in quel palazzetto ed ottenne che sgombrasse. Caduto il palazzo si gridò al miracolo".

Seppe anche organizzare le forze del lavoro con la " Congregazione degli Artieri", sottraendole al vizio ed alla delinquenza.

"V’era allora a Napoli un re adorato, benefico, munificente:Carlo III. Stava per sorgere un altro nel popolo: il padre Pepe. Antagonismi pericolosi, tanto più perchè c’entrava di straforo la Compagnia di Gesù, che fu poi sfrattata dal regno. Aumentando la frenesia popolare il re stesso e la corte se ne impensierirono. Era ministro allora il duca di Monteleone e fu costui che suggerì a Carlo III di allontanarlo da Napoli con un spediente, che magari sollecitasse l’amor proprio del predicatore. Gli fu difatti assegnato una missione da predicare a Madrid, ed egli, sarebbe partito subito, se il popolo non si fosse opposto. Parve prudente a Carlo III di non insistere ed il Pepe rimase a Napoli":

Il Pepe fu amato dal papa Benedetto XIV (1740-1758), dal quale spesso era chiamato a Roma, tanto che a Napoli si diceva: "partì Pepe e tornò papa".

Il Pepe fece del bene e parecchio. Soccorse i poveri, visitò gli infermi e i carcerati specie nelle carceri della Gran Corte della Vicaria. Fondò un istituto per la protezione di centocinquanta fanciulle pericolanti.

Provvisto di un pratico buonsenso tenne sempre vivo nel popolo la simpatia che aveva ispirata.

Scrisse otto volumi di " Lezioni Sacre"; due volumi di "Discorsi in lode di Maria Santissima" ed altri volumi sulla Vergine Immacolata. In nome di Maria, che chiamava sempre Madre, svolse nei quartieri più bassi di Napoli la sua opera missionaria presso i miseri e corrotti. Si adoperò con tutte le sue forze, agendo presso il re e presso il pontefice, affinchè fosse proclamata "l’Immacolata Concezione". Confessava e predicava nella chiesa del Gesù. I suoi devoti, saputo della sua morte, avvenuta il 19 maggio 1759 a settantacinque anni, e che aveva predetta, penetrarono nella chiesa, sfasciarono il confessionale ed i pezzi furono distribuiti come tante preziose relequie.

"La guglia alla Madonna in piazza del Gesù fu eretta dal Pepe con i danari, che raccolse dal 1747 al 1750, anno in cui fu posta in cima la statua di rame dorato dell’ Immacolata. L’ obelisco, secondo il preventivo, doveva essere alto quaranta metri e costare trecentoquarantamila lire. I disegni furono prima esaminati da Carlo III, che scelse quello di un certo Giuseppe Genuino, il quale aveva, fra le diverse statue di santi, collocate anche quelle del re, della regina e dei reali infanti. L’architetto Giuseppe Di Fiore ebbe la direzione del lavoro assieme ad un compagno del Pepe che era marmoraio e che poi si fece monaco cioè Filippo D’Amato.

Si dice ancora che, all’annunzio della pubblica fabbrica d’una mole somigliante,si fossero spaventati i proprietari delle case circostanti.Uno di costoro fu il duca di Monteleone Diego Pignatelli, il quale temeva che la guglia "si potesse ammuccà ".E dato che stava per sorgere una lite, infatti il duca aveva cominciato ad opporsi con sequestri di materiali, il re disse al duca :" Fammi il favore non ti opporre.".E tutto finì. Nel 1747 don Lelio Carafa, marchese di Orienzo, rappresentante del re, pose la prima pietra dell’obelisco, tra un festoso sparo di mortaretti e il suono delle campane e delle fanfare. Sul pomposo disegno del Genuino, l’obelisco venne su pesantemente d’uno stile barocco tutto fronzoli e cartocci. Spiccato è il contrasto con la facciata cosi grigia e severa della Chiesa del Gesù, intorno alla quale v’è un volo continuo di colombi, unica poesia in questa piazza cosi deserta ed in certe ore cosi muta." ( da un manoscritto del dott. Francesco de Marinis senior addì 17 luglio 1895.)

A completamento è da aggiungere che la guglia dell’ Immacolata è ornata nel primo piano con angioletti, con statue di santi gesuiti : Francesco Saverio, Ignazio di Lojola, Francesco Borgia, Francesco Regio ; nel secondo piano vi sono bassorilievi rappresentanti : la Natività di Maria, l’ Assunzione, la Purificazione e l’ Incoronazione ; nel terzo piano vi sono due ovali con San Stanislao Kostca e San Luigi Gonzaga. Alla sommità della guglia v’è la statua dell’ Immacolata in rame dorato confezionata nel 1753 da Francesco Pagano, che ebbe come collaboratore Matteo Battagliero. ( Da " Napoli Sacra, Itinerari 1993. )

Quanto da me esposto sulla santità, sulle opere, sulla stima del popolo, dei regnanti e del suo ordine religioso per il servo di Dio padre Francesco Pepe è riconfermato da un importante documento da me avuto dall’ Archivium Romanum Societatis Jesu, Neapolis 175 : " Relazione da Napoli della preziosa morte del servo di Dio P. Francesco Pepe, accaduta in quella casa professa nel giorno 19 di maggio 1759. " Di questa relazione mi permetto di trascrivere solamente l’ introduzione :

" La morte dell’uomo apostolico P. Francesco Pepe amabilissimo veramente a tutti, e da tutti veramente amato è stato a questa Provincia giusto motivo di dolore, e di lagrime, per avere in Lui perduto un soggetto, che col suo merito, colla dottrina, e colle sue fatiche ha tanto illustrata la religione, e sempre promossa la gloria divina.

Ma con maggior ragione è stata compianta da noi qui a Napoli perchè avevamo in Lui la sua dolcezza, il nostro conforto nelle amarezze ;e per l’esatta sua osservanza ed infaticabile zelo un incentivo continuo a sempre più faticare per la propria perfezione e salute dei prossimi. Se non che ci conforta in questa nostra amarezza il riflettere quel beato riposo, ove speriamo che abbia il Signore coronate le sue fatiche, i troppi vivi documenti delle sue virtù, che possono a noi servire tuttavia d’esempio, e la ferma speranza, che egli abbia ad esser presso Dio nostro protettore in Cielo, come fu dimorando con noi, di esempio su la terra. L’ eroiche virtù, che sempre accompagnarono l’ apostolico suo ministero e il cuore magnanimo, con cui intraprese e portò a perfezione opere troppo ardue, saranno da migliori penne descritte nella vita, che si darà alle stampe."

 

Nota :

Nell’ albero genealogico di casa Pepe si legge padre Francesco Cherubino Pepe, mentre in altri scritti viene riportato solamente come padre Francesco Pepe senza il nome di Cherubino.

Anche i dati anagrafici degli altri personaggi di casa Pepe sono stati presi da questo albero genealogico.

 

 Indice II parte

  I PRECURSORI DELL’ ILLUMINISMO CIVITESE

 

Padre Francesco Cherubino Pepe con la sua profonda cultura,con l’amore verso la gente della sua terra e con la sua santità aveva comunicato al popolo la necessità dell’uguaglianza e della fraternità, sollevandolo dall’ignoranza e dallo sfruttamento :

Temprando lo scettro ai regnatori

gli allor ne sfronda ed alle genti svela

di che lagrime grondi e di che sangue.

( U. Foscolo " I Sepolcri " )

Suo nipote Michele ( 1712 ), figlio del fratello Domenico, sicuramente gli dovette essere vicino quando a Napoli frequentava la facoltà di giurisprudenza. Cosi pure gli dovettero essere vicini i suoi bisnipoti : Francesco Maria, che, attratto dall’esempio del prozio, entrò poi nell’ordine dei Gesuiti, e Carlo Marcello,che si laureò in legge nell’epoca della rivoluzione francese. Le nuove idee, i nuovi principii dell’illuminismo francese furono in parte inculcati in loro durante il periodo universitario dal filosofo Filangieri Gaetano ( 1752 -1788 ) e dall’ abate Antonio Genovesi ( 1712 -1769 ).

Queste nuove idee avevano colpito le menti ed i cuori, non solo dei giovani Pepe, ma anche di altri giovani civitesi, che per i loro studi frequentavano Napoli e che poi nel loro paese si scambiavano le diverse opinioni sulle lettere, sulla politica, sulla teologia, sulla filosofia, sulla medicina, sul diritto e sull’agraria.

Elenco, forse in modo incompleto, quei giovani vissuti dall’inizio del settecento fino alla Rivoluzione Napoletana del 1799, che si affermarano nelle diverse branche del sapere già sopra enumerate.

I - Nel campo della legge

1710 Marini Ferdinando

1712 Pepe Michele

1741 Cuoco Michelangelo ( padre di Vincenzo )

1742 Pepe Gian Battista

1749 Pepe Carlo Marcello

1751 De Marinis Carlo

1752 De Marinis Michele di Giuseppe

1753 Tetta Luigi

1760 De Blasiis Nunzio

1763 D’ Astolfo Michele di Vitantonio

1764 Bottaro Carlo di Angelo

1766 De Marinis Giuseppe ( avvocato e sacerdote )

1769 Tetta Gaetano di Donato ( Donato è del 1733 )

1760 Cuoco Vincenzo di Michelangelo

1773 Ianziti Gaetano

1777 De Marinis Ottavio

II - Nel campo della medicina

1711 De Marinis Giuseppe

1717 Ferretti Pietrangelo

1727 De Marinis Giovanni Andrea senior

1735 Ianziti Pasquale

1736 D’Ascanio Fabio

1749 D’Aloisio Vincenzo

1758 Ferretti Amedeo

1759 D’Ascanio Luigi

1761 Ianziti Domenico

1771 De Marinis Gaetano

1778 Pardi Filippo di Girolamo ( anatomico )

 

N. B. De Marinis Giuseppe, nato nel 1711, è padre di Colomba De

Marinis madre di Vincenzo Cuoco.

 

 

III - Nel campo dell’agraria

1773 - 1854 Pepe Raffaele, professore in agraria che sposa Maria

Giuseppa Cuoco sorella di Vincenzo.

IV - Nel campo della pittura

1734 Bottaro Angelo

V - Nel campo teologico, filosofico e letterario

1693 Violi Giuseppe Antonio

1708 De Marinis Fabio

1710 Capone Giuseppe

1719 Piccarini Nicola

1726 Emanuele Nicola

1726 Ferretti Sebastiano

1730 Caprara Girolamo

1735 Pepe Francesco Maria ( gesuita )

1736 De Blasiis Gervasio

1739 Caprara Luca

1741 Colonna Felice

1754 De Marinis Domenico

1755 Torzillo Pietro

1755 Torzillo Donato

1759 Tozzi Attanasio

1759 D’Ascanio Nicola

1765 D’Astolfo Domenico

1785 Di Paolo Vito

E’ proprio da questo fecondo vivaio di sapere di scienza e di spiritualità, irradiato dalle nuove idee di libertà e di eguaglianza, che sorse quello che possiamo chiamare " l’illuminismo civitese - molisano ", in cui si plasmarono i due grandi spiriti di V. Cuoco e di G. Pepe, che con le opere e con gli scritti cercarono di affermare una coscienza nazionale.

 Indice II parte

  

CARLO MARCELLO PEPE

 

Figlio di Michele ( 1712 ) e di Ciccarelli Teresa da Morcone, nacque in Civitacampomarano nel 1749. Fu dottore in legge. I principii rivoluzionari, che in Francia, attraverso l’Assemblea Nazionale, Costituente, Legislativa e la Convenzione Nazionale, portarono sul patibolo nel 1793 Luigi XVI e Maria Antonietta, con la soppressione della monarchia e la proclamazione della repubblica, furono inizialmente osteggiati a Napoli. Alla fine Ferdinando IV e Maria Carolina ( sorella di Maria Antonietta ) dovettero cedere ed accettare l’ambasciatore Makau della repubblica francese, spalleggiato dalla permanenza nel porto di Napoli della flotta francese comandata dall’ammiraglio La Touche Leville.

Lo scambio di idee tra i marinai ed ufficiali francesi con i giovani napoletani, desiderosi di innovazioni, portarono alla fondazione dei clubs giacobini.

In uno di questi clubs s’iscrisse anche Carlo Marcello Pepe. Nella nostra zona si unirono a lui Domenico Tata da Casacalenda, Vincenzo Ricciuti di Palata, Felice Colaneri di Trivento ed altri.

Il papà Marcello al suo piccolo Gabriele raccontava le imprese eroiche di Alessandro, di Cesare, di Carlo Magno, di Achille, di Argante e Tancredi.

Questo idillio familiare però fu interrotto il 24 maggio 1795, perchè Marcello, per il suo giacobinismo, fu rinchiuso nelle carceri di Lucera fino al 22 febbraio 1797 e quindi tradotto a Napoli nelle carceri di Castel Capuano ( Vicaria ). Fu scarcerato il 15 febbraio 1798. Nel 1799 la casa Pepe viene saccheggiata dai Sanfedisti e Carlo Marcello nuovamente arrestato e condannato a morte. Viene graziato con l’esilio a Marsiglia, ma durante il percorso su una nave tunisina si contagia di peste e muore nel dicembre del 1799.

Nel febbraio del 1800 Gabriele, anch’egli esule a Marsiglia, venne a sapere della morte del padre tramite l’amico esule Nicola Massari di Guglionesi, che l’aveva assistito negli ultimi istanti di vita.

Gabriele pianse sulla tomba del padre :

"e tu onor di pianto ...... avrai

finchè sia santo e lacrimato

il sangue per la patria versato."

( U. Foscolo " I Sepolcri " )

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PADRE FRANCESCO MARIA PEPE

( della Compagnia di Gesù )

 

Figlio di Michele e di Teresa Ciccarelli, fratello di Carlo Marcello, nacque in Civitacampomarano nel 1735. Entrò nella compagnia di Gesù come il suo prozio, padre Francesco Cherubino tanto famoso e del quale si è già parlato. Torna e permane a Civita nel periodo di sospensione dell’ordine dei Gesuiti da parte del papa Clemente XIV dal 1773 al 1814. Dopo l’impero napoleonico l’ordine fu riaffermato da papa Pio VII.

Fu uomo di santi costumi,di cultura e di grande zelo. Diede insegnamento gratuito alla gioventù paesana. Fu allievo del matematico Fergola e dell’economo filosofo illuminista Antonio Genovesi.

Tra i suoi molti giovani alunni civitesi sono da annoverare: Vincenzo Cuoco, Gabriele Pepe, Giovanni Andrea De Marinis ed altri, che avviò nello studio letterario, filosofico e teologico.

 

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DON ATTANASIO TOZZI

 

E’ fratello di Domenico (n. il 1739) e di Giuseppe (n. il 1747). Di lui non conosco il giorno e l’anno della nascita mentre morì nel 1812. Fu allievo a Napoli del matematico Fergola e di Antonio Genovesi, abate, filosofo, letterato illuminista, professore all’Università di Napoli. Fu autore di molti distici latini, e di un gran numero di sonetti in lode specialmente del barone Cardone di Castelbottaccio. Fu amicissimo e confidente di padre Francesco Maria Pepe molto reputato nel paese. I suoi costumi erano inappuntabili, di natura frugale, e non amava laute mense. Lasciò molti scritti sulla morale e sulla teologia, che unitamente alle poesie sono andate smarrite o trafugate.Uomo dotto e stimato insegnò in epoche diverse greco, latino e matematica nei seminari di Vasto, Trivento,Termoli e Guardialfiera, (allora sede vescovile), e per molto tempo anche nel proprio paese.

Nel seminario di Trivento ebbe come alunno Cosma Maria De Horatiis da Poggio Sannita patriota e valente chirurgo, primario della clinica chirurgica di Napoli. Vincenzo De Lisio di Castelbottaccio, uomo di grande cultura, assicura di aver avuto tra le mani e quindi letto, un libricino con caratteri dello stesso autore, contenente molte e diverse poesie. Questo libricino è stato irreperibile e quindi si deve ritenere smarrito.

Fu maestro di Vincenzo Cuoco e di Gabriele Pepe in greco, matematica e fisica.

 

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 DON DOMENICO D’ASTOLFO

Poche notizie ho potuto raccogliere sul professore di latino di Gabriele Pepe. Fu arciprete della chiesa di Santa Maria Maggiore dal 1764 al 1801.

Fratello di Vitantonio e quindi zio di Michele dottore in legge, che ricorderò tra i cantori. Dev’essere nato qualche anno prima del fratello Vitantonio, cioè verso il 1730 circa.

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LA BARONESSA OLIMPIA FRANGIPANI

( DEI DUCHI DI MIRABELLO )

ED IL CIRCOLO GIACOBINO DI CASTELBOTTACCIO

Olimpia Frangipani nacque il 16 luglio 1761 in Mirabello Sannitico e sposò don Francesco Cardone, ultimo feudatario di Castelbottaccio.

I talenti e la bellezza della Frangipani fecero del suo palazzo in Castelbottaccio il ritrovo delle menti più elevate per ingegno e dottrina : Tata e De Gennaro da Casacalenda ; Costantino Le Maitre da Lupara ; Nicola Neri da Acquaviva ; Amodio Ricciardi da Palata ; Gabriele Pepe e Vincenzo Cuoco di Civitacampomarano.

Si narra che il dotto Costantino Le Maitre per rendersi, anche per nobiltà, degno di ammirare le grazie del suo spirito, si decise di acquistare nel 1793 dal princpe d’ Alessandria il feudo di Guardialfiera, al quale era unito il titolo di marchese.

La Frangipani fu ispiratrice di alcune pagine del " Platone in Italia ", e pare che fosse raffigurata dal Cuoco in Mnesilla.

Questa donna cosi bella, cosi colta, cosi corteggiata in gioventù da uomini di elevata cultura, non ebbe eguale sorte nell’età matura, e forse passò il tempo a ricordare la corte che un giorno le fece V. Cuoco, e le parole che a nome di Cleobulo dirigeva a lei : " Mille volte ho baciato la tua lettera, in due giorni l’ho riletta mille volte. Ne sapeva già tutte, ma per poterle sempre pronunziare, per non fare che il pensiero lo involasse al labbro, per udirmele ripetere, quasi ne contavo le sillabe ......... . Ora me l’ho messa sul mio cuore e nessuno la toglierà mai più. Oh! come tutta la natura è divenuta per me più lieta ora che è ridestata nel mio cuore la dolce fiducia di esserti più caro ! Questo meschino castelluccio, in cui mi ritrovo, e che è tanto sciagurato, che lo stesso non può entrare in un verso ; in cui si vende ed a caro prezzo, la più vile fra tutte le cose : l’ acqua ; questo stesso castelluccio è divenuto ai miei occhi un angolo il più ridente della terra. Qui io resterei eternamente, qui darei fine ai miei giorni ; con mia madre e con te, io preferirei questo meschino abituro alle superbe città protette da Minerva e da Nettuno. " ( V. Cuoco " Platone in Italia " LI )

Il Cuoco parla del suo paese : Civitacampomarano, cosi lungo di lettere, che non può entrare in un verso ; cosi povero di acque, per cui non piacevole la permanenza, ma ora, con l’ arrivo dell’ amore, ai suoi occhi diviene " l’ angolo piu ridente della terra ".

In questo circolo giacobino si discuteva sulle nuove idee, e delle lotte fra le università e i feudatari. Furono questi i pensieri e le passioni che portarono alla sfortunata Rivoluzione del 1799.

La baronessa morì in Napoli verso il 1830

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IL MARCHESE COSTANTINO LE MAITRE

 

Il marchese Costantino Le Maitre di Lupara ha grande importanza nella storia del settecento e dell’ Illuminismo Molisano. Fu allievo del Fergola ed avviò alle dottrine della matematica e della filosofia : Cuoco, Conforti e Ricciardi. Giacobino ed antifeudale, impegnò i suoi capitali per l’acquisto del feudo di Guardialfiera, al quale era unito il titolo di marchese. Era uno spirito fantasioso. Guglielmo Pepe ( calabrese ) lo incontrò nel fondo delle carceri della Vicaria a Napoli e rimase colpito dalla sua cultura.

Difese le università contro gli abusi feudali nella regia camera della Summaria. Partecipò al circolo giacobino di Castelbottaccio.

Pur non essendo civitese, annovero il Le Maitre tra i nostri concittadini, perchè maestro di V. Cuoco ; e lo stesso si dica della Frangipani, che fu l’ispiratrice del romanzo storico : " Il Platone in Italia "di Cuoco.

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MICHELE DE MARINIS

 

Nacque verso il 1752, da Giuseppe dottore in medicina (nato il 1711),fratello di Colomba De Marinis (moglie di Michelangelo Cuoco,genitori di V. Cuoco). Dottore in legge, ricco, coltissimo, di forte intelletto e dalla memoria ferrea, per cui era chiamato "Il testo ", infatti ricordava a memoria le leggi. Fu legale presso l’università di Lecce. Sposò Orsola De Matteis di Santa Croce di Magliano. Fu padre di Luisa De Marinis coetanea o poco più piccola di Gabriele Pepe.

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LUISA DE MARINIS

 

" La Luisa piena di sè e del suo casato, di cui ella riportava le origini nei secoli lontani, attraverso i quali si compiaceva di raffigurare con la sua fervida immaginazione i suoi primi antenati. Questo sentimento era per lei divenuto una passione eccedente, e coi fantasmi aviti, schierati nella mente, si manifestava molto vana ed orgogliosa e superiore alle altre famiglie del paese. Vantava i diciassette arcipreti De Marinis, e sfidava altre famiglie a darne un numero somigliante. Teneva con sè carissimo il suo albero genealogico e i tanti privilegi e documenti di sapere, li presentava a tutti e se ne compiaceva. Superba di questa dovizia non trovava nessuna richiesta che le andasse a grado. Ricercata da un nobile e ricco signore lo rifiutò dicendo: "mi è inferiore nella nobiltà,che io calcolo più del danaro": La natura le aveva fornito di un corpo stupendo e di uno spirito elevato e chiaroveggente, e quindi nessuno meglio di lei poteva apprezzare le doti di Gabriele Pepe, che se n’era pazzamente innamorato. Ma questi allora non aveva raggiunto l’apogeo della fama e della gloria, che raggiunse poi con onore e gloria del nostro paese, che anzi, con certe sue scapestrerie giovanili, proprio degli ingegni magnanimi, destinati a splendido avvenire, pose la Luisa in qualche dubbio per la sua vita futura, che poi fu tanto gloriosa":

Luisa in seguito andò sposa a Castellone al Volturno (oggi Castel San Vincenzo) con l’illustre magistrato Padula Zaccaria.

(Da un manoscritto inedito di casa De Marinis)

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RAFFAELE PEPE

 

Figlio di Carlo Marcello, fratello maggiore di Gabriele, nacque il 15 agosto 1773 in Civitacampomarano, dove morì il 30 settembre 1854. Agronomo si dedicò anche alla filosofia e alle discipline giuridiche.

Nel 1799 era a Napoli ricercato a morte dai Sanfedisti per il suo spirito rivoluzionario e per la sua amicizia con Luigia Sanfelice. Era uomo d’aspetto affascinante e di facile eloquio. Per mesi andò fuggiasco. Dopo l’indulto del 30 giugno 1800 tornò a Civita.

Riporto per intero quanto dice di lui il prof. Nicola Scarano nella "Storia del brigantaggio a Trivento".

"Raffaele, amicissimo della Sanfelice, fu a Napoli, fra la notte del 12 e13 giugno 1799, inseguito a fucilate dai Sanfedisti con il cugino Nazario Colaneri. Si rifugiarono in un bugigattolo di una casa del quartiere Pendino, ove il Pepe stette più di un mese a pane ed acqua. Poi potè andarsi a nascondere per lungo tempo in una grotta sotto la collina di Miradois, sulla quale sorge l’osservatorio. Qui vi stette fino al 5 ottobre .

Per denaro profuso da suo zio Luigi Colaneri, padre di Nazario, Fulvio Quici lo fece vestire da fuciliere reale con parrucca e codino, menandolo seco nella squadra da lui comandata in qualità di ufficiale, fino ad Isernia. Da Isernia si recò a Civitanova, dove trovò asilo sicuro in casa di Santo Viani. Tornò il primo novembre a Civitacampomarano. Minacciato quivi dai Sanfedisti, ne partì il 21 e si recò a Gissi in casa della sua prima sorella maritata a don Pasquale Carunchio,anche lui profugo politico. Stette con la sorella fino al 27aprile 1800, giorno in cui i Sanfedisti del luogo assalirono la casa Carunchio. Lo salvò la sorella, che lo fece nascondere in una fossetta, che si soleva riempire di grano. La notte andò a rifugiarsi a Carpineto, ove stette fino al 21 luglio, quando ritornò a Gissi".

Dal 1819 al 1839 pubblica a sue spese:

a) " Il giornale rustico del Molise "

b) " Memorie sui boschi,sui prati artificiali, e sulla coltivazione della patata "

c) " Progetto sulla pomona italiana "

Inoltre fu socio di numerose Accademie ; stese diarii con notizie del suo tempo intorno a Gabriele Pepe ; compilò "La relazione statistica delle condizioni economiche e culturali-igienico-sanitarie della provincia del Molise" per incarico di Biase Zurlo, intendente della provincia sotto Murat ; nel 1841 fu presidente del Consiglio Generale della Provincia.

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BOTTARO ANGELO

 

Nato nel 1734 fu pittore e maestro di Gabriele Pepe.

Suo figlo Carlo, nato il 1765 abbracciò la legge e col padre si trasferì a Napoli. Solo questo ho potuto sapere di lui.

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FRANCESCO PEPE

 

Figlio di Carlo Marcello e di Angela Maria Cuoco, fratello di Gabriele, fu confinato ad Amalfi, poi a Campobasso perchè murattiano.

Capitano nell’esercito napoleonico, fece la Campagna di Spagna (1808-1811). In casa Pepe si conserva un taccuino, nel quale aveva annotato i luoghi da lui raggiunti con i relativi fatti d’armi.

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VINCENZO CUOCO E GABRIELE PEPE

 

Vincenzo Cuoco nacque in Civitacampomarano il 1 ottobre 1770 da Michelangelo dottore in legge, e da Colomba De Marinis.

Gabriele Pepe nacque in Civitacampomarano il 7 dicembre 1779 da Carlo Marcello, dottore in legge, e da Angiola Maria Cuoco sorella di Michelangelo padre di Vincenzo. Pertanto Gabriele era cugino di Vincenzo, e più piccolo di lui di nove anni.

1 - Tutti e due attinsero i primi elementi di scuola in quell’ambiente così ricco di uomini colti, dei quali si è già parlato. Il pensiero del Genovesi fu a loro trasmesso da due allievi di questo pensatore : dal gesuita padre Francesco Maria Pepe e dal sacerdote don Attanasio Tozzi. Il Cuoco ebbe inoltre per maestro nella matematica il marchese Costantino Le Maitre da Lupara, allievo del Fergola, mentre G. Pepe ebbe maestro nelle lettere don Domenico D’ Astolfo e nel disegno il pittore Angelo Bottaro. Le radici quindi affondano nell’ humus civitese per questi due giovani, che faranno parlare di sè nell’intera nazione.

2 - Vincenzo spicca il volo nel 1787. Si reca a Napoli per completare i suoi studi in legge e per dedicarsi al foro. Dieci anni dopo, nel 1797, anche Gabriele esce e nel giugno si arruola. Nei dieci anni che precedono l’uscita di Gabriele, Vincenzo ha modo di conoscere : Cirillo, Pagano, Cotugno, Sementini, Andria, Mattei, Galanti, Baffi, Russo e " si conforta in seno a questa filosofica famiglia " ( G. Pepe ), completando la sua preparazione culturale. Gabriele, seguendo il suo temperamento avventuroso, e per distrarre il suo cuore ferito dall’amore verso Luisa De Marinis, con l’appoggio di papà Marcello e col grado di alfiere, si arruola nel reggimento di Cavalleria Abruzzo II. Nello scontro tra esercito napoletano e napoleonico nel 1798 a Velletri viene fatto prigioniero dai francesi. Riesce a fuggire ed il 21 dicembre rientra a Civita.

3 - Con editto del 23 gennaio 1799 il generale francese Championnet proclama la Repubblica Partenopea, che si estende dall’ Aquila a Reggio Calabria. Ferdinando IV si ritira in Sicilia sulla nave dell’ammiraglio Nelson.

Mentre in Francia la rivoluzione del 1789 si concluse con la soppressione di Luigi XVI e della regina Maria Antonietta, sorella di Maria Carolina, col trionfo della rivoluzione, a Napoli la rivoluzione del 1799 fallì.

Il 13 giugno 1799 il cardinale Ruffo con ventimila soldati entra a Napoli. Col ritorno di Ferdinando IV e della regina Maria Carolina, la restaurazione si compie con trentamila patrioti in prigione e trecento sul patibolo. Fra questi ultimi Caracciolo, che viene impiccato sulla nave dell’ammiraglio Nelson.

I Sanfedisti non risparmiano Civita, covo di giacobini, e saccheggiano la casa Pepe.

 

 

4 - Gabriele e Vincenzo scampano il patibolo, ma devono seguire la via dell’esilio. Gabriele a Marsiglia, nel febbraio 1800, piange sulla tomba del padre Carlo Marcello. Anche Vincenzo in esilio si ripara a Marsiglia, ma non incontra Gabriele, perche questi a piedi aveva raggiunto Grenoble, e si era arruolato nell’esercito di Napoleone pronto per la campagna d’ Italia.

Infatti, dopo la battaglia di Marengo ( 14 giugno 1800 ) Vincenzo e Gabriele si incontrarono a Milano. Gabriele rientra a Civita nel 1802, deciso di abbandonare le armi per dedicarsi completamente agli studi di medicina. Nel marzo 1802 il cuore di Vincenzo è ulteriormente addolorato dalla notizia della morte di mamma Colomba. Il Cuoco resta a Milano fino al 1806. Come a Napoli ebbe modo di vivere con la " filosofica famiglia ", così a Milano ebbe la fortuna di avvicinare Manzoni, Foscolo, Monti ed altri, fondendo la cultura meridionale di Vico, Genovesi, Filangieri ecc. con quella del settentrione. Si ebbe così un ritorno, forse un richiamo atavico, della piccola con la grande Longobardia. Questo incontro d’idee e d’intenti rinsaldò quei grandi nella volontà di un’ Italia libera , indipendente ed unita.

Le sofferenze dell’esilio milanese, il dolore per la lontananza dalla terra natia e dagli affetti familiari affinarono ancora di più l’animo e l’ingegno di Vincenzo. Egli filtra i suoi ideali attraverso la concezione del Vico, del Machiavelli e degli Illuministi meridionali, non dimenticando gli insegnamenti di moderazione dei suoi maestri : padre Francesco Maria Pepe e don Attanasio Tozzi, tutti e due allievi del Genovesi. Per opposizione al regime borbonico e sotto l’influsso dell’amico e maestro Mario Pagano, redattore della " Rivoluzione Napoletana del 1799 ", ispirata alle idee ultranzistiche dell’illuminismo francese ( Rousseau ), Vincenzo "viene trascinato in un vortice, che egli odiava, ma, a cui era impossibile resistere ".

Nel suo "Saggio Storico ", negli articoli sul Giornale Italiano, nelle conversazioni, nel circolo di Giulia Beccaria, con Manzoni, Foscolo, Monti ed altri grandi riafferma le sue idee moderate contro ogni riformismo estremo di marca giacobina, che segnò il fallimento della Rivoluzione Napoletana del 1799. Questa volle rivivere quella Francese, però i patrioti non si fecero guidare dai bisogni della propria terra, ma da un modello straniero, fu cioè " una rivoluzione passiva ". "Le vedute dei patrioti e quelle del popolo non erano le stesse, essi avevano diverse idee, diversi costumi e financo due lingue diverse ".

 

In questo modo gli esuli del meridione davano il loro contributo per la formazione di una coscienza nazionale ed esprimevano la necessità di uno stato unitario , indipendente dallo straniero, in quella Milano, ove vivevano gli intellettuali più illuminati dell’epoca, e dai quali " erano stimati ed amati ".

A Milano furono pubblicati :

a - nel 1801 " Il Saggio Storico della Rivoluzione Napoletana del 1799 ".

b - nel 1803 redasse il programma del Giornale Italiano e nel 1804 ne ebbe la direzione da Francesco Melzi d’ Eril.

c - nel 1804 pubblica i primi due tomi del " Platone in Italia ".

d - nel 1806 pubblica il terzo tomo dello stesso "Platone in Italia ".

5 - Nel 1806 V. Cuoco rientra a Napoli. Il re Giuseppe Bonaparte, che nutre per lui grande amicizia, lo nomina consigliere del Sacro Regio Consiglio. Nello stesso anno assume la direzione del " Corriere di Napoli ", che manterrà fino al 1809. Collabora col " Monitore delle Due Sicilie " fino al 1815.

Riconosce in Napoleone il merito di aver creato in Italia un regime di ordine e di legalità con rispetto della religione e dei costumi. A completamento inserisco la lettera di Vincenzo a suo fratello Michele in data 20 marzo 1802 da Milano, in cui esterna il dolore per la morte di sua madre Colomba De Marinis e ribadisce i suoi profondi ed incompresi sentimenti di amor di patria, per i quali soffre con dignità l’esilio inflittogli.

" Fratello caro, due settimane orsono, ricevei due vostre lettere ed una di Carlo ( Pepe ) ;era da qualche tempo dacchè non ne ricevevo, e l’ultima mi avea dato la funebra notizia della morte della nostra cara madre. Il dolore che mi ha cagionato non si cancellerà mai dall’animo mio,e di ciò mi rimprovererò sempre che i tanti dispiaceri che ha ricevuti da me han potuto abbreviare i suoi giorni. Sarà dunque vero che vi sia un destino,che perseguita sempre, che si compiace ad accumulare disgrazie sopra disgrazie per distruggere le persone oneste? Io ti ho scritto esattamente in ogni settimana.Ma ti saran pervenute le mie lettere? Anche di questo dubito, perchè anche questa misera consolazione ci nega questo destino che ci perseguita.Pazienza ....... non vi affliggete perchè io pensi di andare a Torino. Caro fratello, Torino non è più lontano da Napoli di quel che sia Milano,ed io sono costretto a seguire quella via che mi offre quei mezzi per travagliare. Per ora non vi è necessità di fare questa risoluzione, ma siccome tutto ancora è incerto, così non è ancora sicuro che non sarò costretto a farlo. Qui mi amano e mi stimano personalmente ; vedremo.

A che ritornare io nella patria? Se io fossi reo, accetterei un perdono : ma un uomo che ha potuto essere condannato solo perchè si trovò trascinato in un vortice che egli odiava, ma a cui era impossibile resistere, un uomo in cui l’amor della patria, della pace, della virtù non sono parole, un tale uomo non deve certamente essere contento di un perdono che gli lasciasse sempre l’apparenza di reo, che potrei io fare nella patria? A che potrei occuparmi? Che potrei travagliare? Io non cerco che la tranquillità, la pace e travaglio, e veggo bene che costà non potrei averlo almeno finchè le cose non siano completamente tranquille, e che non siano partiti gli affari e che non siasi conclusa la pace generale ....... .

Mi hai appena accennato il matrimonio di Mariangiola ( sorella ). Parlamene un poco più a lungo ancorchè non sia succeduto. Amami come io ti amo. Bacio le mani al signor zio, abbraccio le sorelle, tutti i cugini e te un milione di volte.

Vincenzo

Del periodo settembre , ottobre 1807 è la lettera platonica ad Arcangela C. ma diretta al fratello ed ai cugini . Delle due lettere mi è stata donata copia dalla signora Concettina De Marinis maritata Pepe ( mia sorella ).

" Vincenzo Coco allievo di Platone ad Arcangela C. salute.

Io non ti conosco, Arcangela, ma gli Iddii nel crearmi, avendo impresso nell’animo l’archetipo del bello, io perciò ti veggo, ti contemplo, e ti ammiro.Un tempo io e tu ci conoscemmo quando, prima di abitare questa fangosa macchia della terra, le nostre anime erano nel soggiorno di luce nel seno del vero, ma poi rivestite di frale carne, questa oscurò le lucenti idee dateci dalla celeste intelligenza, e noi ci obliammo. Ora gli Iddii, o Arcangela non permettono che ci rivediamo, ma cosa vedrei in te? La carne, questo vile ammanto della mente. No : la carne io la lascio ai terreni M..... e R..... ; sii tutta per essi. Riservami per me, la parte migliore di noi, la mente. La mente, o Arcangela, io amo, la mente pura, monda, limpida come era quando volteggiando nell’ empireo contemplava il bello, il vero, l’ ordine. Quelle mammelle rotonde sparse di rubini e di rose, quelle coscie afrodisiache e quel cibeleo seno, che suscitano la concupiscenza degli uomini di fango, cosa sono agli occhi del savio in confronto della mente? .... Conservati la mente, o Arcangiola, é quella, che il mio maestro Platone, chiama dignitosamente " la salute dell’ anima " ; fuggi gli amori meretrici, e non curare la carne, perchè la carne muore ; ma la mente è eterna. Così facendo, quando gli Iddii vorranno, quando la Suprema Intelligenza ritirerà il suo soffio, e noi non saremo più, allora ritorneremo nel grembo del vero, ivi ci rivedremo nella pristina forma ed ivi ci abbracceremo. Intanto che me chiama il Papiniano Cianciulli io ti raccomando il bello ed il buono R...: preferiscilo a C... vile amatore del senso, impastato di fangosa libidine; e preferiscilo ancora a M... le cui troppo esuberanti parti fisiche tolgono alla mente la sua eterna venustà. Prediletta particella dell’ aura divina, leggiadro folgoretto dell’ empirea luce, celeste emanazione della scaturigine del bello e del buono, addio."

Coco

Mentre nella prima lettera si sente la tristezza dell’esule, lontano dalla sua casa, ed il pianto del figlio per la morte della mamma, nella seconda il ritorno al suo paese natio sembra ridare gioia al cuore di Vincenzo, per cui gli piace intrattenersi in modo scherzoso col fratello e coi cugini e tuffarsi, con dottrina platonica, nel mondo delle idee, e godere " della bellezza ideale " e " della salute dell’anima ", mentre lascia ad essi, " vili amator del sesso ", gli amori meretrici, che tolgono "alla mente l’ eterna venustà ".

6 - Dal 1808 al 1815 a Napoli è re Gioacchino Murat.

Nel 1809 il Cuoco presenta " Rapporto al re Gioacchino Murat del progetto decreto per l’ organizzazione della Pubblica Istruzione ".

Nel 1810 è eletto Presidente del Consiglio Generale del Molise.

Nel 1812 il Cuoco è direttore generale del tesoro.

Sempre in questo periodo Gabriele e Vincenzo stanno a Napoli. Vincenzo è preso dagli impegni nelle alte cariche dello Stato e nell’affermazione, tramite la stampa dei suoi principi e della sua alta cultura.

Gabriele, dopo essersi rituffato a Civita, per dedicarsi agli studi in medicina e per lenire le sofferenze derivanti dalle sue idee politiche e dal suo unico e grande amore, viene di nuovo strappato agli affetti familiari. Nel 1807 partecipa col generale Campère ad azioni militari contro i briganti. Col grado di capitano marcia per tutta l’ Italia e redige il "I° Diario Galimatias "

Passa per Torino e quindi per il Cenisio per prendere parte col suo reggimento alla campagna di Spagna, dove si distinse per il suo valore.

Nel 1809 viene ferito a Girone . Nel 1811 rientra a Napoli. Gli vengono assegnate varie missioni e nel 1813 partecipa alla spedizione in Romagna e compila il "II° Galimatias ". Dopo il Proclama di Rimini ( 30 marzo 1815 ) di Gioacchino Murat combatte nella battaglia di Tolentino col grado di maggiore, ma viene ancora gravemente ferito e torna a Napoli.

7 - Per il trattato di Casablanca ( maggio 1815 ) : " Sono confermati nei gradi , onori e pensioni i militari che , giurata fede a Ferdinando IV

passassero volontari ai suoi stipendi ", Gabriele fu nel numero di questi promosso colonnello con R. D. del 21 - 12 - 1815.

Intanto nell’ottobre 1815 Murat era stato fucilato a Pizzo Calabro, ed i borboni erano tornati a Napoli.

I moti rivoluzionari del 1820, capeggiati da Guglielmo Pepe ( calabrese ), Morelli e Silvati, fanno concedere a Ferdinando I (nel congresso di Vienna

aveva mutato il nome di Ferdinando IV in quello di Ferdinando I ) la Costituzione, e nel Molise vengono eletti deputati al parlamento napoletano:

- Gabriele Pepe di Civitacampomarano

- Nazario Colaneri ( cugino di Gabriele ) di Trivento

- Amodio Ricciardi di Palata

- Luigi Maria Galanti di Santa Croce nel Sannio

- Giuseppe Nicola Rossi, come supplente, di Bagnoli sul Trigno

A Gabriele non è concesso di dare il contributo del suo ingegno a beneficio della sua terra. Infatti, dopo aver presagito il tradimento del re, dopo aver dato l’allarme in Parlamento, dopo aver ostacolato il ritorno del re appoggiato dalle forze austriache, è costretto un’altra volta all’esilio.

8 - Uscito dalle prigioni di Brunn in Moravia, per tredici anni ( marzo 1823 - agosto 1836 ) Gabriele sosta a Firenze. E’ il periodo più importante e più splendido della sua vita, nel quale emergono le sue grandi qualità di uomo.

Gabriele non fu solo un soldato ed un grande patriota, ma anche un letterato.

Il 13 dicembre 1823, a solo 54 anni muore a Napoli Vincenzo Cuoco, consumato dal male, che fin da giovane aveva iniziato a minare il suo sistema nervoso e tutto il suo essere. Per questo labile stato psicofisico molte sue opere sono andate perdute o distrutte per timore di rappresaglie. Assistito amorevolmente in casa del fratello Michele, muore in Napoli " in una povertà gloriosa ". Così scrive Gabriele a Firenze nella "Necrologia di Vincenzo Cuoco ", che poi pubblica.

9 - Intanto Gabriele conosce Viesseux e inizia a scrivere sulla rinomata Antologia. Ha così modo di incontrarsi con noti letterati, che lo circondano di stima ed affetto.

Il 19 febbraio 1824 avvenne il famoso duello con il poeta Alfonso Lamartine allora capo di una delegazione francese a Firenze. Il rinomato poeta francese aveva chiamata l’ Italia la "Terra dei morti ".

Gabriele seppe eludere la sorveglianza della polizia toscana ed indusse al duello l’amico e poeta francese. Con la massima cavalleria gli concesse la spada più lunga e l’esito positivo dimostrò che in Italia non tutti erano morti e così:"una voce ed una spada del Molise fu la voce e la spada d’Italia".

L’episodio lo rese famoso in tutta Italia, che fremette di amor di patria.

A Firenze vive in miseria ricavando qualche guadagno con l’insegnamento e collaborando nell’ Antologia Viesseux fino al 1836. Qui conosce Capponi, Manzoni, Leopardi, Giordani, Giusti e si incontra col cugino Nazario Colaneri, con Poerio e Colletta.

10 - Gabriele rientra a Napoli ove regna Ferdinando II. Nel settembre 1836 è a Civita ricevuto con grandi festeggiamenti dai parenti, dagli amici, e da tutti i concittadini. Nel 1848 ai primi moti viene richiamato a Napoli e nominato comandante della Guardia Nazionale. Il 29 gennnaio 1848 Ferdinando II concede la Costituzione e Gabriele viene eletto per la seconda volta deputato del Molise nel Parlamento Napoletano. Ancora una volta a Gabriele non è concesso lavorare in Parlamento per il bene della sua terra. A Napoli v’è un re sempre tentennante e sospettoso verso i rappresentanti del popolo. La saggezza di tanti uomini valorosi non fu sufficiente al re per prendere con coraggio le redini del potere per il bene e la libertà della sua gente. Tutto questo fu causa della rovina dei borboni e della mancata realizzazione dell’unità d’ Italia tramite il regno di Napoli. La Provvidenza seguiva altre vie ed assegnava questo compito alla Casa Savoia.

11- Tornando a Gabriele, come comandante della Guardia Nazionale, lo troviamo a Napoli sistemato in piazza della Carità, nell’albergo dell’Allegria.

A questo punto è interessante inserire brani di un epistolario di Gabriele De Marinis ( nipote del generale per parte di madre ) col padre Giovanni Andrea medico del generale.

Questi brani furono il 14 maggio 1970 commentati a Roma nella Chiesa Nuova dal prof. Raffaele Tullio, nostro corregionale ed allora preside del liceo Mamiani di Roma, in occasione del Premio Nazionale di poesia, saggistica e di narrativa, intestato a Gabriele Pepe e propugnato dal Centro Letterario del Molise. Seguono alcuni stralci dell’ epistolario.

Napoli 3 maggio 1848

...... Giunsi qui alle ore ventiquattro del lunedì passato. Zio Gabriele, che non mi attendeva, mi accolse con sorpresa di meraviglia. Fino ad oggi 3 maggio, sto con esso all’albergo dell’Allegria, dove io trovo buona compagnia di amici e sono stato ricevuto assai cortesemente. Zio Gabriele sta bene, ma molto affaccendato per la Guardia Nazionale e per le continue sommosse di studenti, i quali, si dice, volessero una sola Camera. Le Camere si riapriranno il 15, il luogo è la Biblioteca dell’ Università, che ora si trova accomodata in modo meraviglioso.

Napoli 6 maggio 1848

...... Zio Gabriele sta benisssimo, ma affaccendato oltre modo.Le persone che vanno da lui sia per raccomandazioni, sia per tributargli rispetto ed averne onorificenze sono davvero innumerabili. Non ho potuto rispondervi per mancanza di tempo. L’ abbiamo veduto vestito da generale, egli fa una singolare figura. Qui si sta non molto sicuro per i malcontenti che vogliono profittare, si schiamazza, si fanno dimostrazioni, si mette in scompiglio tutto, ma nulla si fa di positivo, perchè son tutte chiacchiere per intimorire. Si diceva che l’altro giorno doveva scoppiare una sommossa.

Napoli 14-15 maggio 1848

Sempre da epistolari tra Gabriele e suo padre G. A. De Marinis si hanno notizie sulla sommossa, nella quale fu travolto anche Gabriele Pepe, quale comandante della Guardia Nazionale.

..... Gabriele De Marinis, pieno di preoccupazioni per lo zio Gabriele Pepe, propose all’ amico e compaesano Cesare Pardi di uscire dalla chiesa di San Domenico Suriani, nella quale si erano rifugiati, perchè cappellano della chiesa era don Michele fratello di Cesare e figli di Nicola. Si diressero subito verso piazza Carità, presso la locanda dell’ Allegria,ove alloggiava G. Pepe, per avere notizie dell’ illustre parente. In questo albergo seppero dalla padrona, una certa donna Peppa, che tanto Gabriele Pepe, quanto altri illustri personaggi erano stati arrestati e condotti dagli Svizzeri al Castel Dell’ Ovo sotto Pizzofalcone........

A Castel Dell’ Ovo, alle cui porte erano le sentinelle svizzere, dovettero pagare le guardie per essere introdotti nella stanza, dove dimorava da poche ore l’illustre generale.Appena questi li vide si fece avanti pieno di meraviglia e di emozione, dicendo : "Avete passato guai ?" Essi risposero:

" Nulla, nulla...noi stiamo bene..e voi?" Ed egli rispose: "Anch’io sto bene, però quando uscirete di qui, avrete la massima sollecitudine di comunicare il mio stato e il mio guaio a Gabriele Carunchio, il quale a sua volta lo pregherete, a mio nome, lo comunicasse alla mia famiglia di Civita" ..........

Dopo breve soggiorno al Castello il Pepe fu chiamato dal re Ferdinando II, che gli fece questo interrogatorio : " Perchè non avete saputo tenere a dovere la Guardia Nazionale?".......

Egli rispose, come si confidò poi a suo nipote G. De Marinis ed al paesano Pardi, in questi termini e fieramente, come era solito esprimersi in ogni altra occorrenza della sua vita: " Io feci il mio dovere, ma nessuno volle sentirmi e chiamo a miei testimoni la mia coscienza e Dio."

Nella sommossa del 15 maggio 1848 avvenne un episodio pietoso e commovente. Verso il termine della sommossa, stando il Pepe in via Toledo, si vide farsi avanti un giovane, che puntò l’ archibugio sul suo petto con l’ intenzione di ucciderlo, forse mandato dai partigiani della rivolta. Fu testimone il Settembrini, che attesta : " Io presi pel braccio quel giovane dicendo, sai tu chi è quell’ uomo, contro il cui petto impugnasti il fucile? Sai tu chi è Gabriele Pepe? E’ un prode soldato, che ha il petto pieno di cicatrici, è colui che difese l’ onore d’ Italia contro il francese Lamartine, che lo insultava ; è un grande e savio cittadino ; è un uomo di virtù unica, innanzi al quale tu ed io dovremmo cadere in ginocchio. "

L’ epistolario continua.

Napoli 23 maggio 1848

....... Napoli, che una settimana addietro ( 15 maggio 1848 ) era un campo di battaglia, ora sta tranquilla e vi si può girare liberi e sicuri per la vigilanza della polizia. Zio Gabriele, dopo due giorni di arresti nel Castello Dell’ Ovo, è stato fortunatamente liberato con sommo suo onore, poichè la sua innocenza è venuta a conoscenza di tutti. Ora sta libero e tranquillo, gli è stata restituita la sua ripetizione ( pistola ) rubatagli dagli svizzeri. Degli abiti, però, e dei 450 ducati involatigli non se ne parla più. Meglio così, il denaro e gli abiti possono riacquistarsi, la vita, una volta tolta, non si restituisce più. La locanda dell’ Allegria è stata saccheggiata da capo a fondo e colpita da varie palle di cannone : le soffitte delle stanze sono tutte pertugiate da palle di archibugio. La camera di zio Gabriele rovinata tutta ed il suo equipaggio tutto rubato.E ciò per il motivo che alcune guardie nazionali, ivi rifugiatesi,le quali, facendo fuoco, irritarono fortemente gli svizzeri e si ebbero per ricompensa la fucilazione. Come zio Gabriele fosse salvato in tanto sterminio io non posso credere ed è pur bisogno attribuire il suo salvamento ad un miracolo. Zio Raffaele ora può fare a meno di venire qui, già che zio Gabriele sta al sicuro. E’ stato due volte dal re, ma ancora non ha avuto accesso.

Napoli 14 giugno 1848

.......Zio Gabriele sta bene.E’ stato ammesso nelle truppe come brigatiere generale. Resterà quindi qui......

Napoli 28 giugno 1848

......Zio Gabriele ieri si presentò a Diaz comandante della piazza per ottenere il soldo........

Napoli 1 luglio 1848

......Le camere, anzichè apportare qui un altro sconcerto, hanno invece tutto pacificato con la loro apertura e reso a Napoli la tranquillità, il brio e la letizia tolti il maledetto 15 maggio. Dicesi che il re,per mezzo del suo delegato duca di Serracapriola, abbia concesso tutto alla sua nazione. Il proclama non ancora si stampa. Ve lo manderò in appresso.E’ da osservare che nessun napoletano si è fatto vedere. Napoli pareami deserta.I soli provinciali sono accorsi ed io pure.I napoletani per timore, per viltà e stupidezza stanno ancora ficcati nei loro casini.Stasera tutta Napoli è illuminata: è uno spettacolo meraviglioso. San Carlo è aperto con quintuplicata illuminazione e con la rappresentazione dei " Due Foscari " e "L’ Inno dell’ Ernani ".I deputati sono quasi tutti presenti. Anche quelli di Calabria sono venuti, ma le loro province sono messe sotto la tutela dell’ ammiraglio. Si spera la pace, la tranquillità e la quiete in tuttto. Zio Gabriele, vestito con l’ uniforme di generale, l’ ho veduto passare con la carrozza in mezzo ad altri tre generali.

Napoli 2 luglio 1848

..... I deputati sono finalmente in numero legale e cominciano a deliberare e decidere qualcosa........

Napoli 19 luglio 1848

....." Tutto è invidia a questo mondo ed è sempre meglio essere invidiato che invidiare "...... Queste sono parole che mi ha detto zio Gabriele.......

Napoli 1 agosto 1848

......Cominciano da varie bande di Napoli le grida di : " Viva il re ! " e di " Abbasso la Costituzione ! .......

Napoli 20 agosto 1848

.....Spiacevi il ritorno tra voi di zio Gabriele ? Ciò mel supponevo da molto tempo, considerando la mala aggiustata idea che voi altri provinciali vi siete fatta oggi di Napoli. Voi temete novelli subbugli, qui io, per contrario,no : poichè qui invece di temere tutto, oggi non debbasi temere di nulla. Di fatti qual sommossa sperare da un popolo, che vede con piacere caduta ogni ombra di libertà e reclama ogni antico dispotismo? Napoli non è , come tutte le altre capitali d’ Europa, il soggiorno dell’agitazione popolare, ma offre invece lo spettacolo più doloroso : quello dell’ abbattimento morale e dellla mestizia. Per le strade non formicola giuliva e gaia la gente, ma deserte ed abbandonate sono percorse soltanto dalle pattuglie e dagli sbirri di polizia. Nei caffè, dove prima con una disputa credevi realizzata nientemeno che una rivoluzione europea, uno sconvolgimento mondiale, oggi vi è un sepolcrale silenzio e solo qualche indolenzito vecchio, che legge una riga di giornale......

 

 

 

 

 

Napoli 30 agosto 1848

......Zio Gabriele sta con la lombaggine e molto afflitto. Egli è vittima dei suoi principi troppo rigidamente virtuosi. Tutti i suoi amici hanno condannato la sua ultima parlata nella Camera come troppo veridica. Non sempre piace la verità, quindi non bisogna farne abuso . .......

 

Napoli 6 settembre 1848

......Zio Gabriele forse tornerà profittando della proroga della Camera per rivedere zio Carluccio.....

Napoli 12 settembre 1848

.....Zio Gabriele non sta troppo bene, perchè con la lombaggine,si è ritirato quasi dalle Camere, le quali, dicesi, che andranno di breve a chiudersi .......

altra sventura ! ......

Civita 7 luglio 1849

.....Mio caro Gabrieluccio, ........ma ciò è nulla in faccia allo stato di disperazione morale in che siamo da vari dì tanto noi che i nostri parenti Pepe per zio Gabriele, che qual novello Rousseau, qual novello Alfieri, restio sempre all’ uso delle medicine, oggi trovasi quasi al letto di morte ......

Intanto lo piangiamo come perduto, non dimenticando però di pregare Iddio, perchè con uno dei suoi miracoli schivasse questa volta da morte un uomo, tipo di onestà e di morale, benefico a tutti, d’ infinita buona fede e troppo disgraziato in tutta la vita sua per non dover ricevere da ognuno il tributo almeno della più alta pietà. In con noi certamente ti unirai con preghiere caldissime verso il Cielo, perchè lo salvi almeno dal pericolo presente e così gli potrai praticare una gratitudine doverosa per tanto bene, che ti aveva fatto e che voleva proseguire a fare. Onnipotenza di Dio muoviti a favore della vita di tant’ uomo.

Tuo affezionatissimo padre G. Andrea

 

Civita 14 luglio 1849

.....Zio Gabriele, sebbene continui a stare agonizzante, sarà certamente passato all’ altra vita quando riceverai e leggerai la presente. Figurati come stiamo scossi di afflizione e di pianto, unitamente a pochissimi nostri parenti affezionati.........

Civita 25 luglio 1849

.....Zio Gabriele, abbandonato sempre ed unicamente alla sorte ed al caso, per non dire alle sole forze della natura, continua vieppiù a toglierci da ogni ombra di speranza per la vita. Le apparenze lusinghiere di giorni fa sono anch’ esse sparite. Vive, ma nella più estrema agonia.

Assolutamente è perduto, non essendo finora intervenuto miracolo alcuno a di lui favore, come te ne scrissi alcun tempo fa.

Tuo affezionatissimo padre G. Andrea

Napoli 28 luglio 1849

.....La notizia dell’ imminente morte di zio Gabriele ci ha tutti funestati e finito di persuadere che non vi è alcuna speranza...........

Napoli 11 agosto 1849

.....Dite a zio Raffaele che i giornali annunziano tutti con dispiacere e lodi la morte di zio Gabriele........

Napoli 23 agosto 1849

.....Zio Raffaele sta compilando gli estratti biografici di zio Gabriele.......me ne procurerete una copia e me la manderete. Voglio, se le mie forze mi permettono, scrivere una piccola memoria ad un uomo, a cui sarò legato per gratitudine fino alla morte.

N.B.

Le lettere datate e spedite da Napoli sono firmate da Gabriele

De Marinis figlio di G. Andrea e di Angela Carunchio.

12 - Il I° ottobre 1867 Antonio Ranieri, il letterato ed amico di Giacomo Leopardi," che aveva conosciuto ed amato tanto G. Pepe ed aveva abitato un gran tempo insieme a Firenze " ( da una lettera del Ranieri a Leopoldo Cannavina ), così si esprimeva nell’ Accademia di Archeologia - Lettere e Belle Arti su di lui : "Bello, aitante nella persona, di carnagione fra bianca e vermiglia, di lineamenti ad una delicati e visibili,di occhi grandi e cerulei, dai quali traspariva non so che, direi quasi, d’ incorporeo,che, dove si conceda il vocabolo, pareva gli spiritualizzasse tutto d’ intorno ; sorrideva quasi sempre, non però mai d’ironia o di amarezza,ma di benevolenza e di carità".

Non mi dilungo nell’elencare tutta la produzione letteraria di G. Pepe, ma ricordo solo :

a - La sua collaborazione dal 1824 al 1832 col Viesseux nell’ Antologia di

Firenze con circa 43 articoli scritti e stampati tra cui : " La necrologia di

Vincenzo Cuoco " ( 1824 ).

b - I due diarii di guerra da lui denominati : "Galimatias I° e II°".

c - La vita di Giulio Cesare.

d - Saggio sulla Rivoluzione di Napoli del 1820.

e - Corso di Storia Moderna ( tenuto a Firenze ).

f - Parallelo fra Cesare e Napoleone ( inedito ).

Ad altri toccherà commentare ed interpretare le opere ed il pensiero di V. Cuoco e di G. Pepe.

13 - Civita non ha avuta la fortuna di conservare e venerare nel suo grembo le urne dei suoi più noti e nobili concittadini :

" A egregie cose il forte animo accendono

l’ urne dei forti, ..................... e bella

e santa fanno al peregrin la terra

che li ricetta.

( U. Foscolo )

Vincenzo Cuoco il 13 dicembre 1823 morì a Napoli e fu sepolto a San Giuseppe Degli Ignudi, ove, solamente dopo 62 anni gli andò a far compagnia un altro molisano di Palata : Amodio Ricciardi.

Gabriele Pepe il 26 luglio 1849 fu sepolto nel suo paese nella chiesa di San Giorgio Martire alla destra dell’ altare maggiore ed i suoi resti mortali vi rimasero fino al 1904. In quest’ anno la chiesa fu restaurata e furono riordinate anche le tombe. L’ amicizia e la stima, che intercorrevano fra don Michele Bellaroba e la famiglia Pepe, allora tanto in auge, dovettero provocare la gelosia di gente perversa, che aspettava l’ occasione propizia per seminare la discordia. Pertanto, eludendo la vigilanza e la buona fede di don Michele, la tomba del generale fu aperta e le sue ossa furono trafugate con tutta la divisa e quindi confuse con le altre ossa nella fossa comune. Di qui la reazione di casa Pepe, la condanna del tribunale di Larino di don Michele Bellaroba, la sua rimozione da parroco, e la venuta a Civita dei Protestanti Evangelisti, che vi rimasero per alcuni anni. Il tempo tutto decanta e la verità torna a splendere, dove la cattiveria sembrava trionfare.

14 - Nel 1913 a Campobasso, a ridosso della Banca d’ Italia, accanto all’ Istituto Nazionale " Mario Pagano ", dinanzi alla Prefettura, in una piazzetta che prende il nome del generale, fu inaugurato ed innalzato un monumento in bronzo, opera dello scultore Francesco Ierace, che perpetua nel tempo la figura di Gabriele Pepe :

" ........bello, aitante nella persona

dai lineamenti dai quali traspare

non so che d’ incorporeo

e che spiritualizza tutto d’ intorno."

( A. Ranieri )

15 - A Civita sulla facciata della casa di Vincenzo Cuoco e su quella di Gabriele Pepe sono state collocate rispettivamente delle lapidi con le seguenti iscrizioni :

In questa umile casa

nacque il I ottobre 1770

VINCENZO CUOCO

Scampato dalle forche del 1799

nell’ esilio narrò le lotte fra principato e repubblica

con parola serena ed ammonitrice

calda del sangue dei martiri

Risalendo all’antichissima filosofia italica

e divulgando Giambattista Vico

volle restaurato il sapere e le virtù patrie

con le tradizioni di nostra gente

Il 13 dicembre 1823 morì in Napoli

fra il silenzio degli oppressi

Il suo presagio

fu storia

delle nazioni risorte

La Provincia con orgoglio di madre

il 1905

Esule due volte

GABRIELE PEPE

mostrò agli stranieri

quanto può l’Itala fede

Nelle guerre di Spagna l’antico valore

Viva è l’Italia

disse al francese beffardo

Auspicale fu il duello

Il Sannio

muto da lunghi secoli

tornò

terra di eroi

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Su la casa di lui

la Provincia

con orgoglio di madre

il 1903

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GABRIELE PEPE

Deputato nel 1820 e nel 1848

al Parlamento Napoletano

costretto all’esilio

in Francia ( 1800 ) in Moravia ( 1821- 1823 )

e quindi a Firenze ( 1823 - 1836 )

Patriota storico letterato

voce risorgimentale di libertà

La Regione Molise

nel bicentenario della nascita ( 1779 - 1979 )

lo ricorda nel paese natale

ove alla scuola di Francesco Maria Pepe

con VINCENZO CUOCO si educò

ai sensi della libertà e di progresso civile

Convegno di studi 5 - 6 marzo 1980

 Indice II parte

 

CARLO PEPE

 

Nacque il 19 maggio 1790 in Civitacampomarano, dove morì il 22 ottobre 1843. Figlio di Carlo Marcello e fratello di Gabriele.

a- Coltivò gli studi classici e lo studio delle lingue francese, spagnola e inglese.

b- Tradusse dal latino le Georgiche e ne ebbe apprezzamenti favorevoli dal Monti e dal Giordani.

c- Tradusse dal greco :" L’ Inno a Delo " di Callimaco ; " I precetti agrari " di Esiodo Ascreo ; " L’ Inno a Bacco " di Omero.

d- Preferì dimorare a Civita e non a Napoli. Tramite una scuola si dedicò all’ insegnamento ed in modo particolare a quello di Dante.

e- Il figlio Marcello nel 1855 fece pubblicare i suoi "Frammenti grammaticali

e retorici"

f- Fu un appassionato cultore della musica ed anche compositore. ( Vedi il

capitolo dei " Musicisti e cantori di Civita ".

 Indice II parte

. 

MICHELE ANTONIO CUOCO

 

Figlio di Michelangelo e fratello di Vincenzo, nacque in Civita nel 1776 e morì il 4 giugno 1852. Consigliere della Corte Suprema di Giustizia, sposò Matilde Cardone del barone Francesco e di Olimpia Frangipani. Ebbe una sola figliola, Luisa, maritata al signor Luigi De Conciliis di Napoli.

Questa conservava un epistolario diretto a suo zio Vincenzo dal Monti, dal Cesarotti, da Francesco Melzi d’Eril e da Giuseppe Bossi. Fra gli oggetti ereditati dalla stessa v’era anche una ricca tabacchiera con la sigla imperiale, che Napoleone I aveva regalata a Vincenzo Cuoco, quando questi, nel 1810, gli porse le congratulazioni della Corte di Napoli ( G. Murat ) per la nascita del Re di Roma. Nella casa di suo fratello Michele, amorevolmente assistito, V. Cuoco trascorse gli ultimi anni della sua vita.

 Indice II parte

 

NAZARIO COLANERI

 

Annovero questo patriota tra i nostri personaggi, perchè anch’egli ha sangue civitese ed è trait d’union con l’antica e nobile terra di Trivento, tanto a noi vicina per confini e per affetti. Col cugino Gabriele e con lo zio Carlo Marcello fremette amor di patria negli avvenimenti della Repubblica Napoletana. E’ Zaruccio, che nell’esilio di Firenze, tramite le lettere di Gabriele, invia i saluti ai cari parenti di Civita.

I cenni biografici, che io riporto integralmente, sono presi da appunti di un suo discendente, il dottore Silvio Colaneri nato a Trivento il 18 gennaio 1897 e deceduto il 13 aprile 1979.

" Nazario Colaneri è nato a Trivento il giorno 2 aprile 1780 da Luigi e da Angelamaria Pepe, sorella di quel Carlo Marcello Pepe da Civitacampomarano, che fu padre del generale Gabriele Pepe e morì esule a Marsiglia nell’anno 1799. Di forte ingegno fin da giovinetto, compì i primi studi di umanistica presso il seminario vescovile di Trivento ed alla scuola di valenti maestri privati assai esperti di latino e di scienze.Si addottorò in legge presso l’antica e gloriosa Università di Napoli.Dalle idee liberali e dal vivo sentimento patriottico, che tutto lo invase fin dalla prima giovinezza, si iscrisse prestissimo alla Carboneria e con gli elementi più autorevoli e più in vista del vicino Abruzzo, preparò i moti del principio del secolo XIX in queste nostre contrade. Nel 1820, in seguito alla così detta Costituzione concessa dal governo borbonico,fu deputato della zona, insieme a Gabriele Pepe, nel breve parlamento che ne derivò ed ebbe l’alto onore di essere uno dei quattro segretari dell’ Assemblea.

Nell’anno successivo fu posto in esilio e sfuggì all’arresto in Napoli ad opera di un altro triventino Fulvio Quici, già capo dei briganti politici del luogo natio,che avevano le loro intese con le bande del cardinale Ruffo di Calabria ed a quell’epoca elevato alla carica di tenente della guardia borbonica. Il Quici aiutò il concittadino Colaneri facendolo uscire dalle mura di Napoli travestito da guardia borbonica.

Firenze capitale l’accolse nel suo lungo periodo di esule e quivi fece vita in comune con il cugino Gabriele Pepe dividendone le amarezze e le sofferenze in uno a molti altri patrioti. Tra questi v’era il generale Pietro Colletta, autore della " Storia del Reame di Napoli ", il quale, morendo in esilio a Firenze, nominava il Colaneri suo esecutore testamentario con Gabriele Pepe, Giuseppe Poerio, e Gino Capponi ".

Su di lui ho raccolto qualche altra notizia. Nel 1832 Ferdinando II, salendo sul trono, concede l’amnistia e dall’esilio di Firenze fa tornare Nazario a Napoli. Qui ebbe un posto nel Dicastero di Grazia e Giustizia. Nel 1848 fu rieletto deputato insieme al cugino Gabriele Pepe, ma, essendo capo dipartimento nell’anzidetto ministero non era eleggibile. In quell’epoca abitava a Napoli a Salita Tarsia presso Gesù e Maria, ove si recava spesso Gabriele col nipote Marcello. Nel 1860 fu messo a riposo col grado di giudice di Gran Corte Civile. Morì a Casalnuovo ( Napoli ) il 22 settembre 1864.

Per conoscere meglio il suo animo è interessante leggere un discorso da lui pronunziato a Portici. Tale documento col n° 318 - 483224 è stato rinvenuto presso una biblioteca di New York dal dottor Alex Colaneri, suo discendente, che mi ha donato una copia :

"Poche parole" dette da Nazario Colaneri, presidente del Collegio Elettorale del circondario di Portici, in occasione delle elezioni dei deputati al Congresso Legislativo (1861)per la prima Legislatura dopo l’unità d’Italia.

"Signori, voi vi siete compiaciuti elevarmi all’onorevole ed altissimo ufficio di presidente di questo collegio elettorale.Io vi ringrazio e vi assicuro che ne serberò invariabile ricordanza;e questo giorno sarà, come lo è di fatti,uno fra i pochissimi della mia vita pubblica, che potrò segnare e rimembrare come fausto ed avventuroso in mezzo secolo di sventure, di persecuzioni e di martiri patiti per la bella causa della libertà della comune patria, e per l’indipendenza italiana. La vostra fiducia e la vostra indulgenza a mio riguardo m’impongono il debito di corrispondere ai vostri proponimenti;e mi danno forza a fare,che quest’atto di popolare sovranità riesca tale, che possa meritare la vostra approvazione non disgiunta dalla nazionale utilità.

Miei cari concittadini, non per far mostra di scelto eloquio, nè ambizioso di pubblico plauso ho fatto proposito dirvi poche parole circa il supremo atto che andremo a fare; in cui l’altissima dignità di cittadini viene proclamata,perchè innalzati alla partecipazione della sovranità, ed al diritto di fare le leggi per mezzo di coloro, che noi presceglieremo a rappresentarci nel nazionale consesso : atto supremo, sacro, sublimissimo, da cui dipenderanno le sorti di questo Regno, e possiamo pur dire di tutta Italia,avvegnacchè se primi noi fummo ad ottenere uno statuto, saremo forse eziandio i primi a mostrarci legislatori.Si, miei cari, l’Italia, l’Europa e la stessa libera America ci guardano ansiose, ed attendono da noi pruove di saggezza italiana, di ordine e di fermezza civile.

Se fummo i primi promotori di libero e legale governo al di quà delle Alpi, dobbiamo essere eziandio i primi a dare testimonianza di civile sapienza, di concordia, di patriottismo nel propugnare le ottenute franchigie, e contro le seduzioni del potere, e contro le smodate esigenze popolari.

Voi andrete fra poco ad eleggere i vostri rappresentanti al congresso legislativo; quindi siate vigilanti ed imparziali. Si dia bando tra noi ai riguardi, ai suggerimenti, alle simpatie ed ad ogni parteggiamento : e cessino le gare municipali or che trattar si debbe degli interessi nazionali ; e ricordatevi che siete italiani, e figli di una patria illustre, madre di eroi e maestra di tutte le nazioni. Ricordatevi che l’indipendenza è il primo bisogno ed il maggior bene di un popolo,e che per conquistarla e raffermarla fa mestieri essere forti e la forza sta dov’è unione e concordia fra i cittadini.Stringetevi dunque intorno al vessillo dell’italiano risorgimento e fate che gli uomini che sceglierete siano tali, quali le nostre condizioni l’esiggono, cioè onesti, disinteressati, e non ambiziosi ed avidi di dovizie, o di ministeriale proteggimento ; devoti alle attuali forme governative e non equivoci o indifferenti,non apostati,non di dubbia fede civile ; insomma uomini, i quali per cuore , per nota fermezza di carattere, e di liberi concetti restano saldi fra le sociali tempeste,ed incorrotti in mezzo all’universale corrompimento della lunga patita servitù.

Da questa prima legislatura dipende il benessere di questa nazione, la nostra libertà, o il nostro servaggio. Se ora si sbaglia nell’elezione, tutte le leggi fondamentali e regolatrici saranno falzate, e noi tutti dovremo soggiacere ad una servitù legale, peggiore assai di ogni altra sia monarchica, sia oligarchica, oppure, come è avvenuto presso tutti i popoli antichi e moderni, o dobbiamo correre incontro alla dittatura di un Pisistrato, di un Sillla, di un Mario, di un Cesare o di un Cromweld, oppure incontro ad altri sconvolgimenti sociali.Avvertite che la camera dei deputati ha contro di sè quella dei Pari, la quale, per condizioni di ricchezza, per origine, per durata e destinazione è stazionaria e non progressiva.Ha contro ancora il potere esecutivo o regio, il quale, per istinto, per abitudine, interesse e potere è sempre invaditore ; quindi fa mestieri, acciò le forze sieno equilibrate, e tutte cospiranti all’utilità pubblica ed al bene universale,che i deputati sieno uomini devotissimi all’attuale politico ordinamento, il più saggio di quanti l’umana intelligenza seppe immaginare,che sieno caldi e franchi propugnatori di esso ; e non già esaltati ed utopisti, dappoichè sotto l’imperio dell’esaltazione e delle passioni tace la ragione unica guida del ben fare ; che non sieno egoisti, cortegiani, ambiziosi di favori, di ricchezze, di onorificenze. Scegliete i buoni, i liberali che tali furono in tutti i tempi ; che lo sono e in buona fama ; e che lo saranno per date pruove d’invariabilità di carattere, di benintesa religione fondamento e guarantigia di ogni sociale ordinamento, di purezza d’animo, di onesta condotta privata e pubblica.

Se così farete voi, sfuggirete al rimorso di aver tradita la patria vostra, e di aver preparate le catene di più dura schiavitù pe’ vostri figli e nipoti. Fate che i nuovi eletti sieno modelli di virtù cittadine, di senno,di civile coraggio ; e la patria vi sarà riconoscente ; e l’ Onnipotente, nella pienezza della sua potenza e carità,benedirà voi, le vostre famiglie, i vostri discendenti ; e l’istoria noterà questo giorno prosperoso, quest’atto sopraeminente nelle non periture pagini dei fasti nazionali. Scegliete, ma rimembrate,che dopo questo atto di popolare sovranità, voi ritornerete alle condizioni di sudditi, ma di sudditi delle leggi, e non dell’arbitrio altrui ;e perciò se queste saranno dettate da saggezza e carità di patria, voi obbedirete e sarete felici, perchè dall’obbedienza alle leggi dipende la felicità pubblica. Voi tornerete ad essere sudditi, ma liberi ed eguali : sudditi, ma sempre padroni del vostro pensiero, delle vostre azioni, delle vostre proprietà. Obliate in fine, e per questo solo istante, di essere uomini, e siate cittadini operatori di cittadina prosperità ; dimenticate di essere napolitani, e siate italiani propugnatori dell’italiana indipendenza, dell’italiana gloria, dell’italiana grandezza".

 Indice II parte

 

GIOVANNI ANDREA DE MARINIS ( junior )

Nacque a Civita il giorno 11 febbraio 1796 e vi morì il 28 aprile 1866. Si laureò in medicina e chirurgia presso l’università di Napoli. Sposò il 2 aprile 1821 Angela Maria Carunchio di Gissi ( Chieti ), nata il 6 febbraio 1803 da Pasquale e da Pepe Teresa, sorella di Gabriele. Angela Maria morì il 22 maggio 1882. Fu valente medico e godette di una meritata rinomanza nella propria provincia ed in quelle vicine. Il vescovo di Termoli Gennaro De Rubertis da Lucito, nonchè l’altro di nome Ventura, ed i vescovi di Larino Pietro Bottari e Giampaolo, come pure quelli di Trivento a nome Terenzio ed Agazio, le famiglie più nobili ed illuminate lo tenevano in gran conto e lo richiedevano in caso di malattia. Nell’inverno del 1858 fu chiamato ad insegnare medicina pratica ed igiene nel liceo di Campobasso, ma per ragioni di famiglia dovette rinunziarvi. Nel settembre del 1860, dopo l’entrata di Garibaldi a Napoli e la cacciata dei Borboni, fu mandato con regolare decreto a Larino a rappresentare la persona del sotto-intendente. Ebbe molti incarichi comunali e per molto tempo fu consigliere distrettuale di Larino. A riprova di quanto detto basta elencare le amicizie e le parentele che quest’uomo seppe contrarre con persone colte e rinomate.

Conquistò la stima, l’amicizia e la confidenza col professor Francesco Petruccelli, col quale aveva corrispondenze epistolari. Alle volte si serviva come tramite anche di Gabriele Pepe, il quale il 28 ottobre 1820 così gli scriveva : "Caro don Giovannandrea, ho ricevuto la vostra lettera e vi ringrazio oltre modo dei sentimenti, che in essa mi esternate.Ho dato la vostra acclusa al signor Petruccelli. Scusate se sono breve, perchè oggi fra il parlamento e la posta non so come mi regga la testa.Saluto tutti i vostri e vi abbraccio. Aff. mo amico Gabriele Pepe."

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"Carissimo sig. Giovannandrea. Sono sensibile alle gentili e obbliganti espressioni, che mi fate. Io vi stimo assai per l’abilità e onestà che vi distingue. Se credete che possa esservi utile, comandatemi. Mi compiaccio della vostra opinione sempre crescente. Vi abbraccio e mi protesto vostro amico e servitore. Aff. mo Francesco Petruccelli.

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Gabriele Pepe scriveva da Reggio Calabria il 3 novembre 1819 al futuro suo nipote in questo modo :

"Gentilissimo Sig. don Giovannandrea. Ho ricevuto la di lei cortesissima lettera, e la ringrazio dei sentimenti, che ha avuto la bontà di esternare in essa tanto a mio riguardo che sul conto della mia nipote.Il vicendevole interessamento, che si è destato fra lei e mia nipote istessa forma l’ elogio di amendue. Or sia di amendue cura di conservarlo puro, e di penetrarvi dell’importante verità che il reciproco amore è nulla senza la reciproca stima ; e infine che questa s’ impone reciprocamente sia col mostrarsene degno che col vicendevole rispetto. Insomma ella non deve essere attualmente che il primo e il più vigile custode della virtù di colei, che ha scelto per compagna della sua vita. Ai sentimenti di piacere che provo pei già stipulati capitoli, aggiungo i voti di felicità per i contraenti.

E pregandola di porgere i miei ossequi a tutti di sua famiglia, con ogni stima e con devozione passo ad abbracciarlo. Aff.mo amico vero Gabriele Pepe."

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A matrimonio avvenuto, e dopo pochi giorni la celebrazione religiosa e civile di esso, il medesimo Gabriele Pepe così gli scriveva da Napoli il 19 aprile 1821 :

"Caro don Giovannandrea.Ho ricevuto la vostra lettera, e vi ringrazio delle obbliganti espressioni, che mi prodigate nel cortese vostro foglio. Godo nel sentirvi sposato con Angela Maria. In casa nostra si è pensato a farne una buona e virtuosa ragazza. Spetta ora a voi di renderla buona moglie. Amatevi e compatitevi reciprocamente, e sarete felici per quanto è permesso di esserlo in questo mondo ridicolo. Mille auguri al signor don Michele, a tutti di vostra casa e vi abbraccio con Angela mille volte.

Aff. mo amico e zio Gabriele Pepe."

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Era tenuto in grande considerazione anche dalla propria suocera ( Teresa Pepe ), che era una donna colta e intelligente. Questa così gli scriveva da Gissi il 13 aprile 1821 :

"Figlio caro, il mio cuore, oppresso dal dolore per l’incerta sorte dei miei cari fratelli, non è nello stato di potervi esprimere cosa veruna. ( I fratelli Carlo, Raffaele, Gabriele e Francesco le davano preoccupazione per la Rivoluzione del 1821 ed in modo particolare Gabriele ). Posso assicurarvi solo che, se prima vi stimavo, oggi vi amo teneramente e vi amerò per sempre. La sorte di mia figlia, dipendendo da un uomo di carattere virtuoso, quale siete voi, mi assicura che ella sarà contenta. Io non so e non posso dirvi altro. Confesso che io sono assorbita da un vivo rammarico. Pasquale è a Vasto ed è forzato ad essere assente per causa del suo impiego. Vi dò per me e per lui la santa benedizione e, salutando tutti di vostra casa, vi abbraccio con Angela e sono sempre vostra aff. ma madre Maria Teresa Pepe."

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Con lo stesso affetto, ma sempre con la stessa circospezione per gli avvenimenti rivoluzionari, si esprime il cognato Carunchio Ireneo nella lettera del 4 aprile 1821:

"Carissimo cognato,voi conoscete il mio cuore e quanto vi amo e vi stimo, potete ben calcolare il mio piacere pel nuovo legame di parentela, che a voi mi unisce. Io sono tra le fatiche della campagna, che mi reca un fastidio noioso e mi rende qui necessario. E’ questa la ragione che mi distorna da una sollecita venuta costà come vorrebbe il mio cuore a riguardo delle affligenti circostanze dei nostri affettuosissimi zii.Assicuratevi che appena avrò un momento libero sarò da voi,purchè i momenti attuali lo permettano. Io sono tenuto sotto un vigile occhio ed ogni minimo mio andamento viene indagato con una curiosità indescrivibile da questi miei concittadini, l’indole dei quali vi è bastantemente nota. Non si avveggono che non ho nessuna colpa ; perciò potrò essere soltanto oppresso innocentemente come lo sono tanti altri. Scrivo in fretta perchè stanco. Saluto tutti i vostri e vi abbraccio con Angela dicendomi vostro aff. mo cognato Ireneo."

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Riporto anche una lettera di Giustino Sanchez, rinomata ed illustre famiglia di Montefalcone nel Sannio, alla quale si era apparentato tramite i Carunchio :

"Caro signor nipote, sono sensibile alle manifestazioni che mi avete fatto in occasione del vostro matrimonio colla mia nipote Angela Maria, e ve ne ringrazio di vero cuore. Vorrei che mi porgeste opportunità per potervi dimostrare la mia gratitudine ed il mio attaccamento, e spero che voi oramai contiate di avere a Montefalcone in me e nella mia famiglia dei parenti che sono pronti a servirvi, ed una casa, di cui potete giovarvi come meglio vi aggradisce. Vi prego di dire altrettanto alla nipote per me, per mamma e per le sorelle. Sono con tutta stima vostro aff. mo parente Giustino Sanchez."

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Come già visto negli epistolari riportati nella vita di Gabriele Pepe, Giovannandrea, come parente e medico di famiglia, assistette e curò il generale negli ultimi giorni di malattia e della sua vita terrena.

Inoltre Giovannandrea era legato da grande e sincera amicizia con un altro dotto ed illustre concittadino : Filippo Pardi.

 Indice II parte

 

FILIPPO PARDI

 

Il padre, di cui non conosco il nome, era fabbro. Filippo Pardi nacque a Civitacampomarano nel 1785. Visse la fanciullezza in casa del nonno materno Vincenzo Cieri. Insegnò anatomia umana in Catanzaro, ove ebbe come amico ed ammiratore Luigi Settembrini. Poi, come carbonaro, soffrì nella rivoluzione del 1820 e fu destituito. Allora fu aio del primo figlio del principe di Monteleone. Sotto Francesco I e Ferdinando II riprese il suo primo ufficio.Tornò in paese tra il 1837 - 1838. Non si ammogliò e la sua famiglia si spense. Morì in Napoli tra il 1837 e il 1838 ......

Trascrivo una lettera di Luigi Settembrini indirizzata al signor Albino di Campobasso, e riportata il 30 marzo 1876 sulla " Gazzetta della Provincia del Molise " su Filippo Pardi di Civitacampomarano :

"Ho avuto ed ho letto la sua opera biografica degli "Uomini illustri del Molise" e la ringrazio. E’ un’ opera pregevole, è un opera utile,ed io vorrei che ogni provincia d’Italia avesse un uomo operoso come lei, che illustrasse, raccogliendone tutte le memorie che sono materia alla storia non fatta ancora. E la sua opera mi ha fatto ricordare di Filippo Pardi di Civitacampomarano, figliolo di un povero fabbro, medico e chirurgo valoroso, mio amico e collega nel collegio di Catanzaro,dove insegnava anatomia e fisiologia, morto tra il 1837 e 1838, uomo eccellente per bontà d’animo. A quanto mi ricordo, sono trentatrè anni passati, egli pubblicò non so che scritto a memoria, e fece uno splendido concorso per avere la cattedra, che nel 1821 perdette e riebbe dopo il 1830. Suonava il violino, leggeva poeti, studiava sempre con amore, rideva piacevolmente. Freddo,freddo pareva un minchione, ed era un uomo, un uomo raro, un amico saldisssimo, un chirurgo sicuro. Me ne ricordo così come un sogno. Morì a quarantanove anni, non lasciò altra famiglia che un fratello veterinario, che credo sia anche morto. E’ un nome ignoto di un uomo dabbene, che non visse inutile, e che meriterebbe d’essere conosciuto più di tanti illustri. Ne ricerchi, e se può, ne ricordi pure il nome. Mi perdoni questa memoria. Ella sa che i vecchi vivono del passato. Torno a ringraziarla del suo libro e la prego di credermi con ogni osservanza, tutto suo Luigi Settembrini."

Il Settembrini, con i giudizi sopra riportati, che ci commuovono e ci scuotono, "erexit monumentum haere perennius " ( Orazio ) per il nostro Filippo Pardi. Seguendo il consiglio ed il desiderio del Settembrini ho cercato di dare ulteriori notizie su Pardi ricavate da epistolari di famiglia dato che esisteva amicizia tra mio bisnonno Giovanni Andrea, anch’egli medico, e "quest’uomo raro".

"Mio caro don Giovanni Andrea,perdonatemi se così vi rispondo, perchè sono affollatissimo di cose e specialmente mi avviluppa il travaglio di una Istituzione Anatomica, e una classificazione che io cerco di presentare al Presidente della Pubblica Istruzione onde potermi forse giovare. Vi rispondo alle domande.Io sto bene, robusto e pieno di rabbia. Spero di terminare tra breve la prigionia calabrese. Mi parlate di Grillo, io non so nulla, ma forse dovrò poi dirvi che ella è una semiscoperta, dovendosi la prima metà al Grimaldi. Mi parlate di mia desolata e cara sorella. Ditemi che cosa io possa darle fuorchè la mia eterna compassione? Io ho scritto mille volte, e forse non comunicato a lei, che, se io avessi qualcosa di mia porzione, intendo tutto darla a mia sorella. Divertitevi alla musica. Noi pure qui qualche rara volta. Ditemi : mi consiglieresti di indirizzare una lettera al Socio economico don Raffaele Pepe onde avere in breve qualche notizia di agricoltura e di pastorizia e dei loro attuali progressi nella nostra provincia, ed anche nella nostra patria onde servirmi di appendice ad una mia memoria, dimostrando al presuntuoso nostro segretario che la nostra provincia è molto superiore alla Calabria da lui tanto encomiata nella sua apertura?....Mi dispiace di abbandonarvi, perchè vi sono costretto, per cui non mi resta altro che abbracciarvi di cuore ossequiando don Ciccio, zio Michele, zio Peppe, zio Ottavio e tutta la vostra famiglia.

P.S. Abbraccio zia Celeste e suoi di casa. Datemi qualche notizia di zio Marino. Il vostro aff. mo amico Filippo.

A dì 10 marzo 1819

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Nota : il lontano, illustre nostro concittadino, in grande amicizia con don Giovanni Andrea, parla della sua opera di Anatomia, ( della quale parla anche il Settembrini ), nella quale era tutto impegnato o meglio "avviluppato". Circa poi la " scoperta anatomica " del Grillo, attribuisce per metà il merito anche all’altro anatomico il Grimaldi. Inoltre si lamenta della valutazione non troppo benevola sull’agricoltura della nostra Provincia, per cui voleva il parere tecnico dell’agronomo don Raffaele Pepe per dare una risposta giusta ed appropriata.

Si parla come tra parenti, di fatti intimi familiari, e con molta effusione si danno i saluti per tutti i singoli componenti della famiglia.

 Indice II parte

 

 

D’ASCANIO GIUSEPPE NICOLA

 

Nacque in Civitacampomarano nel 1792. Figlio del Dottore in medicina don Luigi ( nato nel 1759 ).

Nipote di don Fabio D’Ascanio farmacista ( nato nel 1736 ).

Organizzò in Civita una scuola privata, dove convenivano molti giovani molisani ed abruzzesi per la rinomanza dell’insegnamento del colto maestro. Questa scuola fu l’ereditiera e la continuatrice della cultura, che si era formata a Civita attraverso un nucleo di uomini, che non vollero essere sommersi dall’universale ignoranza e dall’analfabetismo imperante allora nel Molise. Questi uomini seppero emergere, mantenendosi a contatto con l’evoluzione del pensiero e degli avvenimenti storici e introdussero nella nostra zona libri e scritti con idee nuove, che alimentarono le loro menti, le loro azioni e che sfociarono nella " rivoluzione napoletana del 1799 ".

Ricordo ancora questi uomini :

a) Padre Francesco Cherubino Pepe (1684-1759), che tanta influenza ebbe su Carlo III e che sicuramente conobbe Bernardo Tonucci(1698-1782) e le sue idee rinnovatrici.

b) Padre Francesco Maria Pepe, anch’egli gesuita, ed alunno del matematico Fergola e del filosofo Genovesi.

c) Il giacobino Carlo Marcello Pepe (1749-1799) padre di Gabriele.

d) Quel folto nucleo di sacerdoti, medici ed avvocati, che seppero mantenere rapporti con tutti gli uomini più colti del tempo e della nostra regione: come Giuseppe Maria Galanti, autore di "Descrizione del Contado del Molise " (Napoli1791). Francesco Longano di Ripalimosani, autore del "Viaggio per il Contado del Molise " (Napoli1788). Ottavio Chiarenza con "Giannone dai Campi Elisi "(Napoli1791). De Luca Nicola di Ripalimosani(1734), educatore di Gaetano Filangieri, vescovo di Muro Lucano e di Trivento, che morì nel 1826. Brencola Francesco, professore e rettore del seminario di Larino(1790-1792). I padri Mannarini di Lucito, dai quali uscì il Longano,che a Napoli divenne l’alunno prediletto del Genovesi.

e) Don Attanasio Tozzi, civitese, anch’egli alunno del Genovesi, che insegnò nel seminario di Trivento e di Termoli.

Sono stati proprio questi gli uomini dell’illuminismo "Civitese Molisano" a preparare e coltivare nelle generazioni successive quella fioritura di intellettuali, che sfociò nel tragico appuntamento della "rivoluzione del 1799".Questi intellettuali convenivano a Castelbottaccio nel palazzo dell’avvenente, nobile e colta baronessa Olimpia Frangipane, per discutere contro gli abusi dell’agonizzante feudalesimo e per affermare le nuove idee di libertà e di una nuova coscienza nazionale, con la speranza che il re comprendesse tante e sì nobili aspirazioni, lungi dall’immaginare che si sarebbe arrivati al bagno di sangue ed ai tristi esilii.

Ecco i nomi più noti di questi intellettuali : V. Cuoco e G. Pepe da Civita ; Costantino Le Maitre da Lupara ; Domenico De Gennaro e Domenico Tata da Casacalenda ; Amodio Ricciardi da Palata ; Nicola Neri da Acquaviva.

Nel periodo successivo ai fatti del 1799, fu la " Scuola di Giuseppe Nicola D’Ascanio " a continuare l’insegnamento e la cultura di questi dotti concittadini. Si mantennero i contatti con altri centri culturali della provincia. Con Toro tramite la famiglia Trotta, con Campobasso, con Lucito tramite la famiglia di Giuseppe De Rubertis autore "Dell’antico e moderno incivilimento del Sannio". ( Campobasso 1852 ).

Quando G. Pepe nel 1836 tornò a Civita da Firenze con piacere accettò l’invito d’insegnare ai giovani storia e geografia per inculcare loro,non solamente le nozioni di quelle discipline, ma anche le virtù patrie e l’amore della libertà. Appena però s’accorse che la polizia lo seguiva anche in questa sua attività, manifestando i suoi sospetti, Gabriele, sdegnato, lasciò l’insegnamento.

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MARCELLO PEPE

 

Nacque in Civitacampomarano il 23 gennaio 1816 da Carlo e da Carmela Cardone dei baroni di Castelbottaccio. Si laureò a Napoli a diciannove anni in giurisprudenza. Era amante della musica e fu discepolo affezionato e diligente del Donizetti. Stette molto vicino al maestro durante la sua malattia e, quando questi terminò di comporre la finale della "Lucia di Lammermoor ", furono chiamati il Pepe e il Duprez a suonarla, perchè il Donizetti stava male.

M. Pepe rappresentò il collegio di Palata durante cinque legislature consecutive dal 1866 al 1882.

Nella IX legislatura ( 18 - 11 - 1865 / 13 - 2 - 1867 ) : la capitale da Torino fu trasferita a Firenze. Nel collegio di Larino viene eletto deputato Di Blasio Scipione.

Nella X legislatura ( 22 - 3 - 1867 / 2 - 11 - 1870 ) nel collegio di Palata viene eletto Costanzi Norante. Per le sue dimissioni fu eletto Marcello Pepe di Civitacampomarano. L’on. Pepe il 10 aprile 1870 tenne alla Camera un discorso su : " Proposta di una statistica agraria ".

Nella XI legislatura ( 5 - 11 - 1874 ) per il collegio di Palata viene eletto ancora M. Pepe.

Nella XII legislatura ( 20 - 11 - 1874 / 16 - 5 - 1880 ) nel collegio di Palata è eletto ancora M. Pepe.

Nella XIII legislatura ( 16 - 5 - 1880 ) sempre nel collegio di Palata viene eletto M. Pepe.

Nelle legislature successive non viene più rieletto.

Era un esperto in agricoltura e scrisse : " Condizioni della agricoltura di Civitacampomarano ". Fu il continuatore dello zio Raffaele, appassionato agronomo , che introdusse nelle nostre zone la coltivazione della "sulla " e della " lupinella ". Fu nominato " maestro di Agricoltura " con decreto del 16 agosto 1858. Nel 1863 fu agente demaniale con una interessante relazione al prefetto sull’ex Feudo di Torre Zeppa in Ripabottoni.

Il 21 maggio1865 stese una relazione sulla pubblica adunanza tenutasi in Civitacampomarano dai cittadini di Lucito, Castelbottaccio, Lupara e Guardialfiera a protesta della deviazioine della linea ferroviaria: Termoli-Benevento dalla valle del Biferno a quella del torrente Cigno. Vi parteciparono, oltre alla massa della popolazione, le persone più importanti della zona: Francesco De Luca e Raffaele De Sanctis di Lupara; Vincenzo ed Ercole De Lisio di Castelbottaccio; Ettore D’Onofrio e Giuseppe De Rubertis di Lucito; Giovanni Andrea De Marinis e Domenico Colonna di Civitacampomarano.

Il 14 febbraio 1870 pubblica un interessante articolo sulla:"Palestra del Sannio", sempre di contenuto agrario. Il 25 aprile 1870 l’on. Pepe avanza proposta al competente ministero dell’agricoltura: "di eseguire annualmente degli studi per la conoscenza delle forze agricole dello stato". Il 10 aprile 1870 tiene un importante discorso alla Camera sempre sull’agricoltura.L’8 settembre 1870 esce a Campobasso il "Manifesto sul diritto dell’Italia su Roma capitale" firmato da Sipio e Pepe. Il 25 novembre 1870 "Ringraziamento del Pepe per la sua rielezione nella decima legislatura".

Nel 1864 pubblica una biografia sullo zio Gabriele "Elementi biografici".

Trascorse il rimanente della sua vita dedicandosi completamente all’agricoltura, all’insegnamento ed alla riorganizzazione delle opere scritte.

Morì a Civita il 25 gennaio 1901.

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SCUOLA DI MUSICA E DI CANTO

( MUSICISTI E CANTORI )

 

Durante il sec.XIX in Civita ci furono degli appassionati della musica e del canto. Questi non si accontentarono di coltivare tali arti solo privatamente, ma ci tennero a ricreare il pubblico ed educarlo con composizioni di musica sacra e profana.

Gareggiavano a musicare mottetti , brani sacri, messe ballate, serenate e canti popolari. Nelle funzioni sacre del Natale, della Pasqua, dei Santi Patroni i fedeli si riversavano nelle chiese, non solo per devozione, ma anche per gustare le armonie delle composizioni e la voce dei cantanti tanto bravi. Tali esibizioni avvenivano anche per le vie del paese durante il Carnevale al seguito delle maschere. Gli innammorati si raccomandavano a loro per le serenate alle loro fidanzate.Per l’esecuzione di musica classica venivano requisite le sale più vaste e più belle del paese per potere organizzare trattenimenti piacevoli ed educativi. Padre di questa scuola fu Carlo Pepe(1790-1849), fratello di Gabriele, dotato di non comune vena poetica e musicale. Di lui si ricordano: canti per maschere, Tantum Ergo, Sancte Ioseph, Inno a San Michele (che veniva cantato anche nel santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo nel Gargano), miserere ecc. ecc..

Altro componente importante di questa scuola fu Giuseppe Nicola D’Ascanio,lo stesso della scuola letteraria. Uomo di ferma volontà, di profonda fede e cultura, anche se di malferma salute, oltre che agli studi classici e filosofici, dedicava il suo tempo anche alla musica.

Ammiratore di Carlo Pepe gareggiava con lui nelle composizioni musicali e di lui ricordiamo: una Messa Cantata, Litanie, Miserere, Tantum Ergo,un inno alla Madonna ecc.ecc. Peccato che queste composizioni siano andate quasi tutte smarrite!

Nella chiesa di San Giorgio eccelleva nel canto Giovanni Andrea De Marinis junior, che, pur impegnatissimo nella professione di medico chirurgo, non disdegnava esibirsi, per il suo attaccamento alla parrocchia e per la sua religiosità, con la messa di Matteo Vannucci, col miserere di padre Alessio, e la ninna nanna di Domenico Cimarosa.

Nel canto si distinse anche il dottor Michele D’Astolfo avvocato, nipote del parroco don Domenico D’Astolfo. Pur di umili origini, seppe elevarsi col suo ingegno ed affermarsi professionalmente nel tribunale di Campobasso, ove si era trasferito. Anche in questa città si venne a sapere della sua bella voce, perciò lo vollero sentire nella cattedrale con canti sacri e nel teatro con canti classici. Molte volte era invitato nei salotti delle migliori famiglie per l’ascolto di rinomate romanze. Per l’accompagnamento musicale di queste manifestazioni a Civita c’era l’orchestra formata dai componenti delle famiglia D’Aloisio chiamata "Pantino" tanto appassionata di musica e di strumenti musicali. Questo filone d’arte musicale toccò il culmine con l’on.Marcello Pepe, che, dal padre Carlo, fin da piccolo, fu educato alla melodia ed al ritmo. A Napoli ebbe la fortuna di frequentare la scuola del famoso compositore Gaetano Donizetti(1797-1848). Suonava da maestro il pianoforte ed il contrabasso specie nell’esecuzione della sinfonia dell’Anna Bolena(Donizetti). In casa Pepe v’è ancora un piccolo busto in gesso,in ricordo del grande maestro bergamasco. Sullo zoccolo del busto v’è uno scritto che ricorda, come il Donizetti, paralizzato a letto, volle sentire la finale della sua " Lucia di Lammermour " suonata al piano dai suoi allievi Pepe e Duprez.

Come appendice aggiungo che in questa scuola dovette apprendere a suonare il violino anche l’anatomico Pardi Filippo, che a Catanzaro con nostalgia scriveva agli amici civitesi: "Divertitevi alla musica. noi pure qui qualche rara volta". Ne fa menzione anche L. Settembrini, suo amico:"suonava il violino e leggeva poeti..."

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Nota 1- Agli inizi dello stesso secolo XIX dovette sorgere nella piazzetta "Torrone" la così detta "Casina" che durò poi fino all’avvento del fascismo, cedendo il posto al "Dopolavoro".

Nella "Casina" ogni sera convenivano i galantuomini, i proprietari, i professionisti per scambiarsi delle idee, per discutere degli avvenimenti paesani, mandamentali e regionali. Tra una partita a scopa o a tressette si scambiavano i giornali, che provenivano da Campobasso e da Napoli. Solamente così potevano mettersi al corrente anche della cronaca nazionale. (da V. De Lisio : la posta da Napoli arrivava a Campobasso due volte la settimana, il giovedì e la domenica prima di mezzogiorno).

Nota 2- Le notizie su "Musicisti e Cantori" le ho prese da un manoscritto di Francesco De Marinis senior anch’egli appassionato di musica e compositore.

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DI PAOLO CELESTINO

 

Nato a Civitacampomarano il 18 dicembre 1874 dall’avvocato Alfonso e dalla signora Carelli Carmina, morì a Civita il 25 agosto 1897.

La sua famiglia si è sempre distinta per intelligenza e sapere.Tra i suoi antenati sono da ricordare :

1- Giuseppe, sacerdote dei minori osservanti, morto in concetto di santità ad Ischitella (Foggia), ove è sepolto ed ancora oggi viene venerato.

2- Ludovico parroco di Santa Maria Maggiore.

3-Ignazio,parroco di Santa Maria Maggiore. Questi , essendo zio di Celestino, fu il suo primo e trepidante educatore e lo avviò alle "Letture Cattoliche" di Don Bosco.

4-Pascasio, giudice.

5-Dott. Alfonso Di Paolo, nipote di Celestino, dopo la seconda guerra mondiale, raggiunse uno dei più alti gradi nel Ministero delle Finanze e fu Capo-Gabinetto del Ministero del Turismo.

Celestino, nella sua breve vita di soli 23 anni, diede quanto di più bello può dare un animo gentile. Dotato di forte ingegno, prometteva di raggiungere mete superiori. Basta leggere le sue poesie per sentire la dolcezza e la grandezza del suo animo, la potenza della sua mente ed il pianto del suo cuore, quasi presago della sua breve permanenza su questa terra:

"Come una stella c’apparisce in cielo

luccica tremolando e tosto muor": (dai Canti Mistici)

Studia a Campobasso al Mario Pagano. Si laurea in legge a pieni voti presso l’Università di Napoli. Esercita, come avvocato, presso la pretura di Civita, Seppe sempre mantenere i contatti con i suoi amici di studio specie con quelli che amavano le lettere, che lo stimavano,e l’ammiravano per la sua anima di poeta. Ebbe le lodi di Matilde Serao che pubblicò la sestina del " Bacio":"e al fin il tanto desiato bacio " sulla celebre rubrica: "Api, Mosconi e Vespe".

Amava il suo paese ed il paesaggio di Civita era sempre di sfondo al canto della sua anima:

"Oggi è settembre ancora, e il sole allieta

ancor questo mattino del villaggio

fra i canti azzurri de la gente lieta

fra la serenità del paesaggio.

Ama l’anima mia bever, ne la cheta

solitudine del luogo selvaggio

questi ultimi tepori, e ripensare,

o ricordanze mie care ed amare!

gli amori fioriti nel passato maggio"

(da "Autunno" - None Rime)

 

Bisogna raccogliere, evidenziare e studiare gli scritti di questo nostro poeta. Le sue poesie rispecchiano l’anima, il sentimento della nostra gente, l’ambiente e il paesaggio. In esse possiamo veder riflessi noi stessi. Elenco i suoi principali scritti:

Echeggiamenti (scritti nel 1890-91) dedicati ad una signorina napoletana: "Samaritana" ; "Agli amici civitesi " ; "A Bruno Stoppa " ; "Al mio paesello ".

Poesie varie ( in due volumetti ) :

a- Nuovi Canti Mistici.

b- Elegie ( con la sestina del "Bacio" lodata e pubblicata da Matilde Serao).

Vari articoli letterari e scientifici : "La filosofia scientifica "e "La moderna questione sociale ".

Misticismo e simbolismo Dantesco (saggio critico).

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GABRIELE PEPE ( junior )

 

Figlio di Carlo e di Elvira De Lisio nasce in Civitacampomarano il

9 novembre 1896.

Fratello dell’ ecc. Marcello Pepe magistrato , del rag. Raffaele Pepe e della sig.ra Giuseppina Pepe, maritata col prof. Giuseppe Perrotti di Lucito, primario chirurgo al "Cardarelli " di Napoli.

Muore da eroe in Africa Orientale il 9 maggio 1941.

Medaglia d’oro alla memoria :

Già distintosi in ogni circostanza per indomito coraggio personale, trovandosi da poche settimane in licenza in patria, dopo cinque anni ininterrotti di colonia, chiedeva allo scoppio dell’attuale guerra, ed otteneva, di ritornare in aereo nell’impero per riprendere il suo posto di combattimento. Con l’esempio, e con le sue superbe qualità animatrici, imprimeva, in breve tempo, ad un battaglione di nuova formazione, il suo stesso ardire e la sua stessa passione. In aspro combattimento, attaccato da forze superiori, conduceva, dopo cinque ore di lotta, ancora una volta i suoi uomini al contrattacco ed in tale eroica azione veniva colpito al volto. Con i gesti e con la voce gorgogliante per il sangue irrompente, riusciva ancora una volta a spronare i suoi dipendenti ed a rompere il cerchio che li rinserrava.Dissanguato dalla ferita, e non potendo parlare, scriveva le seguenti ultime parole di incitamento e di italica fede : "Forza mio 190°, vendicatemi. Vinceremo intrepidi figli d ’ Italia , mio grande amore !"

Concludeva così da eroe la sua nobile vita di soldato dedicata sempre al dovere, rendendo ancora più sacra col suo sangue la terra dell’ impero.

Ghemira 1941 / XIX

Frequentò il liceo presso la scuola militare di Napoli. Nella lettera

del 1 giugno 1952 così si esprimeva il comandante col. Bernardino Grimaldi di Crotone dopo il sacrificio supremo di Gabriele : " Sul marmo è stato inciso il nome sacro della medaglia d’ oro Ten. Col. Gabriele Pepe, degnamente commemorato nella rievocazione storica della "Nunziatella", alla presenza del ministro della difesa on. Pacciardi, che ha presieduto allo scoprimento della lapide degli eroi. Tutta Civitacampomarano era idealmente presente alla significativa cerimonia, per esaltare il suo eroe continuatore di nobili ed antiche tradizioni militari ".

Entrò nella scuola militare di Modena e ne uscì col grado di sottotenente nel 1915. Partecipò a molte azioni militari tra i reparti degli arditi nella prima guerra mondiale. Si guadagnò encomi e croci di guerra ed una medaglia d’argento con R.D.13-7-1919 e sul Boll. Ufficiale del 6-7-1933: "Pepe Gabriele da Civitacampomarano (C.Basso) Tenente 135° Regg.to Fanteria(M.M.) : "Nell’avanzare verso il nemico, trovatosi di fronte ad una casa sistemata a difesa, la circondava col proprio plotone, la prendeva d’assalto, ed entratovi per primo, ne costringeva alla resa i numerosi difensori. Sopraggiunte soverchianti forze avversarie ed obbligato a ritirarsi per non essere catturato ripiegava combattendo tenacemente coi pochi supestiti e tenendo sempre testa al nemico". Montello 19 giugno 1918.

Dopo la guerra si laureò in Giurisprudenza.

Dal 1928 al 1930 fu in Eritrea col 2° battaglione ascari; nel 1935 tornò in Africa colla divisione Sila, ottenendo poi il comando del 18° Battaglione Eritreo. Al Tembien seconda medaglia d’argento. Al monte Baron si guadagna la terza medaglia d’argento con l’elogio e l’abbraccio del comandante: generale Mariotti, che nel capitano Pepe aveva trovato " il più fedele interprete dei suoi ordini".

Nella battaglia di Chicciò, contro le forze di ras Immerù, conquista la quarta medaglia d’argento. Un suo superiore in questa occasione lo definì: "dinamico, impetuoso, irresistibile comandante".

Nel 1936 fu promosso Maggiore "per meriti di guerra".

Tornò in patria nel maggio 1940, ma subito dopo ritorna volontario in Africa per assumere col grado di ten. Colonnello il comando del 190° Battaglione Indigeni, alla testa del quale cade da eroe a Ghemira il 9 maggio 1941 meritandosi la già menzionata medaglia d’oro. La sua vita fu dunque tutta dedicata al servizio della Patria. Civitacampomarano può essere a ragione orgogliosa di questo figlio, onore non solo del suo paese, ma anche della regione e dell’intera Nazione.

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GENERALE D’ALOISIO ALFREDO

 

Nacque a Civitacampomarano il 28 gennaio 1869 e morì a Torino il 7 febbraio 1941.

Ebbe come maestri don Ignazio Di Paolo e Don Francesco D’Ascanio.

Frequentò la scuola militare di Caserta.

Nella prima guerra mondiale guadagnò due distintivi d’onore, una medaglia d’argento e le promozioni a capitano, a maggiore, a colonnello.

Alla fine del 1931 arriva la promozione a Generale di Brigata.

Modesto tra i modesti onorò altamente il suo paese natio, la regione e la Patria.

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AMEDEO DI SALVO

 

Nacque a Civita nel 1904 da Almerindo e da Capone Giuseppina e vi morì nel novembre 1976. Quando Amedeo mi faceva osservare le caricature dei diversi personaggi civitesi ammiravo la limpidezza e la precisione del disegno, che sapeva carpire le caratteristiche del soggetto esagerandole a scopo di ridicolo. Devo confessare però, che ignoravo di trovarmi dinanzi a dei piccoli capolavori, perchè completamente impreparato in tale materia.

La pubblicazione : " La Caricatura di Amedeo" di Maria Teresa Lalli Calzona e di Francesco D’Episcopo dell’Università di Napoli ha il merito di aver messo in evidenza tale arte e tale maestria in Amedeo. Mi rallegro pertanto con gli autori, perchè tali qualità tecniche ed artistiche non vadano dimenticate ed Amedeo sopravviva quanto più a lungo nel nostro ricordo, non solo come amico, ma come caricaturista tradizionale, che, con attento acume e profonda osservazione, ha saputo, con disegni ben fatti, ritrarre personaggi tipici del nostro paese fino alla comicità, per cui riesce al duplice scopo di suscitare il riso sulle nostre labbra e di far rivivere nella nostra mente personaggi, di una data epoca, a noi tanto noti.

 

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Elenco degli arcipreti della parrocchia di Santa Maria Maggiore attualmente con sede in Santa Maria Delle Grazie

 

anni di servizio

1 - Ricciuti Nicolò 1653.......

2 - Riccciuti Michele 1662.......

3 - Violi Francescantonio 1693 - 1716

4 - Piccarini Nicola 1719 - 1739

5 - Caprara Luca 1739 - 1763

6 - D’Astolfo Domenico 1764 - 1801

7 - Caprara Felice 1801 - 1812

8 - Ferretti D. 1812 - 1820

9 - Di Paolo Ludovico 1820 - 1823

10- Di Paolo Michelangelo 1823 - 1825

11- Emanuele Ferdinando 1825 - 1839

12- Cuoco Nicolò 1839 - 1856

13- D’Ascanio Francesco 1856 - 1859

14- Ianziti Blandino 1859 - 1884

15- D’Ascanio Francesco 1884.......

16- Pardi Michele 1884 - 1887

17- Di Paolo Ignazio 1888 - 1903

18- Esposito Salvatore 1904 - 1905 (1906)

19- Pillarella Nicola Maria 1906 - 1936 (1938)

20- Manuele Umberto 1938 - 1980

21- Iovine Giovanni 1980 - 1981

22- Romolo Padre Giorgio 1981 - 1982

23- Boccardo Angiolino 1982........

 

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 Parroci della Parrocchia di San Giorgio

 

anni di servizio

1 - De Marinis Marsilio 1627 - 1645

2 - De Marinis G ian Battista 1646 - 1674

3 - De Marinis Eusebio 1674 - 1683

4 - De Marinis Giuseppe 1683 - 1703

5 - De Blasiis Domenico 1703 - 1708

6 - De Marinis Fabio 1708 - 1754

7 - De Marinis Liborio 1754 - 1780

8 - De Marinis Domenico 1781 - 1824

9 - Cuoco Nicolò 1825 - 1839

10- De Marinis Adamo 1839 - 1843

11- Tozzi Alessandro 1843 - 1895

12- Greco Angelo 1896 - 1897

13- Bellaroba Michele 1905 - 1909

14- Mirco Michele 1909 - 1940

15- Piccoli Pasquale 1940 - 1950

16- Pettinicchi Giovanni 1950 - 1951

17- Caticchio Padre Ignazio 1951 - 1952

18- Giaccari Padre Antonio 1952 - 1960

19- De Lellis Giuseppe 1962 - 1969

20- Manuele Umberto 1969 - 1980

21- Iovine Giovanni 1980 - 1981

22- Romolo Padre Giorgio 1981 - 1982

23- Boccardo Angiolino 1982..........

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 Elenco dei Sindaci e dei Podestà di Civitacampomarano

 

anni in carica

1 - De Marinis Liborio 1809

2 - De Blasiis Felice 1810

3 - Tetta Gaetano 1811 - 1812

4 - Colonna Perseo 1813 - 1814

5 - Caprara dott. Francescantonio ..................

6 - Colonna Perseo 1817 - 1819

7 - Cieri notar Giuseppe 1820

8 - De Marinis dott. Giovannandrea 1821

9 - Cieri notar Giuseppe 1822

10- Di Paolo Gaetano 1823

11- D’Ascanio Giuseppe Nicola 1824

12- De Blasiis dott, Felice 1825 - 1827

13- D’Ascanio Giuseppe Nicola 1828 - 1830

14- Trevisonno Francesco 1831 - 1833

15- De Marinis dott. Ottavio 1834 - 1836

16- Pepe rag. Raffaele 1837 - 1842

17- Colonna Achille 1843 - 1845

18- Tetta Luigi 1846 - 1848

19- De Marinis dott. Giovannandrea 1849 - 1851

20- D’Ascanio Giuseppe Nicola 1852 - 1854

21- Trevisonno Giacinto 1855 - 1860

22- Roberti ing.Antonio 1860 - 1861

23- Cieri notar Raffaele 1861 - 1864

24- Pepe Marcello 1868 - 1879

25- Pepe Carlo 1880

26- Colonna Carlo 1896 - 1902

27- De Marinis avv. Adamo 1902

28- Trevisonno Giuseppe 1902

29- Cipolla d’Arco dott. Giuseppe

commissario 1902 - 1903

30- Trevisonno Giuseppe 1903 - 1904

31- Caprara dott. Nicola 1904 - 1910

32- Colonna Erminio 1910 - 1914

33- Caprara dott. Nicola 1914 - 1915

34- D’Aloisio Pietro 1915 - 1917

35- Pesce Michele 1917

36- Roberti dott. Quintino 1918

37- Chiazzo Domenico 1919

38- Girolamo Vittorino 1919

39- Roberti dott. Quintino 1919

40- Micarelli Pietro 1919

41- Pepe Ascenzo 1920

42- Colonna Erminio 1920 - 1925

43- Roberti Vincenzo 1925 - 1927

44- Pepe rag. Raffaele 1928

45- Roberti Vincenzo 1929 - 1930

46- Pepe rag. Raffaele 1931 - 1940

47- Paolucci dott. Renato 1941

48- Di Michele Evangelino 1942 - 1943

49- Pepe avv. Enrico 1943 - 1944

50- De Marinis dott. Francesco 1944 - 1945

51- Irace Adolfo 1945

52- Tozzi Alessandro insegnante 1946 - 1951

53- Irace Adolfo 1951 - 1952

54- Colonna avv. Domenico 1952 - 1954

55- Ricciuti Nicola 1954 - 1955

56- D’Aloisio Antonio 1955 - 1963

57- Spidalieri Umberto 1963 - 1964

58- Torzilli Michele 1964 - 1978

59- Di Ninno Guido 1978 - 1983

60- Di Paolo dott. Mario Felice 1983 - 1997

61- Ciafardini dott. Maurizio 1987..........

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SERVIZIO SANITARIO

 

LEGGE SANITARIA TESTO UNICO 27 - 7 - 1944

 

 

MEDICI CONDOTTI :

Dott. De Marinis Bertrando

Dott. Lalli Nicola

Dott. Lalli Guglielmo

Dott. Testa Luigi

Dott. Ricci Dino

Dott. Mastronardi Massimo

Dott. De Marinis Francesco

Dott. Schiappoli Alfonso

Dott. Lalli Igino

Dott. Zita Sergio

 

Con Legge 833 del 1978 viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale con le relative Unità Sanitarie Locali ( U.S.L. ).

Attualmente è in servizio il dott. Zita Sergio.

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CONCLUSIONE

 

Non posso chiudere il capitolo dei personaggi senza ricordare l’opera di tanti altri concittadini, che hanno dato il loro contributo nel corso dei secoli nel campo agricolo, artigianale, commerciale, industriale e professionale.

Dal loro attaccamento alla terra natia si è formato l’humus, da cui gli altri cittadini hanno saputo trarre l’energia necessaria per la costruzione della comunità, che ci tiene uniti negli affetti, nella tradizione, nella solidarietà e nei ricordi.

Un particolare ed affettuoso ricordo in questo momento si rivolge a tutti gli amici (presenti ed assenti) della giovinezza, con i quali specie nel periodo del dopo-guerra, dividemmo le gioie, le difficoltà, i sacrifici e le amarezze per poterci affermare nel campo del lavoro e nella società.

Ai giovani va il pensiero e l’esortazione, perchè si facciano onore e continuino nel tempo con il lavoro e con l’ingegno a tessere quella grande tela, che è la storia del mondo ed a sentirsi sempre uniti a tutti gli altri per costruire un avvenire migliore per tutta l’umanità, pur traendo sempre la linfa vitale dal paese natio,

"di cui la fama ancor nel mondo dura,

e durerà quanto il mondo lontana".

( Dante Inf. / 58 )

 

De Marinis Francesco

 Indice II parte

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Archivium Romanum Societatis Jesu " Relazione venuta da Napoli della preziosa morte del Servo di Dio padre Francesco Pepe accaduta in quella casa professa nel giorno 19 maggio 1759 ".

Barbadoro B. " La Storia nei licei " I - II vol. Le Monnier Firenze

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Bignami E. " L’ Esame di Storia " Ed. Bignami

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Camera A. - Fabietti R. " Il Medioevo " Zanichelli

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 Indice II parte

 

ILLUSTRAZIONI

Fig. 1 Panorama di Civitacampomarano.

Fig. 2 Civitacampomarano – Il castello.

Fig. 3 Confini del Comune di Civitacampomarano.

Fig. 4-4a Provincia di Campobasso.

Fig. 5 Regione pentro – frentana nel periodo della II° guerra punica.

Maronea.

Fig. 6 Itinerario di Annibale.

Fig. 7 Le diocesi del Molise nel Trecento.

Fig. 8 Molise nel 1500.

Fig. 9 Contado di Molise.

Fig.10 Abruzzo e Molise.

Fig.11 Monte Mauro ( mons Liburnus ).

Fig.12 Monte Sant’Angelo : veduta col monastero.

Fig.13 Ruderi del monastero.

Fig.14 Veduta del castello lato nord.

Fig.14a Lato nord-est.

Fig.14b Lato sud.

Fig.14c Lato sud-ovest.

Fig.15 Blasone tufaceo dei Di Sangro con grifo,che stringe tra gli artigli

i gigli rovesciati degli Angiò a ricordo della vittoria a Carpinone

di Alfonso d’Aragona sugli Angioini.

Fig.16 Il campanile di Santa Maria Maggiore e l’arco di immissione nel

borgo feudale.

Fig.16a Lapide sulla facciata nord del campanile.

Fig.17 Via e casa di V. Cuoco.

Fig.18 Ingresso dell’antico Ospedale nella via omonima.

Fig.18a Balconata in via dell’Ospedale.

Fig.18b Bassorilievo di chimera in via dell’Ospedale.

Fig.19 Stemma dell’antica Università posizionata sulla attuale facciata

del comune.

Fig.20 Attuale San Liberatore,già antica cappella e sede dell’Università

Fig.21 Strada del borgo medioevale.

Fig.22 Portoncino con architrave in pietra.

Fig.22a Bassorilievo di due colombe con esafoglio sull’architrave.

Fig.23 Architrave in pietra con iscrizione latina del 1463.

Fig.24 Santa Maria delle Grazie : portale di stile gotico.

Fig.24a Santa Maria delle Grazie : altare ligneo barocco con trittico.

Fig.25 Vicolo ( rua ).

Fig.26 Finestra in pietra.

Fig.26a Bassorilievo di "esalfa".

Fig.27 Palazzetto diruto vicino alla chiesa di San Giorgio.

Fig.28-28a Bassorilievi sul palazzetto.

Fig.29 Portone stile veneziano.

Fig.30 Camino con stipiti ed architrave monolitici.

Fig.31 Facciata di San Giorgio martire.

Fig.32 Blasone in pietra con leone rampante su portone di casa Tozzi.

Fig.33 Porta vecchia.

Fig.34 Cappella di San Giovanni.

Fig.35 Napoli : guglia dell’ Immacolata fatta costruire da padre

Francesco Cherubino Pepe ( 1747 ) nella piazza del Gesù.

Fig.36 Vincenzo Cuoco.

Fig.37 Gabriele Pepe

Fig.38 Monumento in Campobasso di Gabriele Pepe.

Fig.39 Lapide di Gabriele Pepe sulla casa natale.

Fig.40 Processione di San Liberatore.

Fig.41 Urna con i resti mortali di San Celestino V.

Fig.42 Gabriele Pepe junior medaglia d’oro.

Fig.43 Lapide ai caduti della seconda guerra mondiale.

 

 

 

INDICE

PARTE PRIMA

 home page   Indice II parte  Indice I parte

Presentazione

Prefazione

Dalla Preistoria a Maronea .

Benedettini - Longobardi - Ducato di Benevento - Epoca Carolingia

Periodo Normanno Svevo

Periodo Angioino ed Aragonese

Castello e Borgo feudale

Secolo XIV - Incastellamento - Borghi e Parrocchie

Predominio spagnolo ( 1559 - 1714 ) e Signori utili del feudo di Civita

I Cappuccini a Civita ed il Sinodo Diocesano di Guardialfiera del 27 marzo 1581

Organizzazione amministrativa - giudiziaria nella Capitanata e nel Molise

L’avvento dei Borboni 1734

Confini del territorio di Civitacampomarano secondo un manoscritto del 1754

Società Civitese dedotta dai catasti del1742-1746 1803:nel periodo precedente la Rivoluzione Francese 1789 e la Rivoluzione Napoletana 1799

Risorgimento e Unità d’Italia

L’organizzazione politica, amministrativa e giuridica del Molise dopo l’Unità d’Italia. Guardie Nazionali e brigantaggio nel mandamento di Civitacampomarano

Prima Legislatura dopo l’Unità d’Italia. Prima guerra mondiale - Fascismo - Seconda guerra mondiale

Repubblica - Democrazia e regione Molise.

Appendice

 

 

INDICE

PARTE SECONDA

 home page   Indice II parte  Indice I parte

Introduzione

Padre Francesco Cherubino Pepe

I precursori dell’IlIuminismo Civitese

Carlo Marcello Pepe

Padre Francesco Maria Pepe

Don Attanasio Tozzi

Don Domenico D’Astolfo

La baronessa Olimpia Frangipani dei duchi di Mirabello ed il circolo giacobino di Castelbottaccio

Il marchese Costantino Le Maitre

Michele De Marinis

Luisa De Marinis

Raffaele Pepe

Bottaro Angelo

Francesco Pepe

Vincenzo Cuoco e Gabriele Pepe

Carlo Pepe

Michele Antonio Cuoco

Nazario Colaneri

Giovanni Andrea De Marinis ( junior )

Filippo Pardi

D’Ascanio Giuseppe Nicola

Marcello Pepe

Scuola di musica e di canto -Musicisti e Cantori

Di Paolo Celestino

Gabriele Pepe ( junior )

Generale D’Aloisio Alfredo

Amedeo Di Salvo

Elenco degli arcipreti della parrocchia di S.Maria M

Parroci della parrocchia di San Giorgio

Elenco dei sindaci e dei podestà di Civita

Servizio sanitario

Conclusione

Bibliografia

Illustrazioni

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