Bambina
(pino sansò)

Sulla mia Vespa correvo come al solito per una fretta squalificata, essendo la fretta una costante del ritmo acquisito una volta adottato quel mezzo di locomozione. In prossimità di casa risistemavo sulla retina le curve della strada, le cunette dei tombini, le chiazze di pece adesiva spalmata per correggere gli errori dell’asfaltatore, le imprecisioni del manto stradale, le buche, la ghiaia dispersa dalle ultime piogge e allineata con infida regolarità dai pneumatici delle auto. A quel punto si trattava di tagliare il percorso piegando verso sinistra per imboccare la "via delle casette", discendente. Per cui un gradino separa questa - incassata tra muri grigi e abitazioni, porticine e pali elettrici arretrati per paura di essere investiti - dalla via principale, nel punto aguzzo dell’innesto. Con la coda dell’occhio ho intuito che la vecchina avrebbe incontrato difficoltà a risalirlo per imboccare la sua strada più alta. Una frazione di secondo e le ginocchia le hanno ceduto. Un’altra titubante frazione di secondo era trascorsa prima che io mi fermassi, dieci metri più avanti - nella via delle casette - e già col senso della colpa di essermi sottratto alla responsabilità del soccorso ormai formalizzata e archiviata. Comunque ho posato lo scooter in mezzo alla stretta via e sono tornato indietro. La vecchina era già quasi in piedi quando le ho afferrato un braccio per aiutarla. Tutto ciò che mi ha colpito è avvenuto dopo.
Dunque:

“Signora, come si sente?”

Vorrei avere i colori giusti per approssimare il tono delle sue parole.

“Sono caduta…”

 C’era una volta una bambina piccola, piccola che, esprimendo col viso tutto lo stupore del mondo per l’inatteso, aveva affermato, senza guardare qualcuno in particolare, “sono caduta…”, e racchiudendo nelle sue parole una trattenuta protesta, una confidenza, una richiesta di aiuto, una domanda, un flebile lamento.
Così aveva detto.
Allora, visto che si era faticosamente rialzata e mi pareva non avesse nulla di rotto, ho avuto il tempo di fare la sua conoscenza mentre si allontanava lentamente, offesa e ferita nell’animo. Il viso era davvero anziano e grinzoso, le labbra sovrastate dalla peluria grigia, gli abiti la infagottavano e si appoggiava a un bastone. Si vergognava per ciò che le era accaduto e, perciò, non mi porgeva neppure un rapido sguardo.

“E’ sicura?”
“Si”

Occhio e croce, così infagottata, così baffuta, così impacciata, poteva aver oppresso qualche genero, perseguitato qualche nuora, tormentato un marito, cresciuto figli, litigato coi vicini, contrastato la propria famiglia, risparmiato nei regalini ai nipoti, imbrogliato un po’ nella vendita di merce varia, trascurato la chiesa oppure chiesto immeritatamente a dio, guardato troppo lascivamente un uomo prestante, annacquato il vino o malignato circa migliori sorti, viaggiato e poco rammentando dei propri viaggi, ignorato la politica anche ignorando il proprio giudizio sul ventennio, forse protetto oppure denunciato qualche ebreo coinquilino, amato un repubblichino o un partigiano, superato malattie senza mai augurarne ad altri, fatto qualche voto andando più volte a piedi al Santuario della Guardia o, all’opposto, rinnegato dio, ma solo in cuor suo. Probabilmente poteva aver affrontato tante difficoltà e malattie da diventare così troppo vecchia anche nell’aspetto.

Eppure quel “sono caduta…” andava così indietro nel tempo… come scavalcando, a ritroso, tutto quel che poteva essere stato poi, dopo quei primi anni che ognuno di noi si porta appresso con ignara trascuratezza. Si allontanava, trattenendo per pudore le lacrime, lungo la strada che, proseguendo nella stessa direzione della mia, la sovrastava in salita. Dunque la osservavo china sul bastone, sopra di me, cercando di capire dall’incedere se non stesse nascondendo un trauma per timore dell’ambulanza, della gente che si raccoglie intorno a un ferito, dell’umiliazione di un anziano ricoverato nell’ospedale pubblico. Invece faticosamente ma con decisione si allontanava.
E forse voleva già nascondere quella cosa infantile che le era uscita dal petto.

Forse, mi è venuto da pensare osservandola, se sapessimo ritornare ancora un po’ bambini, se riuscissimo a recuperare quel nostro essere ancora bambini nel profondo dell’animo sempre bisognoso, senza darci sempre - a qualsiasi età - tante arie da vecchi e da vecchi vissuti - oltre a rimbambire, inevitabilmente - un po’ - impareremmo tutti ancora a giocare. Casomai facendoci la guerra solo sulle cataste di legna, proprio come facevano i famosi ragazzini della via Pal.

Frammenti di scrittura