A chi dare il proprio voto alle Elezioni politiche del 9-10 aprile 2006

 

appello elettorale

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La popolazione italiana è composta -tra le altre- da moltissime persone che non hanno fiducia nel proprio paese, intendendo con ciò la “gente” che lo abita.

La conseguenza di questa sfiducia, per coloro che non hanno desiderio di impiegare il proprio tempo in un’analisi “politica” oppure non possono impiegarvelo per mancanza di strumenti critici, è la scelta di questo o di quello schieramento in base all’intuizione di una convenienza più o meno immediata.

Per coloro che di raziocinio politico ne hanno e anche molto, la sfiducia si trasforma, spesso, in una specie di fatalismo che li induce a scegliere di esprimersi pubblicamente e con malcelato senso ludico per uno schieramento piuttosto che per l’altro come si farebbe nel parteggiare per gli indiani o i cowboy, i malviventi o i poliziotti, gli umani o gli alieni in un film, una squadra di calcio. Il loro sforzo intellettuale consiste, stabilito il principio, nel mantenersi tenacemente, incondizionatamente e artificiosamente nella ragione di quella “parte”.

Poi ci sono molti che, sulla scorta di una generale sfiducia e proprio assumendola come pretesto alle proprie scelte, optano per una fazione per motivi di convenienza e, dunque, di interesse personale.

Eppure, la presenza in entrambi gli schieramenti (visto che siamo ancora in un sistema bipolare) di persone che credono sinceramente nei principi ispiratori delle pur opposte scelte politiche, dovrebbe far ben sperare. La consistenza numerica di quel fronte di cittadini la cui evoluzione civile porta più avanti e “oltre” l’orizzonte delle finalità della politica, dovrebbe proprio far ben sperare: ogni impercettibile crescita di questa parte della società è una conquista assoluta della Storia.

Credo esistano, comunque si intenda la politica e a prescindere dalla propria visione civile ed esistenziale, principi generali che sappiano guidare il cittadino nella scelta della parte alla quale accordare, col voto, la propria fiducia. Personalmente ne ho in mente alcuni che ritengo di fondamentale importanza e che trascrivo per promemoria quasi rivolto proprio a me stesso.

Il bene comune -forse non di tutti, ma in prospettiva ricadente su tutti almeno come “equilibrio sociale”- non è sempre percepibile concretamente nella vita o, casomai, attraverso il livello di benessere sociale ed economico di un individuo, se non col tempo. Ma, indubbiamente, è riconoscibile nelle leggi promulgate dichiaratamente (in genere) con questo intento: leggi evidentemente pensate per altri scopi, per di più contingenti, non sono un segnale di buon governo.

La civiltà di un paese si misura attraverso l’attenuazione, seppure in tempi ragionevolmente lenti, delle disparità economiche tra gli individui. Questo non vuol dire disconoscere diversi meriti, però non posso credere che doti personali come l’intelligenza, l’impegno, la sensibilità, la preparazione culturale possano variare, tra la popolazione, non dico da uno a un milione, ma neppure da uno a cento, neppure da uno a dieci. Certo esiste l’impresa (l’intraprendenza) e il fattore rischio: ma chi di noi coi tempi che corrono (in tutti i tempi) non corre il rischio di uno stravolgimento repentino della propria attività produttiva, lavorativa, economica o commerciale? E poi quali sono, in sostanza, i rischi? diventare poveri? l’indigenza deve essere -inoltre- considerata come una punizione, in una società civile?

La critica alle azioni di governo dovrebbe essere considerata come un arricchimento a chi conduca l’economia e la politica di un Paese. Paradossalmente, un governante saggio dovrebbe promuovere quei mezzi di comunicazione che più radicalmente sappiano esercitare il diritto di critica: nulla rafforza di più l’immagine di una compagine governativa della confutazione di critiche infondate a provvedimenti emanati a ragione e in buona fede.

I paesi economicamente arretrati non possono restare ancora a lungo in questa condizione, altrimenti la diffusione dell’immagine (attraverso la televisione, internet, i satelliti) di un occidente ricco e promettente creerà se non la crescita e il radicalizzarsi delle tensioni, quantomeno un esodo biblico incontenibile. È inevitabile un lento equilibrio economico mondiale, se non per giustizia di fronte alle risorse del pianeta, certamente per le pressioni anche produttive e concorrenziali che quei paesi si avvieranno ad esprimere. Di fronte a questa prospettiva un governo accorto dovrebbe guidare la popolazione verso una graduale attenuazione degli sprechi, verso una graduale attenuazione del consumismo, verso un graduale risparmio dell’energia e delle altre risorse.

La diffusione della cultura è un compito dei privati cittadini, delle associazioni, degli enti. Ma lo Stato, attraverso la Scuola e i finanziamenti alle iniziative, la custodia dei Musei e degli altri luoghi di espressione e conservazione delle opere artistiche, favorendo i naturali habitat culturali promuove la libertà che è figlia anche della conoscenza, attraverso la diffusione delle idee e lo sviluppo della sensibilità. Un buon Governo deve tenere in grandissimo conto la diffusione della cultura perché da questa deriva la consapevole e capillare collaborazione dei cittadini alla crescita di un Paese.

La Scuola, l’Università, la ricerca producono frutti in tempi lunghi. Per questo motivo gli stanziamenti economici misurano la lungimiranza dell’Amministrazione. Destinare risorse ad opere i cui risultati siano meno che immediati, dunque non spendibili sul piano della propaganda, per la promozione di un’area politica, significa scommettere sull’intelligenza degli elettori.

Ed ogni volta che una parte politica -un governo in carica- implicitamente o esplicitamente mette in dubbio la capacità di discernimento dei cittadini (questo avviene anche proponendo spudoratamente versioni distorte della realtà delle cose, e credo che il discernimento sia un valore relativo alla dimensione culturale dell’individuo) compie un atto dispotico ed antidemocratico. Allora, su una falsa rappresentazione dell’elettorato da parte dell’Autorità, si instaura una falsa comunicazione, con tutti i mezzi di cui ogni parte politica possa disporre: questa è la moderna dittatura.

Ci sarebbe altro. Per me, oggi, tutto ciò è sufficiente.

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